UNIVERSITA TA' DEGLI STUDI DII PA PADOVA Dipa ipartimento di BIOLOGIA SCUOLA DI DOT OTTORATO DI RICERCA IN : Bioscienze B INDIRIZZO: Genet netica e Biologia Molecolare dell ello Sviluppo CICLO: XXI RUOLO DEI GENI NI prep NELLA FORMAZION IONE DELLO SCHELETR TRO FACCIALE DI Danio rerio re Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Tullio POZZAN Supervisore: Ch.mo Prof. rof. Francesco ARGENTON Dottorando: Enrico E VACCARI 31 gennaio 200 SOMMARIO In questo lavoro è stata analizzata la funzione nella formazione dello scheletro facciale dei geni prep1.1 e prep1.2 di Danio rerio. I geni prep codificano per omeoproteine facenti parte della famiglia Meinox una classe delle proteine TALE (Three Amino acid Loop Extension). Le proteine Meinox in associazione con le proteine della famiglia Pbx, oltre ad essere i principali partner delle proteine Hox, possiedono numerose altre funzioni. La presenza di due proteine prep1 in zebrafish, dovuta alla duplicazione del suo genoma, ha reso possibile lo studio delle loro funzioni embrionali in un modello meno affetto da pleiotropia vista la parziale ridondanza funzionale dei geni paraloghi. Attraverso metodiche genetiche, molecolari ed istochimiche si è riusciti a stabilire che i due geni controllano la formazione dello scheletro facciale in modi differenti. Mentre prep1.1 è necessario per il differenziamento delle cellule delle creste neurali craniali in condrociti, prep1.2 regola il differenziamento delle CCN in maniera cellulo indipendente attraverso il controllo della segmentazione dell’endoderma faringeo. Usando il gene reporter della luciferasi e qRT-PCR abbiamo dimostrato che i livelli trascrizionali di prep1.2 sono regolati positivamente dall’AR attraverso una regione 3’RARE (Retinoic Acid Responsive Element) presente all’interno del suo primo introne. Abbiamo inoltre evidenziato la capacità di Prep1.2 di controllare la sintesi dell’AR attraverso il controllo dell’espressione dell’enzima responsabile della sua sintesi entrando così a far parte di un loop auto regolativo. I risultati ottenuti oltre ad essere la prima dimostrazione in vivo dell’interazione tra geni Meinox ed AR dimostrano una forte specializzazione funzionale dei geni prep di zebrafish durante lo sviluppo dello scheletro cranio facciale. ABSTRACT The aim of the present work was the determination of the role of prep1.1 and prep 1.2 genes in the craniofacial skeleton development of Danio rerio. Prep genes encode homeoproteins belonging to the family of Meinox, a subclass of TALE proteins (Three Amino acid Loop Extension). Meinox proteins associate with members of the Pbx protein family to constitute the major partner of Hox proteins: in turn, the trimeric complex Meinox-Pbx –Hox binds to specific target genes. Due to the teleost genome duplication, zebrafish has two prep1 proteins. Indeed, considering the partial redundant function of paralogue genes, zebrafish constitute a good model to study genes with embryological pleiotropic effect. Thanks to a combined genetic, molecular and hystochemical approach we elucidated a different role of prep1.1 and prep1.2 in ruling the constitution of the craniofacial skeleton. As prep1.1 is fundamental to the differentiation of the neural crest cells (NCC) in chondrocytes, prep1.2 regulates the differentiation of the NCC in a non cell-autonomous way through the control of the pharyngeal endoderm segmentation. Employing the luciferase reporter gene and qRT-PCR we were able to highlight in vivo that prep1.2 transcription is positively regulated by RA (Retinoic Acid) by means of a 3’ -RARE (RA- Responsive Element) located in the first intron. Furthermore we stressed the ability of Prep1.2 to control the RA synthesis , directly regulating the expression of the enzyme responsible of its own production and establishing an autoregulative loop. Our results demonstrate the in vivo interaction among Meinox genes and RA. Moreover we have been able to provide clear evidence of the functional specialization of development. prep1 genes in zebrafish craniofacial INDICE INTRODUZIONE 1 1 Aspetti generali 3 2 Effetti dell’acido retinoico sullo sviluppo embrionale 5 3 Le omeoproteine 7 4 I geni Hox 8 5 Le omeoproteine TALE 11 6 I geni prep 14 6.1 Prep1.1 15 6.2 Prep1.2 18 7 Il “morpholino” 21 ABBREVIAZIONI 23 MATERIALI E METODI 25 1 Soluzioni utilizzate 25 2 Organismo modello 26 2.1 Linee utilizzate 27 2.2 Mantenimento e riproduzione 28 3 Microiniezione 29 3.1 Raccolta e microiniezione delle uova 30 3.2 Preparazione delle soluzioni da microiniettare 32 4 Trapianti cellulari e analisi di mosaici 33 5 Tecniche di biologia molecolare 36 5.1 Estrazione degli acidi nucleici 36 5.2 Reazione a catena della polimerasi (PCR) 37 5.3 PCR per introduzione di mutazioni sito-specifiche 37 5.4 RT-PCR 41 5.5 RACE 41 5.6 Elettroforesi in gel di agarosio 42 5.7 Purificazione degli acidi nucleici 43 5.8 Quantificazione degli acidi nucleici 43 5.9 Clonaggio in vettori d’espressione 44 5.10 Sequenziamento 47 5.11 Sintesi di RNA in vitro 48 5.12 Trattamento degli embrioni con Acido Retinoico (AR) e DEAB 49 5.13 Saggio di espressione della Luciferasi 50 5.14 qRT-PCR 51 6. Colorazioni istochimiche 52 6.1 Ibridazione in situ 52 6.2 Colorazione delle cartilagini con Blu di Alcian 56 6.3 Immunoistochimica 57 6.4 Acquisizione delle immagini 58 7 Tabelle 59 RISULTATI 61 1 Ruolo dei geni prep nei processi che portano alla formazione dello scheletro faringeo 61 2 Prep1.1 controlla attraverso fli1 la condrogenesi degli archi branchiali 64 3. Induzione e specificazione delle creste neurali nei morfanti di prep1.2 66 4 Il mancato differenziamento delle CCN può dipendere da un difetto della segmentazione faringea 69 5 Prep1.2 regola l’espressione di geni fondamentali per lo sviluppo dello scheletro faringeo posteriore 71 6. 6 Prep1.2 è necessario nel mesendoderma per la corretta segmentazione dell’endoderma faringeo 72 7 Regolazione di prep1.2 da parte dell’acido retinoico (AR) 74 8 Identificazione del sito di legame per i recettori dell’AR nella sequenza genomica di prep1.2 75 9 Analisi dell’attività in vivo della 3’RARE di prep1.2 78 10 Ruolo dell’AR nella faringeo segmentazione dell’endoderma 80 11 Prep1.2 regola aldh1a2 negli archi branchiali e nelle pinne pettorali 83 DISCUSSIONE 87 BIBLIOGRAFIA 95 INTRODUZIONE 1 Aspetti generali Durante il cammino evolutivo degli animali la segmentazione si è mantenuta come uno degli eventi principali nella determinazione della forma, della polarità e della funzione delle diverse parti del corpo, ed è regolata nel tempo da meccanismi generati dall’interazione di svariati fattori di trascrizione. La differente combinazione dell’espressione di tali geni nei vari segmenti lungo l’asse antero-posteriore (A/P) ha un ruolo fondamentale in questo processo. I vertebrati possiedono uno schema corporeo segmentale che appare evidente soprattutto nel tronco e nella coda, dove fin dalle prime fasi dello sviluppo, il mesoderma dorsale si suddivide nei somiti, precursori metamerici di vertebre e muscoli. Tuttavia, durante lo sviluppo embrionale precoce, anche la testa, apparentemente priva di segmentazione, evidenzia una metameria che interessa strutture derivanti da tutti e tre i foglietti embrionali. Il cervello, che si origina dalla parte anteriore del tubo neurale, ad un certo punto dello sviluppo embrionale, si suddivide lungo l’asse antero-posteriore in tre regioni distinte, caratterizzate ognuna da una precisa identità anatomofunzionale: prosencefalo, mesencefalo e romboencefalo. Uno degli esempi più studiati per capire come si generano e si susseguono nel tempo gli eventi alla base della segmentazione nei vertebrati è proprio il romboencefalo, la regione posteriore del cervello embrionale, che darà luogo nell’adulto al bulbo e al midollo allungato. A partire da una fase ben precisa dello sviluppo precoce, infatti, si può osservare che il romboencefalo dei vertebrati è suddiviso in regioni distinte morfologicamente chiamate rombomeri. Un altro esempio è rappresentato dalle radici ventrali dei nervi spinali: queste accolgono le fibre motrici somatiche ed innervano a loro volta i muscoli somatici i quali si sviluppano dai miotomi dei somiti, che sono strutture metameriche. Nel capo, come nel tronco e nella coda, le fibre motrici somatiche sono connesse con i miotomi, inoltre tre piccoli somiti preotici danno origine ai muscoli estrinseci dell’ occhio e ciascuno ha il proprio nervo, rispettivamente il III, il IV ed il VI. I somiti posteriori 1 Introduzione del capo formano i muscoli ipobranchiali nei pesci e la muscolatura della lingua nei tetrapodi e sono innervati dai nervi spino-occipitali e nei tetrapodi dall’ ipoglosso (XII), loro omologo; tutti questi sono costituiti esclusivamente da fibre somato-motorie. La disposizione segmentale viene così mantenuta. Lo sviluppo dell’orecchio interno pone tuttavia un problema: questo, infatti, occupa lo spazio che di norma dovrebbe contenere alcuni dei somiti anteriori, e perciò la sequenza dei somiti viene interrotta. I nervi formati dalle radici dorsali, o branchiali, costituiscono una serie che però non è connessa ai miotomi o ad altre strutture somitiche, ma a elementi viscerali, sia scheletrici che muscolari, associati alle branchie. Perciò il trigemino (V) è il nervo dell’ arco mandibolare, il facciale (VII) dello ioideo, il glossofaringeo (IX) innerva il primo arco branchiale, mentre gli altri quattro archi branchiali sono innervati ciascuno da una branca del nervo vago (X). Si può quindi ipotizzare che ci sia un unico schema corporeo al quale obbediscono miotomi, nervi cranici, archi viscerali e tasche branchiali. In questo contesto si inserisce una classe di cellule che, durante le varie fasi dello sviluppo, ha la capacità di migrare e di dare origine a strutture differenti: le cellule delle creste neurali. Si tratta di cellule pluripotenti che, esclusivamente nella testa, danno origine a tessuti quali cartilagini e ossa, che altrove derivano dal mesoderma. Si può addirittura affermare che la “faccia” è in gran parte il risultato finale del differenziamento delle cellule delle creste neurali cefaliche. In particolare, la mandibola, i denti, le cartilagini della faccia e alcune cartilagini del cranio dipendono dalla localizzazione e dal successivo differenziamento di queste. Negli embrioni di vertebrato le creste neurali della testa si originano a livello del mesencefalo e del romboencefalo in via di formazione e da qui migrano attraverso tre vie principali. (Fig. 1). Nella prima di queste vie le cellule, che derivano dal mesencefalo e dai primi due rombomeri, migrano all’ arco mandibolare e originano anche il ganglio del trigemino. Nella seconda via le cellule, che derivano dal quarto rombomero, migrano nell’ arco ioideo e oltre alle cartilagini di questo arco generano i gangli del facciale (VII) e dello stato-acustico (VIII). Nella terza via le cellule delle creste neurali, che derivano dal sesto rombomero, migrano negli archi branchiali dove danno origine alle cartilagini branchiali, ad alcune ghiandole (timo, 2 Introduzione tiroide e paratiroide) e ai gangli del glossofaringeo e del vago. La maggior parte delle cellule delle creste neurali che si originano dai rombomeri 3 e 5 va incontro a morte per apoptosi, mentre le cellule rimanenti si uniscono al gruppo di cellule migranti più vicino. Come si può osservare in Fig. 1, questo processo avviene in maniera pressoché identica anche nei pesci, come negli altri vertebrati. Nei mammiferi gli archi viscerali permangono e le creste neurali ad essi associate danno luogo agli ossicini dell’ orecchio medio (martello, incudine e staffa), allo ioide e alle cartilagini della laringe. Fig. 1: Rappresentazione schematica della relazione esistente fra segmentazione del romboencefalo, migrazione delle creste neurali ed elementi scheletrici degli archi faringei (basata su studi eseguiti nei pesci). Le creste neurali craniali si originano dal mesencefalo e dai rombomeri e, successivamente, migrano negli archi faringei formando tre gruppi distinti di cellule. Il colore delle componenti scheletriche si riferisce alle creste neurali (A) che le hanno generate. r1-r8: rombomeri 1-8; p1-p7: archi faringei 1-7 (modificata da Piotrowski e Nüsslein-Volhard, 2000). Una caratteristica conservata negli embrioni di tutti i vertebrati è la presenza di una serie di convessità nella superficie laterale della testa di origine endodermica: le tasche faringee; è dentro queste strutture che i nervi, i muscoli e i componenti dello scheletro si sviluppano. In questi modo le tasche faringee vanno a separare le cellule delle creste neurali e le cellule mesodermali degli archi definendone i limiti anteriore e posteriore (Fig. 2). Le tasche faringee mostrano una chiara regionalizzazione e sono altamente ordinate (Veitch et al., 1999). Le tasche sono strutture polarizzate. Per esempio, mentre la metà rostrale di ogni tasca esprime 3 Introduzione Bmp-7, la metà caudale le esprime FGF-8 e la zona dorsale di ogni ogn tasca è marcata dall’espressio sione di Pax-1. Mentre in un primo o momento m alcuni studi avevano su suggerito che il patterning degli archi dipendesse dip dalle cellule delle crest este neurali e quindi dalla regionalizzaz zazione del Fig. 2: rappresentazione ne schematica della migrazione dei tre gruppi di cellule lule delle creste neurali craniali all’interno all delle tasche faringee. romboencefalo da qui ui queste derivano (Noden, 1983; Ko Kontges e Lumsden, 1996) appare re ora evidente che la formazione delle tasche ta e la regionalizzazione dell ell’endoderma faringeo sia un fenomeno f indipendente (Veitch h et al., 1999). Infatti è stato stabi abilito che l’endoderma faringeo ssi può formare in assenza di creste te neurali. Numerosi studi hanno inoltre in mostrato che la formazione delle lle tasche è centrale per lo sviluppo po degli archi faringei. Nel mutante di zebrafish z van gogh (vgo) anche e se s la segmentazione del romboencefalo alo avviene correttamente l’endode oderma faringeo non forma le tasch sche e il mesoderma circostante te non è correttamente specificato. Le L cellule delle creste neurali cran raniali almeno inizialmente segreganoo e iniziano quindi a migrare form rmando tre flussi distinti che però si fondono quando raggiungono la zona z degli archi. La mancata colonizza zazione dei differenti archi faringe gei dipende dalla mancata segmentazio zione delle tasche faringee. Questi sti dati supportano l’ipotesi che la segme mentazione dell’endoderma avvenga ga senza l’intervento di segnali provenie nienti dalle creste neurali e che l’interazione tissutale tra quest este e il mesendoderma sia indis dispensabile per la specificazione e la formazione for delle cartilagini faringee gee (Piotrowski e Nusslein-Volhard, 2000 000). Anche nei mutanti di zebrafish fish bonnie and clyde (bon) e casanova (cas), nei 4 Introduzione quali l’endoderma non si forma, viene a mancare la formazione delle cartilagini faringee (Kikuchi et al., 2000; Alexander et al., 1999): è stato dimostrato che l’endoderma faringeo in zebrafish è indispensabile per la specificazione e la determinazione dell’identità delle cellule delle creste neurali condrogeniche e per il loro differenziamento in archi cartilaginei. In questo processo risulta fondamentale l’azione di fgf3 e fgf8 prodotti proprio da cellule dell’endoderma faringeo (David et al., 2002; Walshe e Mason, 2003). Interessante è notare che, mentre le presenza dell’endoderma e di queste due molecole sono richiesti per la formazione dell’intero scheletro faringeo, la perdita della funzione del solo fgf3 porta alla scomparsa degli archi branchiali ma non quella degli archi mandibolare e ioideo. Quindi, sembrerebbe che le cellule delle creste neurali abbiano un ruolo importante nella formazione degli archi poiché da esse si originano lo scheletro e i tessuti connettivi, mentre l’endoderma faringeo ha un ruolo decisivo nel determinare la specificazione di ciascun di essi. Le cellule delle creste neurali, comunque, non hanno un ruolo completamente passivo in questo processo dal momento che la risposta di differenti popolazioni di creste neurali all’endoderma è dipendente da fattori di trascrizione che esse esprimono. Lo sviluppo dello scheletro della testa e delle strutture ad esso associate rappresenta quindi un interessante modello per decifrare le basi cellulari e molecolari dell’interazione tra tessuti di origine differente nell’organogenesi. 2 Effetti dell’acido retinoico sullo sviluppo embrionale L’acido retinoico è una piccola molecola idrofoba, derivata dalla vitamina A, che gioca un ruolo di segnale locale importante nello sviluppo dei vertebrati. Come gli ormoni steroidei e tiroideo esso diffonde attraverso la membrana cellulare senza bisogno di particolari meccanismi, legandosi poi a recettori intracellulari; il complesso formato dall’acido retinoico e dal recettore funziona quindi come fattore di trascrizione. 5 Introduzione Molti studi hanno dimostrato che durante lo sviluppo embrionale dei vertebrati l’acido retinoico (AR) è un fattore importantissimo nei processi differenziativi e nell’ organogenesi, grazie alla sua capacità di regolare nei tessuti bersaglio l’ espressione di determinate categorie di geni, fra i quali i geni hox. In particolare è stato dimostrato come l’ AR rappresenti, anche in zebrafish, già in una fase precedente all’ inizio della somitogenesi, un segnale importante nella regolazione dello sviluppo del romboencefalo, degli archi branchiali e delle estremità delle appendici. Embrioni di stadi precoci, trattati con AR, si sviluppano con gravi malformazioni cranio-facciali, in particolare al romboencefalo e agli archi branchiali. Inoltre, recenti studi hanno suggerito che i retinoidi giocano un ruolo importante nel pattern dell’endoderma faringeo. La prima evidenza di questo viene da studi effettuati in topo, nei quali l’enzima che sintetizza l’acido retinoico, la retinaldeide deidrogenasi di tipo2 (Raldh2), è stata inattivata (Niederreither et al., 1999). In questi animali solo il primo arco faringeo è evidente mentre gli archi caudali sono assenti. Esistono studi che mostrano come anche in zebrafish la presenza di AR sia indispensabile per il corretto sviluppo dell’endoderma faringeo; è stato in particolare dimostrato che l’AR non è necessario per la specificazione dell’endoderma che darà origine alle tasche faringee quanto piuttosto nei processi di morfogenesi e segmentazione dell’endoderma faringeo posteriore (tasche 3-6) (Kopinke et al., 2006). La sintesi di AR a partire dalla vitamina A (retinolo) prevede due reazioni ossidative consecutive. La prima, che porta alla formazione del retinale, richiede la classe IV di retinolo deidrogenasi (Ang et al., 1996); la seconda, che porta alla sintesi dell’ AR attraverso l’ossidazione del retinale, richiede negli embrioni dei vertebrati tre retinaldeide deidrogenasi, Raldh1, Raldh2 e Raldh3 (McCaffery et al., 1993; March-Armstrong et al., 1994; Luan et al., 1999; Haselbeck et al., 1999; Grün et al., 2000; Mic et al., 2000; Suzuki et al., 2000). Dopo la sua sintesi a partire dalla vitamina A, l’ AR può legarsi a particolari recettori nucleari, i recettori RAR α, β e γ, che dimerizzando con i corecettori RXR α, β e γ sono in grado di modulare l’ espressione genica nelle cellule dei tessuti bersaglio (Chambon, P., 1996) attraverso il legame a specifiche sequenze di DNA, dette RAREs (retinoic acid 6 Introduzione responsive elements), poste nelle regioni regolatrici di alcuni geni (Leid et al., 1992; Mangelsdorf and Evans, 1995). Elementi RAREs sono stati trovati nei promotori di diversi geni: in quelli degli RAR umani (De The et al., 1990), nei promotori di cyp26 (Loudig et al., 2000), di diversi geni hox e HFN (Dupe et al., 1997; Qian et al., 2000), nei promotori di CRBPI e CRABPII (Smith et al., 1991; Durand et al., 1992) e CRBPII (Mangelsdorf et al., 1991). Fig 3.: (A). Gli elementi responsivi all’acido retinoico sono dei motivi di sequenza 5’-PuG(G/T)TCA ripetuti due volte e separati da 1 (DR1), 2 (DR2) o 5 (DR5) paia di basi. (B – C) Gli etero dimeri RXR/RAR si legano al DNA con polarità inversa a seconda che su questo siano presenti elementi RARE del tipo DR2 e DR5 oppure DR1. Alle sequenze del tipo DR1 è noto si possano legare omodimeri RXR/RXR (Modificato da Bastien and Rochette-Egly, 2003). 