©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte - - - 3 0 0 -- - - --- -- --- - La rassegna degli spettacoli lirici al Teatro Reale dell'Opera non può concludersi senza citare, sia pure di volata, la rappresentazione diretta da Serafin, dell'Oberon di Weber, nuovo per Roma; l'allestimento di due lavori, anche questi nuovi per Roma, ma già noti altrove: la Nave di Italo Montemezzi e la Figlia del Re di Adriano Lualdi; del balletto di Manuel De Falla Il cappello a tre punte (direttore Oliviero De Fabritiis); dell' Emani di Verdi (direttore Serafin); altro contributo, secondo noi necessario, alla conoscenza integrale del nostro massimo operi sta ; e finalmente la ripresa del Tristano e !sotta diretto da Victor De Sabata e interpretato da artisti tedeschi del Teatro di Bayreuth: un autentico avvenimento che ha costituito il maggiore successo della stagione. Quanto ai concerti sinfonici all'Adriano, fra i più interessanti vanno annoverati i due concerti diretti da Vittorio Gui, che ha presentato programmi nutriti di pezzi nuovi o poco conosciuti, quali la Partita di Luigi Dallapiccola, due tempi d'una Sinfonia di Ghedini, la Nenia di Brahms e il Natale di Ugo Wolf. Fernando Previtali, poi, ha fatto conoscere uno dei lavori più significativi di questi ultimi tempi: la Musica per strumenti a corda, xilofono, celeste e batteria del compositore ungherese Bela Bartok, che lo stesso Previtali diresse al Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Venezia del 1937. Il titolo della composizione è già di per se stesso eloquente. Invero non potrebbe intitolarsi altrimenti che -« musica » questo pezzo in cui non c'è una sola battuta che non vibri se non d'emozione musicale, di immediata ebbrezza sonora. È proprio il modo di nascere e d'effondersi del suono, il modo con cui il suono « cerca» gli affratellamenti timbrici o contrappuntistici che più gli convengono, il suo distendersi o contrarsi nel ritmo, che genera e impone la forma di ciascuno dei quattro tempi della Musica. La logica del discorso musicale, una ferrea logica priva di qualsiasi digressione superflua, ha la sua base nei nuclei motori essenziali dei quattro movimenti. L' « idea» musicale qui è effettivamente tutto; è la vera madre, riconoscibilissima, delle filiazioni dialettiche che seguiranno. Ancora una volta il cosiddetto oggettivismo musicale si rivela dunque totalmente .... soggettivo: appunto in forza dell'inscindibile coesione fra le varie parti del discorso sonoro e del loro scaturire da un unico soggetto inspirativo. L'impressione che questa Musica suscita nell'ascoltatore è singolarissima. A momenti ------ -- - - ---- L E A R T I sembra che la composizione si sviluppi per suo conto, per una sorta di fenomeno naturale che esclude il concorso della mcnte umana. La stessa natura dei temi, lo stesso colore degli impasti orchestrali, la stessa struttura dei ritmi, di rado fanno pensare ai temi, alle armonie, al colore strumcntale della musica « normale ». Ad esempio, lo xilofono, il secco e legnoso xilofono, nel quale si riflettono di solito gli atteggiamenti ironici o caricaturali o grotteschi di tanta musica contemporanea, ha nell' « adagio » il senso allucinato come dei rintocchi laceranti dell'incudine. La composizione dell'orchestra, la divisione degli archi in un doppio quintetto, l'impiego del pianoforte, dell'arpa, della celesta e dei timpani: tutto o quasi tutto in questa musica è originale, fuor del comune e del già fatto, del facilmente suggestivo e pittoresco. Se non temessimo di sfiorare il paradosso, diremmo che Bartok con la sua Musica ha « inventato» una nuova orchestra: l'orchestra, naturalmente, di quelle « idee» cui s'è accennato dianzi. Difficilissimo è perciò trovare dei riferimenti storici a questo lavoro. Con molta approssimazione ci si potrebbe richiamare ad alcune parti dell'Apollo musagete di Stravinski. Ma la Musica è mossa da un fervore, da un'energia emotiva, da un calore lirico dei quali soltanto a tratti è provvista la squisita esercitazione stilistica stravinskiana. Energia emotiva: cioè sentimento inspiratore. Giacchè, (ulteriorc avvertimento agli anti.... oggettivisti), non si creda all'estrema purezza e rarefazione di questo lavoro come ad una realtà sonora arida e scardinata dalla vita. Ma, come avviene di tanta musica musicale da Bach a Hindemith, qui il sentimento nascc col suono stesso, si identifica col suono e con esso procede e si sviluppa. Vogliamo dirc, pcr concludere, che l 'apparente astrattezza della Musica non prova affatto la mancanza entro di essa di una volontà e di una coscienza umana. LUIGI COLACICCHI. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA. MACCARI. - Segno di sveglia attenzione, da parte della critica d'arte più catafratta sull'antico, questo saggio di Longhi su Maccari 1), in occasione di una Mostra, che tenuta fuor di stagione, poteva passare inosservata (e cosÌ press'a poco avvenne) anche per le più aggiornate effel) R. LONGHI. MACCARI. Arcobaleno, pp. 7-8, novembre-dicembre, 193B-XVII, Venezia. ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte - - - LE ARTI --------------- -- -------- -----------------301 meridi; segno di una urgenza di vita che non s'appaga di riposate ruminazioni sul passato, nè pone fittizi limiti di tempo alla speculazione critica. Altrimenti, nessun caso avrebbe potuto sembrare più suscettibile di quarantena, più sospetto di ibride contaminazioni attualistiche, di quello di Maccari; un caricaturista, per chi non sa o non vuole riconosccre in lui un artista, un senesaccio maligno, per chi, morso dal suo rovito cauterio strapaesano, vuole abbassarne il fiero temperamento satirico tutt'al più apparentato alla lontana al Gigli o al Sergardi, con l'immagine di un provincialotto inurbato e inurbano. E invece Longhi gli ha fatto una presentazione che scomoda e convoca dai recessi più lontani (compresi i cimiteri) i più titolati personaggi della commedia dell'arte contemporanca; e il bello si è, che questa gente, una volta adunata, non s'è sentita far dci complimenti, ma per lo più le ha prese secche, mentre Maccari n'è uscito con un diploma, che non so quanti sono, in questo momento, a non farci boccuccia. Come al solito, Longhi non si cita, o si cita per intero, ma è impossibile rifiutarsi il gusto di mettere fra virgolette certi passi che hanno forza immediata e aderenza quasi proverbiale, germinati da una mirabile conoscenza storica e condensati da una stringatissima visione critica. Quando ad esempio in quel panorama, tutto lancettate, dell'arte europea del primo Novecento, di cui accentua (e forse carica) il predominio « grafico l), giunge a caratterizzare con una sola frase Salvador Dali e Schwaiger, lo fa in modo che nessuno potrà più scordarsene: « .... lo Schwaiger che anticipa qualche parte di Dali, se anche non le più infette fra le sue favole interstiziali l), dove è tutto l'oscuro rime stio del surrealismo, condito di psicanalisi, e travasato in simboli d'un osceno libro dei sogni, che scaturisce da quelle due sole parole. Così anche il clima, da cui è sorto Maccari, è suscitato da Longhi con una serie di immagini, l'una più calzante dell'altra. Rifacendosi dalla evocazione del dopoguerra, anche in arte così pletorico, contrastante, travolgente, come « una fiumara)), e dopo avere accennato a un ordine che già in Italia, nel 1920, si stava raggiungendo nell'opera di Carrà e di Morandi, ordine che non fu compreso, in modo adeguato, e soprattutto continuativo, dalla critica, così continua: « Maccari se non erro, dopo quelle prime buone pesche nella fiumara, metteva a questi tempi gl'infissi alle casucce di Strapaese; è anzi in questo borgo, da lui fondato, che si cercan di solito, a colpo sicuro, le sue tracce plU antiche. E ammettiamo che l'etichetta, quando risponda per anni a un certo vino, conti per qualcosa. Ma ci fu poi un tipo unico nel vino di Strapaese? In quel mosto, fortemcnte tinto di regione, e della più faziosa fra tutte, ribollivano insieme troppi succhi divcrsi: i ricordi delle cicalate assonanti di marca papiniana; dei riboboli di Lacerba, passati nei giornali di trincea; l'autorità dcll'estetica da " cocomerai ", suggerita da Soffici nello scritto su Henri Rousseau .... Non ultimo ingrediente, e che fa più al caso nostro, i vecchi stamponi che illustravano le canzoni più sconsolate e luttuose tra i due secoli: la fidanzata di Tiburzi o il regicidio di Monza; o adornavano ancora gli almanacchi rurali di Sesto Cajo Baccelli, Chionio, Barbanera, Pescator di Chiaravalle. Ma che fossero poi tanto popolari? In quelle vignette per quanto sfibrate, strinate, stampate di grosso nel torchietto di sobborgo, non traluceva ancor tanto buon mestiere da suggerire una discendenza neppure lontana da originali più autorevoli, che