Documento PDF - Padua@Research

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UNIVERSITA
TA' DEGLI STUDI DII PA
PADOVA
Dipa
ipartimento di BIOLOGIA
SCUOLA DI DOT
OTTORATO DI RICERCA IN : Bioscienze
B
INDIRIZZO: Genet
netica e Biologia Molecolare dell
ello Sviluppo
CICLO: XXI
RUOLO DEI GENI
NI prep NELLA FORMAZION
IONE DELLO
SCHELETR
TRO FACCIALE DI Danio rerio
re
Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Tullio POZZAN
Supervisore: Ch.mo Prof.
rof. Francesco ARGENTON
Dottorando: Enrico
E
VACCARI
31 gennaio 200
SOMMARIO
In questo lavoro è stata analizzata la funzione nella formazione dello
scheletro facciale dei geni prep1.1 e prep1.2 di Danio rerio. I geni prep
codificano per omeoproteine facenti parte della famiglia Meinox una
classe delle proteine TALE (Three Amino acid Loop Extension). Le
proteine Meinox in associazione con le proteine della famiglia Pbx, oltre
ad essere i principali partner delle proteine Hox, possiedono numerose
altre funzioni. La presenza di due proteine prep1 in zebrafish, dovuta alla
duplicazione del suo genoma, ha reso possibile lo studio delle loro funzioni
embrionali in un modello meno affetto da pleiotropia vista la parziale
ridondanza
funzionale
dei
geni
paraloghi.
Attraverso
metodiche
genetiche, molecolari ed istochimiche si è riusciti a stabilire che i due geni
controllano la formazione dello scheletro facciale in modi differenti.
Mentre prep1.1 è necessario per il differenziamento delle cellule delle
creste neurali craniali in condrociti, prep1.2 regola il differenziamento
delle CCN in maniera cellulo indipendente attraverso il controllo della
segmentazione dell’endoderma faringeo. Usando il gene reporter della
luciferasi e qRT-PCR abbiamo dimostrato che i livelli trascrizionali di
prep1.2 sono regolati positivamente dall’AR attraverso una regione 3’RARE (Retinoic Acid Responsive Element) presente all’interno del suo
primo introne. Abbiamo inoltre evidenziato la capacità di Prep1.2 di
controllare la sintesi dell’AR attraverso il controllo dell’espressione
dell’enzima responsabile della sua sintesi entrando così a far parte di un
loop auto regolativo. I risultati ottenuti oltre ad essere la prima
dimostrazione in vivo dell’interazione tra geni Meinox ed AR dimostrano
una forte specializzazione funzionale dei geni prep di zebrafish durante lo
sviluppo
dello
scheletro
cranio
facciale.
ABSTRACT
The aim of the present work was the determination of the role of
prep1.1 and prep 1.2 genes in the craniofacial skeleton development of
Danio rerio. Prep genes encode homeoproteins belonging to the family
of Meinox, a subclass of TALE proteins (Three Amino acid Loop
Extension). Meinox proteins associate with members of the Pbx protein
family to constitute the major partner of Hox proteins: in turn, the
trimeric complex Meinox-Pbx –Hox binds to specific target genes. Due
to the teleost genome duplication, zebrafish has two prep1 proteins.
Indeed, considering the partial redundant function of paralogue genes,
zebrafish constitute a good model to study genes with embryological
pleiotropic effect. Thanks to a combined genetic, molecular and
hystochemical approach we elucidated a different role of prep1.1 and
prep1.2 in ruling the constitution of the craniofacial skeleton. As
prep1.1 is fundamental to the differentiation of the neural crest cells
(NCC) in chondrocytes, prep1.2 regulates the differentiation of the
NCC
in a non cell-autonomous way through the control of the
pharyngeal endoderm segmentation. Employing the luciferase reporter
gene
and qRT-PCR we were able to highlight in vivo that prep1.2
transcription is positively regulated by RA (Retinoic Acid) by means of
a 3’ -RARE (RA- Responsive Element) located in the first intron.
Furthermore we stressed the ability of Prep1.2 to control the RA
synthesis , directly regulating the expression of the enzyme responsible
of its own production and establishing an autoregulative loop. Our
results demonstrate the in vivo interaction among Meinox genes and
RA. Moreover
we have been able to provide clear evidence of the
functional specialization of
development.
