MIKE SINGLETON Sacra Famiglia di Nazareth! Se parlerò “in generale” dell’abisso di plausibilità (“credibility gap”) che si è aperto attraverso i secoli tra i dati primordiale riguardante Gesù, i suoi e la loro situazione socio-storica (“Sitz im Leben”) e il senso fatto di loro dal magistero cattolico e perché alcuni studi di casi particolari mi hanno convinto del distacco distanziante in questione. Due motivi mi spingono di mandarvi un modesto studio fatto da me venti anni fa. Il primo è che non specialisti in materia (come me) possono non di meno rendersi conto della breccia indicativa tra il materiale primitivo e la sua elaborazione ecclesiastica; il secondo è che “la rupture avec la famille biologique et patriarcale” che si subodorava una generazione fa è stata confermata dai specialisti del documento “Q” che figura tra i primi testimoni della filosofia e pratica di Gesù. Non è il compito dell’etnografo o dello storico di decidere quale sia la forma ideale o assoluta della Famiglia (a suppore – come non lo faccio! - che il discorso transculturale – o peggio trascendentale abbia un senso!) ma al massimo associare una forma egemonica al suo contesto culturale e delineare le forme alternative quale potevano essere proposte allora. (Non sono un incondizionato delle biotecnologie in generale e in particolare nel campo della fecondazione umana – ma davanti al crollo della qualità e quantità del seme maschile non rileva dalla sola fantascienza di pensare alla possibilità di congelarne assai per il futuro indefinito della specie ne all’eventualità di assicurare la vita nascente in vitro piuttosto che in utero… come l’ho proposto in “Enfant naturel, enfant culturel”, L’Adoption, Bruxelles, CEFA, 1994; ma vedi ormai l’opus magnum do M. Godelier, Métamorphoses de la parenté, Paris, Fayard, 2004). Come academico ma anche come praticante di questa forma di famiglia, non posso biasimare la famiglia nucleare elaborata nella storia recente dell’Occidente (soprattutto nel nord dell’Europa e gli Stati Uniti da c.1920 agli anni 1960). Non ostante il carattere sui generis e piccolo borgese, questo tipo inedito (nella cultura occidentale stessa e non soltanto ignorato da quasi tutti i popoli e periodi conosciuti), fu consacrata dalla Chiesa cattolica nel novecento come la ripresa la più fedele della Santa Famiglia di Nazareth: papa e mamma uniti per sempre con i legami del sacramento del matrimonio, casati nella loro villetta suburbana, e produttrici (di fatto demografico se non secondo la volontà piuttosto proliferante del Vaticano) di 1,7 bambini (e ormai tendenzialmente di meno in parecchi paesi europei). Questa famiglia nucleare che sparisce (o almeno si scomporre e si ricomporre) ormai sotto i nostri occhi, ha niente da fare sia colla famiglia stessa di Gesù sia col vivere insieme progettato dai suoi primi seguaci – profeti peregrinanti, giovani adulti consumando l’eredità patrimoniale, in attesa dell’arrivo imminente di un Regno dove non si sposerebbe ne si accoppierebbe più. All’articolo annesso, bisogna aggiungere oggi le seguenti considerazioni: L’uomo di Nazareth era chiaramente anti-famiglia: cioè anti la famiglia socio-biologica che conosceva allora (essere contra la Famiglia in generale, non ha senso… se non generale!). Può darsi che questo sentimento globale di Gesù echeggiava un risentimento particolare. La famiglia sua era lontana di essere stata normale secondo le norme in vigore allora. Non è normale che Gesù era conosciuto come “figlio di Maria” e non di Giuseppe. Quest’ultimo fu almeno il genitore dei fratelli di Gesù se non il suo padre… perché circolava un rumore (smentito in parte dall’invenzione della verginità di Maria) che fosse il bastardo di un soldato romano, Pandera. Alcuni studiosi pensano che il fatto di essere illegittimo spiegherebbe perché Gesù non si era mai sposato (rimanere celibe nella Palestina d’allora