di popolare non avevan più nulla, salvo la capacità e l'intento di diffusione vasta e immediata? C'era dietro, dunque, Maso Finiguerra, o il Novissimo Melzi illustrato? Dov'erano insomma gli originali? .... Cercarli bisogna fra quegli umili tagliatori di pero e di bosso che la · viltà dei tempi confinava nei sottoscala tipografici d.ei giornali illustrati, a bulinar disegni altrui sul fatto della settimana o, nel caso migliore, a tradurre l'ultimo dipinto, buono o cattivo, premiato alla Grande Esposizione Nazionale di·..... Sacchi, Galli, Canedi, Centenari per non citarne che taluni, i cui nomi occorre pietosamente decifrare, risparmiati in bianco e quasi di soppiatto, sul ceppo della quercia annosa di quinta o nelle commessure degl'impiantiti, come le firme intaccate col temperino sui banchi di scuola da scolari antichi, ormai impunibili; ecco i veri artisti italiani dell'Ottocento. Traduttori, riproduttori, quel che volete: rimane che disegni modesti, quadri scipiti assumono per virtù di costoro uno spicco, un contrasto che non si sognavano d'avere in originale. Da certe fritture, vi dico, dello sciagurato Dalbono o di Quintilio Michetti, vengono fuori cose che rassomigliano a un buon quadro l). Dove si vede con quale larghezza di interpretazione e · di coordinamento culturale Longhi si rivolga a ricostruire l'humus di un artista la cui caustica sincerità non è mai semplicità, grossolano intervento destinato a decadere, passato l'attimo polemico che lo sollecitava. E se ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte ------302--------------------------------------------- LE ARTI altri crede di potere accentuare, ai danni del paesanissimo, autoctono Selvaggio, il rapporto con Grosz, e Longhi decisamente lo limita, può farlo proprio per avere saputo non fermarsi a questa o a quella fogliuzza dell'orticante arboscello di Maccari, riandando le sottili propaggini di radici, nutrite piuttosto che di fosfati oltremontani, di graveolente concio nostrano. Dice infatti il Longhi: « So che a proposito dei disegni · a sola linea, senza staccare, s'è parlato e si parla di Grosz e s'intende che Maccari conoscerà Grosz, e chissà quanti altri, fin dal primo dopoguerra; ma s'è mai pensato che, posta l'identità del simbolo tecnico, nella fattispecie il mero contorno, è l'analoga capacità di potenziale che vi s'immette nei due casi a stabilir, già di per sè, somiglianza? Ecco perchè una rasojata di Grosz a fine "spartachiano" può somigliare a una frustata "fascistissima" di Maccari. ... Le strida annichillanti che si levano dai disegni del castratore Grosz non si risentono neppur di lontano nel comico schietto di Maccari dove se c'è uomini scadenti o comunque tarati, questi passano più presto in una mitologia ingenuamente animalesca, quasi esopiana, di pesci boccheggianti, di maialoni bracati, di cani in fregola ...... ». Di qui Longhi passa agevolmente ad un esame del lato più « figurativo» di Maccari: ma, quando si dice questo, non deve credersi che allora si voglia escludere tutta la parte, che è poi la più importante, dedicata alla satira, per limitarla ai disegni o alle acqueforti di quel che, comunemente, si direbbe genere serio. Non c'è bisogno di agitare i nomi di Goya o di Daumier per giustificare i linoleum o gli acquarelli caricaturali (ora esposti alla Quadriennale) su un piano che non sia soltanto quello polemico, pratico, del momento. Densità e sincerità di coscienza, non futilità o pettegolezzo, spregiudicatezza di un'astratta correzione formale e non dilettantismo, tirocinio umile ma infine fruttuoso, stanno a sostegno dell'improvviso sprazzo che si accende in questo colligiano che « va a spasso per la Via Sacra». Che Longhi abbia converso i suoi abbaglianti su di lui, si può esser sicuri che non ne scuoterà il savio buon senso, mentre fa onore all'attenzione avveduta d'una critica, che, nella nostra epoca motorizzata, brucia le tappe e non vuoI giungere al traguardo con l'usato secolo di comporto. C. B. MILANO VERDE. - Che il rapporto di urbanistica e architettura, tanto spesso costretto nei limiti di un compromesso che, soddisfando provvisoriamente alle occorrenze pratiche, autorizza le più gratuite divagazioni stilistiche, sia invece condizione inderogabile di ogni valida attività architettonica, è dimostrato dalla « proposta di piano regolatore per la zona Sempione-Fiera a Milano» ora