prep1 genes in zebrafish craniofacial
INDICE
INTRODUZIONE
1
1 Aspetti generali
3
2 Effetti dell’acido retinoico sullo sviluppo embrionale
5
3 Le omeoproteine
7
4 I geni Hox
8
5 Le omeoproteine TALE
11
6 I geni prep
14
6.1 Prep1.1
15
6.2 Prep1.2
18
7 Il “morpholino”
21
ABBREVIAZIONI
23
MATERIALI E METODI
25
1 Soluzioni utilizzate
25
2 Organismo modello
26
2.1 Linee utilizzate
27
2.2 Mantenimento e riproduzione
28
3 Microiniezione
29
3.1 Raccolta e microiniezione delle uova
30
3.2 Preparazione delle soluzioni da microiniettare
32
4 Trapianti cellulari e analisi di mosaici
33
5 Tecniche di biologia molecolare
36
5.1 Estrazione degli acidi nucleici
36
5.2 Reazione a catena della polimerasi (PCR)
37
5.3 PCR per introduzione di mutazioni sito-specifiche
37
5.4 RT-PCR
41
5.5 RACE
41
5.6 Elettroforesi in gel di agarosio
42
5.7 Purificazione degli acidi nucleici
43
5.8 Quantificazione degli acidi nucleici
43
5.9 Clonaggio in vettori d’espressione
44
5.10 Sequenziamento
47
5.11 Sintesi di RNA in vitro
48
5.12 Trattamento degli embrioni con Acido Retinoico (AR) e
DEAB
49
5.13 Saggio di espressione della Luciferasi
50
5.14 qRT-PCR
51
6. Colorazioni istochimiche
52
6.1 Ibridazione in situ
52
6.2 Colorazione delle cartilagini con Blu di Alcian
56
6.3 Immunoistochimica
57
6.4 Acquisizione delle immagini
58
7 Tabelle
59
RISULTATI
61
1 Ruolo dei geni prep nei processi che portano alla
formazione dello scheletro faringeo
61
2 Prep1.1 controlla attraverso fli1 la condrogenesi degli archi
branchiali
64
3. Induzione e specificazione delle creste neurali nei morfanti
di prep1.2
66
4 Il mancato differenziamento delle CCN può dipendere da
un difetto della segmentazione faringea
69
5 Prep1.2 regola l’espressione di geni fondamentali per lo
sviluppo dello scheletro faringeo posteriore
71
6. 6 Prep1.2 è necessario nel mesendoderma per la corretta
segmentazione dell’endoderma faringeo
72
7 Regolazione di prep1.2 da parte dell’acido retinoico (AR)
74
8 Identificazione del sito di legame per i recettori dell’AR
nella sequenza genomica di prep1.2
75
9 Analisi dell’attività in vivo della 3’RARE di prep1.2
78
10
Ruolo dell’AR nella
faringeo
segmentazione
dell’endoderma
80
11 Prep1.2 regola aldh1a2 negli archi branchiali e nelle
pinne pettorali
83
DISCUSSIONE
87
BIBLIOGRAFIA
95
INTRODUZIONE
1 Aspetti generali
Durante il cammino evolutivo degli animali la segmentazione si è
mantenuta come uno degli eventi principali nella determinazione della
forma, della polarità e della funzione delle diverse parti del corpo, ed è
regolata nel tempo da meccanismi generati dall’interazione di svariati
fattori di trascrizione. La differente combinazione dell’espressione di
tali geni nei vari segmenti lungo l’asse antero-posteriore (A/P) ha un
ruolo fondamentale in questo processo.
I vertebrati possiedono uno schema corporeo segmentale che appare
evidente soprattutto nel tronco e nella coda, dove fin dalle prime fasi
dello sviluppo, il mesoderma dorsale si suddivide nei somiti, precursori
metamerici di vertebre e muscoli. Tuttavia, durante lo sviluppo
embrionale precoce, anche la testa, apparentemente priva di
segmentazione, evidenzia una metameria che interessa strutture
derivanti da tutti e tre i foglietti embrionali. Il cervello, che si origina
dalla parte anteriore del tubo neurale, ad un certo punto dello sviluppo
embrionale, si suddivide lungo l’asse antero-posteriore in tre regioni
distinte, caratterizzate ognuna da una precisa identità anatomofunzionale: prosencefalo, mesencefalo e romboencefalo. Uno degli
esempi più studiati per capire come si generano e si susseguono nel
tempo gli eventi alla base della segmentazione nei vertebrati è proprio
il romboencefalo, la regione posteriore del cervello embrionale, che darà
luogo nell’adulto al bulbo e al midollo allungato. A partire da una fase
ben precisa dello sviluppo precoce, infatti, si può osservare che il
romboencefalo dei vertebrati è suddiviso in regioni distinte
morfologicamente chiamate rombomeri. Un altro esempio è
rappresentato dalle radici ventrali dei nervi spinali: queste accolgono le
fibre motrici somatiche ed innervano a loro volta i muscoli somatici i
quali si sviluppano dai miotomi dei somiti, che sono strutture
metameriche. Nel capo, come nel tronco e nella coda, le fibre motrici
somatiche sono connesse con i miotomi, inoltre tre piccoli somiti preotici danno origine ai muscoli estrinseci dell’ occhio e ciascuno ha il