3 Le omeoproteine Alla base dei processi di suddivisione metamerica e di differenziamento che avvengono durante lo sviluppo embrionale di un organismo si trovano svariati geni, la cui espressione specifica è finemente regolata da meccanismi molecolari generati dall’interazione tra diversi fattori di trascrizione. Attraverso varie combinazioni della loro espressione nei singoli segmenti del corpo giocano un ruolo fondamentale in questi processi i geni hox (Krumlauf, 1994; Moens e Prince, 2002). Tali geni appartengono ad una super-famiglia genica che comprende un ampio gruppo di fattori di trascrizione caratterizzati dalla presenza di una regione di legame al DNA, lunga circa 60 7 Introduzione aminoacidi e altamente conservato dal lievito all’uomo, chiamata omeodominio (HD). L’omeodominio è codificato da una sequenza di DNA di 180 pb conosciuta come “homeobox” (individuato per la prima volta nel 1984 all’interno dei geni omeotici Antp e Ubx di D. melanogaster). Attraverso questa regione, la proteina è in grado di legarsi a specifiche sequenze di DNA, regolando l’espressione genica. A livello molecolare, l’omeodominio possiede una struttura secondaria definita da tre α-eliche. Due di esse generano una conformazione a “elica-giro-elica” (“helix-turn-elix”), caratteristica di quei fattori trascrizionali che si legano al solco maggiore del DNA. La terza αelica, invece, è la regione di amminoacidi in grado di riconoscere e legare in maniera specifica le basi puriniche e pirimidiniche. Grazie all’omeodominio le proteine sono in grado di legarsi al DNA e regolare l’espressione dei geni bersaglio. In questo modo vengono attivate precise batterie di geni che specificano le proprietà di ogni segmento del corpo. Questi fattori di trascrizione sono fondamentali per il corretto sviluppo dell’asse A/P sia nei vertebrati che negli invertebrati. Nei vertebrati i geni Hox specificano, ad esempio, la precisa identità dei rombomeri, i diversi segmenti del romboencefalo (Krumlauf, 1994; Lumsden e Krumlauf, 1996; Moens e Prince, 2002; Prince et al., 1998). L’inattivazione di geni Hox espressi dalle creste neurali della testa dà luogo alla perdita di identità della regione di interesse che acquisisce le caratteristiche morfologiche di quelle vicine, e anche da trapianti di cellule delle creste neurali dalla loro sede di origine in un contesto cellulare, si dimostra che esse hanno già un’identità definita e determinano la morfologia della struttura a cui appartengono. 4 I geni Hox Nei vertebrati, il gruppo più conosciuto e studiato di omeoproteine viene codificato dai geni Hox, espressi nel romboencefalo ed in regioni posteriori, in modo da guidare lo sviluppo del corpo lungo l’asse A/P, attraverso un’espressione combinata ma selettiva per ciascun segmento (Krumlauf 1994; Moens and Prince 2002). Questi geni sono gli omologhi di quelli che costituiscono, in D. melanogaster, il complesso omeotico (HOM-C) (Lewis, 1978) che comprende due gruppi di geni (i primi homeobox ad essere stati scoperti) sul cromosoma 3, definiti come 8 Introduzione Antennapedia e Bithorax, i quali possono essere però considerati un’unica unità funzionale. La mutazione di uno di questi geni provoca la trasformazione di strutture appartenenti ad un segmento corporeo in quelle appartenenti ad un altro (omeosi): ad esempio si sviluppa un’antenna al posto di una zampa. La funzione dei geni omeotici di D. melanogaster rispecchia quella svolta dai geni Hox dei vertebrati. Diversi esperimenti hanno infatti dimostrato come nei vertebrati la perdita di funzione di uno o più geni Hox, causi la scomparsa dell’identità di determinati segmenti lungo l’asse A/P del corpo (Rijli et al., 1993; Gendron-Maguire, 1993; Horan et al., 1995; Studer, 1996). Contrariamente al moscerino della frutta, i vertebrati possiedono più gruppi di geni omeotici disposti ognuno su un cromosoma differente, probabilmente originatisi nel corso dell’evoluzione mediante un meccanismo di duplicazione e divergenza. Nei tetrapodi, ad esempio, esistono quattro “clusters” di geni Hox (Hox a-d), come nel topo, nell’uomo e nel pollo (McGinnis e Krumlauf, 1992). Danio rerio ed altri teleostei possiedono, invece, sette gruppi di geni hox (Prince et al., 1998; Amores et al., 1998) e ciò suggerisce un’ulteriore evento di duplicazione genica nella linea evolutiva degli organismi appartenenti a quest’ordine. Una particolarità interessante dei geni del complesso HOM-C di Drosophila melanogaster è che sono disposti sul cromosoma nello stesso ordine con cui vengono espressi lungo tutto l’asse A/P del corpo durante lo sviluppo embrionale (colinearità): ad esempio il gene più spostato verso l’estremità 3’ è quello espresso più anteriormente nell’embrione e mano a mano che ci si avvicina al 5’ l’espressione genica si fa più caudale (Gaunt et al., 1988; Graham et al., 1989; Peterson et al., 1994; Duboule e Dolle, 1989; Dekker et al., 1992; Godsave et al., 1994). Negli embrioni di vertebrato, però, l’espressione di questi geni non è distribuita uniformemente lungol’asse A/P, come avviene in D. melanogaster: esistono infatti regioni che richiedono una suddivisione più fine e di conseguenza la presenza di più geni hox contemporaneamente. Questo è evidente soprattutto a livello del romboencefalo, suddiviso lungo l’asse rostro-caudale in una serie di segmenti definiti rombomeri che giocano un ruolo importante nell’organizzazione e nella funzione della testa dei vertebrati (Guthrie, 1996; Lumsden e Krumlauf, 1996). I rombomeri rappresentano zone di sviluppo separate ognuna con un differente destino differenziativo e danno origine, ad esempio, a diversi nervi cranici. I confini morfologici 9 Introduzione tra i rombomeri corrispondono chiaramente ai limiti dell’espressione di differenti geni Hox che specificano, in questo modo, l’identità dei vari segmenti del romboencefalo. Diversi studi hanno infatti dimostrato che alterazioni nell’espressione di geni Hox sono correlate con cambiamenti nell’identità dei rombomeri. L’espressione ectopica del gene hoxa1 in D. rerio, ad esempio, causa una omeosi per cui il rombomero 2 (r2) assume l’identità del rombomero 4 (r4) (Alexandre et al., 1996). I geni Hox, d’altronde, non hanno solo la funzione di specificare l’identità dei vari segmenti romboencefalici. Sembra infatti che alcuni di essi giochino un ruolo importante proprio nello sviluppo della metameria. Infatti, due mutazioni nel gene hoxa1 causano entrambe una severa alterazione della segmentazione tra il quarto ed il settimo rombomero (Carpenter et al., 1993; Mark et al., 1993; Wright, 1993). Altri geni importanti nello sviluppo dei diversi segmenti sono krox20 e kreisler. Il primo, espresso nei rombomeri r3 ed r5, codifica per un fattore trascrizionale zinc-finger (Wilkinson et al., 1989) e regola direttamente la trascrizione di hoxa2 e hox-2. Una mutazione di krox20 causa la perdita dei rombomeri r3 ed r5. Il gene kreisler, invece, codifica per un fattore di trascrizione bZIP (Cordes e Barsh, 1994) ed una sua mutazione causa nel topo la mancata segmentazione del tubo neurale a partire dal confine tra i rombomeri r3 ed r4 (Frohman et al., 1993; McKay et al., 1994). Da tutto questo risulta evidente che per specificare le distinte identità dei vari segmenti, le proteine codificate dai geni Hox devono essere in grado di riconoscere sottili differenze nelle sequenza di regolazione genica sul DNA. In esperimenti in vitro le proteine Hox mostrano in effetti la capacità di legare in modo specifico il DNA ma diversi esperimenti hanno dimostrato che in vivo questi fattori trascrizionali possiedono piuttosto un bersaglio aspecifico dovuto all’elevato grado di conservazione all’interno dell’omeodominio (Beachy et al., 1988; Desplan et al., 1988; Hoey e Levine, 1988; Catron et al., 1993; Ekker et al., 1991). Questo apparente paradosso viene spiegato con l’esistenza di altre proteine “partner” che, cooperando con i fattori omeotici a livello nucleare, consentono di raggiungere un elevato grado di selettività di legame al DNA (Popperl, Bienz et al. 1995; Chan and Mann 1996). Questo ha stimolato la ricerca di eventuali co-fattori trascrizionali in grado di legarsi alle proteine Hox e di aumentare così la selettività di legame a determinati promotori 10 Introduzione genici. Questi co-fattori trascrizionali, identificati e studiati negli ultimi anni, fanno parte della super-classe di proteine TALE (“three amino acid loop extension”), i cui elementi codificano per un omeodominio caratteristico, differente da quello delle tipiche omeoproteine (Beachy et al., 1988; Bürglin, 1997; Catron et al., 1993; Desplan et al., 1988; Ekker et al., 1991; Hoey e Levine, 1988;). I geni prep1.1 e prep1.2, oggetto di studio di questa tesi, appartengono a quest’ultima super-classe di omeogeni. 5 Le omeoproteine TALE Il gruppo di fattori trascrizionali codificati dai geni omeotici (“homeobox gene”) sono noti fin dal 1984. In anni più recenti sono state identificate altre omeoproteine caratterizzate da un omeodominio, che si distingue da quello tipicamente costituito da 60 amminoacidi, per avere un numero maggiore o minore di residui nella sua struttura primaria (Bürglin, 1994). L’attenzione si è rivolta in particolare su un gruppo di omeoproteine atipiche, caratterizzato dalla presenza di tre residui amminoacidici soprannumerari disposti tra la prima e la seconda elica. Questa superclasse di fattori trascrizionali è stata perciò definita TALE (“three amino acid loop extension”) (Bertolino et al., 1995). In Drosophila melanogaster, il prodotto del gene extradenticle (exd) è stato identificato come “partner” delle proteine Hox (Rauskolb et al., 1993) in grado di dirigere differenti fattori omeotici verso specifici bersagli genici (Chan et al., 1994). L’omologo di exd nei vertebrati è stato identificato nei membri della sotto-famiglia di geni pbx (Kamps et al., 1990; Monica et al., 1991; Nourse et al., 1990; Vlachakis et al., 2000). Questi geni cooperano con gli Hox durante lo sviluppo embrionale dei vertebrati formando un complesso proteico attraverso l’interazione di specifici domini molecolari (Fig. 4) (Chan et al., 1994; Pöpperl et al., 1995; Rauskolb e Wieschaus, 1994; Mann, 1995; Chan et al., 1996; Knoepfler e Kamps, 1995; Lu e Kamps, 1996; Lu et al., 1995; Peltenburg e Murre, 1996; Phelan et al., 1995; Van Dijk e Murre, 1994; Van Dijk et al., 1995). 11 Introduzione Sono state identificate sequenze di DNA in grado di legare con alta affinità dimeri costituiti dalle proteine Pbx/Hox, i quali attivano specifici promotori genici che contengono un determinato sito di legame per il complesso (Di Rocco et al., 1997; Maconochie et al., 1997). La ricerca ha dimostrato che alcuni membri della famiglia di omeoproteine PBC (che comprende i prodotti dei geni pbx nei vertebrati, exd in D. melanogaster e ceh-20 in C. elegans), appartenenti alla super-classe TALE, giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo embrionale, cooperando con i prodotti dei geni hox nello specificare l’identità dei vari segmenti del corpo (Bürglin, 1997; Di Rocco et al., 1997; Maconochie et al., 1997; Mann e Chan, 1996). Analisi genetiche condotte in D. melanogaster, ad esempio, hanno dimostrato che, per una corretta funzione, i diversi prodotti dei geni del complesso HOM-C richiedono l’interazione con il co-fattore exd (Peifer e Wieschaus, 1990; Rauskolb et al., 1993). Mutanti che mancano di exd, infatti, sviluppano omeosi riconducibili alla perdita di funzione di diversi geni “homeobox” (Peifer e Wieschaus, 1990; Rieckhof et al., 1997). I geni della famiglia PBC hanno quindi un ruolo importante per la corretta espressione dei geni hox e, quindi, per il corretto sviluppo dei segmenti nell’encefalo posteriore.Più recentemente è stata identificata, però, un’altra omeoproteina TALE del moscerino della frutta definita Homothorax (Hth). Quest’ultima, legandosi direttamente a Exd e costituendo un trimero con uno dei fattori omeotici, partecipa alla regolazione dei vari prodotti del complesso HOM-C (Ryoo et al., 1999). Mutazioni in hth, infatti, richiamano i fenotipi prodotti dalla perdita di funzione di più geni omeotici (Kurant et al., 1998; Kurant et al., 2001; Rieckhof et al., 1997). Gli omologhi di exd nei vertebrati sono i membri della famiglia genica pbx (pbx1, pbx2, pbx3, pbx4). Quelli di hth sono invece i membri di una famiglia genica denominata MEINOX (Fognani et al., 2002). Questa famiglia include i geni meis e prep. Attualmente nei mammiferi sono noti 3 geni meis e 2 geni prep, mentre in zebrafish sono stati identificati 4 geni meis (meis1.1, meis2.2, meis3.1 meis4.1) e 3 geni prep (prep1.1, prep1.2, prep2). Potenzialmente ogni fattore Meinox è in grado di legarsi direttamente alle proteine Pbx, attraverso due domini di interazione posti nella parte N-terminale di entrambe le molecole, e l’interazione implica la localizzazione nucleare del complesso eterodimerico che si forma (Fig. 4). 12 Introduzione È stato dimostrato, inoltre, che le proteine Meis risultano essenziali per stabilizzare la funzione di Pbx e regolare lo sviluppo del romboencefalo in D. rerio (Chang et al., 1997; Choe et al., 2002; Waskiewicz et al., 2001). Le proteine Meinox non hanno un segnale di localizzazione nucleare (NLS), mentre le proteine Pbx hanno sia un NLS (nell’ omeodominio) che un dominio di esporto nucleare, e quindi possono liberamente passare dal nucleo al citoplasma e viceversa (AbuShaar et al., 1999; Berthelsen et al., 1998a e b, 1999): la formazione dell’ eterodimero comporta il mascheramento del segnale di esporto nucleare della proteina Pbx ma lascia libero il NLS. Come risultato si ha che il complesso proteico può traslocare nel nucleo ma non può più uscirne. E’ noto che le proteine Pbx, attraverso un dominio di 20 amminoacidi posto all’ estremità C-terminale e denominato GKFQ, si legano direttamente alle proteine Hox (Fig 4), e questo può avvenire solo in presenza di DNA. Quindi, solo una volta che il dimero Meinox- Fig. 4. Rappresentazione grafica dell’ipotetico meccanismo di interazione tra le proteine Meinox, Pbx e Hox. (A) Le proteine Meinox e Pbx interagiscono attraverso precise regioni all’estremità ammino-terminale di entrambe le proteine (HR1-2 delle proteine Meinox e PBCA dell proteine Pbx). Pbx invece si lega al dominio YPWM dei fattori Hox attraverso una regione di 20 amminoacidi definita GKFQ posta all’estremità carbossi-terminale. (B) Le proteine Meinox non sono in grado di entrare nel nucleo se non dopo l’interazione con le proteine Pbx, mentre le proteine Hox e Pbx possono farlo in modo indipendente. Il dimero Meinox-Pbx non è in grado di attivare la trascrizione, al contrario il dimero Pbx-Hox stimola una debole attività trascrizionale, fortemente aumentata dalla presenza del co-fattore Meinox. 13 Introduzione Pbx si trova nel nucleo può interagire con una proteina Hox, stabilizzandola ed aumentandone l’ affinità per il DNA: il dimero infatti è in grado di riconoscere all’ interno della regione regolatrice di un gene bersaglio tratti di 16 paia di basi (Ferretti et al., 2000; Jacobs et al., 1999; Ryoo et al., 1999). Un meccanismo analogo si è riscontrato anche per le proteine omologhe di invertebrato. In D. melanogaster, infatti, i livelli cellulari della proteina Exd vengono mantenuti elevati proprio grazie all’ interzione con la proteina Hth che, al momento della formazione dell’ eterodimero, maschera il segnale di esporto nucleare presente in Exd (Kuran et al., 2001). 6 I geni prep Mediante esperimenti di immunoprecipitazione, Prep1 è stata isolata da estratti di cellule umane come proteina che co-precipita assieme a diversi fattori Pbx, mentre Prep2 è stata identificata e clonata in seguito ad un’analisi di sequenza sul genoma umano (Berthelsen et al., 1998a; Berthelsen et al., 1998b; Fognari et al., 2002; Haller et al., 2002). Queste due proteine, che fra loro hanno l’80% di identità di sequenza amminoacidica, fanno parte di una sotto-famiglia delle proteine Meinox, denominata appunto Prep. Le proteine Prep, infatti, solo in alcuni domini mostrano un’elevata conservazione della sequenza amminoacidica con le proteine Meis (Fognani et al., 2002). Un’altra differenza fra le proteine Meis e Prep è stata riscontrata nella loro attività di legame con le proteine Hox: è stato dimostrato che, in vitro, le proteine Meis di vertebrato sono in grado di legarsi alle proteine Hox dei cluster da 9 a 13, e che questa interazione aumenta la specificità nel riconoscimento delle sequenze di DNA bersaglio da parte del complesso Meis-Hox (Shen et al., 1997). Prep1 in esperimenti analoghi non ha invece mostrato le stesse proprietà (Thorsteinsdottir et al., 2001). Inoltre, mentre negli embrioni di zebrafish, fino a 24 ore di sviluppo, i tre geni prep noti (prep1.1, prep1.2 e prep2 ) sono espressi in maniera pressoché ubiquitaria (Choe et al., 2002), il profilo d’espressione dei singoli geni meis è risultato essere molto più ristretto (Biemar et al., 2001; Waskiewicz et al., 2001). 14 Introduzione Fig. 5: filogenesi e struttura dei cofattori dei geni Hox. (A) Le omeoproteine TALE sono divise in due guppi: la famiglia PBC comprende le proteine Pbx dei vertebrati, Extradenticle di D. melanogaster e Ceh-20 di C. elegans mentre la famiglia MEIS comprende le proteine Meis e Prep dei vertebrati, Hth e Unc-62. In rosso sono indicate le proteine di topo mentre in blu i loro ortologhi in zebrafish (Modificato da Moens and Selleri, 2006). Alcune proprietà che, invece, accomunano proteine Meis e Prep sono la capacità di legarsi alle proteine Pbx e di fatto questa interazione è necessaria sia per la loro traslocazione nucleare che per prevenire l’esporto di Pbx dal nucleo. 6.1 Prep1.1 L’intera ORF codificante di prep1.1 è una proteina di 433 aminoacidi, che contiene due regioni di omologia (HR) caratteristiche delle proteine Meinox e un omeodominio (HD) di tipo TALE. Sulla mappa genetica di zebrafish esso si trova a 1894 cRay dall’estremità del cromosoma 9. Il gene prep1.1, primo membro della famiglia prep di zebrafish ad essere studiato, è un gene di origine materna. Esso viene espresso 15 Introduzione durante le prime ore dell’embriogenesi de fino ad uno stadio di 24 2 ore in maniera ubiquitaria (Choe (Ch et al., 2002; Waskiewicz et al., 2001 01). Allo stadio di 48 ore re la marcatura nel tronco e nella coda, a, già a 24 ore più debole rispetto tto a quella della testa, risulta marca rcatamente ridotta, e scompare del el ttutto a partire dalle 72 ore di sviluppo. o. A questo stadio l’mRNA di prep rep1.1 è concentrato nella testa dell’e ll’embrione, soprattutto a livello di sistema nervoso e nella vescicola a otica o che rappresenta il limite po posteriore del dominio di espressione di prep1.1 (Fig. 6). Fig. 6: (Modificato da Deflo eflorian et al., 2004) (B-E) L’anal nalisi del profilo d’espressione espr spressione di prep1.1 mostra com come sia espresso in maniera ubiq biquitaria fino allo stadio di 18 somi miti. (G-I) Dalle 24 hpf in avanti ill trascritto tr di prep1.1 si concentra nella nel testa e la sua espressione sii restringe re nella zona rostrale alle vescicole v otiche a 72 ore. C, H: visione laterale; D: visione fronta ntale; E-G visione dorsale. m, mesenc ncefalo; o, occhio; r, romboencefa efalo; t, telencefalo; vo, vescicola otica. oti Gli embrioni morfant anti, giunti ad uno stadio di sviluppo di d 24 ore, sono caratterizzati da una prominente area di degene enerazione, chiaramente visibile a livello del romboencefalo, che riguard arda sia il SNC che le aree circos rcostanti. Sempre a questo stadio di sviluppo sv i morfanti presentano un’attività un motoria scoordinata, a tal pun unto che la maggior parte di essi si n non sono neppure in grado di fuorius riuscire dal corion. A 5 giorni di sviluppo sv gli embrioni trattati con il morpholino mo paragonati ad embrioni oni selvatici, presentano una testa di dimensioni dim 16 Introduzione ridotte, occhi più ù piccoli p e pinne pettorali atrofiche, sono ono inoltre privi della mandibola la e della vescica natatoria e pre resentano una distribuzione anom omala dei melanociti ed un edema pericardico. per Tali embrioni non super perano la settimana di vita. Mediante analis lisi con Blu di Alcian è stata esaminata ta la morfologia del cranio di questi esti morfanti. Come si può notare nella Figura Fi 7 C e D, in morphanti di 5 giorni di sviluppo mancano completam tamente tutte le cartilagini degli archi ar faringei, che sono depositate da condroblasti con che derivano dalle cres reste neurali. Solamente la componente te di d derivazione mesodermica dell n neurocranio di questi embrioni è ancor cora presente in una forma quasi si inalterata, anche se le componentii derivate d dalle creste neurali, ovvero ov il piatto etmoide e le trabec becole craniche, risultano ridotte in dimensioni e deformate. La sua inat attivazione causa inoltre uno sconvolgimento sc dell’espressione di d geni cruciali per il corretto sviluppo del romboencefalo. L’espressione L’e del gene hoxb1b omologo ogo del murino Hoxa1, il primo degli d Hox ad essere espresso, non è inibita in mentre risulta assente dal da suo dominio di espressione (r4) il gene hoxb1a. Anche l’espression one dei geni hoxa2 e hoxb2 risulta forte rtemente ridotta in embrioni morfa rfanti. La mancanza, nei morfanti di prep1.1, dell’ espressione segme mentale dei geni mariposa e pax6.1 6.1 in tutto il romboencefalo e l’ assenza degli interneuroni commisura rali positivi alla marcatura di pax2. x2.1 in r2-r6, hanno mostrato come Prep1 p1.1 sia cruciale per la segmentazi azione del romboencefalo. La mancanz nza di tutte le Fig. 7: (Modificato da Deflorian et al., 2004) I morphanti d di prep1.1 sono completamente privii dello scheletro faringeo. La colorazion ione con il blu di alcian di embrioni di 5 giorni (C, D) mostra la completa ta assenza delle cartilagini faringee men entre il neurocranio pur essendo notevolm olmente ridotto è presente. A, C: visione one laterale; B, D: visione ventrale. A-D D anteriore sulla sinistra. cb, cerato to branchiale; ch, ceratoliale; e, piatto tto etmoide; hs, ioimpletico; me, cartilag lagine di Meckel; n, notocorda; oa, arco o occipitale; phc, paracordale; pq, pala alato quadro; tr, trabecola cranica. cartilagini deriva ivate dalle cellule delle creste neu eurali e della muscolatura faring ingea sono la caratteristica principale dei de morfanti di 17 Introduzione prep1.1. Tale fenotipo sembra imputabile ad un difetto generale nella condrogenesi dal momento che i precursori delle cartilagini sono presenti e sembrano migrare correttamente. La regione faringea si sviluppa inoltre normalmente e l’endoderma faringeo risulta segmentato. 