come oggi nell’Africa, non sera virtù ma se non vizio almeno una maledizione – per questo che alti specialisti speculano sulla vita sessuale di Gesù – compagno della Maddalena o omosessuale virtuale (si pensa al giovane Giovanni, il “discepolo che amava” – benché Jousse pretenda che la frase in arameo significa “l’apprenditore preferito” ); chiaro è non soltanto che come profeta sentiva “mal accolto in patria sua” ma finanche nella sua famiglia - ad incominciare colla sua madre e i suoi fratelli (consanguinei almeno dalla parte materna). Le sue parole al loro riguardo, Maria inclusa, non sono tra le più tenere o affettuose, per dire lo meno!. Certo, Gesù non era il primo uomo (e ancor di meno l’ultimo) di aver vissuto la vita di famiglia come un incubo pesante, una camicia di forza clanica; già a tempo suo, gli Esseni vivevano una vita comunitaria sopra famigliare e oggi si può pensare ai “nostri” Cooper e Laing e a altri contemporanei che hanno scelto di vivere da soli o in comunità sopra se non anti-famiglia ! La famiglia (poco importa la forma che prende, nucleare o estesa, monogama o poligama etc.) assicura più o meno una sopravvivenza materiale ma non sempre conviviale e ad un prezzo personale che i subalterni – giovani e donne, domestici e servi – possono pagare a contro cuore, sognando e sospirando a qualche cosa di meno schiacciante. L’atteggiamento radicale di Gesù rispetto alla famiglia (come verso altre istituzione – il Tempio e la Torah, il potere sacro e profano) era una radicalità dei radici piuttosto che uno sradicamento rivoluzionario. Avrebbe potuto rinunciare a ogni contatto col mondo famigliare ritirandosi nel deserto o alternativamente raggiungendo la comunità monastica degli Esseni. Ma nei fatti Gesù si rassegnava a un certo realismo di tipo “compromesso storico”: frequentava, anzi approfittava, di gente infeudata, di maniera più o meno consentita, alle convenzioni famigliari dell’epoca. Ma quest’accettazione realista non era dettata dal riconoscimento della necessità di procreare e elevare la generazione seguente in condizioni salutari (che in teoria non sono legati ad una forma specifica di famiglia… senza pensare ne alla mitica promiscuità dell’orda primordiale ne ai sperimenti più che equivoci dei Nazi (Lebensborn), le bande dei gruppi di Pigmei o le comunità dei Hippies hanno riuscito a prolungarsi senza “famiglia” convenzionale). Se Gesù attaccavano poca importanza ai rapporti tra i sessi e le generazioni era sopra tutto che il monde attuale colle sue relazioni alienanti stava sul punto di essere giudicato e distrutto per sempre da un Dio “Padre”, dando luogo ad un Regno, dove tra altro, non si sposava più! – ne si lavora: se Gesù preferiva la Maria in contemplazione beata davanti a lui alla sua sorella Marta che si occupava in cucina, non era perché disprezza il lavoro domestico, ma perché progettava un mondo senza ogni tipo di lavoro! L’uomo di Nazareth… che sia detto che non ostante l’egalitarismo (escatologico) di Gesù e il fatto che la sua apertura al sesso detto debole scandalizzava molti tra i suoi contemporanei (finanche forse la sua unione libera con Maria Magdalena)… rimane che era un maschio. Si può capire che l’androcentrismo della Bibbia (sempre preferibile al patriarcalismo e al machismo) non ispira a fondo i femministi che progettano di rifondare i rapporti umani (inclusi quelle della famiglia) su basi inediti. Anche se si può appoggiare su certi elementi della tradizione giudeo-cristiana una filosofia e pratica dell’identità umana in generale e quella femminile in particolare più promettenti di quelli di altre tradizioni (è difficile tirare fuori del Corano un’uguaglianza assoluta e il Buddismo cerca di cancellare ogni identità decisiva!)