proprio nervo, rispettivamente il III, il IV ed il VI. I somiti posteriori
1
Introduzione
del capo formano i muscoli ipobranchiali nei pesci e la muscolatura
della lingua nei tetrapodi e sono innervati dai nervi spino-occipitali e
nei tetrapodi dall’ ipoglosso (XII), loro omologo; tutti questi sono
costituiti esclusivamente da fibre somato-motorie. La disposizione
segmentale viene così mantenuta. Lo sviluppo dell’orecchio interno
pone tuttavia un problema: questo, infatti, occupa lo spazio che di
norma dovrebbe contenere alcuni dei somiti anteriori, e perciò la
sequenza dei somiti viene interrotta. I nervi formati dalle radici
dorsali, o branchiali, costituiscono una serie che però non è connessa ai
miotomi o ad altre strutture somitiche, ma a elementi viscerali, sia
scheletrici che muscolari, associati alle branchie. Perciò il trigemino (V)
è il nervo dell’ arco mandibolare, il facciale (VII) dello ioideo, il
glossofaringeo (IX) innerva il primo arco branchiale, mentre gli altri
quattro archi branchiali sono innervati ciascuno da una branca del
nervo vago (X). Si può quindi ipotizzare che ci sia un unico schema
corporeo al quale obbediscono miotomi, nervi cranici, archi viscerali e
tasche branchiali. In questo contesto si inserisce una classe di cellule
che, durante le varie fasi dello sviluppo, ha la capacità di migrare e di
dare origine a strutture differenti: le cellule delle creste neurali. Si
tratta di cellule pluripotenti che, esclusivamente nella testa, danno
origine a tessuti quali cartilagini e ossa, che altrove derivano dal
mesoderma. Si può addirittura affermare che la “faccia” è in gran parte
il risultato finale del differenziamento delle cellule delle creste neurali
cefaliche. In particolare, la mandibola, i denti, le cartilagini della faccia
e alcune cartilagini del cranio dipendono dalla localizzazione e dal
successivo differenziamento di queste. Negli embrioni di vertebrato le
creste neurali della testa si originano a livello del mesencefalo e del
romboencefalo in via di formazione e da qui migrano attraverso tre vie
principali. (Fig. 1).
Nella prima di queste vie le cellule, che derivano dal mesencefalo e
dai primi due rombomeri, migrano all’ arco mandibolare e originano
anche il ganglio del trigemino. Nella seconda via le cellule, che
derivano dal quarto rombomero, migrano nell’ arco ioideo e oltre alle
cartilagini di questo arco generano i gangli del facciale (VII) e dello
stato-acustico (VIII). Nella terza via le cellule delle creste neurali, che
derivano dal sesto rombomero, migrano negli archi branchiali dove
danno origine alle cartilagini branchiali, ad alcune ghiandole (timo,
2
Introduzione
tiroide e paratiroide) e ai gangli del glossofaringeo e del vago. La
maggior parte delle cellule delle creste neurali che si originano dai
rombomeri 3 e 5 va incontro a morte per apoptosi, mentre le cellule
rimanenti si uniscono al gruppo di cellule migranti più vicino. Come si
può osservare in Fig. 1, questo processo avviene in maniera pressoché
identica anche nei pesci, come negli altri vertebrati. Nei mammiferi gli
archi viscerali permangono e le creste neurali ad essi associate danno
luogo agli ossicini dell’ orecchio medio (martello, incudine e staffa), allo
ioide e alle cartilagini della laringe.
Fig.
1:
Rappresentazione
schematica
della
relazione
esistente fra segmentazione del
romboencefalo, migrazione delle
creste
neurali
ed
elementi
scheletrici degli archi faringei
(basata su studi eseguiti nei
pesci). Le creste neurali craniali si
originano dal mesencefalo e dai
rombomeri e, successivamente,
migrano negli archi faringei
formando tre gruppi distinti di
cellule. Il colore delle componenti
scheletriche si riferisce alle creste
neurali (A) che le hanno generate.
r1-r8: rombomeri 1-8; p1-p7: archi
faringei
1-7
(modificata
da
Piotrowski e Nüsslein-Volhard,
2000).
Una caratteristica conservata negli embrioni di tutti i vertebrati è la
presenza di una serie di convessità nella superficie laterale della testa
di origine endodermica: le tasche faringee; è dentro queste strutture
che i nervi, i muscoli e i componenti dello scheletro si sviluppano. In
questi modo le tasche faringee vanno a separare le cellule delle creste
neurali e le cellule mesodermali degli archi definendone i limiti
anteriore e posteriore (Fig. 2).