6.2 Prep1.2 Prep1.2 codifica per un prodotto proteico di 439 pb molto simile a Prep1.1, con una regione di omologia (HR) e un omeodominio (HD) molto conservato, tranne per la regione N-terminale in cui Prep1.2 presenta una sequenza ricca di acido glutammico. L’analisi filogenetica ha rivelato come Prep1.2 non sia lontana dall’origine comune di tutte le proteine Prep1 dei vertebrati, tant’è che in zebrafish risulta essere più simile a Prep1.1 rispetto a Prep2. prep1.2 si trova sul cromosoma 1, in corrispondenza della “line 68” a 59 cRay di distanza dall’estremità del cromosoma. L’mRNA di prep1.2, agli stadi di blastula, “shield” e “tailbud” viene espresso in maniera pressoché uniforme in tutto l’embrione, mentre durante la somitogenesi, pur rimanendo ubiquitario, si concentra principalmente in due strie di cellule ai lati del tubo neurale.. A 24 ore di sviluppo l’espressione di prep1.2 appare concentrata nel SNC, soprattutto nel telencefalo, nei placodi ottici, in due strisce di cellule posteriori alle vescicole otiche e laterali al tubo neurale e in corrispondenza della zona degli archi branchiali. A 48 ore l’espressione di prep1.2 diminuisce drasticamente e si può osservare un debole segnale solo nella testa, mentre a 4 giorni il segnale relativo all’espressione di prep1.2 è rilevabile nel cervello, nella regione faringea e nel lume dello stomaco. I risultati delle ibridazioni in situ hanno evidenziato un profilo d’espressione di prep1.2 leggermente diverso da quello di prep1.1, lasciando intendere che i due geni omologhi non abbiano sempre funzioni ridondanti nel corso dello sviluppo embrionale. 18 Introduzione Fig. 8: (A-D) L’ibridazone in-situ mostra come prep1.2 sia espresso in modo ubiquitario già a partire dai primi stadi di sviluppo fino alla somitogenesi. (E-G) A partire dallo stadio di 18 somiti l’espressione di prep1.2 si concentra in cellule localizzate ai lati del tubo neurale fino allo stadio di 24h in cui è evidente principalmente nel SNC, in due file di cellule ai lati del tubo neurale posteriormente alla vescicola otica e nella zona degli archi branchiali pur rimanendo debolmente ubiquitaria. (H) A 36hpf l’espressione è concentrata nel SNC negli archi branchiali e negli abbozzi delle pinne pettorali. (I) Dalle 48 ore l’espressione prep1.2 decresce e si restringe nella regione della testa. ba, archi branchiali; e, occhio; h, romboencefalo; m, mesencefalo; nt, tubo neurale; ov, vescicola otica; pfb, primordio delle pinne petorali. B, E, F, G visione dorsale; C visione frontale; D, H, I visione laterale. E-I testa a sinistra. Gli embrioni iniettati con il MOprep1.2 non presentano alterazioni morfologiche di rilievo nei primi tre giorni di vita pur essendo più piccoli dei controlli non iniettati; nella maggior parte dei casi presentano comunque un edema pericardico.. A partire dal quarto giorno di sviluppo, diventano tuttavia evidenti, nella maggioranza dei morfanti di prep1.2, una disorganizzazione della mandibola, la mancanza di tessuto a livello degli archi branchiali, un aumento della pigmentazione e una drastica riduzione in dimensioni, se non l’assenza totale delle pinne pettorali. La colorazione con Blu di Alcian evidenzia la mancanza delle cartilagini branchiali posteriori al terzo arco faringeo (p4-p7). Le cartilagini della mandibola (me) e dell’arco ioide (ch) di questi embrioni sono invece presenti, anche se di dimensioni ridotte rispetto al normale e leggermente deformi, così come è presente 19 Introduzione anche la componente e di derivazione mesodermica del neu eurocranio, anche se le sue comp mponenti derivate dalle creste neural rali (piatto etmoide e trabecole ccraniche) risultano ridotte in dimen mensioni e deformate (Fig10 C e D)). Questo mette in evidenza evi come l’inattivazione di prep1.2 1.2 alteri il corretto sviluppo dei derivati de delle creste neurali dello schele eletro della testa, anche se in man aniera meno estesa rispetto a quanto nto è stato osservato nei morfanti ti di d prep1.1, nei quali non si forma nessu ssuna delle cartilagini della faringe. ge. Fig. 9: (B, D) I morfantii d di prep1.2 sono privi delle cartilagini ini associate agli archi faringei poste steriori. Le cartilagini del terzo arco co faringeo sono solo accennate (p3) mentre me sono presenti seppur ridotte quelle q dei primi due. ch, cartilagine ne dell’arco ioideo; e, piatto etmoi oide; me, cartilagine di Meckel kel; p3-7, cartilagini degli archi faring ingei 3-7; tr, trabecola cranica. A, B visione ventrale; C, D visione late aterale; A-D testa a sinistra Molti studi hanno o dimostrato che l’AR rappresenta a anche in zebrafish un segnale importante im nella regolazione dello svil viluppo del romboencefalo, degli archi arc branchiali e delle estremità delle appendici. ap Aspetti del fenotipo dei ei morfanti quali i difetti dello scheletro ro facciale f e la mancanza delle pinne nne pettorali appaiono simili a quelli del el mutante della retinaldeide deidr idrogenasi 2 no-fin (nof) (Grandel et al., al 2002). Alterazioni nella via di d segnale dell’AR potrebbero quindi di spiegare almeno in parte le alte lterazioni fenotipiche evidenziate nei morfanti mo di prep1.2 . Una prima ev evidenza del ruolo dell’AR nella regola olazione di prep1.2 è stata ottenuta ta comparando i livelli di espressione genica gen dello stesso in embrioni cresc esciuti dalla tarda epibolia in differenti nti medium contenti AR e l’inibitor itore della sua sintesi: dietilamminoben benzaldeide (DEAB). Come è mostr strato in Fig. 10B, in embrioni di circa irca 24 ore trattati con AR l’espres ressione di prep1.2 è aumentata soprattut tutto ai lati della parte anteriore e del tubo neurale e nella zona degli deg archi branchiali, rispetto a quanto q osservato in embrioni non trat rattati (Fig 20 Introduzione 10A). Negli embrioni trattati con DEAB la marcata espressione di prep1.2 della zona degli archi branchiali degli embrioni selvatici è quasi scomparsa, anche se il segnale ubiquitario di fondo dell’ mRNA di prep1.2 non subisce grosse alterazioni (Fig 10 C e D). I dati sopra descritti hanno dimostrato come, in effetti, l’espressione del messaggero di prep1.2 sia sensibile alla presenza di AR e, più precisamente, che prep1.2 sia regolato positivamente, almeno in certe regioni dell’embrione, dall’ AR. Al contrario l’espressione del gene omologo prep1.1 risulta essere identica in embrioni wt e in embrioni trattati. Fig. 10: prep1.2 è regolato positivamente dall’AR mentre il gene omologo prep1.1 non lo è. (A, C, E) L’espressione di prep1.2 in embrioni di 24 ore trattati con AR aumenta rispetto agli embrioni non trattati. In embrioni di 24 incubati con DEAB si osserva una riduzione dei livelli di prep1.2 nella zona degli archi branchiali (barra). (B, D, F) Tutti gli embrioni marcati con la sonda per prep1.1 non presentano differenze nei livelli d’espressione. A-F, tutti gli embrioni sono in visione dorsale con la testa a sinistra. 7 Il “morpholino I “Morpholino” sono oligonucleotidi antisenso modificati. Il loro nome deriva dalla struttura delle unità che li compongono, ciascuna delle quali contiene una delle quattro basi azotate (A, C, G o T) legata ad un anello morpholinico a sei atomi. 18-25 subunità sono unite tra loro con un legame fosforodiamidato che sostituisce il legame fosfodiesterico presente negli acidi nucleici. Gli oligonucleotidi così sintetizzati, 21 Introduzione acquistano proprietà peculiari che li rendono adatti all’impiego in studi di inibizione genica (Summerton & Weller, 1997). I “Morpholino” sono in grado di riprodurre abbastanza fedelmente il fenotipo e l’espressione dei geni marcatori degli embrioni mutanti (Nasevicius e Ekker, 2000; Ekker e Larson, 2001). Il meccanismo d’azione dei “Morpholino” coinvolge il blocco della traduzione proteica (Summerton, 1999). L’oligonucleotide è progettato complementare ad una regione compresa tra il CAP-5’ e i primi venti nucleotidi (circa) dopo l’AUG di inizio traduzione. Oltre questa distanza l’attività inibitoria dell’oligo crolla. L’antisenso riesce ad invadere la struttura secondaria dell’RNA messaggero ed impedisce il riconoscimento del ribosoma. Di conseguenza, la proteina non viene tradotta. Rispetto agli oligonucleotidi usati in passato, i “Morpholino” presentano notevoli vantaggi. Sono più stabili perché insensibili alle nucleasi, consentendo un’azione prolungata per giorni. Si possono pertanto utilizzare in esperimenti di microiniezione di uova fecondate ed il loro effetto si protrae anche su embrioni di 3-4 giorni. Hanno una migliore efficienza poiché agiscono a concentrazioni nanomolari e la loro tossicità è ridotta. La sequenza di riconoscimento è specifica. Se si sostituiscono anche solo quattro nucleotidi il “Morpholino” non è più in grado di legarsi all’mRNA (Nasevicius and Ekker 2000). Sono ridotte anche le attività aspecifiche dovute ad interazione con proteine cellulari. 22 ABBREVIAZIONI 1/3ZfR: 1/3 Zebrafish Ringer’s solution (NaCl 40 mM, KCl 1 mM, HEPES 1.5 mM, CaCl2 2.5 mM, pH 7.2). AMV RT: trascrittasi inversa del virus della mieloblastosi aviaria (“Avian Myeloblastosis Virus Reverse Transcriptase ”). AR: Acido Retinoico BCIP: 5-Bromo-4-Cloro-3-indolil-fosfato. BSA: albumina di siero bovino. CRIBI: Centro di Ricerca Interdipartimentale per le Biotecnologie Innovative. DAB: diaminobenzidina DEAB: dietilaminobenzaldeide DEPC: dietilpirocarbonato. DIG: digossigenina. DMS: dimetilsolfossido. dNTP: desossiribonucleotidi trifosfato. dUTP: desossiuridintrifosfato. EDTA: acido etilen-diammin-tetracetico. exd: extradenticle. FLUO: fluoresceina. GFP: proteina verde fluorescente (“green fluorescent protein”). HD: omeodominio (“homeodomain”). HEPES: acido N-2-idrossietilpiperazin-N’-2-etansulfonico. HM: miscela di ibridazione (“hybridization mix”). hpf: ore trascorse dalla fecondazione (“ hours post fertilization”). HR: regioni di omologia (“homology region”). hth: homothorax. IPTG: isopropil-β-D-tiogalattopiranoside. LB: terreno Luria-Bertani Medium. NBT: 4-nitro-blu-cloro-tetrazolio. NTP: ribonucleotidi trifosfato. O/N: tutta la notte (“Overnight”). PBS: tampone fosfato salino (“phosphate buffered saline”). PBT: tampone fosfato con aggiunta di tween-20 (“phosphate buffered tween”). 23 Abbreviazioni PBTx: tampone fosfato con aggiunto di TRITON X-100 (“phosphate buffered triton”). PCR: reazione a catena della polimerasi (“polymerase chain reaction”). PFA: paraformaldeide. prep: proteina che regola pbx (“pbx regulating protein”). PRS: sequenza di DNA riconosciuta dal dimero Pbx/Hox (“Pbx/Hox responsive elements”). PTU: feniltiourea. RACE: amplificazione rapida delle estremità del cDNA (“rapid amplification of cDNA ends”). RAR: retinoic acid receptor RARE: retinoic acid response elements RT: temperatura ambiente (“room temperature”). RT-PCR: PCR con retrotrascrizione (“retro trascriptase PCR”). RXR: retinoic X receptor SDS: sodio-dodecil-solfato. SNC: sistema nervoso centrale. TALE: dominio amminoacidico di legame alla catena di DNA (“three amino acid loop extension”). TE: Tris 1 M, EDTA 0.5 M, pH 8. Tm: temperatura di appaiamento (“melting temperature”). Tris: Tris-(idrossimetil)-metilammina. UTR: regione non tradotta (“untranslated region”). wt: ceppo selvatico (“wild type”). X-Gal: 5-bromo-4-cloro-3-indolil-β-D-galattopiranoside. 24 MATERIALI E METODI 1 Soluzioni utilizzate Acqua-DEPC: 1 ml di DEPC per 1 l di acqua mQ. Lasciar agire O/N e autoclavare. Alcian Blue Solution: % HCl, 70% etanolo, 0.1% Alcian blue. BCIP: 75 mg/ml in 70% in dimetiformammide. Blocking Solution: 0.1% Tween-20, 2 mg/ml BSA, 5% Sheep serum, 1% DMS. DAB solution: Danieau (1X): 0.05% diaminobenzidine, 1% dimethyl sulfoxide in 0.05 M PO4 buffer, pH 7.3 NaCl 58 mM, KCl 0.7 mM, MgSO4 0.4 mM, Ca(NO3)2 0.6 mM, HEPES 5 mM, PH 7.6 DNA microinjection buffer: 5 mM Tris, pH 8.0 ; 0,.5 mM EDTA, pH 8.0 ; 1 mM KCl Fish Water (50X): 25 g instant ocean, 39.5 CaSO4, 5 g NaHCO3, in 5 l di acqua deionizzata. HM: Formammide 50-65%, 5X SSC, Tween-20 0.1%, Acido citrico pH 6.0, Eparina 50 µg/ml, tRNA 500 µg/ml. HM per i lavaggi: HM senza tRNA ed eparina. MOPS: Acido Morpholinopropansolfonico 40 mM, Sodio Acetato 10 mM, EDTA 1 mM. NBT: 50 mg/ml in dimetilformamide. NBT/BCIP staining buffer: 100 mM tris HCl pH 9.5, 50 mM MgCl2, 100 mM NaCl, 0.1% Tween-20. NBT/BCIP staining solution: NBT 50 mg/ml, BCIP 50 mg/ml, NBT/BCIP staining buffer: 50 ml. PBS: NaCl 130 mM, Na2HPO4 7 mM, NaH2PO4 3 mM. PBT: PBS, Tween-20 0.1%. PBTx: PBS, TRITON X-100 1%. PFA: Paraformaldeide 4% in PBS. PTU (100X): PBS (10X), 0.3% feniltiourea Ringer solution: NaCl 116 mM, KCl 2,9 mM, CaCl2 1,8 mM, Hepes pH 7,2 5mM. SSC: NaCl 150 mM, Citrato sodico 15 mM. 25 Materiali e metodi TAE: Tris acetato 0.04 M, EDTA 1 mM. Soluzioni per gli Anticorpi • Anti-DIG o Anti-FLUO (Roche): 1:1000 in PBT. Sheep serum 2%, BSA 2 mg/ml. Preadsorbiti in presenza di embrioni a vari stadi e spezzettati. Trascorse 2 h a RT al buio, si filtra la soluzione e poi si diluisce 1:3 la soluzione ottenuta e si aggiunge NaN3. • Zn-5 (University of Oregon): 1:500 in PBTx • Anti-Mouse (Sigma):1:200 in PBTx Terreni di coltura batterica • LB (1 l): 950 ml di H2O DEPC, 10 gr. Triptone, 5 gr. Estratto di lievito, 10 gr. NaCl. Portare a volume con H2 DEPC. • SOB Medium (1L): 950 ml di H2O DEPC, 20 gr. Triptone, 5 gr. Estratto di lievito, 0.5 gr.NaCl, Poratare a 1 l con H2O DEPC. • SOC Medium (1ml): 980 µl di terreno SOB/LB, 20 µl glucosio 20 mM. Antibiotici • Ampicillina: 50 mg/ml in 70% etanolo • Kanamicina: 25 mg/ml in H2O Tutte le soluzioni acquose sono state preparate utilizzando H2O Milli-Rho o H2O Milli-Q (Water Purification System, Millipore). I tamponi usati per diluire DNA o RNA sono stati preparati con H2O Milli-Q o H2O-DEPC. 2 Organismo modello L’organismo modello utilizzato negli esperimenti di questa tesi è lo zebrafish (Danio rerio), un pesce di acqua dolce che si è affermato come modello per lo studio della genetica e dell’embriogenesi precoce nei vertebrati. Le sue dimensioni ridotte (un adulto può raggiungere al massimo i 5-6 cm di lunghezza) che ne consentono l’allevamento in spazi minimi, la facilità di accoppiamento, la notevole quantità di uova che ogni femmina può deporre (100 – 200 circa per evento riproduttivo) e la trasparenza degli embrioni che permettono analisi genetiche e 26 Materiali e metodi molecolari su larga scala. La fecondazione esterna consente un analisi immediata della progenie, senza il sacrificio della madre. Nello zebrafish, che pur presenta una notevole distanza evolutiva dall’uomo rispetto ad altri organismi modello, i geni ed i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo embrionale sono altamente conservati rispetto a quelli dei vertebrati superiori. Questo piccolo ciprinide ha inoltre un piano corporeo identico a quello umano ed è dotato di apparato circolatorio e cuore, sistema immunitario, cervello, pancreas, fegato, ossa e di tutti i tessuti presenti in un mammifero. Queste caratteristiche peculiari lo hanno reso un organismo modello per lo studio della biologia dello sviluppo e ne hanno decretato il successo scientifico: il sequenziamento del suo genoma è ormai completo e sono stati identificati più 2.000 mutanti. Con un animale così prolifico, di modestie dimensioni e il cui embrione si accresce molto rapidamente mantenendo la sua trasparenza nel corso di tutto lo sviluppo precoce, è possibile analizzare i profili d’espressione genica in embrioni interi e seguire dal vivo, ad esempio con la microscopia confocale, i meccanismi genetici che controllano la formazione di organi e tessuti. L’assenza di un guscio calcareo, rende infatti le uova di zebrafish particolarmente adatte alle tecniche di micromanipolazione e microiniezione finalizzate alla produzione di pesci transgenici, alla sovraespressione di mRNA o al silenziamento genico, con l’uso di oligonucleotidi morpholino. Negli ultimi mesi sono stati inoltre messi a punto protocolli che, tramite l’uso di particolari nucleasi, alle quali vengono legati specifici domini per il riconoscimento di differenti sequenze genomiche con tecniche di ingegneria genetica, permettono la creazione di pesci knock-out. 2.1 Linee utilizzate Per gli esperimenti di questa tesi sono state utilizzate due linee di pesci selvatici diverse, denominate “Giotto” e “Umbria”. Inoltre sono state utilizzate una linea di 27 pesci transgenici denominata Materiali e metodi Tg(gcga:GFP)ial, in cui il gene della GFP è sotto il controllo del promotore di glucagone di zebrafish e una linea di pesci aventi il gene per la retinaldeide deidrogenasi 2 (aldh1a2) mutato denominata neckless (nls). 2.2 Mantenimento e riproduzione L’allevamento è effettuato nello stabulario del Dipartimento di Biologia, in acquari da 5 litri contenenti ciascuno una popolazione di circa venti individui. Gli acquari sono raccolti in sei armadi, ciascuno dei quali ne raggruppa circa una quarantina. Riserve d'acqua, proveniente da un impianto ad osmosi, sono a disposizione giornalmente per il ricambio in ciascun armadio. I valori ottimali di durezza e pH per questo ciprinide sono mantenuti stabili sciogliendo in una vasca da 150 l le seguenti quantità di sali: 23,5 g CaSO4, 3 g NaHCO3 e 15 g instant ocean. L’acqua viene mantenuta ad una temperatura di 28°C ed il suo pH deve essere preferibilmente neutro. Inoltre, non deve essere presente cloro ed i nitrati non devono superare il valore di 30 mg/L. L'alimentazione è divisa in 3 razioni giornaliere: due di cibo secco a scaglie in scatola, denominato AZ300 e una di naupli di artemie saline. Quest'ultime sono acquistate come cisti e vengono fatte schiudere in laboratorio con un semplice apparato costituito da un cono in pvc da 15 L, un areatore e una lampadina (soluzione per cisti:15 l H2O, 560 g NaCl,11.5 g NaHCO3 e 56 g cisti). Dopo circa 48 ore si possono raccogliere le artemie filtrando i naupli, dopodiche si preparano delle aliquote da utilizzare quotidianamente. Le larve di zebrafish crescono per i primi 5 giorni in fish water, in piastre Petri da 20 ml, mantenute a 28°C all’interno di un incubatore. Successivamente sono trasferite in vasche da 3L dove i piccoli vengono fatti crescere per i primi 2 mesi di vita; a questo punto i pesci sopravvissuti vengono spostati negli acquari da 5L. L'alimentazione delle larve consiste di 28 Materiali e metodi solo cibo secco denominato AZ100, sotto forma di scaglie finissime fino alle sei settimane di vita per poi passare all’alimentazione degli adulti. Gli zebrafish hanno un fotoperiodo ottimale di 13 ore di luce e 11 ore di buio, ottenuto utilizzando lampade regolate da un timer per l’erogazione della luce artificiale. L’alba ed il tramonto artificiali sono fissati, per comodità, rispettivamente alle 9,00 e alle 22,00. I pesci destinati alla riproduzione sono incrociati la sera, un'ora dopo l'ultimo pasto, secondo le indicazioni dello "Zebrafish Book" (Westerfield, 1995). La mattina, con le prime luci dell’alba artificiale, i maschi cominciano il corteggiamento della femmina, inseguendola e nuotandole a fianco per poter fecondare le uova appena emesse. Le uova rilasciate attraversando vengono una griglia depositate a rete sul fondo ricoperta da della vaschetta biglie. Questi accorgimenti sono necessari in quanto gli adulti si ciberebbero delle loro stesse uova, per compensare le perdite energetiche dovute al frenetico corteggiamento e alla produzione di spermi e uova. In natura questo non accade perché la corrente tende ad allontanare le uova appena fecondate. 3 Microiniezione La microiniezione è quella tecnica che permette l’introduzione di costrutti in uova fecondate di zebrafish. Questa tecnica viene utilizzata solitamente con lo scopo di creare pesci transgenici o di studiare in vivo la funzione di specifiche sequenze geniche bloccandone l’espressione, grazie all’utilizzo del morpholino, o sovraesprimendole iniettando il messaggero senso. A seconda delle finalità dello studio, vengono iniettate sia molecole di RNA che di DNA. 29 Materiali e metodi L’iniezione di RNA messaggero o di DNA circolare porta alla formazione di animali transgenici transienti. L’acido nucleico introdotto, infatti, viene progressivamente perso a causa di eventi di degradazione e di diluizione. Sebbene la presenza del DNA o RNA esogeno sia transiente, gli effetti provocati dalla perturbazione nell’espressione genica dell’embrione possono essere duraturi. L’iniezione di DNA linearizzato consente di ottenere animali transgenici stabili, sfruttando la possibilità che molecole di DNA linearizzate si integrino nel genoma della cellula ricevente. 