… posso capire e accettare che i femministi, invece di perdere il loro tempo a trovare la giustificazione del loro progetto a ogni prezzo nella storia compiuta (anche in quella che si creda divinamente rivelata e non soltanto in quella umanamente ragionata), cercano di inventare una storia dal tutto nuova. Una femminista, Amy-Jill Levine, avendo investito molto tempo, energia e erudizione nell’analizzare “les femmes dans le communautés de Q” conclude che “en mettant en question l’ordonnance domestique patriarcale, en insistant sur le fait qu’hommes et femmes ont un accès égal au salut, en apportant l’espoir d’un monde libéré de l’exploitation économique, de l’oppression sociale et de l’angoisse personnelle, Q continue à inspirer. Ainsi comme c’est toujours le cas avec l’Ecriture, les mots font sens au-delà de leurs contextes historiques » (p.190 La source des paroles de Jésus (Q). Aux origines du christianisme, A. Dettwiler et D. Marguerat, édits, Genève, Labor et Fides, 2008). Ma in più del fatto che quasi ogni parola, orale o scritta, “rivelata” o non, può dar da pensare e da fare, si può capire anche che certi, visto il carattere inedito della nostra situazione attuale e soprattutto quella previsibile, non sono convinti a questo punto che l’altrove o l’ieri possono ancora essere di gran utilità. Come lo scriveva un moralista, Thomas: “la diversité des pratiques et des règles, soulignée par tous les ethnologues, peut certes tempérer la crispation sur des normes familiales en évolution constante, mais elle est dépourvue de valeur prospective et n’encourage en définitive qu’un relativisme facile… le mode de vie des Mélanesiens ou celui des Nambikwaras ne nous servent en rien pour trancher nos débats d’individus familialisés confrontés, en cette fin du XXe siècle, à des nouvelles techniques de fécondation” Misère de la bioéthique. Pour une morale contre les apprentis sorciers, Paris, Albin Michel, 1990, p.225. Basta sostituire “etnologi” con “esegeti” e “monografie etnografiche” con “studi bibliche” per porsi una domanda identica: serve veramente sapere la portata di Q o altri testi “rivelati” quando il nostro mondo è divenuto e diventerà sempre di più tutt’altro? Chi risponda “Non!” riduce la descrizione del passato (finanche nostro) e del presente di popoli non occidentali, al meglio ad una curiosità gratuita. Può darsi che abbia ragione… ma personalmente (e non soltanto per difendere o far l’apologia di una vita altrimenti sprecata a fare dell’antropologia!) mi pare più che plausibile di proporre altrui e altri tempi come dando sempre da pensare a fondo e diversamente. La proposizione di Thomas da non di meno da pensare. Di fatti, bisogna chiedersi fino a che punto è possibile e plausibile distinguere tra la forma e il fondo, gli accidenti e la sostanza, l’imballaggio e il regalo, la lettera e lo spirito, l’intenzionalità identitaria profonda e le sue espressioni culturale, le sue esteriorizzazioni superficiali, le parole e le cose… chiaro è, per esempio, che i cristiani si servivano a fondo di paradigma che a noi pare dal tutto ormai inutilisabile se non intrinsecamente sbagliato: parlavano spesso in termine di “secondo le scritture”, convinti che Dio aveva tutto programmata e che rileggendo le scritture si poteva vedere chiaramente profilato, pianificato la vita, la morte e la risurrezione di Gesù insieme con il significato o portato profondo di questo suo percorso. (Per esempio il “fatto” che Gesù sarebbe stato sepolto nella tomba di un ricco corrisponde non a un datum storico ma al versetto di Isaia 53, 9: “fu sepolto tra gli empi in una tomba dei ricchi”. Se si toglie questi riferimenti artificiosi, non rimane gran che di quelle che noi oggi chiamiamo “fatti storici”. “Dans les cinq derniers chapitres de l’évangile de Marc… on a pu dénombrer… 57 citations littérales, 160 allusions et une soixantaine de cas de contacts littéraires… Qu’on ôte ces références et aussitôt la composition du récit de la Passion se réduit à peu de mots” (Mordillat et Prieur, 1, 324).