Le tasche faringee mostrano una chiara regionalizzazione e sono
altamente ordinate (Veitch et al., 1999). Le tasche sono strutture
polarizzate. Per esempio, mentre la metà rostrale di ogni tasca esprime
3
Introduzione
Bmp-7, la metà caudale
le esprime FGF-8 e la zona dorsale di ogni
ogn tasca è
marcata dall’espressio
sione di Pax-1. Mentre in un primo
o momento
m
alcuni studi avevano su
suggerito che il patterning degli archi dipendesse
dip
dalle cellule delle crest
este neurali e quindi dalla regionalizzaz
zazione del
Fig. 2: rappresentazione
ne schematica della migrazione dei tre gruppi di cellule
lule delle
creste neurali craniali all’interno
all
delle tasche faringee.
romboencefalo da qui
ui queste derivano (Noden, 1983; Ko
Kontges e
Lumsden, 1996) appare
re ora evidente che la formazione delle tasche
ta
e la
regionalizzazione dell
ell’endoderma faringeo sia un fenomeno
f
indipendente (Veitch
h et al., 1999). Infatti è stato stabi
abilito che
l’endoderma faringeo ssi può formare in assenza di creste
te neurali.
Numerosi studi hanno inoltre
in
mostrato che la formazione delle
lle tasche è
centrale per lo sviluppo
po degli archi faringei. Nel mutante di zebrafish
z
van gogh (vgo) anche
e se
s la segmentazione del romboencefalo
alo avviene
correttamente l’endode
oderma faringeo non forma le tasch
sche e il
mesoderma circostante
te non è correttamente specificato. Le
L cellule
delle creste neurali cran
raniali almeno inizialmente segreganoo e iniziano
quindi a migrare form
rmando tre flussi distinti che però si fondono
quando raggiungono la zona
z
degli archi. La mancata colonizza
zazione dei
differenti archi faringe
gei dipende dalla mancata segmentazio
zione delle
tasche faringee. Questi
sti dati supportano l’ipotesi che la segme
mentazione
dell’endoderma avvenga
ga senza l’intervento di segnali provenie
nienti dalle
creste neurali e che l’interazione tissutale tra quest
este e il
mesendoderma sia indis
dispensabile per la specificazione e la formazione
for
delle cartilagini faringee
gee (Piotrowski e Nusslein-Volhard, 2000
000). Anche
nei mutanti di zebrafish
fish bonnie and clyde (bon) e casanova (cas), nei
4
Introduzione
quali l’endoderma non si forma, viene a mancare la formazione delle
cartilagini faringee (Kikuchi et al., 2000; Alexander et al., 1999): è
stato dimostrato che l’endoderma faringeo in zebrafish è indispensabile
per la specificazione e la determinazione dell’identità delle cellule delle
creste neurali condrogeniche e per il loro differenziamento in archi
cartilaginei. In questo processo risulta fondamentale l’azione di fgf3 e
fgf8 prodotti proprio da cellule dell’endoderma faringeo (David et al.,
2002; Walshe e Mason, 2003). Interessante è notare che, mentre le
presenza dell’endoderma e di queste due molecole sono richiesti per la
formazione dell’intero scheletro faringeo, la perdita della funzione del
solo fgf3 porta alla scomparsa degli archi branchiali ma non quella
degli archi mandibolare e ioideo. Quindi, sembrerebbe che le cellule
delle creste neurali abbiano un ruolo importante nella formazione degli
archi poiché da esse si originano lo scheletro e i tessuti connettivi,
mentre l’endoderma faringeo ha un ruolo decisivo nel determinare la
specificazione di ciascun di essi. Le cellule delle creste neurali,
comunque, non hanno un ruolo completamente passivo in questo
processo dal momento che la risposta di differenti popolazioni di creste
neurali all’endoderma è dipendente da fattori di trascrizione che esse
esprimono.
Lo sviluppo dello scheletro della testa e delle strutture ad esso
associate rappresenta quindi un interessante modello per decifrare le
basi cellulari e molecolari dell’interazione tra tessuti di origine
differente nell’organogenesi.
2 Effetti dell’acido retinoico sullo sviluppo embrionale
L’acido retinoico è una piccola molecola idrofoba, derivata dalla
vitamina A, che gioca un ruolo di segnale locale importante nello
sviluppo dei vertebrati. Come gli ormoni steroidei e tiroideo esso
diffonde attraverso la membrana cellulare senza bisogno di particolari
meccanismi, legandosi poi a recettori intracellulari; il complesso
formato dall’acido retinoico e dal recettore funziona quindi come fattore
di trascrizione.