3.1 Raccolta e microiniezione delle uova Le uova raccolte dalla vasca dei pesci in accoppiamento sono lavate e analizzate al microscopio per verificarne qualità e stadio di sviluppo. Quindi sono disposte lungo il bordo bagnato di un vetrino portaoggetti inserito in una capsula Petri. A causa della tensione superficiale, le uova fecondate rimangono sufficientemente stabili per poterle iniettare. La microiniezione è effettuata utilizzando una pompa ad aria controllata a pedale (“Pneumatic Picopump PV820” della “Word Precision Instrument, Inc”), un micromanipolatore (“Leitz”) e uno stereomicroscopio (“Wild”) con ingrandimento 32X per monitorare la procedura. Utilizzando un puntale Eppendorf® molto sottile montato su una pipetta Gilson®, si prelevano 1.5-2 µl di soluzione da iniettare (mantenuta in ghiaccio) e si trasferiscono in un ago da microiniezione. Gli aghi da microiniezione derivano da capillari di vetro, del diametro di 1 mm, tirati a caldo in un puller (“Flaming/Brown micropipette puller” della “Setter Instrument Company®”). Questo 30 Materiali e metodi strumento possiede dei parametri regolabili per realizzare aghi con punte più o meno sottili a seconda delle esigenze. I capillari di vetro utilizzati presentano al loro interno un filamento che aumenta la forza di capillarità impedendo alla soluzione di microiniezine di fuoriuscire dal fondo. L'ago caricato viene infine inserito nell'apposito supporto del micromanipolatore. Con il minimo ingrandimento dello stereomicroscopio si procede alla messa a fuoco dell'ago la cui punta, ancora sigillata dal calore, viene rotta con una pinzetta per consentire alla soluzione contenuta di uscire al momento della microiniezione. Utilizzando le opportune manopole del micromanipolatore l'ago viene avvicinato il più possibile alle uova addossate al vetrino. E' necessario accertarsi che la soluzione da iniettare fuoriesca quando il pedale del microiniettore viene premuto. L'uscita del liquido dall'ago è evidenziata dalla colorazione rossa conferita da coloranti presenti nella soluzione iniettata (rosso fenolo o rodamina destrano). L'ago trapassa facilmente il corion e viene quindi inserito nel tuorlo dell'uovo fecondato, in vicinanza dei blastomeri. A questo punto la soluzione viene fatta fuoriuscire premendo il pedale del microiniettore, che esercita una pressione regolabile a seconda delle esigenze. Questa operazione deve venire eseguita in maniera molto rapida, facendo entrare ed uscire l'ago molto velocemente, in modo da provocare un trauma il più possibile limitato all'uovo fecondato. Se la microiniezione è stata effettuata correttamente si osserva una piccola area rossa nel tuorlo dell’uovo. Al termine della procedura, mantenendo fermo il vetrino, viene versata della fish water in modo da staccare le uova dal vetrino e trasferirle in un’altra capsula Petri pulita. Le uova iniettate vengono incubate a 28°C in una soluzione di fish water che viene cambiata più volte per diminuire la probabilità di crescita fungina. Nelle ore 31 Materiali e metodi successive alla microiniezione, le uova vengono osservate al microscopio per separare quelle fecondate ed iniettate. 3.2 Preparazione delle soluzioni da microiniettare: “morpholino” mRNA e DNA 3.2.1 MICROINIEZIONE DEGLI OLIGONUCLEOTIDI MORPHOLINO E DELL’MRNA Tutti i nucleotidi antisenso morpholino sono stati ottenuti dalla ditta Gene Tools LLC. I morpholino utilizzati per gli esperimenti di questa tesi sono i seguenti: • MO1-prep1.1 • • • • MO1-prep1.2 MOprep1.2-5MIS MOpbx4 MOaldh1a2 5’–GCCAACTGCCAACACTGGGACATTAT–3’ 5’–GTCATCAATAGTTACTGTTGCCGTGG–3’ 5’–GTgATCtTAcTTAgTGTTGCgGGTGG–3’ 5’–GATCATCCATAATACTTTTGAGCCG–3’ 5’–GTTCAACTTCACTGGAGGTCATC–3’ Prima della microiniezione nel tuorlo di embrioni di 1 – 2 cellule le soluzioni madre dei vari morpholino (8,3 mg/ml) sono state diluite in soluzione Danieau purificata. Alle soluzioni è stata aggiunta della rodamina destrano filtrata che permette di verificare con un microscopio a fluorescenza l’avvenuta iniezione. Quando si inietta il solo mRNA (mRNA di prep1.2-GFP) questo va risospeso in una soluzione di PBS filtrato 3.2.2 MICROINIEZIONI DEL DNA PLASMIDICO Questa metodica è stata utilizzata per far esprimere negli embrioni, in maniera transiente, il gene reporter della Luciferasi e della GFP e in questo modo testare in vivo la funzionalità della regione 3’RARE di 32 Materiali e metodi prep1.2. I plasmidi PG1-RARE, p50-Luc (Argenton el al., 1996), p50RARE-Luc e p50-RAREmut-Luc sono stati purificati, testati su gel di agarosio e risospesi a bassa concentrazione in un tampone ottimizzato per la microiniezione di DNA (DNA microinjection buffer) (Meng et al., 1997). 4 Trapianti cellulari e analisi di mosaici L’analisi di mosaici permette di determinare se un gene agisce in modo cellulo-dipendente oppure se la sua fuzione è cellulo- indipendente. Gli esperimenti di trapianto sono stati effettuati su embrioni allo stadio di blastula avanzata, fino a poco prima che iniziono i movimenti dell’epibolia. Si è utilizzato un apparato sperimentale comprendente uno stereo-microscopio, un micromanipolatore., una siringa Hamilton ed una guida micrometrica che permette di spostare volumi molto ridotti. La siringa è riempita con olio minerale, collegata ad un serbatoio d’olio e tramite tubicini inestensibili in teflonad un capillare di vetro montato sul micromanipolatore. Si utilizza l’olio minerale per la sua inerzia ed immiscibilità con le soluzioni acquose; i liquidi essendo incomprimibili consentono inoltre una maggiore precisione quando si spostano piccoli volumi di liquido rispetto all’uso di gas. Inizialmente embrioni ospiti e donatori sono stati inietati con soluzioni differenti. I primi con il MO1-prep1.2. Gli embrioni donatori invece con una soluzione contenente TARAM-A-mut (1ng/µl), l’mRNA di GFP (20 ng/µl) e biotina-destrano fissabile (2-3%). L’mRNA di TARAM-A codifica per un recettore della via di segnale Nodal; nella sua forma mutata (-mut) è costitutivamente attivo e induce le cellule che lo esprimono ad assumere un destino endodermico (David and Rosa, 2001). La biotina-destrano fissabile è utilizzata per permettere 33 Materiali e metodi dopo la fissazione con PFA 4% di individuare le cellule trapiantate utilizzando una perossidasi di rafano coniugata all’avidina ed un substrato colorante. L’mRNA della GFP per poter facilmente distinguere in vivo tramite uno stereo microscopio con luce UV le cellule prima e dopo il trapianto. Alternativamente alla GFP è possibile utilizzare un tracciante fluorescente. Si è scelto di utilizzare la GFP in modo che potesse servire come controllo interno sulla qualità dell’mRNA iniettato. Gli embrioni iniettati vengono privati manualmente del loro corion utilizzando un microscopio da dissezione ed coppia di pinze molti sottili. Tale operazione va effettuata con gli embrioni in piastre petri il cui fondo deve essere ricoperto da un sottile strato di agarosio per evitare che questi si attacchino alla piastra rimanendone danneggiati. Il medium di crescita è la Ringer Solution contenente Penicillina e Streptomicina (10U/ml). Fig. 11: (A) Apparato per i trapianti. Sono evidenti la (a) siringa Hamilton da 10 µl riempita con olio minrale; (b) riserva d’olio; (c) capillare di vetro; (d) connettore a tre vie; (e) micromanipolatore; (f): piede magnetico; (g): stereo microscopio. (B) Stampo per la creazione nell’agarosio, all’interno di piastre petri da 90 mm, delle celle in cui i singoli embrioni vengono depositati. 34 Materiali e metodi Una volta che gli embrioni abbiano raggiunto lo stadio desiderato vengono trasferiti, utilizzando una pipetta in vetro, in una piastra petri. Su questa in precedenza era stato versato agarosio fatto solidificare in presenza di uno stampo per creare delle file di cellette nelle quali vengono alloggiati i singoli embrioni. Utilizzando l’apparato precedentemente descritto è possibile prelevare guppi di 15-20 cellule dagli embrioni donatori e depositarle negli embrioni ospiti. La presenza di TARAM-A-mut assicura che le cellule che lo esprimono daranno origine ad endoderma a prescindere dalla zona in cui saranno innestate. I mosaici ottenuti sono cresciuti fino allo stadio desiderato in Ringer Solution con penicillina e streptomicina. A questo punto gli embrini esprimenti la GFP nell’endoderma sono selezionati e fissati per essere utilizzati poi in esperimenti di ibridazione in situ. Fig. 12: (A) schema sperimentale dei trapianti effettuati: 15-20 cellule sono prelevate dagli embrioni definiti “donatore” e depositate negli embrioni denominati “ospite” allo stadio di sfera. (B) A 24 ore vengono selezionati gli embrioni che presentano fluorescenza a livello del’endoderma faringeo (e); vengono quindi fissati ed utilizzati in esperimenti successivi. e: endodema faringeo; o.v.: vescicola otica. L’embrione in B è in visione fronte-laterale con la testa verso sinistra. 35 Materiali e metodi 5 Tecniche di biologia molecolare 5.1 Estrazione degli acidi nucleici 5.1.1 Estrazione del DNA da embrioni Il DNA genomico è stato estratto da esemplari adulti e da embrioni dopo ibridazione in situ utilizzando il kit Promega Wizard® SV Genomic Purifaction System e seguendo le indicazioni del produttore. 5.1.2 ESTRAZIONE DELL’RNA TOTALE DA EMBRIONI L’RNA totale è stato estratto da embrioni utilizzando il reagente Trizol LS (Invitrogen®). Il Trizol è una soluzione monofasica di fenolo e guanidina isotiocianato che consente l’estrazione di RNA totale attraverso un unico passaggio. Durante l’omogeneizzazione, effettuata utilizzando colonnine filtranti e sottoponendo i campioni a centrifuga, il Trizol mantiene l’integrità dell’RNA lisando e dissolvendo gli altri componenti cellulari. Il protocollo seguito per questa procedura (condotta sotto cappa sterile ed indossando guanti e camice per evitare la contaminazione da RNAsi) è il seguente: • Omogenizzare il campione in 500 µl di Trizol. L’omogenato in Trizol può essere conservato a 4ºC per una settimana, a -20ºC per un mese o a -80ºC per un anno. Incubare per 5 minuti a RT. • Aggiungere all’omogenato 135 µl di cloroformio, agitare vigorosamente per 15 secondi ed incubare 15 minuti a RT. • Centrifugare per 15 minuti a 12000 g, a 4ºC. In seguito alla centrifugazione la soluzione si suddivide in una fase sottostante di colore rosso, un’interfase ed una fase acquosa più superficiale in cui è disciolto l’RNA. • Recuperare la fase acquosa e trasferirla in una provetta sterile. • Aggiungere 335 µl di isopropanolo per far precipitare l’RNA, mescolare ed incubare 10 minuti a RT. • Centrifugare per 10 minuti a 12000 g , a 4ºC. • Rimuovere il surnatante e lavare il pellet con 670 µl di etanolo 75% DEPC. • Centrifugare per 5 minuti a 7500 g, a 4ºC. 36 Materiali e metodi • Rimuovere il surnatante e lasciare asciugare il pellet. • Risospendere l’RNA in H2O DEPC. Al termine del procedimento di estrazione, l’RNA è testato tramite una corsa elettroforetica su gel d’agarosio denaturante. 5.2 Reazione a catena della polimerasi (PCR) La tecnica di reazione a catena della polimerasi PCR (polymerase chain reaction), permette di produrre un elevato numero di copie di una specifica sequenza di DNA attraverso un processo di amplificazione. La reazione avviene tramite cicli ripetuti costituiti da 3 fasi: 1. Denaturazione termica del DNA stampo per separare i filamenti della doppia elica. 2. Appaiamento di oligonucleotidi complementari alle estremità della sequenza stampo che si intende amplificare. 3. Estensione di nuovi filamenti di DNA complementari allo stampo grazie all’attività di una DNA polimerasi DNA dipendente che utilizza gli oligonucleotidi come inneschi per la replicazione. 5.2.1 OLIGONUCLEOTIDI UTILIZZATI Segue l’elenco degli oligonucleotidi utilizzati nei diversi esperimenti presentati in questa tesi. • Primer utilizzati per il clonaggio dell’intera sequenza codificante di prep1.2 con e senza il codone di STOP prep1.2FC-For: 5’-CGGGATCCGCCCCAGCGTTGTCCACGG-3’ prep1.2FC-Rev: 5’-CGGGATCCCAGCGAGTCGCTGGTCTCC-3’ prep1.2FC-Rev-STOP: 5’-CGGGATCCCTACAGCGAGTCGCTGGTC-3’ GGATCC: sito di restrizione dell’enzima BamHI • Primer utilizzati nella RACE RACE5’-prep1.2-For: 5’-CAGTAACTATGATGACATCCCC-3’ RACE5’-prep1.2-SP1: 5’-CATCAGATTGTCCAAATCAGG-3’ RACE5’-prep1.2-SP2: 5’-AGCAGCGCCAACAGGGGG-3’ 37 Materiali e metodi • Primer utilizzati per amplificare la regione genomica contenente la sequenza RARE prom-prep1.2-For:5’-CGGGATCCCGCCGTGTCTCCTCCCACCTCATC-3’ prom-prep1.2-Rev:5’-CGGGATCCAGTTACTGTTGCCGTGGACAACGC-3’ GGATCC: sito di restrizione dell’enzima BamHI • Primer utilizzati per amplificare la regione contenente la sequenza RARE poi clonata prep1.2-RARE-For: 5’–CCCAAGCTTGCACAAAGTTTTGATTGACAGC-3’ prep1.2-RARE-Rev: 5’-AACTGCAGTTTCAATATTTGTCGGCTCATTT-3’ AAGCTT: sito di restrizione dell’enzima HindIII CTGCAG: sito di restrizione dell’enzima PstI 5.3 PCR per introduzione di mutazioni sito-specifiche Per mutagenizzare il gene la sequenza RARE presente nel promotore del gene prep1.2 e clonato nel plasmide 3’RAREp50Luc è stato utilizzato il kit “QuickChange™ XL Site-Directed Mutagenesis” della “Stratagene”. Questo kit permette di introdurre mutazioni puntiformi in modo specifico in sito: la sequenza viene mutagenizzata direttamente nel plasmide in cui è inserita, senza richiedere alcun clonaggio. Prima di procedere con la reazione è necessario progettare due oligonucleotidi sintetici (ciascuno complementare a uno dei due filamenti della doppia elica del vettore) contenenti le mutazioni desiderate fiancheggiate dalla sequenza w.t. Il plasmide e gli oligonucleotidi vengono impiegati in una reazione di PCR che utilizza la DNA polimerasi PfuTurbo. In questa reazione gli oligonucleotidi si appaiano ai due filamenti della doppia elica e vengono incorporati dalla DNA polimerasi nei filamenti in estensione. Il DNA parentale viene successivamente eliminato in seguito 38 Materiali e metodi all’aggiunta alla reazione della endonucleasi Dnp I che lo riconosce e digerisce in quanto metilato. Con i due filamenti non digeriti contenenti le mutazioni introdotte vengono trasformati chimicamente dei batteri ultracompetenti. Nelle cellule trasformate le estremità dei filamenti vengono poi chiuse generando un plasmide contenente la sequenza di interesse mutagenizzata. Protocollo: • Disegno degli oligonucleotidi secondo le indicazioni riportate nel manuale allegato al kit. • Successivamente si prepara la reazione come riportato: Reagenti Volume buffer di reazione 10X 5 µl plasmide stampo 10 ng oligonucleotide Forward 125 ng oligonucleotide Reverse 125 ng dNTP mix 1 µl QuikSolution 3 µl Pfu Turbo DNA polimerasi (2.5 U/µl) 1 µl acqua DEPC fino a volume finale di 50 µl • A ciascuna reazione vengono aggiunti 30 µl di olio minerale. • La reazione di mutagenesi/amplificazione avviene su termociclatore utilizzando il seguente programma: Fase Cicli Temperatura Durata Denaturazione iniziale 1 95° C 1 minuto Amplificazione 18 95° C denaturazione 50 secondi 60° C appaiamento 50 secondi 68° C estensione 2 minuti ogni Kb di lunghezza del plasmide Estensione finale 1 68° C 7 minuti Nella fase centrale di amplificazione è importante rispettare il limite dei 18 cicli per non avere una diminuzione nell’efficienza di reazione. • Al termine della PCR, la reazione viene raffreddata in ghiaccio per 2 39 Materiali e metodi • • • • • • • • minuti fino a raggiungere almeno i 37° C. Si aggiunge 1 µl dell’enzima Dnp I mescolando gentilmente. La reazione viene poi incubata a 37° C per un’ora allo scopo di digerire il DNA parentale. Per ciascuna reazione, un’aliquota da 45 µl di cellule XL10-GOLD ultracompetenti, conservate a –80°C, è posta in ghiaccio a scongelare. A ciascuna aliquota vengono aggiunti, mescolando gentilmente, 2 µl della soluzione ß-ME mix del kit. Dopo aver incubato le cellule in ghiaccio per 10 minuti, mescolandole ogni 2 minuti, a ciascuna aliquota vengono aggiunti 2 µl della soluzione contenente il DNA trattato con l’enzima Dnp I ed il tutto viene incubato in ghiaccio per 30 minuti. Le cellule vengono quindi sottoposte a shock termico immergendole per 30 secondi in un bagnetto termico alla temperatura di 42°C. Dopo lo shock, le cellule sono poste in ghiaccio e in ciascun tubo vengono aggiunti 0,5 ml di brodo NZY+ precedentemente riscaldato nello stesso bagnetto a 42°C. Le cellule vengono incubate per un’ora a 37° C in agitazione (250 rpm). Al termine dell’incubazione volumi diversi della reazione vengono piastrati su piastre contenenti LB agar e lo specifico antibiotico di selezione. Le piastre sono poi incubate a 37°C per un minimo di 16 ore. Per verificare l’avvenuta mutagenesi, le colonie cresciute sulle piastre vengono successivamente sequenziate. 5.3.1 Sequenza RARE e oligonucleotidi utilizzati nella mutagenesi Esamero di una sequenza RARE (Retinoic Acid Responsive Element) = PuG(G/T)TCA 3’RARE di prep1.2 (DR1):AGTTCA a AGTTCA AtTgCA a AGaTgA p50-RARE-Luc p50-RAREmut-Luc Primer: AATAGGAGTGTAAAAAAtTgCAaAGaTgATCTTCAAACGTTGC 40 Materiali e metodi 5.4 RT-PCR La tecnica denominata RT-PCR permette la produzione di cDNA partendo da uno stampo di RNA sfruttando l’attività enzimatica di una trascrittasi inversa e utilizzando successivamente una Taq Polimerasi per l’amplificazione mirata del frammento d’interesse. Ho utilizzato i reagenti presenti nelk kit Roche 5’/3’ RACE Kit, 2nd Generation e seguito le indicazioni del produttore. I passaggi previsti per ottenere il prodotto finale sono: 1. Sintesi del cDNA. Si utilizza l’enzima Transcriptor Reverse Transcriptase (TdT) che possiede anche un’attività RNasica, questo gli permette di degradare lo stampo di RNA una volta retrotrascritto. 2. Amplificazione mediante PCR. Come stampo si può utilizzare direttamente il cDNA prodotto nel primo passaggio senza bisogno di purificarlo. 5.5 RACE Per ottenere la regione 5’UTR del gene prep1.2 ho utilizzato la metodica RACE (rapid amplification of cDNA ends). Ho utilizzato, in particolare RNA totale estratto da embrioni e il kit “5’/3’ RACE” della Roche il quale contiene oltre ai reagenti per la retrotrascrizione e la PCR anche gli Oligo dT – Anchor primer e i PCR – Anchor primer. La procedura sperimentale prevede i seguenti passaggi: • Sintesi e purificazione del cDNA • Tailing del cDNA con una sequenza di poliA • PCR che utilizzi un PCR –Anchor primer e primer reverse interno alla sequenza del trascritto di prep1.2 (SP1) • Ulteriore PCR con primer reverse studiato in una zona più vicina al sito d’inizio della traduzione (SP2). 41 Materiali e metodi Dopo aver verificato la reazione attraverso una corsa elettroforetica, ed aver estratto la banda specifica da gel, il frammento di PCR di circa ® ® 300 basi, è stato clonato nel vettore pCR II-TOPO , ed inviato al servizio di sequenziamento del CRIBI. Sequenziato da entrambe le estremità, il frammento ha rivelato, dopo un confronto con la sequenza genomica di prep1.2 presente in banca dati, che l’ inizio della trascrizione (TSS - transcription start site) si trova a 3008 pb dall’ ATG, e che questa regione non codificante comprende un piccolo esone iniziale (80 pb) seguito da un introne piuttosto lungo (2862 pb) che precede l’ esone con l’ ATG (vedi figura 23 nei risultati). 5.6 Elettroforesi in gel di agarosio L’elettroforesi in gel di agarosio permette la separazione di molecole di DNA (plasmidi o prodotti di PCR) in base al loro peso molecolare e al loro grado di superavvolgimento. La scelta della concentrazione d’agarosio, che determina le dimensioni delle maglie del gel, si basa sulla lunghezza delle molecole di DNA da analizzare. Con questa tecnica si possono separare sequenze che vanno dalle 70 paia di basi (agarosio 3%) fino alle 80.000 paia di basi (agarosio 0.1%). Se si desidera esaminare molecole di mRNA attraverso corsa elettroforetica bisogna utilizzare alcuni accorgimenti dal momento che le molecole di mRNA a singolo filamento tendono a ripiegarsi su se stesse attraverso la formazione di interazione intra-molecolari. Una molecola di RNA ripiegata incontra una diversa resistenza nel passare attraverso le maglie del gel rispetto a una molecola delle stesse dimensioni non ripiegata o ripiegata diversamente. A causa di questo comportamento una separazione in base alle dimensioni risulterebbe non veritiera. E’ necessario quindi far avvenire la corsa in condizioni denaturanti utilizzando MOPS e formamide; prima di caricare l’mRNA 42 Materiali e metodi nei pozzetti questo deve essere denaturato a 65°C per 10 minuti. 5.7 Purificazione degli acidi nucleici 5.7.1 ESTRAZIONE E PURIFICAZIONE DI DNA DA GEL DI AGAROSIO Per estrarre e purificare molecole di DNA da gel di agarosio è stato utilizzato il kit “Wizard SV Gel and PCR Clean-Up System” della “Promega®” seguendo il protocollo fornito. 5.7.2 ESTRAZIONE E PURIFICAZIONE DEL DNA PLASMIDICO DAI BATTERI Per l’estrazione e la purificazione dei plasmidi da colture batteriche è stato utilizzato il kit “Wizard Plus SV Minipreps DNA Purification System” (“Promega”), seguendo le istruzioni riportate nel manuale. 