presentata in Casabella da Albini, Cardella, Minoletti, Pagano, Palanti, Predeval, ~omano. N ella prefazione, Pagano osserva che « sorvolando una città che non sia la dissepolta Pompei o la modernissima Sabaudia, essa ci appare come una pustola malata ed informe, come la screpolatura di un eczema a confronto della ordinata discriminatura delle campagne coltivate». Le cause del male non sono misteriose: la comoda devozione all'antico dispensa dal riprendere da capo i problemi, s'indulge ancora all'ambizione delle prospettive scenografiche, il gusto del pubblico prevale sulle esigenze vitali dell'arte. Inoltre si parla troppo, e male a proposito, di tradizione. Come se l'amore della tradizione imponesse, per gelosia, l'ignoranza delle esigenze della vita contemporanea, dei dati positivi della nuova tecnica, l'attaccamento idolatrico e irriflessivo a una morfologia architettonica ereditaria. Si dimentica che timpani, frontoni e marcapiani si legittimarono un tempo con ragioni altrettanto precise che quelle per le quali ora si escludono: ma soprattutto, parlando di tradizione, non si tien conto che quelle forme tradizionali non erano fine a se stesse, anzi rappresentavano in una tipologia, non fissa e dogmatica, interessi figurativi, ricerche di massa, spazio e colore in tutto analoghe, come possibilità espressive, a quelle dell'architettura contemporanea. II fatto è che, parlando seriamente di tradizione, si finisce per parlare di storia: e questa, si sa, rcpugna agli apologisti ed ai retori. II progetto di Milano verde ignora la rettorica e la scenografia. I dati statistici ne dimostrano l'intima aderenza alla pratica: una pratica che non si accontenta di una facile viabilità, ma si estende a una considerazione generale della vita sociale ncl nostro tempo e porta anche i dati più umili sul piano morale e politico di una operosa convivenza umana. Soltanto il 20 % del terreno è costruito; un terzo dell'area totale è sistemata a giardino: l'altezza degli edifici a torre non realizza una speculazione economica, ma rappresenta uno sfruttamento massimo del capitale comune della luce e dell'aria. È il caso di parlare di arte, se gli stessi autori non dichiarano intendimenti artistici? Occorre parlarne, perchè in questo progetto l'arte ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte -- LE ARTI non è allo stato di possibilità o proposito, ma di esperienza. Indubbiamente l'urbanistica nuova, trasferendo la realizzazione artistica dal singolo edificio al complesso degli edifici e dando a ciascuno di essi funzione di elemento compositivo, tende a identificare nell'arte una condizione generale di vita: e attua senza rettorica un principio di « monumentalità » non dissimile da quello degli architetti e dei tcorici del Rinascimento. Ma occorre aggiungere che questo principio di monumentalità risiede nella qualità delle opere e non nell'applicazione di leggi estrinseche di simmetria o di equilibrio: la sola legge valida è, in urbanistica come in architettura, la coerenza interna e specifica dell'opera d'arte. Questa coerenza non esteriore e generica è 'riconoscibile, anche al primo esame, nel progetto di Milano verde. Si può dire che l'allineamento degli edifici a coltello, con la fronte maggiore normale all'asse delle strade principali, è un accorgimento pratico; che evita il disturbo del chiasso e della polvere e aumenta il respiro dei polmoni di verde tra casa e casa. Ma l'equivalenza spaziale ottenuta, da un lato, con alti edifici largamente intervallati, dall'altro, con edifici più bassi e ravvicinati; il continuo suggerimento di una profondità laterale articolata alla prospettiva della Via Trionfale per mezzo di una successione di quinte architettoniche, di accenti di solidità plastica; la sintesi di profondità prospettica e di grandi masse laterali atmosferiche e luminose sono già condizioni artistiche, inseparabili da un preciso e definito risultato figurativo. E chi potrebbe sostenere che la soluzione del traffico con una via e una piazza soprelevate risponda soltanto a un'opportunità pratica e non investa un problema artistico, e cioè uno sdoppiamento di cc piani di posa», che modifica le condizioni empiriche della veduta per determinare un nuovo principio di spazio? Ancora una volta, contro le difese superstiti del malcerto misticismo ruskiniano, dobbiamo constatare che l'architettura crea il paesaggio: un paesaggio non casuale e d'incontro, ma altrettanto eloquente e dimostrativo d'antica sapienza che quelle campagne coltivate e ordinate, cui i nuovi urbanisti, tanto spesso accusati di nordico astrattismo, vanno volentieri a ispirarsi. La piazza soprelevata - luogo di adunata, di vita sociale - non è, in ultima analisi, se non un'inattesa ma inconfutabile rinascita della funzione dell'antica basilica. Quell'idea di uno spazio tutto luce e colore può avere avuto stimoli d'ordine pratico, igienico: li ha avuti certamente, perchè la volontà 303 - - di adesione a una vita rinnovata è caratteristica degli architetti moderni e documenta la validità dei loro interessi umani. Ma la stessa ricerca di luminosità illimitata, il gusto di neutralizzare l'ombra portata nell'ombra colorata degli alberi, l'implicare la natura nella forma architettonica, escludendola come ambiente esterno e impartecipe, hanno un preciso significato figurativo: soltanto la luce piena e diretta può esaltare quel valore-limite di ogni accento formale, che metaforicamente si suoI spiegare con la meccanica del funzionalismo. cc Le ombre - ha scritto Wright - erano lo strumento dell'architetto antico. Lasciate ora che il moderno lavori con la luce, luce diffusa, luce riflessa, luce rifratta». È inutile, e impossibile, analizzare criticamente le ipotesi costruttive dei progettisti di Milano verde. Per la storia delle idee architettoniche del nostro tempo, basterà constatare la validità che a quel progetto deriva dalla stessa reciproca soluzione, fuori d'ogni umiliante compromesso, di problemi pratici e artistici: e prender nota dell'esempio di metodo, come di un diagramma che descrive la sicurezza e la chiarezza mentale dell'operare artistico degli architetti italiani d'oggi. G. C. A. LE ARTI IN ITALIA. -II volume di Alessandro Pavolini e di Gio. Ponti, Le arti in Italia, magnificamente stampato e illustrato a cura dell'Editoriale Domus, è un documentano della produzione artistica dello scorso anno: cc il raccolto di una stagione», che va dall'architettura alla pittura, alla scultura, alle arti cosiddette cc minori l), alle grandi mostre romane del Dopolavoro e del Tessile, ai concerti di fabbrica, agli spettacoli all'aperto, con l'intenzione di mettere in tutto il suo pieno valore lo cc stile italiano)) della nostra arte contemporanea, oggetto di lunghe polemiche sulla sua rispondenza, o meno, ai contenuti della vita attuale. L'esistenza di uno cc stile italiano)) risulta sufficientemente dal carattere unitario delle varie manifestazioni artistiche qui documentate: una prova di più - se ce ne fosse bisogno - che esse muovono tutte da un medesimo piano di fede. Ma il valore di questa mostra dell'arte odierna sarebbe risultato indubbiamente più alto, se alla rapida menzione o alla sfarzosa illustrazione delle opere si fossero aggiunti elementi cronistici, di notizie: un sommario ad esempio, delle opere principali compiute nell'anno dai nostri artisti migliori, e un cenno di bibliografia che suggerisse al lettore di do- ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte - - - 304 mani l'indice della reazione della critica a quelle opere. Tra le opere veramente belle illustrate in questo volume citiamo: due opere di Carrà, fra cui un particolare d'affresco nel Palazzo di Giustizia a Milano, quattro « paesi» rispettivamente del De Pisis, del Rosai, del Soffici e del Tosi, una Natura morta del Morandi, i Dioscuri del De Chirico (che non sono nemmeno una delle più felici composizioni di lui), un Ritratto di signora del Campi gli, solidamente costruito nella geometrica astrazione del busto, un Ritratto del Severini, due acqueforti del Bartolini; e poi: una testa del Messina, un bronzo del Romanclli, il Ritratto della moglie del Man- LE ARTI --zù, il Bacco dormiente del Marini e il Legionario ferito del Martini, che sono le più belle sculture della rassegna, l'ultima in ispecie, magistralmente composta su due cubi ideali: delle gambe e delle braccia saldate dalla benda. Troppo poco forse per una valorizzazione completa della nostra produzione artistica, anche di un anno soltanto; che invece avrebbe potuto avvantaggiarsi da una minore estensione della rassegna, da una più decisa definizione dei valori positivi e da una più esplicita indicazione critica del loro significato non cronachistico ma permanente nella storia dell'arte italiana. E. d. P.