5
Introduzione
Molti studi hanno dimostrato che durante lo sviluppo embrionale dei
vertebrati l’acido retinoico (AR) è un fattore importantissimo nei
processi differenziativi e nell’ organogenesi, grazie alla sua capacità di
regolare nei tessuti bersaglio l’ espressione di determinate categorie di
geni, fra i quali i geni hox. In particolare è stato dimostrato come l’ AR
rappresenti, anche in zebrafish, già in una fase precedente all’ inizio
della somitogenesi, un segnale importante nella regolazione dello
sviluppo del romboencefalo, degli archi branchiali e delle estremità
delle appendici. Embrioni di stadi precoci, trattati con AR, si
sviluppano con gravi malformazioni cranio-facciali, in particolare al
romboencefalo e agli archi branchiali. Inoltre, recenti studi hanno
suggerito che i retinoidi giocano un ruolo importante nel pattern
dell’endoderma faringeo. La prima evidenza di questo viene da studi
effettuati in topo, nei quali l’enzima che sintetizza l’acido retinoico, la
retinaldeide deidrogenasi di tipo2 (Raldh2), è stata inattivata
(Niederreither et al., 1999). In questi animali solo il primo arco
faringeo è evidente mentre gli archi caudali sono assenti. Esistono
studi che mostrano come anche in zebrafish la presenza di AR sia
indispensabile per il corretto sviluppo dell’endoderma faringeo; è stato
in particolare dimostrato che l’AR non è necessario per la specificazione
dell’endoderma che darà origine alle tasche faringee quanto piuttosto
nei processi di morfogenesi e segmentazione dell’endoderma faringeo
posteriore (tasche 3-6) (Kopinke et al., 2006).
La sintesi di AR a partire dalla vitamina A (retinolo) prevede due
reazioni ossidative consecutive. La prima, che porta alla formazione del
retinale, richiede la classe IV di retinolo deidrogenasi (Ang et al.,
1996); la seconda, che porta alla sintesi dell’ AR attraverso
l’ossidazione del retinale, richiede negli embrioni dei vertebrati tre
retinaldeide deidrogenasi, Raldh1, Raldh2 e Raldh3 (McCaffery et al.,
1993; March-Armstrong et al., 1994; Luan et al., 1999; Haselbeck et al.,
1999; Grün et al., 2000; Mic et al., 2000; Suzuki et al., 2000). Dopo la
sua sintesi a partire dalla vitamina A, l’ AR può legarsi a particolari
recettori nucleari, i recettori RAR α, β e γ, che dimerizzando con i
corecettori RXR α, β e γ sono in grado di modulare l’ espressione genica
nelle cellule dei tessuti bersaglio (Chambon, P., 1996) attraverso il
legame a specifiche sequenze di DNA, dette RAREs (retinoic acid
6
Introduzione
responsive elements), poste nelle regioni regolatrici di alcuni geni (Leid
et al., 1992; Mangelsdorf and Evans, 1995).
Elementi RAREs sono stati trovati nei promotori di diversi geni: in
quelli degli RAR umani (De The et al., 1990), nei promotori di cyp26
(Loudig et al., 2000), di diversi geni hox e HFN (Dupe et al., 1997; Qian
et al., 2000), nei promotori di CRBPI e CRABPII (Smith et al., 1991;
Durand et al., 1992) e CRBPII (Mangelsdorf et al., 1991).
Fig 3.: (A). Gli elementi responsivi
all’acido retinoico sono dei motivi di
sequenza 5’-PuG(G/T)TCA ripetuti
due volte e separati da 1 (DR1), 2
(DR2) o 5 (DR5) paia di basi. (B – C)
Gli etero dimeri RXR/RAR si legano
al DNA con polarità inversa a
seconda che su questo siano
presenti elementi RARE del tipo
DR2 e DR5 oppure DR1. Alle
sequenze del tipo DR1 è noto si
possano legare omodimeri RXR/RXR
(Modificato
da
Bastien
and
Rochette-Egly, 2003).
3 Le omeoproteine
Alla base dei processi di suddivisione metamerica e di
differenziamento che avvengono durante lo sviluppo embrionale di un
organismo si trovano svariati geni, la cui espressione specifica è
finemente regolata da meccanismi molecolari generati dall’interazione
tra diversi fattori di trascrizione. Attraverso varie combinazioni della
loro espressione nei singoli segmenti del corpo giocano un ruolo
fondamentale in questi processi i geni hox (Krumlauf, 1994; Moens e
Prince, 2002). Tali geni appartengono ad una super-famiglia genica che
comprende un ampio gruppo di fattori di trascrizione caratterizzati
dalla presenza di una regione di legame al DNA, lunga circa 60
7
Introduzione
aminoacidi e altamente conservato dal lievito all’uomo, chiamata
omeodominio (HD). L’omeodominio è codificato da una sequenza di
DNA di 180 pb conosciuta come “homeobox” (individuato per la prima
volta nel 1984 all’interno dei geni omeotici Antp e Ubx di D.