5.8 Quantificazione degli acidi nucleici Per la quantificazione degli acidi nucleici sono state adottate due differenti metodologie. La prima prevede dopo corsa elettroforetica in gel di agarosio contenente etidio bromuro e il confronto tra l’intensità della fluorescenza delle bande di DNA con quella delle bande di un marcatore di peso molecolare di concentrazione nota (1 kb ladder, Promega) grazie all’ausilio del software Molecular Analyst (Biorad). La concentrazione dell’RNA è stata effettuata secondo lo stesso principio, con la differenza che i campioni in oggetto sono stati sottoposti ad una corsa elettroforetica in gel di agarosio denaturante. 43 Materiali e metodi La concentrazione degli acidi nucleici è stata determinata inoltre mediante analisi spettrofotometrica. Per la quantificazione di DNA a doppio filamento (ds) si diluisce un’aliquota della soluzione e se ne misura l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 260 nm (A260) utilizzando uno spettrofotometro precedentemente tarato con una soluzione di sola H2O. Si risale alla concentrazione del DNA utilizzando la seguente formula : CONCENTRAZIONE DSDNA µG/ML = A260 X 50 X FATTORE DI DILUIZIONE Anche l’RNA a singolo filamento (ss) può essere quantificato attraverso l’analisi spettrofotometrica. Si risale alla concentrazione dell’RNA utilizzando la seguente formula : CONCENTRAZIONE SSRNA µG/ML = A260 X 40 X FATTORE DI DILUIZIONE 5.9 Clonaggio in vettori d'espressione 5.9.1 IMPIEGO DELLE ENDONUCLEASI DI RESTRIZIONE Le endonucleasi di restrizione sono enzimi, di origine batterica, in grado di riconoscere e tagliare specifiche sequenze di DNA a doppio filamento. Queste sequenze sono lunghe poche paia di basi (sei nucleotidi per la maggior parte) e sono spesso palindromiche. 5.9.2 REAZIONE DI DEFOSFORILAZIONE Prima di una reazione di ligazione, tra il frammento di DNA da clonare ed il vettore dove dovrà essere inserito, è necessario defosforilare il plasmide (se linearizzato o digerito con endonucleasi di restrizione in grado di generare estremità compatibili tra loro). In 44 Materiali e metodi questo modo si evita che il plasmide si richiuda su se stesso in presenza di una DNA-ligasi. L’enzima utilizzato è la CIP (calf intestinal phosphatase) della “Promega” con il buffer fornito e seguendo il protocollo consigliato. 5.9.3 REAZIONE DI LIGAZIONE La ligazione di un frammento di DNA (inserto) con un vettore plasmidico linearizzato avviene attraverso la formazione di nuovi legami fosfodiesterici. Diverse DNA ligasi sono in grado di catalizzzare la formazione di nuovi legami fosfodiesterici in vitro. Tra queste la DNA ligasi del batteriofago T4 catalizza il legame tra le estremità di due molecole di DNA sia complementari che piatte. Nella reazione di ligazione il rapporto molare tra inserto e vettore deve essere circa 3: 1. Per convertire il rapporto molare in rapporto di massa si utilizza la seguente formula: [(NG DI VETTORE X 0.5 KB INSERTO) / KB DI VETTORE] X RAPPORTO MOLARE (INSERTO/VETTORE) = NG INSERTO 5.9.4 UTILIZZO “TA CLONING” Tutte le regioni geniche e genomiche clonate in vettori d’espressione sono state prima clonate nel vettore commerciale Invitrogen pCRIITOPO seguendo il protocollo fornito. Il vantaggio nell’utilizzare questo vettore consiste nel fatto che permette l’inserimento diretto di un prodotto di PCR ottenuto con una Taq polimerasi al suo interno: non sono infatti necessarie reazioni di defosforilazione, restrizione e legazione. Viene sfruttata l’attività spontanea di terminal – transferasi delle Taq polimerasi. L’enzima fornisce infatti prodotti con estremità 3’ sporgenti di un nucleotide A. Il vettore viene fornito linearizzato, con 45 Materiali e metodi estremità 3’ sporgenti di una singola timidina e con una Topoisomerasi I legata covalentemente alle sue estremità. La strategia di clonaggio sfrutta l’attività di ligasi della Topoisomerasi I. La legazione del vettore con il prodotto di PCR avviene spontaneamente e con grande efficienza a temperatura ambiente in pochi minuti. 5.9.5 TRASFORMAZIONE DI BATTERI COMPETENTI Il processo di trasformazione comporta l’introduzione di DNA esogeno in una cellula procariote. Essa può essere ottenuta trattando le cellule in modo da cambiare temporaneamente le caratteristiche della membrana cellulare, per esempio, mediante shock termico oppure applicando un campo elettrico tra due elettrodi immersi nella sospensione cellulare. In entrambi i casi si generano sulle membrane dei punti di rottura localizzati che permettono lo scambio di molecole tra l’interno e l’esterno della cellula. Per le trasformazioni sono stati utilizzati i batteri commerciali del ceppoTOP10 (Invitrogen). Elettroporazione • I batteri, conservati a –80°, vengono lasciati scongelare in ghiaccio per circa dieci minuti. • Successivamente gli si aggiunge il plasmide che si intende espandere (100-200 ng) mescolando gentilmente. • La soluzione ottenuta di batteri e DNA esogeno viene trasferita in un’apposita cuvetta per l’elettroporazione e viene dato lo shock elettrico (1.8 kV). • Immediatamente vengono aggiunti alle cellule 250 µl SOC medium a temperatura ambiente. I batteri vengono poi recuperati e trasferiti in un tubo da coltura in cui si aggiungono altri 750 µl di SOC medium. Segue un’incubazione di un’ora a 37°C in agitazione (200 rpm). • Al termine dell’incubazione aliquote (20-100 µl) della trasformazione vengono seminate su piastre con terreno selettivo e incubate a 37°C per tutta la notte. • Le colonie che crescono possono successivamente venire espanse ed analizzate in merito all’identità del plasmide contenuto. 46 Materiali e metodi 5.9.6 VETTORI OTTENUTI L’intera sequenza codificante del gene prep1.2 priva del codone di stop è stata clonata in pCRII-TOPO e da qui subclonata in pCS2+GFP, utilizzando il sito di restrizione di BamHI, in modo da risultare in frame con la GFP. La stessa sequenza ma questa volta con il codone di stop e stata subclonata all’interno del vettore d’espressione pCS2+. La regione, di 500 paia di basi, del primo introne di prep1.2 contenente la sequenza RARE (retinoic acid responsive element) è stata amplificata mediante PCR e sub-clonata nei siti di restrizione di HindIII e PstI del vettore ptPRL-50-Luc (p50-Luc) (Argenton et al., 1996). 5.10 Sequenziamento Tutti i campioni di DNA sono stati sequenziali dal “Servizio di Sequenziamento di DNA del C.R.I.B.I.” dell’Università di Padova. Prima di essere portato a sequenziare, il DNA è stato preparato utilizzando le procedure reperibili presso il sito internet http://bmr.cribi.unipd.it. Per analizzare le sequenze di DNA sono stati utilizzati vari programmi informatici e diverse banche dati. Gli elettroferogrammi, forniti dal servizio sequenziamento del CRIBI, sono stati visualizzati ed analizzati grazie al programma EditWiew 1.0.1 (Perkin Elmer). Le sequenze sono state processate grazie ai software reperibili presso il sito internet dell’EBI (European Bioinformatic Institute) (www.ebi.ac.uk) e comparate con quelle presenti nelle banche dati (“Gene Bank”) utilizzando i motori di ricerca dell’EMBL, presso il sito dell’EBI e dell’NCBI (National Information) (www.ncbi.nlm.nih.gov). 47 Centre of Biotechnology Materiali e metodi 5.11 Sintesi di RNA in vitro 5.11.1 SINTESI DI MRNA La trascrizione, ovvero il processo di sintesi dell’ RNA messaggero, puo’ essere riprodotto in vitro mediante l’impiego di RNA polimerasi fagiche (SP6, T3 e T7). Prima di trascrivere è necessario linearizzare il plasmide, contenente la sequenza da trascrivere a valle del promotore fagico, con un enzima di restrizione che tagli unicamente a valle dell'inserto da trascrivere. La rottura della continuità della molecola di DNA ad opera del processo digestivo causa il distacco della RNA polimerasi dallo stampo e di conseguenza il blocco della trascrizione. La qualità e la quantità del plasmide linearizzato vengono controllati con corsa su gel di agarosio. Per la trascrizione del messaggero è seguita la procedura del kit "mMESSAGE mMACHINE" (“Ambion”). Per la purificazione del messaggero si è utilizzato il kit “MEGAclear” (“Ambion”) seguendo il protocollo del produttore. 5.11.2 SONDE ANTISENSO Anche la sintesi di sonde antisenso di RNA è possibile utilizzando le polimerasi fagiche SP6, T3 e T7 i cui promotori sono presenti ai due lati dei polilinker dei vettori plasmidici d’espressione in cui queste sono clonate. Vengono utilizzate miscele di ribonucleotidi contenenti una frazione di UTP marcate con digossigenina (NTPs-DIG) o fluoresceina (NTPs-FLUO), molecole bersaglio di anticorpi specifici. Anche in questo caso il vettore va linearizzato prima della sintesi. Sempre partendo da DNA plasmidico sottoposto a restrizione e purificato si allestisce la seguente reazione: Reagenti Buffer di reazione 5X NTPs-DIG/NTPs-FLUO 10X Quantità 4 µl 2 µl 48 Materiali e metodi DNA stampo RNasi Inibitor T7 / SP6 Acqua DEPC fino a volume (20 µl) 1 µg 1 µl 2 µl La reazione viene incubata a 37°C per 2 ore al termine delle quali vengono aggiunti 2µl di DNasi priva di RNasi per degradare lo stampo. La reazione viene lasciata per 20 minuti a 37°C. Per la purificazione delle sonde si è utilizzato il kit “MEGAclear” (“Ambion”) seguendo il protocollo del produttore. 5.12 Trattamento degli embrioni con Acido Retinoico (AR) e DEAB Uno dei vantaggi dell’utilizzo di D. rerio come organismo modello consiste nel fatto che il corion che ricopre gli embrioni è permeabile a piccole molecole organiche. Questo permette di sottoporre a differenti trattamenti gli embrioni semplicemente incubandoli in un mezzo dove si trovino diluite alla concentrazione opportuna le sostanze d’interesse. Embrioni di zebrafish al 50% di epibolia sono stati incubati al buio, a temperatura ambiente, in fish water contenente all-trans AR (Sigma) 10-7M e DMSO 1:1000. Tale medium di crescita è ottenuto a partire dalla soluzione madre di AR 10mM in etanolo 100%. Al termine del trattamento gli embrioni vengono lavati più volte con fish water per eliminare ogni traccia di AR, poi posti a crescere a 28,5 °C. Lo stesso stadio di sviluppo degli embrioni e le stesse condizioni sperimentali si sono utilizzate per l’incubazione degli embrioni in fish water contenente dietilamminobenzaldeide (DEAB, Sigma), un’inibitore dell’acido retinoico. La concentrazione finale di DEAB per l’incubazione è 10µM e DMSO 1:1000. Il controllo negativo si è ottenuto incubando gli embrioni in soluzione contenente DMSO 1:1000. 49 Materiali e metodi 5.13 Saggio di espressione della Luciferasi Per valutare l’azione della parte di promotore del gene prep1.2 contenente la sequenza RARE clonato all’interno del vettore p50-Luc ho utilizzato un saggio di espressione della Luciferasi. In particolare per quantificare l’azione del gene reporter Luciferasi espresso negli embrioni microiniettati con i costrutti p0-Luc, p50-Luc, p50-RARE-Luc e p50-RAREmut-Luc ho utilizzato il kit PROMEGA LUCIFERASE ASSAY SISTEM. Materiali Reporter Lysis Buffer 5X (RLB) Luciferase Assay Substrate (LAS) Luciferase Assay Buffer (LAB) Luminometro Bio-Rad Protocollo • Risospendere LAS in LAB e conservare a –80°C (ottengo cosi Luciferase Assay Reagent, LAR) • Preparare RLB 1X • Trasferire gruppi di 4 embrioni privi del corion in tubi eppendorf e lavare accuratamente con PBS. • Dopo aver eliminato il PBS aggiungere il tampone di lisi RLB • Sottoporre i campioni a congelamento per 5 minuti a –80°C • Scongelare gli embrioni e trasferirli in un nuovo tubo sterile • Vortexare brevemente • Centrifugare gli embrioni per 15 secondi a 12000g • Trasferire il surnatante contenente la Luciferasi in tubi sterili e conservarli, se non utilizzati subito, a –80°C • In cuvette sterili monouso aggiungere 100 µl di surnatante e 20 µl di tampone di reazione LAR • Misurare la luce emessa in 20 secondi I dati forniti dal luminometro sono stati normalizzati con la misurazione della luce emessa da 5 µl di una soluzione 20 pg/µl di 50 Materiali e metodi Luciferasi pura e 20 µl del nostro tampone. Ogni surnatante è stato sottoposto a due distinte misurazioni. 5.14 qRT-PCR Per valutare l’influenza dell’AR e dell’inibitore della sua sintesi DEAB sull’espressione di prep1.2 è stata utilizzata la tecnica della qRT-PCR. Per prima cosa si sono sottoposti 3 lotti di 20 embrioni a trattamento dalla tarda epibolia fino alla fine della somitogenesi a trattamento con AR e DEAB; il gruppo di controllo è stato incubato con il solo DMSO. Allo stadio di 24 ore dagli embrioni è stato estratto l’mRNA totale dal quale poi è stato retro trascritto il cDNA utilizzando random esameri. L’esperimento è stato ripetuto 3 volte. Dopo avere verificato la qualità dello stesso ed averne determinato la concentrazione i campioni di cDNA sono stati inviati al CRIBI dove è stato effettuato l’esperimento utilizzando il termociclatore 7500 Real Time PCR System (Applera) e il SYBR green per quantificare il cDNA. I primers utilizzati per l’esperimento sono i seguenti: prep1.2-For: 5’-CAGTCAGGAGGACGGTTCGTCTA-3’ prep1.2-Rev: 5’-GGATAAGGGTGACCAATGTGCTG-3’; hoxb1b-For: 5’-CCCCTAAAACAGTTAAAGTCGCCG A-3’; hoxb1b-Rev: 5’-GTGAAACTCCTTCTCAAGTTCCGT G-3’; tbx1-For: 5’-CCCTATCCCTCACCCAGCAT-3’; tbx1-Rev: 5’-TCGTCCGTCAGAAGCCACTA-3’; b-actin-For: 5’-GCCTGACGGTCAGGTCATCACCATCGG-3’; b-actin-Rev: 5’-CGCACTTCATGATGGAGTTGAAGGTGG-3’; eF1-For: 5’-GCGGTACTACTCTTCTTGATGCCC-3’; eF1-Rev: 5’-ACAGGTACAGTTCCAATACCTCCA-3’. I primers di tbx1e della b-actin sono stati disegnati basandosi sul lavoro di Zhang et al., 2006 . eF1 e la b-actina sono stati usati come controllo per confermare che le quantità e le qualità di partenza dei differenti cDNA fosserò comparabili. I livelli di espressione di prep1.2, 51 Materiali e metodi hoxb1b and tbx1 è stata normalizzata rispetto alla quantità di b-actina di eF1 presenti nei campioni. Le condizioni di amplificazione sono identiche per tutte le reazioni ad eccezione della Ta di eF1: 94°C 3min, quindi 94°C 45s, annealing a 64°C (62°C per eF1) per 45s e lo step di espensione a 72°C per 45s. 6. COLORAZIONI ISTOCHIMICHE 6.1 Ibridazione in situ La metodica dell’ibridazione in situ su embrioni in toto consente di rivelare ed analizzare l’espressione di un determinato gene usando sonde di acido ribonucleico sequenza specifiche, marcate non radioattivamente. La procedura è effettuata utilizzando tutti gli accorgimenti necessari per evitare la contaminazione da RNAsi. PRIMO GIORNO DI IBRIDAZIONE 1. Reidratazione. Gli embrioni fissati, privi del corion e conservati in metanolo a -20ºC, vengono trasferiti in una provetta pulita da 2 ml e reidratati con soluzioni concentrazione crescente di PBT e decrescente di metanolo. 2. Digestione con proteinasi K. Vengono aggiunti alla soluzione di PBT, 10 µg/ml di proteinasi K in PBS per digerire parzialmente le strutture proteiche e creare così dei fori attraverso i quali possa diffondere la sonda. Il tempo di incubazione dipende dallo stadio degli embrioni usati: • • • • • 1 ora per embrioni a 3gg; 30 minuti per embrioni a 48 hpf; 20 minuti per embrioni a 30 hpf; 15 minuti per embrioni a 24 hpf; 5 minuti per embrioni nella tarda somitogenesi (tra i 14 e i 22 52 Materiali e metodi somiti); • 1 minuto per embrioni nella prima somitogenesi; Subito dopo è necessario il fissaggio in PFA al 4% in PBS per almeno 20 minuti. 3. Preibridazione. Preibridare gli embrioni con 300-400 µl di soluzione HM per 2-5 ore alla temperatura di 65ºC. 4. Ibridazione. Rimuovere la soluzione precedente e ripristinare 200 µl di HM contenente 100-200 ng della sonda desiderata. Incubare a 65ºC O/N. La presenza di eparina e di tRNA nella miscela di ibridazione assicura che la sonda non si leghi a bersagli aspecifici. SECONDO GIORNO DI IBRIDAZIONE 1. Lavaggi. Utilizzando soluzioni preriscaldate alla temperatura di ibridazione, si deve effettuare una serie di lavaggi in modo da rimuovere tutta la sonda non legata al bersaglio specifico. Si effettuano i seguenti lavaggi: • 100% di HM (priva di tRNA ed eparina) : lavaggio rapido alla temperatura di ibridazione • 75% di HM 25% SSC 2X per 15 minuti alla temperatura di ibridazione • 50% di HM, 50% SSC 2X per 15 minuti alla temperatura di ibridazione • 25% di HM, 75% SSC 2X per 15 minuti alla temperatura di ibridazione • 100% SSC 2X per 15 minuti • 50% SSC 0.2X 50% formamide per 30 minuti alla temperatura di ibridazione (2 lavaggi) 2. Preincubazione. Attraverso una serie di passaggi a concentrazione crescente di PBT e decrescente di SSC 0.2X si riporta la soluzione al 100% di PBT. 53 Materiali e metodi • • • • 75% SSC 0.2X 25% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente 50% SSC 0.2X 50% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente. 25% SSC 0.2X 75% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente. 100% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente. Si sostituisce il PBT con una soluzione di PBT/Sheep serum/BSA e si lasciano gli embrioni per almeno 2 ore a temperatura ambiente in questa miscela. 3. Incubazione. In base a come la sonda è marcata, l’anticorpo preadsorbito utilizzato può riconoscere la digossigenina o la fluoresceina. L’anticorpo è coniugato alla fosfatasi alcalina, un enzima con proprietà cromogene se messo a contatto con il substrato appropriato. La reazione anticorpale è condotta in agitazione O/N alla temperatura di 4ºC in circa 300-400 µl di soluzione. TERZO GIORNO DI IBRIDAZIONE 1. Lavaggi. Gli embrioni vengono sottoposti ad una serie di lavaggi in PBT per rimuovere tutto l’anticorpo che non si è legato in maniera specifica alla sonda (6 lavaggi da 15 minuti a temperatura ambiente). 2. Precolorazione. Per preparare gli embrioni all’ambiente adeguato prima di fornire il substrato per la fosfatasi alcalina, sono stati eseguiti 3 lavaggi da 5 minuti utilizzando lo tampone di colorazione specifico per il substrato utilizzato per la colorazione. 3. Colorazione. Gli embrioni trasferiti in un vetrino orologio sono stati incubati al buio nella soluzione di colorazione. Il substrato utilizzato è l’NBT-BCIP che, nella reazione con la fosfatasi alcalina, forma un precipitato di colore blu. Per monitorare la reazione colorimentrica è necessario osservare gli embrioni al microscopio dissezione ogni 10-15 minuti. Se la colorazione è lenta, è possibile farla procedere più velocemente ad una temperatura di 37ºC. Gli embrioni possono, inoltre, essere conservati per una notte a 4ºC, temperatura 54 Materiali e metodi alla quale la reazione procede molto lentamente. Una volta raggiunto il livello di colorazione desiderato, la reazione viene bloccata lavando gli embrioni con la stop solution. 4. Fissaggio. Gli embrioni vengono fissati O/N con PFA al 4% a 4ºC. IBRIDAZIONE IN SITU DOPPIA La procedura per l’ibridazione doppia è uguale alla singola, fino al terzo giorno di ibridazione. Terminata la prima colorazione, gli embrioni sono lavati con PBT (3 lavaggi di 5 minuti ciascuno). Una volta effettuatisi procede con: • Rimozione (stripping) dell’anticorpo. Gli embrioni sono trattati con la soluzione di stripping (3 lavaggi per 5 minuti), per rimuovere il primo anticorpo. • Preincubazione. Seguono dei lavaggi in PBT e la preincubazione nella soluzione PBT/sheep serum/BSA. • Incubazione. Sono aggiunti 300-400 ul di soluzione contenente l’anticorpo specifico per la seconda sonda e si mette ad incubare per tutta la notte a 4°C in agitazione. Gli embrioni vengono poi sottoposti ad una serie di lavaggi in PBT per rimuovere l’eccesso di anticorpo, prima di fornire il substrato per la fosfatasi alcalina. Sono stati eseguiti 3 lavaggi da 5 minuti utilizzando lo staining buffer specifico (ad esempio, se in precedenza e’ stato usato Dig-staining buffer ora si utilizzera’ il Fluo-staining buffer). E’ consigliabile effettuare la prima rivelazione in blu e la seconda in rosso e non viceversa. Il substrato utilizzato per effettuare la colorazione in rosso e’ il FAST RED (1 tavoletta in 2 ml di buffer di colorazione; Sigma), che nella reazione colorimetrica forma un precipitato rosso. Il monitoraggio della reazione è identico a quanto descritto per la prima colorazione. 55 Materiali e metodi COLORAZIONE CELLULE MARCATE CON BIOTINA- DESTRANO Per evidenziare in mosaici quali siano le cellule provenienti dall’embrione donatore si sfrutta l’altissima affinità esistente tra la biotina-destrano iniettata nelle cellule e l’avidina. Una volta terminato l’esperimento di ibridazione in situ gli embrioni vengono sottoposti ad un semplice protocollo che prevede come per l’ibridazione in situ doppia la rimozione dell’anticorpo e la preincubazione. Effettuati questi primi due passaggi gli embrioni vengono incubati per un’ora in presenza di Avidina coniugata con una perossidasi alcalina di rafano. La colorazione dopo alcuni lavaggi per rimuovere l’eccesso di Avidina va effettuta in DAB staining buffer. Il DAB è il substrato di colorazione. La reazione è molto veloce e va monitorata con uno stereo microscopio ogni cinque minuti. Una volta terminata la colorazione gli embrioni vanno lavati in PBT e poi fissati in PFA4%. 