melanogaster). Attraverso questa regione, la proteina è in grado di
legarsi a specifiche sequenze di DNA, regolando l’espressione genica. A
livello molecolare, l’omeodominio possiede una struttura secondaria
definita da tre α-eliche. Due di esse generano una conformazione a
“elica-giro-elica”
(“helix-turn-elix”), caratteristica di quei fattori
trascrizionali che si legano al solco maggiore del DNA. La terza αelica, invece, è la regione di amminoacidi in grado di riconoscere e
legare in maniera specifica le basi puriniche e pirimidiniche. Grazie
all’omeodominio le proteine sono in grado di legarsi al DNA e regolare
l’espressione dei geni bersaglio. In questo modo vengono attivate
precise batterie di geni che specificano le proprietà di ogni segmento
del corpo. Questi fattori di trascrizione sono fondamentali per il
corretto sviluppo dell’asse A/P sia nei vertebrati che negli invertebrati.
Nei vertebrati i geni Hox specificano, ad esempio, la precisa identità
dei rombomeri, i diversi segmenti del romboencefalo (Krumlauf, 1994;
Lumsden e Krumlauf, 1996; Moens e Prince, 2002; Prince et al., 1998).
L’inattivazione di geni Hox espressi dalle creste neurali della testa dà
luogo alla perdita di identità della regione di interesse che acquisisce le
caratteristiche morfologiche di quelle vicine, e anche da trapianti di
cellule delle creste neurali dalla loro sede di origine in un contesto
cellulare, si dimostra che esse hanno già un’identità definita e
determinano la morfologia della struttura a cui appartengono.
4 I geni Hox
Nei vertebrati, il gruppo più conosciuto e studiato di omeoproteine
viene codificato dai geni Hox, espressi nel romboencefalo ed in regioni
posteriori, in modo da guidare lo sviluppo del corpo lungo l’asse A/P,
attraverso un’espressione combinata ma selettiva per ciascun segmento
(Krumlauf 1994; Moens and Prince 2002). Questi geni sono gli
omologhi di quelli che costituiscono, in D. melanogaster, il complesso
omeotico (HOM-C) (Lewis, 1978) che comprende due gruppi di geni (i
primi homeobox ad essere stati scoperti) sul cromosoma 3, definiti come
8
Introduzione
Antennapedia e Bithorax, i quali possono essere però considerati
un’unica unità funzionale. La mutazione di uno di questi geni provoca
la trasformazione di strutture appartenenti ad un segmento corporeo
in quelle appartenenti ad un altro (omeosi): ad esempio si sviluppa
un’antenna al posto di una zampa. La funzione dei geni omeotici di D.
melanogaster rispecchia quella svolta dai geni Hox dei vertebrati.
Diversi esperimenti hanno infatti dimostrato come nei vertebrati la
perdita di funzione di uno o più geni Hox, causi la scomparsa
dell’identità di determinati segmenti lungo l’asse A/P del corpo (Rijli et
al., 1993; Gendron-Maguire, 1993; Horan et al., 1995; Studer, 1996).
Contrariamente al moscerino della frutta, i vertebrati possiedono più
gruppi di geni omeotici disposti ognuno su un cromosoma differente,
probabilmente originatisi nel corso dell’evoluzione mediante un
meccanismo di duplicazione e divergenza. Nei tetrapodi, ad esempio,
esistono quattro “clusters” di geni Hox (Hox a-d), come nel topo,
nell’uomo e nel pollo (McGinnis e Krumlauf, 1992). Danio rerio ed altri
teleostei possiedono, invece, sette gruppi di geni hox (Prince et al.,
1998; Amores et al., 1998) e ciò suggerisce un’ulteriore evento di
duplicazione genica nella linea evolutiva degli organismi appartenenti
a quest’ordine. Una particolarità interessante dei geni del complesso
HOM-C di Drosophila melanogaster è che sono disposti sul cromosoma
nello stesso ordine con cui vengono espressi lungo tutto l’asse A/P del
corpo durante lo sviluppo embrionale (colinearità): ad esempio il gene
più spostato verso l’estremità 3’ è quello espresso più anteriormente
nell’embrione e mano a mano che ci si avvicina al 5’ l’espressione
genica si fa più caudale (Gaunt et al., 1988; Graham et al., 1989;
Peterson et al., 1994; Duboule e Dolle, 1989; Dekker et al., 1992;
Godsave et al., 1994). Negli embrioni di vertebrato, però, l’espressione
di questi geni non è distribuita uniformemente lungol’asse A/P, come
avviene in D. melanogaster: esistono infatti regioni che richiedono una
suddivisione più fine e di conseguenza la presenza di più geni hox
contemporaneamente. Questo è evidente soprattutto a livello del
romboencefalo, suddiviso lungo l’asse rostro-caudale in una serie di
segmenti definiti rombomeri che giocano un ruolo importante
nell’organizzazione e nella funzione della testa dei vertebrati (Guthrie,
1996; Lumsden e Krumlauf, 1996). I rombomeri rappresentano zone di
sviluppo separate ognuna con un differente destino differenziativo e
danno origine, ad esempio, a diversi nervi cranici. I confini morfologici
9
Introduzione
tra i rombomeri corrispondono chiaramente ai limiti dell’espressione di
differenti geni Hox che specificano, in questo modo, l’identità dei vari
segmenti del romboencefalo. Diversi studi hanno infatti dimostrato che
alterazioni nell’espressione di geni Hox sono correlate con cambiamenti
nell’identità dei rombomeri. L’espressione ectopica del gene hoxa1 in D.