6.2 Colorazione delle cartilagini con Blu di Alcian 1. Reidratazione. Le larve di 5 o 6 giorni conservate in metanolo 100% a -20ºC sono reidratate aumentando gradualmente la concentrazione di PBT nella soluzione finché non si raggiunge il 100% di PBT. Si eseguono poi 3 lavaggi da 5 minuti con PBT. 2. Colorazione. Si trasferiscono le larve in un nuovo tubetto eppendorf da 2 ml e si aggiunge Alcian blue solution (70% etanolo, 1% HCl, 0.1% Alcian blue) in cui le larve rimangono O/N. Successivamente le larve sono decolorate con una soluzione 3% H2O2 , 1% KOH finché gli occhi delle larve da neri diventano chiari. Quindi si esegue una graduale disidratazione aumentando via via la concentrazione di etanolo e poi si possono conservare gli embrioni in glicerolo a 4ºC. 56 Materiali e metodi 3. Osservazione. I campioni sono allestiti su vetrini in modo analogo alle ibridazioni in situ. 6.3 Immunoistochimica 1. Fissazione. La tecnica è basata sul riconscimento tra gli anticorpi e i domini proteici per cui essi sono specifici, perciò la tecnica di fissazione è leggermente diversa rispetto alle altre metodiche che non riguardano le proteine. Gli embrioni di 30 hpf sono trasferiti in tubi eppendorf da 2 ml e lavati con PBS per 3 volte, in PBS gli embrioni sono decorionati utilizzando aghi da dissezione. Il fissativo non può essere conservato a lungo e perciò è necessario prepararlo fresco mescolando le giuste dosi di soluzioni più facili da conservare: ogni volume di fissativo è costituito per 1/2 da soluzione 2x, per 1/4 da PFA al 4% in PBS, per 1/4 da PBS. La soluzione 2x necessaria per preparare il fissativo deve contenere CaCl2 0.3 mM, e saccarosio 8%. La fissazione viene effettuata tenendo gli embrioni a 4ºC e dura 16 ore. Dopo questo trattamento gli embrioni subiscono operazioni analoghe a quelle delle altre metodiche fino alla fase di conservazione in metanolo a -20ºC. 2. Lavaggi. Gli embrioni sono reidratati gradualmente con PBTx e poi si eseguono dei lavaggi con PBTx: 3 lavaggi da 10 min ed i successivi 3 da 30 min sempre mantenendo gli embrioni in agitazione sopra un piatto basculante. 3. Trattamento con anticorpo primario. Dopo i lavaggi si trasferiscono gli embrioni in eppendorf da 2 ml pulite e si aggiunge una soluzione di anticorpo monoclonale di topo: Zn-5, per l’endoderma faringeo, 1:500 in PBTx. 4. Incubazione. La prima ora di incubazione si svolge tenendo gli 57 Materiali e metodi embrioni in agitazione a RT e per le successive circa 40 ore gli embrioni sono incubati a 4ºC. Alla fine dell’incubazione si deve recuperare l’anticorpo può essere utilizzato per esperimenti successivi. Si eseguono dei lavaggi analoghi a quelli precedenti l’incubazione. 5. Trattamento con anticorpo secondario. Si trasferiscono gli embrioni in eppendorf da 2 ml pulite e si aggiunge una soluzione di anticorpo di capra anti-topo diluita 1:100 in PBTx. La prima ora di incubazione si svolge tenendo gli embrioni in agitazione a RT e per le successive 23 ore gli embrioni sono incubati a 4ºC e protetti con della carta stagnola per evitare che la luce danneggi gli anticorpi. Dopo questa incubazione l’anticorpo secondario viene recuperato. Si eseguono lavaggi analoghi a quelli precedenti le incubazioni. 6. Colorazione. Le fasi successive coincidono con quelle dell’ibridazine in situ a partire dalla preparazione del tampone di colorazione. 6.4 Acquisizione delle immagini Dopo la colorazione gli embrioni sono in PFA al 4% in PBS. Per poterli montare su vetrino devono essere trasferiti in una soluzione di glicerolo 85%. Utilizzando un microscopio a dissezione e dei piccoli aghi, si rimuove il tuorlo dagli embrioni, in modo da poterli osservare e fotografare senza che questo comprometta la qualità dell’immagine. Si dispongono dei pezzetti di scotch sovrapposti sul vetrino portaoggetti, che vengono poi incisi con una lametta per rimuoverne un quadratino e creare così una tasca in cui alloggiare l’embrione. Per embrioni allo stadio di 24 hpf e di 30 hpf sono sufficienti due o tre strati di scotch, mentre gli embrioni a 3gg necessitano di almeno 5 strati, essendo più voluminosi. Agli embrioni a 4-5gg vengono dissezionati gli occhi che impediscono l’osservazione del segnale. L’embrione è posto sul vetrino 58 Materiali e metodi portaoggetti con una goccia di glicerolo e un coprioggetto viene adagiato sopra. E ’possibile, muovendo delicatamente il coprioggetto, ruotare l’embrione per disporlo nella posizione desiderata. Le foto sono state acquisite con una fotocamera digitale DC 500 (Leica®), montata su microscopio composto Leica DMR. Le immagini sono state elaborate con il programma Adobe Photoshop CS3. 7 Tabelle 7.1 Risultati ibridazioni in situ Sonda tfap2a 24hpf sox9a 48hpf flk1 24 hpf fli1 24 hpf foxd3 10 s dlx2a 10 s dlx2a 24 hpf dlx2a 48 hpf Glu::GFP 36 hpf * Zn5 36 hpf ** pea3 24 hpf fgf3 48hpf her5 tail bud Costrutto iniettato Non iniettati MO1-prep1.1 MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.1 MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.1 Non iniettati MO1-prep1.1 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati MO1-prep1.2 Non iniettati 22 24 28 18 25 20 Fenotipo wt 22 22 25 18 25 2 Fenotipo non wt 0 2 3 0 0 18 22 22 0 29 42 37 17 31 23 32 55 62 30 19 82 97 28 42 3 17 27 23 30 55 11 30 2 82 19 0 0 34 0 4 0 2 0 51 0 40 0 78 68 68 0 112 34 38 18 24 34 6 18 88 0 32 0 20 2 18 16 23 30 16 22 27 0 1 3 trattamento N°embrioni Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water DEAB 59 Materiali e metodi aldh1a2 15 s aldh1a2 20 s aldh1a2 24 hpf hoxb1b tail bud hoxb1b 24 hpf MOprep1.2-5mis MO1-prep1.2 MOprep1.2-5mis MO1-prep1.2 MOprep1.2-5mis MO1-prep1.2 MOprep1.2-5mis MO1-prep1.2 MOprep1.2-5mis MO1-prep1.2 8 32 20 26 22 48 11 20 21 50 Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water Fish Water 8 9 20 5 22 7 11 18 21 5 0 23 0 21 0 41 0 2 0 45 Tab. 1: in tabella sono riportati i risultati delle ibridazioni in situ. In particolare per ogni sonda è indicato il numero di embrioni utilizzati, il trattamento cui sono stati sottoposti e il fenotipo osservato. * GLU::GFP indica l’utilizzo di una linea transgenica che esprime la GFP anche nell’endoderma faringeo; ** Zn5 è l’anticorpo specifico per l’endoderma faringeo usato in esperimenti di immunoistochimica. 7.2 Tabella esperimenti di recupero condrogenesi Costrutto Fenotipo Fenotipo trattamento N°embrioni iniettato wt non wt Non iniettati 22 22 0 col2a1 MO1-prep1.1 39 32 7 Fish Water 48 hpf MO1-prep1.1 78 2 76 +mRNAfli1 Tab. 2: la tabella mostra i risultati degli esperimenti in cui si è tentato di recuperare la condrogenesi nei morfanti di prep1.1 mediante l’iniezione di mRNA di fli1. Per valutare la condrogenesi si è utilizzato il marcatore col2a1 il primo marcatore specifico alterato in tali morfanti (Deflorian et al., 2004). Sonda 7.3 Tabella analisi mosaici Ospite / MO1-prep1.2 MO1-prep1.2 Cellule da donatore / / TARAM-A-mut N°embrioni Fenotipo wt 20 15 17 20 4 13 Fenotipo non wt 0 11 4 Tab. 3: la tabella mostra i risultati dell’analisi dei mosaici creati con i trapianti. Risulata evidente come il fenotipo wt delle creste (visualizzate con la sonda dlx2a) venga ripristinato una volta trapiantate cellule endodermiche negli embrioni morfanti. 60 Materiali e metodi 7.4 Tabella recupero segmentazione endodema faringeo in embroni trattati con DEAB ed iniettati con mRNAprep1.2 Marcatura fgf3 Costrutto iniettato Trattamento / mRNA prep1.2 75 ng/µl mRNA prep1.2 100 ng/µl / Zn5 mRNA prep1.2 75 ng/µl mRNA prep1.2 100 ng/µl Fish water DEAB N° embrioni 32 38 Fenotipo wt 32 1 Fenotipo non wt 0 37 DEAB 22 0 22 DEAB 29 2 27 Fish water DEAB 37 44 37 0 0 44 DEAB 25 0 25 DEAB 22 1 21 Tab. 4: in tabella sono riportati i numeri di embrioni utilizzati negli esperimenti, gli embrioni con fenotipo wt o differenti da esso. Il carattere osservato per discriminare tra wt e non wt è la segmentazione dell’endoderma faringeo 7.5 Tabella recupero segmentazione endoderma faringeo in mutanti nls dopo iniezione mRNAprep1.2 Marcatura fgf3 Costrutto iniettato Background N° embrioni Fenotipo wt Fenotipo nls / nls+/- X nls+/- 37 28 [74,7%] 9 [24,3%] mRNA prep1.2 150 ng/µl nls+/- X nls+/- 148 111 [75%] 37 [25%] Tab. 5: in tabella sono riportati i dati delle ibridazioni in situ su embrioni nls. Il 25% degli embrioni inietati con mRNAprep1.2 presentano il fenotipo nls così come accade nei controlli. Dal momento che la mutazione nls inserisce un sito di restrizione per PstI, gli embrioni iniettati con endoderma faringeo wt sono stati genotipizzati tramite PCR e analisi di restrizione per verificare che tra loro non fossero presenti mutanti omozigoti. Primer utilizzati: nls_for: 5’-TTT GCA TCT GTA AGT GTG TTG A-3’; nls_rev: 5’-TGC TTA GGT CAC AAA GTA ACC A-3’ 61 62 RISULTATI 1 Ruolo dei geni prep nei processi che portano alla formazione dello scheletro faringeo. Il fenotipo causato dall’inattivazione dei geni prep presi in considerazione evidenzia chiaramente come questi siano di fondamentale importanza negli eventi che durante l’embriogenesi di zebrafish portano alla formazione dello scheletro faringeo. Si è voluto quindi cercare di valutare il loro ruolo nella condrogenesi mediante lo studio dell’espressione, in embrioni morfanti, di fattori di trascrizione necessari per la stessa: si è scelto di utilizzare sonde che ibridassero con i trascritti di tfap2a e sox9a. In particolare è stato dimostrato che tfap2a ha un ruolo fondamentale per la sopravvivenza delle cellule delle creste neurali successivamente per (CCN) la craniali corretta in fase premigratoria regionalizzazione delle e cellule mesenchimali che originano da esse, dalle quali si forma lo scheletro faringeo, e per il loro differenziamento (Knight et al., 2003; Knight et al., 2005). sox9a invece viene espresso negli archi faringei, nel neurocranio e nelle pinne pettorali e la sua attività è necessaria per l’espressione di col2a1 nelle cartilagini in via di formazione di tali regioni ma non per l’induzione e la migrazione delle CCN (Yan et al., 2002; Yan et al., 2005 ). L’analisi di questi marcatori ha quindi permesso una valutazione di processi distinti che portano al corretto sviluppo dello scheletro facciale. Come mostrato in Fig. 13 l’espressione di tfap2a nelle CCN nei morfanti di entrambi i geni (prep1.1 e prep1.2) non risulta alterata. L’espressione di sox9a nei MOprep1.1 a 48 ore è inalterata e solo in embrioni di tre giorni è fortemente ridotta nella regione faringea mentre, in accordo con i dati ottenuti negli esperimenti precedenti, nei morfanti di prep1.2 la sua espressione scompare quasi completamente dalla regione degli archi 63 Risultati branchiali già a 48 ore. Mentre Prep1.1 sembra avere un ruolo in processi condrogenetici tardivi, Prep1.2 avrebbe un ruolo nella specificazione o nella migrazione delle CCN i cui marcatori non sono visibili posteriormente al primo degli archi branchiali in embrioni in cui la sua attività è spenta. Figura 13: condrogenesi nei morfanti dei geni prep. A-C Analisi dell’espressione del gene tfap2a a 24 ore di sviluppo. B: Embrioni iniettati con MOprep1.1 presentano difetti nella segmentazione del romboencefalo ma l’espressione nelle NCC è normale. C: L’espressione è normale anche nei morfanti di prep1.2. D-F Ibridazione in situ su embrioni selvatici e morfanti utilizzando la sonda sox9a. (E): i morfanti di prep1.1 hanno un profilo d’espressione normale mentre quelli di prep1.2 (F) non esprimono tale gene nella zona posteriore degli archi branchiali. A e B: visione dorsale; C e D visione laterale; A-D: testa a sx. (ba), regione degli archi branchiali; (h), arco ioideo; (m), arco mandibolare; (e),occhio; (ov), vescicola otica. 2 Prep1.1 controlla attraverso fli1 la condrogenesi degli archi branchiali Attraverso l’utilizzo di marcatori delle CCN, della segmentazione dell’endoderma faringeo (Deflorian et al., 2004) e della condrogenesi non si è riusciti a stabilire in quale punto le cascate geniche che conducono alla formazione dello scheletro facciale di zebrafish vengano interrotte nei morfanti di prep1.1. In un recente lavoro viene dimostrato che embrioni di topo ipomorfi per Prep1 hanno degli evidenti problemi angiogenetici specialmente nella regione della testa (Ferretti et al., 2006). Ci si è quindi chiesti se in embrioni morfanti di 64 Risultati prep1.1 la causa della mancata formazione delle cartilagini non fosse dovuta all’assente irrorazione delle stesse da parte degli archi aortici. Si è quindi scelto di verificare se e come l’espressione dei marcatori angiogenetici flk1 e fli1 (Forquet et al., 2001; Brown et al., 2000) fosse in qualche maniera alterata. Esperimenti di ibridazione in situ con flk1 evidenziano che non ci sono differenze tra embrioni MOprep1.1 alle 24 ore rispetto agli embrioni selvatici escludendo in questo modo un suo ruolo nel mancato differenziamento delle CCN (Fig. 14 A e B). Anche fli1 non mostra differenze significative tra i morfanti e gli embrioni non iniettati per quanto riguarda la vascolarizzazione, ma sempre a 24 ore sembra evidente una riduzione della marcatura a livello delle zone corrispondenti alle CCN (Fig. 14 C e D). Questo ci suggerisce che fli1 non sia causa di un processo anomalo di angiogenesi da un lato ma fanno ipotizzare che tale fattore di trascrizione sia coinvolto e responsabile della mancata condrogenesi. La co-localizzazione del segnale di fli1 e di dlx2a, in esperimenti di ibridazione in situ doppia, mostra che le cellule della zona faringea marcate da fli1 sono CCN (Fig. 14 E). Dal momento che fli1 risulta essere il primo fattore di trascrizione individuato espresso nelle CCN ad essere inattivato in embrioni morfanti di prep1.1, si è ipotizzato che la condrogenesi successiva fosse regolata da Prep1.1 proprio tramite la sua azione. Per dimostrarlo si è tentato un esperimento di recupero del fenotipo nel quale in embrioni allo stadio di una cellula è stato co-iniettato il morfolino contro prep1.1 e l’mRNA di fli1. In questi embrioni il processo condrogenetico visualizzato tramite il marker col2a1 (Yan et al., 1995) non viene però recuperato (Tab. 2); i dati comunque mostrano chiaramente l’epistasi di prep1.1 su fli1 nei pre-condrociti ma non ci permettono di dimostrare chiaramente quale sia la correlazione meccanicistica tra i loro prodotti genici durante lo sviluppo della testa. 65 Risultati Figura 14: l’iniezione del morfolino contro prep1.1 non altera l’angiogenesi: A, B: L’ibridazione in situ mostra livelli d’espressione normali di flk1 nella regione della testa di morfanti analizzati a 24 ore. C, D: l’espressione di fli1 evidentemente ridotta nella regione faringea e branchiale dei morfanti di prep1.1. E: l‘ibridazione in situ doppia mostra che le cellule esprimenti fli1 nelle zone faringea e branchiale sono NCC craniali marcate da dlx2a. A e B: visione laterale. C-E: visione dorsale. A-E: testa a sinistra. aa: primo arco aortico; acv: vena cardinale anteriore; da: aorta dorsale; ov: vescicola otica; pa1 e pa2: archi faringei; pa3+: archi branchiali. 3. Induzione e specificazione delle creste neurali nei morfanti di prep1.2 La morfologia degli embrioni iniettati con il morfolino di prep1.2 mostra dei chiari difetti nella formazione dello splancnocranio. Tale struttura deriva dalle CCN craniali. Queste sono una popolazione di cellule altamente specializzata, caratteristica dei vertebrati, che si origina al confine tra la piastra neurale e l’epidermide presuntiva. In seguito le cellule della CCN vanno incontro ad un processo di transizione epitelio–mesenchimale che conferisce l’abilità a migrare. Iniziano così a segregare dalla regione dorsale del tubo neurale lungo differenti flussi migrando ventralmente a livello delle tasche branchiali 66 Risultati da cui si originano gli archi mandibolare, ioideo e branchiali. Le cellule della cresta neurale craniale differenzieranno quindi dando origine alle cartilagini e ossa craniofacciali e ai gangli dei nervi cranici. Per valutare se difetti nell’induzione o nella specificazione di tali cellule potessero rendere conto del fenotipo osservato si è proceduto con l’analisi dell’espressione di loro geni specifici. Uno di questi, espresso durante le primissime fasi della specificazione è foxd3 (Kelsh et al., 2000). Come si può osservare in figura 2 (Fig. 15 A e B) embrioni di 10 somiti iniettati con il MOprep1.2 non mostrano particolari anomalie nel profilo d’espressione del messaggero, se confrontati con embrioni wt, suggerendo che l’induzione delle CCN non è alterata dall’assenza di Prep1. Successivamente si è analizzata l’espressione di dlx2a, membro della famiglia Distalless i cui membri codificano proteine, contenenti omeobox, importanti per la specificazione e lo sviluppo delle strutture craniche. dlx2a viene espresso in tre gruppi distinti di CCN craniali che migreranno nell’arco mandibolare (m), nell’arco ioideo (h) e nei cinque archi branchiali (b) (Akimenko et al., 1994). Dal momento che dlx2a continua ad essere espresso negli archi branchiali anche dopo la completa migrazione delle CCN la sua espressione è un ottimo marcatore per l’intero processo di formazione dello scheletro craniale ventrale. In embrioni di zebrafish knock-down per prep1.2 si può osservare a stadi precoci (10s) un’espressione di dlx2a inalterata rispetto ai controlli (Fig. 15 C e D) mentre a partire dal termine della somitogenesi in avanti risulta fortemente ridotta nel terzo gruppo (b). Il terzo gruppo di CCN migrando verso le tasche endodermiche, loro sede definitiva, dove istruite dai segnali provenienti dai tessuti circostanti si differenzieranno in condroblasti originando successivamente lo scheletro che sostiene le branchie, si suddivide in una serie di cinque sottogruppi come cinque sono gli archi branchiali. A 24 hpf si può osservare come l’espressione di dlx2a sia presente e inalterata nei gruppi che origineranno l’arco mandibolare e l’arco ioideo mentre sia fortemente ridotta se non del tutto assente nella porzione 67 Risultati posteriore del terzo gruppo in quegli embrioni in cui il gene prep1.2 è inattivato con il morfolino. Lo stesso risultato si può osservare in embrioni di due giorni di vita: anche qui l’espressione di dlx2a manca nelle arcate branchiali poteriori (Fig. 15 E-H ). Figura 15: Prep1.2 è essenziale per l’identità delle creste neurali branchiali.(A e B) L’espressione del marcatore delle creste neurali pre-migratorie foxd3 in embrioni morfanti di prep1.2 di 10 somiti è risultata confrontabile con quella degli embrioni selvatici. (C-F) A questo stadio anche l’espressione del gene dlxa2 non subisce alterazioni quando Prep1.2 è assente. Negli embrioni trattati con il MOprep1.2 l’espressione di dlx2a a 24 ore è invece fortemente ridotta nel gruppo di NCC che migreranno negli archi branchiali. (G e H) Anche a 48 ore, nei morfanti le creste neurali branchiali positive all’espressione di dlx2 sono ridotte: l’espressione è presente solo nella zona branchiale più anteriore.. Gli embrioni A e B sono in visione dorsale, gli embrioni C-H in visione laterale, in tutti gli embrioni la regione anteriore è a sinistra. (b), regione degli archi branchiali; (h), arco ioideo; (m), arco mandibolare; (e),occhio; (ov), vescicola otica. 68 Risultati Tali risultati sono in accordo con il fenotipo morfante, osservato a cinque giorni grazie alla tecnica istochimica del blu di alcian, nel quale è presente un solo arco branchiale e le sue dimensioni risultano essere molto ridotte. I risultati ottenuti mediante l’analisi di marcatori delle CCN suggeriscono che il ruolo di Prep1.2 non sia importante nelle fasi della loro induzione quanto piuttosto successivamente. Tale analisi non permette però di discriminare se gli effetti osservati siano a carico di fenomeni di proliferazione, differenziamento oppure sopravvivenza delle stesse. 4 Il mancato differenziamento delle CCN può dipendere da un difetto della segmentazione faringea Molti studi hanno indicato come le CCN si possano differenziare in condroblasti soltanto in presenza dell’endoderma faringeo correttamente segmentato. In particolare è stato dimostrato come negli anfibi l’endoderma sia il vero responsabile nel promuovere il differenziamento delle CCN craniali verso la formazione e il modellamento delle componenti cartilaginee degli archi branchiali. In zebrafish, nel mutante del gene tbx1 chiamato van gogh (vgo), che viene espresso nel mesendoderma faringeo, la segmentazione del romboencefalo avviene correttamente ma i setti delle tasche faringee non si formano e il mesoderma circostante non è correttamente regionalizzato: come conseguenza si ha che i tre gruppi di CCN provenienti dal romboencefalo, pur esprimendo l’appropriato set specifico di geni hox che conferisce loro le informazioni posizionali, si uniscono terminato il processo di migrazione, in un unico gruppo e le cartilagini dello scheletro facciale non si formano correttamente (Piotrowski e Nusselin-Volhard, 2000; Piotrowski et al., 2003). Il mesendoderma sembra dunque essere la fonte di segnali secreti necessari per lo sviluppo delle CCN della regione degli archi faringei. 69 Risultati Fig. 16. Prep1.2 è importante nel processo di segmentazione dell’endoderma faringeo. (A-D) A 36 ore, l’endoderma faringeo dei morfanti di prep1.2, rilevabile grazie all’espressione della GFP negli embrioni della linea transgenica Tg(gcga:GFP)ial (B) e alla marcatura dell’anticorpo Zn5 (D), appare segmentato solamente nella regione anteriore. In particolare, si formano solo le prime due tasche endodermiche, p1 e p2. Gli embrioni A-D sono in visione laterale e la regione anteriore è a sinistra. p1-5: tasche faringee 1-5. Anche nel mutante lazarus/pdx4, nel quale il prodotto genico alterato è un partner delle proteine Prep, non avviene la segmentazione dell’endoderma faringeo e lo scheletro facciale non si sviluppa (Popperl et al., 2000). Per questi motivi il tentativo di comprendere il ruolo embrionale di Prep1.2 è passato attraverso l’analisi della segmentazione dell’endoderma faringeo in una linea di zebrafish transgenica denominata Tg(gcga:GFP)ial. Questi pesci esprimono la proteina reporter GFP sotto il controllo del promotore del glucagone anche nell’endoderma faringeo: questo è probabilmente dovuto alla mancanza di un elemento con funzione di repressore nel frammento di 2,7 kb del promotore del glucagone utilizzato per generare la linea. Nei morfanti di prep1.2 a 36 ore non è possibile osservare le tasche faringee posteriori (p3-p5) (Fig 16 B e D). Esperimenti di immuno-istochimica utilizzando l’anticorpo anti Zn5, che è specifico per l’endoderma faringeo (Piotrowski and NussleinVolhard, 2000) hanno confermato i dati ottenuti. Ulteriori esperimenti 70 Risultati di controllo sono stati effettuati utilizzando morfanti di pbx4 e di prep1.1: come ci si aspettava la segmentazione dell’endoderma faringeo è assente nei primi e normale nei secondi (Popperl et al., 2000; Deflorian et al., 2004). Questi risultati, unitamente a quelli ottenuti con i marcatori delle CCN, hanno chiaramente dimostrato come prep1.2 giochi un ruolo decisivo nella specificazione delle CCN anche attraverso il controllo della segmentazione dell’endoderma faringeo posteriore, laddove prep1.1 sembra essere decisivo in fenomeni differenziativi. 5 Prep1.2 regola l’espressione di geni fondamentali per lo sviluppo dello scheletro faringeo posteriore Si è dimostrato come alcuni membri della famiglia degli Fgf abbiano un ruolo chiave nella formazione della testa dei vertebrati. In particolare in zebrafish l’assenza dei geni fgf3 e fgf8 determina la mancata formazione dell’intero scheletro faringeo. In pesci in cui solo fgf3, che viene espresso nella parte posteriore delle tasche branchiali in cellule confinanti con le CCN che esprimono dlx2a, sia inattivato viene bloccata la formazione dello scheletro branchiale; inoltre in tali embrioni nel terzo gruppo di CCN craniali l’espressione di dlx2a è fortemente diminuita se non del tutto assente (David et al., 2002; Walshe and Mason, 2003a e 2003b; Crump et al., 2004). Per questi motivi siamo andati a osservare se e come l’espressione di fgf3 venisse alterata negli embrioni morfanti per prep1.2. Dal momento che tali fattori di crescita regolano l’espressione di numerosi geni è stata presa in considerazione quella di uno di essi, pea3, un fattore di trascrizione regolato dalla via di segnale Fgfs-Ras-MAPK, che durante il corso dello sviluppo embrionale, a partire dalla tarda somitogenesi, viene espresso nei tessuti degli archi branchiali. Come appare evidente in figura 17 negli embrioni iniettati con il morfolino l’espressione di fgf3 scompare 71 Risultati completamente dall’endoderma faringeo posteriore; una situazione simile si verifica con pea3 la cui espressione è fortemente ridotta nella zona degli archi branchiali posteriore alla vescicola otica (Fig. 17 D). Tali risultati correlano bene con la mancata segmentazione dell’endoderma faringeo posteriore e suggeriscono un coinvolgimento di prep1.2 nella regolazione dello sviluppo cranio facciale tramite il controllo indiretto di elementi della cascata di segnale degli fgf. Fig 17: Espressione di geni della cascata degli Fgfs in embrioni iniettati con MO1prep1.2. (A-D) La mancata segmentazione dell’endoderma faringeo posteriore osservata nei morfanti di prep1.2 può essere causata dall’assenza dell’espressione di fgf3 (B) e di pea3 (D) in questa regione (barra). L’espressione di pea3 rimane inalterata nei tessuti presuntivi del primo e secondo arco faringeo (circolo). Gli embrioni A e B sono in visione laterale, C e D in visione dorsale; tutti hanno la testa rivolta verso sinistra. ep: endoderma faringeo. 6 Prep1.2 è necessario nel mesendoderma per la corretta segmentazione dell’endoderma faringeo Con l'intenzione di individuare in quali tessuti sia necessaria l'attività di Prep1.2 affinché la segmentazione di CCN e dell'endoderma faringeo abbiano luogo correttamente sono stati effettuati degli esperimenti di trapianto cellulare. 72 Risultati Fig 18: Prep1.2 agisce in modo cellulo-indipendente sulle CCN ed è necessario per la loro segmentazione. (A) L’espressione di dlxa2 in embrioni selvatici mostra che il gruppo posteriore di CCN è segmentato (teste di freccia bianche, b1 e b2). (B) In embrioni morfanti per prep1.2 l’espressione di dlxa2 è ridotta e mostra la mancata segmentazione del terzo gruppo di CCN (testa di freccia bianca, b). (C) Nei morfanti di prep1.2 trapiantati con cellule provenienti da embrioni iniettati con TARAM-A-mut marcate con biotina (teste di freccia colorate) l’espressione di dlxa2 mostra un recupero delle segmentazione del terzo gruppo di CCN (teste di freccia bianche, b1 e b2). A-C embrioni in visione laterale con la testa rivolta a sinistra. b1 e b2: terzo gruppo anteriore e posteriore delle CCN craniali; h: secondo gruppo di CCN craniali; m: primo gruppo di CCN craniali; o.v.: vescicola otica. 73 Risultati Partendo dall'ipotesi che l'attività di Prep1.2 sia indispensabile per la regionalizzazione dell'endoderma faringeo, e quindi in maniera indiretta coinvolta in quello delle CCN, il trapianto di endoderma faringeo wt in embrioni iniettati con il morpholino per prep1.2 avrebbe dovuto recuperare il fenotipo delle creste in migrazione. Negli esperimenti di trapianto cellulare si è dunque seguito essenzialmente questo procedura sperimentale: gli embrioni donatori sono stati iniettati allo stadio di 1/2 cellule con mRNA di una forma attivata di un recettore del TGF-β (TARAM-A-mut) contemporaneamente a mRNA di GFP e a biotina destrano utilizzata come tracciante cellulare (Peyriéras et al 1998). Durante la gastrulazione (allo stadio si sfera) 15-20 cellule fluorescenti sono state prelevate dagli embrioni donatori e trapiantate negli embrioni morfanti per prep1.2. I risultati sperimentali mostrano che gli embrioni trapiantati con l'endoderma indotto da TARAM-A-mut, hanno le CCN craniali segmentate (Fig. 18 C) indicando che Prep1.2 svolge un ruolo indiretto nel regolare la loro segmentazione (Tab. 3). 7 Regolazione di prep1.2 da parte dell’acido retinoico (AR) La formazione degli archi faringei richiede interazioni complesse tra i tessuti derivanti da tutti e tre i foglietti embrionali ed è mediata da tutte le principali vie di segnale. Per diversi motivi, tra i quali l’importanza dell’AR per la formazione dello scheletro faringeo e delle appendici, la somiglianza degli effetti della deplezione di prep1.2 alle anomalie fenotipiche osservate in embrioni mutanti per l’enzima retinaldeide deidrogenasi 2 (aldh1a2) si è pensato che AR e Prep1.2 fossero in qualche modo correlati. Esperimenti preliminari di ibridazione in situ sembravano dimostrare l’importanza dell’AR nel controllo dell’espressione di prep1.2. Per confermare che l’AR sia capace di aumentare la trascrizione di prep1.2 è stata effettuata 74 Risultati un’analisi qRT-PCR. I livelli di espressione sono stati testati in embrioni incubati in AR oppure nel suo inibitore DEAB e in embrioni cresciuti in acqua. Gli embrioni sono stati cresciuti fino alla tarda epibolia in fish water e a questo punto divisi in tre gruppi. Ad un gruppo è stato aggiunto AR al medium di crescita fino a raggiungere un concentrazione finale di 10-7 M; ad un altro gruppo è stato aggiunto l’inibitore della sua sintesi (DEAB) ad una concentrazione di 10-5 M. Entrambe le sostanze erano diluite in DMSO e concentrate 1000 volte rispetto alla concentrazione di utilizzo; per questo motivo al terzo gruppo di embrioni è stata aggiunta tale sostanza fino alla concentrazione di 10-3 v/v. Gli embrioni sono stati cresciuti in presenza di tali sostanze fino alle 24 ore di sviluppo. A questo punto è stato estratto l’RNA totale. L’espressione di prep1.2, hoxb1b e tbx1 è stata normalizzata rispetto a quella della β-actina e dell’ elongation factor 1 (eF1) due geni con espressione basale. Come si può vedere in Fig. 19 A l’espressione di prep1.2 è aumentata di almeno tre volte quando gli embrioni vengono sottoposti all’azione di AR esogeno e mentre non sembra subire alterazioni particolari in assenza dello stesso. Anche la quantità dell’mRNA di hoxb1b presente negli embrioni è aumentata dall’AR e diminuisce se questo viene eliminato utilizzando il DEAB; l’espressione globale di tbx1 invece si riduce in presenza di AR ma non subisce variazioni in sua assenza. Tali risultati confermano i dati ottenuti in precedenza, ovvero la capacità dell’AR di regolare positivamente l’espressione di prep1.2. 8 Identificazione del sito di legame per i recettori dell’AR nella sequenza genomica di prep1.2 Gli effetti pleiotropici dell’AR sono mediati da recettori nucleari chiamati retinoic acid receptors (RARs) e retinoic X receptors (RXRs), che sono dei fattori di trascrizione attivati da ligando. In risposta al 75 Risultati legame con l’AR questi formano degli eterodimeri che vanno incontro a cambiamenti conformazionali che li rendono capaci di orchestrare la trascrizione di differenti geni attraverso un legame con sequenze specifiche di DNA chiamate retinoic acid responsive element (RARE). Queste sequenze sono solitamente composte da due ripetizioni dirette di un motivo di sei basi nucleotidiche (PuG(G/T)TCA) separate da cinque paia di basi (Direct Repeat 5 – DR5) anche se in natura sono state riscontrate DR2 e DR1. Nel caso delle DR1 sono omodimeri RXR/RXR che si legano al DNA. Tali sequenze si possono trovare a valle o a monte del sito d’inizio della trascrizione di un gene e si parla allora di sequenze 5’RARE e 3’RARE rispettivamente (Bastien and Rochette-Egly, 2003). Il fatto che l’AR regoli la trascrizione di prep1.2 suggeriva la presenza nel suo promotore di almeno una sequenza RARE. L’analisi tramite screening informatico della regione genomica di prep1.2 presente in banca dati (clone AL672083 di 111516 bp) ha confermato la presenza di un’unica sequenza posta 1734 paia di basi a monte del ATG di prep1.2 con le caratteristiche di una sequenza RARE: AGTTCAaAGTTCA. La sequenza di questa probabile RARE ha le caratteristiche di una DR1, cui si lega un omodimero RXR/RXR. Per poter dimostrare sperimentalmente l’effettiva presenza di una RARE nella regione d’interesse e che questa funzionasse effettivamente in vivo come regolatore positivo dell’espressione di prep1.2 controllato dall’AR è stato necessario clonarla e sequenziarla. Inizialmente grazie ad una 5’-RACE, a partire da RNA totale di embrioni a vari stadi di sviluppo, è stato possibile determinare quale e dove fosse effettivamente il sito d’inizio della trascrizione di prep1.2. La sequenza ottenuta ha dimostrato come la probabile RARE identificata nel DNA genomico di prep1.2 si trovi a valle del sito d’inizio della trascrizione, all’interno del primo introne lungo 2862 paia di basi. Si tratta quindi di una 3’RARE (Fig 19 B). Di regioni regolatrici all’interno di introni è stata dimostrata ampiamente la presenza, inoltre la sequenza RARE di hoxb1b si trova in una posizione simile anche se si tratta di una DR5. A 76 Risultati questo punto utilizzando DNA genomico estratto da esemplari di zebrafish di un mese è stata clonata e successivamente sequenziata una regione di circa 500 paia di basi del primo introne di prep1.2 contenente la sequenza 3’RARE. Si è avuta così conferma che una regione RARE sia effettivamente presente nel primo introne di prep1.2. 77 Risultati Fig. 19: Il primo introne di prep1.2 contiene una sequenza RARE che contribuisce a regolarne l’espressione. (A) Il saggio di qRT-PCR mostra che l’epressione di prep1.2, se paragonata a quella di geni ad espressione basale quali b-actin e eF1, è aumentata di circa tre volte quando gli embrioni vengono incubati dalla tarda epibolia alle 24 ore di sviluppo in AR 10-7M. Il grafico mostra come l’espressione dei controlli positivi hoxb1b e tbx1 aumenti e diminuisca come atteso dopo trattamento con RA. Quando gli embrioni sono incubati con DEAB 10-5M l’espressione di prep1.2 e tbx1 rimane inalterata mentre quella di hoxb1b diminuisce. (B) Rappresentazione grafica della struttura del gene prep1.2: sono riportate le lunghezze (in n°di nucleotidi) degli esoni (rettangoli orizzontali) e degli introni (linee a “v”), la regione 3’RARE (che si trova all’interno del primo introne), il sito di inizio della trascrizione (TTS), quello di inizio (ATG) e di termine (stop) della regione codificante di prep1.2. (C) Attività della regione 3’RARE di prep1.2 in risposta all’AR. Il grafico è costruito elaborando i dati ottenuti al luminometro, relativi alla quantità di Luciferasi presente in omogenati di embrioni di zebrafish iniettati con differenti costrutti e fatti crescere in fish water o in soluzione contenente AR 10-7M. Il trattamento con AR non influenza l’attività del promotore basale (p50-Luc) mentre innalza di circa 10 volte la quantità di proteina reporter in presenza della sequenza RARE dimostrandone l’attività promotrice (p50-RARE-Luc) che viene persa quando questa è mutata (p50-RAREmut-Luc). Le barre si riferiscono ai valori medi delle deviazioni standard. 9 Analisi dell’attività in vivo della 3’RARE di prep1.2 Date le evidenze sperimentali della presenza di una 3’RARE nella sequenza di prep1.2 si è deciso di proseguire l’analisi funzionale testando in vivo l’attività di questa sequenza come sito di legame per i recettori dell’AR. Per fare ciò si è utilizzata una metodologia basata sulla possibilità di quantificare con precisione l’espressione di un gene reporter in estratti di embrioni di zebrafish. Il gene ideale per questa metodica si è rivelato quello della luciferasi (luc), il cui prodotto proteico (responsabile della luminescenza notturna delle lucciole), in presenza delle opportune condizioni è in grado di trasformare la Luciferina in Ossiluciferina, con una reazione accompagnata dal rilascio di CO2, AMP, PPi e, soprattutto, di luce. E’ proprio grazie alla possibilità di rilevare e misurare l’intensità della luce emessa durante la reazione (direttamente proporzionale alla quantità di Luciferasi presente nel mezzo) con uno strumento apposito, detto luminometro, che si può utilizzare questo gene reporter in analisi quantitative. 78 Risultati Innanzitutto, è stata sub-clonata la regione intronica di 500 paia di basi contenente la sequenza 3’-RARE di prep1.2, in un vettore di espressione con il gene luc coniugato alla sequenza basale (di 58 paia di basi) del promotore della Prolattina di trota (tPRL). E’ stato infatti dimostrato che questa breve sequenza del promotore di tPRL è sufficiente per indurre in vitro un’espressione minima, ma quantificabile, della Luciferasi ad esso coniugata (Argenton et al., 1996). Successivamente, si è iniettata una dose di circa 30 pg del vettore di espressione risultante, denominato p50-RARE-Luc, e del vettore senza l’ inserto (p50-Luc), come controllo positivo, in embrioni di zebrafish allo stadio di una cellula. Al medium di crescita di alcuni di questi embrioni è stato successivamente aggiunto dell’ AR, ad una -7 concentrazione di 10 M. Tutti gli embrioni sono stati fatti crescere fino alle 24 ore di sviluppo. Gli embrioni iniettati con p50-RARE-Luc e p50Luc sono stati raccolti in base al trattamento ricevuto e, a gruppi di 4, sono stati omogenati. La Luciferasi espressa da ogni lotto di 4 embrioni è stata misurata al luminometro. I dati ottenuti sono stati elaborati e utilizzati per tracciare un grafico (Fig. 19 C) relativo alla risposta in vivo al trattamento con AR della sequenza 3’RARE di prep1.2. Come si può osservare la quantità maggiore di Luciferasi si è avuta proprio in estratti di embrioni iniettati con il vettore p50-RARE-Luc e trattati con AR. In particolare essa è risultata, mediamente, circa 10 volte maggiore rispetto a quella degli estratti di embrioni iniettati con p50RARE-Luc ma non trattati con AR e circa 3 volte maggiore rispetto a quella di tutti gli embrioni iniettati con p50-Luc (trattati e non trattati con AR). Il valore medio relativo alla quantità di Luciferasi in questi ultimi embrioni, confrontato con quello relativo ad estratti di embrioni non iniettati, si può considerare inoltre come il valore dell’attività basale del promotore della tPRL. Ulteriori esperimenti di controllo sono stati effettuati mutagenizzando la sequenza RARE di prep1.2 in modo sito specifico in quattro posizioni. Il vettore ottenuto denominato 79 Risultati p50-RAREmut-Luc è stato iniettato in embrioni allo stadio di una cellula e alcuni di questi individui sono stati sottoposti a trattamento con AR. La Luciferasi espressa da questi embrioni è stata misurata al luminometro. I dati ottenuti in questi esperimenti sono paragonabili a quelli ottenuti iniettando p50-Luc sia negli embrioni trattati con AR che negli altri. La presenza di mutazioni puntiformi all’interno di questa sequenza quindi ne annullano la capacità di regolare l’espressione di prep1.2, validando i dati ottenuti in precedenza. Tali esperimenti dimostrano la presenza nella sequenza genomica di prep1.2 di una regione di legame per i recettori dell’ AR, che questa regione, da sola, è in grado di regolare positivamente l’espressione genica in presenza di AR in vivo e che l’espressione embrionale di Prep1.2 ne è condizionata 10 Ruolo dell’AR nella segmentazione dell’endoderma faringeo Molti studi hanno dimostrato che l’AR rappresenta anche in zebrafish un segnale fondamentale nella regolazione dello sviluppo del romboencefalo, dello scheletro faringeo, dell’estremità delle appendici e più in generale nella determinazione dell’asse antero-posteriore dei derivati di tutti e tre i foglietti embrionali. Dal momento che gli embrioni morfanti per prep1.2 mancano della segmentazione faringea e che il gene in questione è regolato positivamente dall’AR si è voluto verificare se anche lo sviluppo e la regionalizzazione dell’endoderma faringeo risentissero di alterazioni di tale via di segnale. Per questa analisi sono state utilizzate le condizione sperimentali già viste in precedenza: incubazione in DEAB dalla tarda epibolia fino alle 24 ore; risciacqui in fish water per eliminare tale molecola dal medium di crescita; sviluppo fino alle 48 ore. I risultati, ottenuti dall’analisi dei marcatori fgf3 (Fig. 20 B e C) e Zn5 dopo la deplezione dell’AR negli 80 Risultati embrioni mediante l’utilizzo dell’inibitore DEAB, mostrano una chiara correlazione tra il fenotipo di questi e quello dei morfanti. Studi successivi (Kopinke et al., 2006) hanno poi dimostrato che in effetti l’assenza di AR provoca negli embrioni la mancata regionalizzazione dell’endoderma faringeo mentre l’induzione non ne sarebbe influenzata. Anche tale dato è verificato da nostri esperimenti ed è uguale a ciò che accade nei morfanti di prep1.2: il gene her5 mostra che a stadi precoci sono presenti un numero di cellule endodermiche simili in embrioni selvatici, morfanti e trattati con DEAB (Fig. 21 A-C). Sembra dunque evidente che i fenomeni che privano tali embrioni di un endoderma faringeo correttamente segmentato siano successivi alla fase di induzione dell’endoderma. Per verificare che prep1.2 sia un target dell’AR non solo necessario ma anche sufficiente a mediare la segmentazione dell’endoderma faringeo si è provato a recuperare il fenotipo dovuto all’assenza di AR, dopo trattamento con DEAB, iniettando in embrioni allo stadio di una cellula l’mRNA di prep1.2. Nel caso la segmentazione dell’endoderma faringeo venisse ristabilita dall’iniezione si dimostrerebbe che l’AR controlla questo fenomeno attraverso la modulazione dell’espressione di prep1.2. Si è perciò deciso di procedere con esperimenti nei quali si è valutata la corretta formazione della zona faringea a 48 ore: l’mRNA di prep1.2 è stato iniettato a concentrazioni differenti (50ng/µl – 100ng/µl); gli embrioni iniettati sono stati fatti crescere in un medium contenente DEAB a partire dalla tarda epibolia fino a somitogenesi completa; a questo punto è stato rimosso l’inibitore dal medium di crescita tramite una serie di lavaggi in fish water fino ai due giorni di sviluppo. Gli embrioni sono stati a questo punto bloccati, divisi in due gruppi ed analizzati con due metodiche differenti: ibridazione in situ con la sonda fgf3 e immuno-istochimica con l’anticorpo Zn5. Putroppo il recupero del fenotipo non si è mai verificato negli embrioni considerati: solo in una minima percentuale di embrioni iniettati con il messaggero alla concentrazione più elevata si è potuto osservare un’espressione 81 Risultati parzialmente ectopica di fgf3 (Fig. 20 D). Lo stesso tentativo di recupero del fenotipo è stato fatto anche sui mutanti genetici per l’enzima responsabile della sintesi dell’AR (aldh1a) chiamati neckless (nls). Fig 20: L’assenza di Prep1.2 e di AR hanno effetti simili sulla segmentazione dell’endoderma faringeo. (A-C) L’espressione di fgf3 mostra come il knock.down di prep1.2 e l’incubazione con DEAB 10-5M porta alla mancata segmentazione dell’endoderma faringeo posteriore. (D) L’iniezione dell’mRNA di prep1.2 in embrioni che verranno poi incubati in DEAB 10-5M non recupera il fenotipo selvatico anche se è visibile espressione ectopica. A-D embrioni in visione laterale con testa a sinistra. ep2-6: tasche faringee 2-6; ov: vescicola otica. Anche in tali embrioni è stato iniettato il messaggero di prep1.2. Visti i risultati ottenuti precedentemente si è deciso di aumentare la concentrazione del messaggero iniettato a 150 ng/µl e di valutare l’eventuale recupero tramite ibridazione in situ utilizzando la sonda fgf3. Per discriminare tra embrioni con la mutazione in omozigosi e gli 82 Risultati altri tutti quelli che presentavano l’endoderma faringeo posteriore segmentato sono stati genotipizzati. Anche in questo caso l’iniezione di prep1.2 non ha portato a recupero significativo del fenotipo (Tab. 4; Tab. 5) portandoci alla conclusione che: pur essendo Prep1.2 necessario nei processi di regionalizzazione e segmentazione dell’endoderma faringeo posteriore e tramite questi per la formazione dello scheletro branchiale, esso non sia sufficiente e recuperare il fenotipo dovuto all’assenza dell’AR e non possa essere quindi considerato l’unico suo target, o per lo meno il principale, in questi eventi. Fig 21: Prep1.2 e AR non regolano l’induzione dell’endoderma. (A-C) Il numero di cellule endodermiche marcate con her5 non subisce variazioni di rilievo in embrioni iniettati con MO1-prep1.2 e trattati con DEAB 10-5M rispetto ad embrioni selvatici. A-C embrioni in visione frontale. 