rerio, ad esempio, causa una omeosi per cui il rombomero 2 (r2) assume
l’identità del rombomero 4 (r4) (Alexandre et al., 1996). I geni Hox,
d’altronde, non hanno solo la funzione di specificare l’identità dei vari
segmenti romboencefalici. Sembra infatti che alcuni di essi giochino un
ruolo importante proprio nello sviluppo della metameria. Infatti, due
mutazioni nel gene hoxa1 causano entrambe una severa alterazione
della segmentazione tra il quarto ed il settimo rombomero (Carpenter
et al., 1993; Mark et al., 1993; Wright, 1993).
Altri geni importanti nello sviluppo dei diversi segmenti sono krox20
e kreisler. Il primo, espresso nei rombomeri r3 ed r5, codifica per un
fattore trascrizionale zinc-finger (Wilkinson et al., 1989) e regola
direttamente la trascrizione di hoxa2 e hox-2. Una mutazione di krox20
causa la perdita dei rombomeri r3 ed r5. Il gene kreisler, invece,
codifica per un fattore di trascrizione bZIP (Cordes e Barsh, 1994) ed
una sua mutazione causa nel topo la mancata segmentazione del tubo
neurale a partire dal confine tra i rombomeri r3 ed r4 (Frohman et al.,
1993; McKay et al., 1994). Da tutto questo risulta evidente che per
specificare le distinte identità dei vari segmenti, le proteine codificate
dai geni Hox devono essere in grado di riconoscere sottili differenze
nelle sequenza di regolazione genica sul DNA. In esperimenti in vitro
le proteine Hox mostrano in effetti la capacità di legare in modo
specifico il DNA ma diversi esperimenti hanno dimostrato che in vivo
questi fattori trascrizionali possiedono piuttosto un bersaglio aspecifico
dovuto all’elevato grado di conservazione all’interno dell’omeodominio
(Beachy et al., 1988; Desplan et al., 1988; Hoey e Levine, 1988; Catron
et al., 1993; Ekker et al., 1991). Questo apparente paradosso viene
spiegato con l’esistenza di altre proteine “partner” che, cooperando con
i fattori omeotici a livello nucleare, consentono di raggiungere un
elevato grado di selettività di legame al DNA (Popperl, Bienz et al.
1995; Chan and Mann 1996). Questo ha stimolato la ricerca di
eventuali co-fattori trascrizionali in grado di legarsi alle proteine Hox e
di aumentare così la selettività di legame a determinati promotori
10
Introduzione
genici. Questi co-fattori trascrizionali, identificati e studiati negli
ultimi anni, fanno parte della super-classe di proteine TALE (“three
amino acid loop extension”), i cui elementi codificano per un
omeodominio caratteristico, differente da quello delle tipiche
omeoproteine (Beachy et al., 1988; Bürglin, 1997; Catron et al., 1993;
Desplan et al., 1988; Ekker et al., 1991; Hoey e Levine, 1988;). I geni
prep1.1 e prep1.2, oggetto di studio di questa tesi, appartengono a
quest’ultima super-classe di omeogeni.
5 Le omeoproteine TALE
Il gruppo di fattori trascrizionali codificati dai geni omeotici
(“homeobox gene”) sono noti fin dal 1984. In anni più recenti sono state
identificate altre omeoproteine caratterizzate da un omeodominio, che
si distingue da quello tipicamente costituito da 60 amminoacidi, per
avere un numero maggiore o minore di residui nella sua struttura
primaria (Bürglin, 1994).
L’attenzione si è rivolta in particolare su un gruppo di omeoproteine
atipiche, caratterizzato dalla presenza di tre residui amminoacidici
soprannumerari disposti tra la prima e la seconda elica. Questa superclasse di fattori trascrizionali è stata perciò definita TALE (“three
amino acid loop extension”) (Bertolino et al., 1995). In Drosophila
melanogaster, il prodotto del gene extradenticle (exd) è stato
identificato come “partner” delle proteine Hox (Rauskolb et al., 1993) in
grado di dirigere differenti fattori omeotici verso specifici bersagli
genici (Chan et al., 1994). L’omologo di exd nei vertebrati è stato
identificato nei membri della sotto-famiglia di geni pbx (Kamps et al.,
1990; Monica et al., 1991; Nourse et al., 1990; Vlachakis et al., 2000).