11 Prep1.2 regola aldh1a2 negli archi branchiali e nelle pinne pettorali Recenti sviluppi nello studio dell’embiogenesi di zebrafish hanno messo in luce come sia i membri della famiglia Pbx che il gene meis1.1, membro della famiglia Meinox cui appartiene prep1.2, abbiano la capacità di regolare l’espressione del gene aldh1a2 responsabile a livello embrionale della sintesi dell’AR (French et al., 2007). Tali risultati indicano chiaramente un ruolo di tali geni nel controllo della 83 Risultati via dell’AR. Per questo motivo si è ipotizzato che prep1.2 potesse avere un ruolo nel controllo della sintesi dell’AR e non esserne solamente un target. Fig 22: L’espressione di aldh1a2 è regolata da Prep1.2. (A-F) A partire dallo stadio di 15 somiti l’espressione di aldh1a2 in embrioni morfanti è fortemente ridotta nella zona degli archi branchiali (testa di freccia nera) se paragonata ad embrioni iniettati con il morfolino di controllo mentre rimane invariata nel tronco e negli occhi. A 24 ore di sviluppo l’espressione di aldh1a2 è persa anche negli abbozzi delle pinne pettorali (*). AF: embrioni in visione laterale con la testa verso sinistra. p.b.a: archi branchiali presuntivi; p.f.b.: abbozzi delle pinne pettorali. Un semplice esperimento per verificare la veridicità dell’ipotesi è stato quello di valutare, a diversi stadi di sviluppo, i livelli di espressione tramite in situ del gene aldh1a2 in embrioni morfanti per prep1.2 paragonandoli ad embrioni iniettati con un morfolino di controllo. Come mostrato in Fig. 22 l’assenza di Prep1.2 causa evidenti alterazioni nel profilo d’espressione di aldh1a2. A partire dallo stadio 84 Risultati di 15 somiti è visibile una forte riduzione della marcatura nella zona dell’embrione da cui origineranno gli archi branchiali. Con il proseguire dello sviluppo la riduzione dell’espressione in questa zona si fa via via più accentuata fino a scomparire quasi del tutto alle 24 ore: a questo stadio la trascrizione dell’mRNA di aldh1a2 è quasi del tutto assente anche negli abbozzi delle pinne pettorali. In tutti gli stadi analizzati l’espressione di aldh1a2 è tuttavia presente ed inalterata nel tronco e negli occhi. Questi esperimenti dimostrano che prep1.2 è richiesto per la normale espressione di aldh1a2 nei tessuti coinvolti nello sviluppo degli archi branchiali e delle pinne pettorali. Anche in questo caso abbiamo tentato di recupero del fenotipo morfante: embrioni iniettati con MOprep1.2 sono stati incubati in soluzioni contenenti RA a differenti concentrazioni (10-7M e 10-8M); l’incubazione è stata fatta in due finestre temporali differenti (dalle 4 alle 10 ore e dalle 16 alle 30). Dopo una serie di lavaggi per eliminare l’AR gli embrioni sono stati fatti crescere fino alle 48 ore. A questo punto si è valutata la segmentazione dell’endoderma faringeo tramite esperimenti di immuno-istochimica che però non hanno dato i risultati: non si è mai avuto un recupero del fenotipo. Per verificare se profili anormali d’espressione genica, la mancata regionalizzazione e segmentazione della zona branchiale posteriore nei morfanti di prep1.2 siano dovuti all’alterazione della via di segnale che coinvolge AR e geni hox abbiamo analizzato il profilo d’espressione del gene hoxb1b: è stato dimostrato che l’espressione di hoxb1b sia regolata dall’AR (ref) e che il suo prodotto genico sia in grado di interagire con dimeri Pbx/Meis (ref). In zebrafish è noto venga espresso, oltre al romboencefalo e al midollo spinale, a partire dalla somitogenesi in una regione identificabile con quella del mesendoderma faringeo posteriore e che la sua espressione ectopica provoca uno sviluppo anomalo dell’arco mandibolare fenocopiando gli effetti di un eccesso di AR (Alexandre et al., 1996). Più lavori hanno dimostrato, inoltre, come hoxB1 di topo sia coinvolto nello sviluppo del terzo e quarto arco faringeo e abbia una notevole 85 Risultati importanza nella specificazione delle creste neurali craniali che discendono da r4 e r6. Come si può osservare nella Fig. 23, in embrioni allo stadio “tailbud” (circa 10 ore di sviluppo), trattati con il MO, l’ espressione del messaggero di hoxb1b è risultata paragonabile a quella degli embrioni selvatici. In embrioni morfanti di 24 ore invece, l’espressione di hoxb1b, pur rimanendo intensa nel midollo spinale, negli archi branchiali è solo accennata. I dati ottenuti indicano come Prep1.2 entri in gioco nei complessi meccanismi di regionalizzazione e segmentazione delle arcate branchiali e delle pinne pettorali regolati dalla via di segnale dell’AR; che abbia un ruolo nel regolarne la produzione influenzando di conseguenza l’attività di geni hox suoi diretti target. Ci indicano inoltre che abbia ruoli indipendenti dall’AR poiché la presenza ectopica di quest’ultimo non è in grado di recuperare il fenotipo causato dall’assenza di Prep1.2. Figura 23: prep1.2 è importante per il mantenimento dei livelli di hoxb1b negli archi branchiali. (A-B) L’espressione di hoxb1b in morfanti di prep1.2 allo stadio di tail bud è confrontabile con quella di embrioni selvatici. (C-D) Procedendo con lo sviluppo embrionale, però, si osserva come l’espressione di hoxb1b negli archi branchiali presuntivi (p.b.a.), ma non nel midollo spinale, negli embrioni di 24 ore scompaia quasi completamente. Gli embrioni A e B sono in visione frontale, gli embrioni C e D in visione dorsale con la regione anteriore a sinistra. ov: vescicola otica; p.b.a.: archi branchiali presuntivi. 86 DISCUSSIONE Nel presente lavoro si sono descritti gli effetti dell’inattivazione mirata, mediante l’utilizzo di nucleotidi antisenso morfolino, dei geni prep durante l’embriogenesi di Danio rerio con l’intenzione di valutarne funzione e regolazione. Tali geni sono membri della famiglia Meinox dei vertebrati, omologhi di hth di Drosophila melanogaster, importanti cofattori trascrizionali di geni Hox, appartenenti alla superfamiglia TALE. L’analisi comparativa dei ruoli specifici di prep1.1 e del suo paralogo prep1.2 ha permesso di studiare un modello animale nel quale i meccanismi dello sviluppo embrionale si sono evoluti dopo una duplicazione del genoma. Tale evento evolutivo, avvenuto nei teleosti circa 250 milioni di anni fa, rende lo zebrafish un interessante modello per lo studio di geni con funzioni pleiotropiche (Ohno, 1999; Holland et al., 1994: Force et al., 1999; Postlehwait et al., 2004). L’analisi bioinformatica delle sequenze delle proteine ha sottolineato come l’omeodominio e le sequenze specifiche HR1 e HR2 siano estremamente conservate, mettendo in luce al contempo una sostanziale differenza tra le due regioni N-terminali. Tale caratteristica potrebbe aver reso possibile la loro sub-funzionalizzazione durante l’embriogenesi. Esperimenti di ibridazione in-situ, utilizzando sonde antisenso specifiche contro le loro sequenze codificanti, mostrano come anche la regolazione della loro espressione sia differente. L’mRNA di prep1.1 è espresso in maniera ubiquitaria e omogenea dai primi stadi di sviluppo fino alle 48 hpf (Deflorian et al, 2004); l’mRNA di prep1.2 invece, pur rimanendo espresso in maniera ubiquitaria sino alla somitogenesi, da questo momento in poi si concentra nella testa e nella regione da cui origineranno gli archi branchiali. In altre parole, durante l’embriogenesi, entrambi i geni sono espressi in tutti i tessuti e negli stessi organi, ma l’mRNA di prep1.2 si concentra in alcuni tipi cellulari in tempi e modi peculiari. 87 Discussione Il fenotipo macroscopico dei morfanti di prep1.2 evidenzia a quattro cinque giorni alcuni difetti morfologici quali la mancanza di parte del tessuto branchiale e l’assenza o la malformazione delle pinne pettorali; sono inoltre presenti evidenti difetti all’organizzazione della mandibola. La colorazione delle cartilagini con metodi istochimici mostra come la prima cartilagine faringea abbia forma e dimensioni sostanzialmente inalterate mentre la seconda sia evidentemente ridotta e malformata rispetto agli embrioni selvatici. Nei morfanti le cartilagini branchiali, ad eccezione della prima, della quale rimane un piccolo abbozzo, sono invece assenti. Tali difetti si sovrappongono solo parzialmente a quelli osservati nei morfanti di prep1.1: in tali embrioni si osserva infatti la completa assenza di condrogenesi nello splancnocranio (Deflorian et al., 2004). I difetti di prep1.2 sono tuttavia molto simili a quelli descritti nei mutanti del gene pbx4, lazarus (lzr) (Popperl et al., 2000), in embrioni mutanti per il gene codificante l’enzima responsabile della sintesi dell’AR , aldh1a2, chiamati no-fin (nof) e neckless (nls) (Grandel et al., 2002; Linville et al., 2004) e negli embrioni trattati con DEAB (Kopinke et al., 2006). Questi dati sono la prima forte evidenza che Prep1.2 possa giocare un ruolo rilevante e distinto da quello di Prep1.1 nella specificazione e/o nella morfogenesi della zona faringea, probabilmente influenzando in questa zona la cascata di segnale dell’AR. Per queste ragioni si è deciso di indagare le basi genetiche e funzionali dei differenti ruoli dei geni prep durante lo sviluppo. Dati di letteratura indicano come nello sviluppo degli archi faringei siano coinvolti tutte le principali vie di segnale (BMP, FGFs, Wnt, RA) con ruoli distinti ma interconnessi: l’induzione, la regionalizzazione e la corretta segmentazione di tutti i derivati dei tre foglietti embrionali sono infatti eventi indispensabili per il corretto sviluppo dello scheletro faringeo e branchiale così come lo sono la specificazione e la condrogenesi delle NCC. I nostri risultati indicano che il knock-down di 88 Discussione prep1.2 altera la condrogenesi degli archi branchiali posteriori, mentre quello di prep1.1 la inibisce completamente (Deflorian et al., 2004); in questo secondo caso però l’espressione di marcatori condrogenetici specifici (tfap2a, sox9a) è inalterata nelle NCC fino alle 48 ore di sviluppo. Sorprendentemente si è scoperto che il marcatore endoteliale fli1, che gioca un ruolo essenziale nei processi angiogenetici tra le 24 e le 48 ore, finestra temporale nella quale è espresso anche nelle CCN craniali, è down-regolato in queste nei morfanti di prep1.1. L’iniezione contemporanea dell’mRNA di fli1 e del morfolino contro prep1.1 non recupera tuttavia i processi condrogenetici: non è quindi possibile dimostrare la presenza nella condrogenesi della testa di una relazione epistatica tra Prep1.1 e Fli1, che risulata comunque il primo fattore di trascrizione individuato con espressione alterata nella NCC dei morfanti di prep1.1. Recenti studi hanno dimostrato che la mancanza di AR a partire dalla gastrulazione causa la mancata specificazione dei rombomeri posteriori e la perdita delle NCC della regione post-otica (Maden et al., 1996; Galvas and Krumlauf,2000; Begemann et al., 2004; Linville et al.,2004; Maves and Kimmel, 2005); quando invece la sintesi dell’AR è inibita durante la somitogenesi il romboencefalo si segmenta correttamente, le NCC del terzo gruppo migrano correttamente nella regione faringea ma l’endoderma di tale regione non si forma (Kopinke et al., 2006). Nel lavoro viene dimostrato il coinvolgimento di prep1.2 nella via di segnale mediata dall’AR. Considerando la mancata segmentazione dell’endoderma faringeo nei mutanti di topo e zebrafish dei geni pbx (Popperl et al., 2000; Manley et al., 2004), abbiamo dimostrato che Prep1.2, probabilmente in associazione con le proteine Pbx, ha un ruolo fondamentale nella regionalizzazione 89 dell’endoderma faringeo Discussione posteriore: i morfanti di prep1.2 non possiedono infatti le tasche endodermiche posteriori alla seconda. Il knock-down di fgf3, che viene espresso nell’endoderma faringeo, causa una riduzione dell’espressione di dlx2a nelle NCC del terzo gruppo e successivamente la mancata formazione dello scheletro branchiale: effetti simili se non del tutto identici a quanto osservato nei morfanti di prep1.2. L’analisi dell’espressione di dlx2a nei morfanti di prep1.2 mostra come le NCC vengono correttamente indotte; successivamente, durante e dopo la loro migrazione, l’espressione di dlx2a scompare dalle parte posteriore del terzo gruppo. La similitudine dei fenotipi ci ha indotto a valutare l’espressione di fgf3 nei morfanti di prep1.2 comparandola poi con quella di embrioni trattati con AR. I dati evidenziano come in entrambi i casi fgf3 venga espresso soltanto nelle tasche endodermiche anteriori. Questi risultati ci permettono di ipotizzare che la scomparsa di segnali induttivi provenienti dall’endoderma faccia in modo che non venga mantenuta l’espressione di geni importanti per la condrogenesi rendendo in questo modo impossibile la formazione dello scheletro facciale. Che prep1.2 abbia un ruolo importante ma indiretto per il corretto differenziamento delle NCC risulta evidente dagli esperimenti di trapianto cellulare effettuati. Embrioni iniettati con il morfolino di prep1.2 nei quali vengono trapiantate, durante i primi stadi dell’epibolia, cellule dell’endoderma provenienti da embrioni selvatici mostrano un recupero della segmentazione del terzo gruppo di NCC. Anche se non è stato possibile ristabilire il fenotipo selvatico delle cartilagini a 5 giorni possiamo comunque affermare che Prep1.2 agisce in modo celluloindipendente nelle NCC che in questi embrioni chimera sono comunque morfanti. La dipendenza dell’espressione di prep1.2 dall’AR è stata dimostrata tramite studi funzionali. Una qRT-PCR ha mostrato direttamente come 90 Discussione la presenza di AR aumenti in vivo l’espressione di prep1.2. Il blocco della sintesi dell’AR tramite l’utilizzo di DEAB non sembra invece influenzare la quantità di mRNA di prep1.2 presente negli embrioni. Questo è facilmente spiegabile osservandone il profilo di espressione. prep1.2 viene infatti espresso in maniera ubiquitaria nell’embrione ma è soprattutto concentrato in zone in cui l’AR non viene normalmente prodotto. L’assenza di AR influenza l’espressione di prep1.2 solo laddove normalmente questo morfogeno agisce come ad esempio nella zona degli archi branchiali: l’espressione totale non sarà quindi influenzata in modo rilevante. Al contrario l’aggiunta di AR al medium di crescita influenza l’espressione di prep1.2 in tutto l’embrione dando come risultato un suo globale aumento. Lo stesso ragionamento può essere fatto per tbx1 tenendo però presente il ruolo inibitorio che ha l’AR in questo caso. La presenza nel promotore di hoxb1b di una sequenza in grado di rispondere all’AR (Mc Clintock et al., 2002) e il suo profilo d’espressione, concentrato lungo il midollo spinale, in prossimità delle zone di maggior produzione dell’AR spiega come questa sia influenzato positivamente o negativamente da AR e DEAB. La presenza di una sequenza RARE nel primo introne di prep1.2 rende conto della capacità dell’AR di influenzarne direttamente la trascrizione. La sequenza RARE è stata individuata studiando con metodi bioinformatici la regione promotrice di prep1.2; la sua clonazione ci ha permesso di utilizzare tale sequenza regolatrice per studi in vivo. Plasmidi contenenti un promotore basale e la sequenza RARE, originale oppure una mutagenizzata, a monte della sequenza codificante di un gene reporter sono stati iniettati in embrioni sottoposti poi a trattamento con AR: la risposta positiva della sola RARE selvatica e ha dimostrato la sua funzione di enancher. In questo lavoro si è anche dimostrato che Prep1.2 è capace di regolare l’espressione di aldh1a2 nella zona branchiale e negli abbozzi delle pinne pettorali. A partire dalla somitogenesi, proprio quando l’AR 91 Discussione è fondamentale per la corretta formazione dell’endoderma faringeo l’espressione di aldh1a2 decresce marcatamente nei tessuti da cui origineranno gli archi branchiali nei morfanti. In questi embrioni alle 24 ore sarà quasi del tutto assente anche negli abbozzi delle pinne pettorali. L’espressione rimane invece paragonabile a quella selvatica, durante tutto lo sviluppo, nella zona del tronco e negli occhi. Sembra dunque plausibile che la sintesi di AR e la contemporanea presenza di Prep1.2 negli archi branchiali e nelle pinne pettorali siano indispensabili per la loro formazione. I tentativi di recuperare la segmentazione dell’endoderma faringeo iniettando mRNA di prep1.2 nei mutanti nls e in embrioni selvatici trattati con DEAB mostrano tuttavia che Prep1.2 non è sufficiente a mediare tutte le funzioni dell’AR nella zona branchiale. Allo stesso modo l’aggiunta di AR al medium di crescita di embrioni morfanti non ristabilisce la corretta formazione dell’endoderma faringeo. Questo indica che Prep1.2 svolge anche funzioni indipendenti dalla regolazione dell’AR e dalla sua presenza: il ruolo di co-fattore dei geni Pbx e Hox necessari anch’essi per il corretto sviluppo di tale regione ne sono un esempio. Nel modello che proponiamo per spiegare le complesse interazioni molecolari e tissutali che portano alla formazione dello scheletro faringeo e branchiale di Danio rerio il gene prep1.1 ed il suo paralogo prep1.2 agiscono regolando diversi processi. Prep1.1 è indispensabile per la formazione delle strutture cartilaginee della testa attraverso il controllo diretto della condrogenesi; la sua assenza non altera la segmentazione dell’endoderma faringeo e delle NCC che migrano correttamente tra le tasche endodermiche ma che poi non si differenziano (Deflorian et al., 2004). Prep1.2 non regola l’espressione di geni responsabili della condrogenesi ma facendo parte con l’AR di loop auto regolativo contribuisce a regolarne la produzione nella zona branchiale. La scomparsa in questa zona dell’AR a partire dalla somitogenesi determina la mancata regionalizzazione e segmentazione 92 Discussione dell’endoderma faringeo posteriore. Ciò coincide con la mancata produzione di segnali diffusibili normalmente rilasciati da questo tessuto quali fgf3 necessario per il mantenimento dell’espressione di geni caratteristici delle NCC e necessari per il loro differenziamento quali dlx2a. In assenza di AR anche l’espressione di hoxb1b, il cui omologo in topo è necessario per la formazione delle arcate branchiali posteriori, non viene mantenuta. Fig. 24: in figura è riportato il modello di azione dei geni prep1 nella zona branchiale. L’azione di prep1.1 coinvolge direttamente i processi di condrogenesi delle CCN una volta che queste siano migrate tra le tasche dell’endoderma faringeo dopo l’avvenuta regionalizzazione segmentazione della zona. Prep1.2 fa invece parte di un meccanismo retroazione positiva in cui è coinvolta anche la sintesi di AR da parte dell’enzima aldh1a2. La sua funzione è necessaria per la regionalizzazione dell’endoderma faringeo posteriore e la conseguente formazione degli archi branchiali. I risultati ottenuti oltre ad essere la prima dimostrazione in vivo dell’interazione tra proteine Meinox ed AR dimostrano una forte specializzazione funzionale dei geni prep di zebrafish durante lo sviluppo dello scheletro 93 cranio facciale. 94 BIBLIOGRAFIA Abu-Shaar, M., Ryoo, H. D. and Mann, R. S. (1999). Control of the nuclear localization of Extradenticle by competing nuclear import and export signals. Genes Dev 13, 935-45. Akimenko, M. A., Ekker, M., Wegner, J., Lin, W. and Westerfield, M. (1994). Combinatorial expression of three zebrafish genes related to distal-less: part of a homeobox gene code for the head. J Neurosci 14, 3475-86. 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