Questi geni cooperano con gli Hox durante lo sviluppo embrionale dei
vertebrati formando un complesso proteico attraverso l’interazione di
specifici domini molecolari (Fig. 4) (Chan et al., 1994; Pöpperl et al.,
1995; Rauskolb e Wieschaus, 1994; Mann, 1995; Chan et al., 1996;
Knoepfler e Kamps, 1995; Lu e Kamps, 1996; Lu et al., 1995;
Peltenburg e Murre, 1996; Phelan et al., 1995; Van Dijk e Murre, 1994;
Van Dijk et al., 1995).
11
Introduzione
Sono state identificate sequenze di DNA in grado di legare con alta
affinità dimeri costituiti dalle proteine Pbx/Hox, i quali attivano
specifici promotori genici che contengono un determinato sito di legame
per il complesso (Di Rocco et al., 1997; Maconochie et al., 1997). La
ricerca ha dimostrato che alcuni membri della famiglia di omeoproteine
PBC (che comprende i prodotti dei geni pbx nei vertebrati, exd in D.
melanogaster e ceh-20 in C. elegans), appartenenti alla super-classe
TALE, giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo embrionale,
cooperando con i prodotti dei geni hox nello specificare l’identità dei
vari segmenti del corpo (Bürglin, 1997; Di Rocco et al., 1997;
Maconochie et al., 1997; Mann e Chan, 1996). Analisi genetiche
condotte in D. melanogaster, ad esempio, hanno dimostrato che, per
una corretta funzione, i diversi prodotti dei geni del complesso HOM-C
richiedono l’interazione con il co-fattore exd (Peifer e Wieschaus, 1990;
Rauskolb et al., 1993). Mutanti che mancano di exd, infatti, sviluppano
omeosi riconducibili alla perdita di funzione di diversi geni “homeobox”
(Peifer e Wieschaus, 1990; Rieckhof et al., 1997). I geni della famiglia
PBC hanno quindi un ruolo importante per la corretta espressione dei
geni hox e, quindi, per il corretto sviluppo dei segmenti nell’encefalo
posteriore.Più recentemente è stata identificata, però, un’altra
omeoproteina TALE del moscerino della frutta definita Homothorax
(Hth). Quest’ultima, legandosi direttamente a Exd e costituendo un
trimero con uno dei fattori omeotici, partecipa alla regolazione dei vari
prodotti del complesso HOM-C (Ryoo et al., 1999). Mutazioni in hth,
infatti, richiamano i fenotipi prodotti dalla perdita di funzione di più
geni omeotici (Kurant et al., 1998; Kurant et al., 2001; Rieckhof et al.,
1997). Gli omologhi di exd nei vertebrati sono i membri della famiglia
genica pbx (pbx1, pbx2, pbx3, pbx4). Quelli di hth sono invece i membri
di una famiglia genica denominata MEINOX (Fognani et al., 2002).
Questa famiglia include i geni meis e prep. Attualmente nei mammiferi
sono noti 3 geni meis e 2 geni prep, mentre in zebrafish sono stati
identificati 4 geni meis (meis1.1, meis2.2, meis3.1 meis4.1) e 3 geni prep
(prep1.1, prep1.2, prep2). Potenzialmente ogni fattore Meinox è in
grado di legarsi direttamente alle proteine Pbx, attraverso due domini
di interazione posti nella parte N-terminale di entrambe le molecole, e
l’interazione implica la localizzazione nucleare del complesso
eterodimerico che si forma (Fig. 4).
12
Introduzione
È stato dimostrato, inoltre, che le proteine Meis risultano essenziali
per stabilizzare la funzione di Pbx e regolare lo sviluppo del
romboencefalo in D. rerio (Chang et al., 1997; Choe et al., 2002;
Waskiewicz et al., 2001). Le proteine Meinox non hanno un segnale di
localizzazione nucleare (NLS), mentre le proteine Pbx hanno sia un
NLS (nell’ omeodominio) che un dominio di esporto nucleare, e quindi
possono liberamente passare dal nucleo al citoplasma e viceversa (AbuShaar et al., 1999; Berthelsen et al., 1998a e b, 1999): la formazione
dell’ eterodimero comporta il mascheramento del segnale di esporto
nucleare della proteina Pbx ma lascia libero il NLS. Come risultato si
ha che il complesso proteico può traslocare nel nucleo ma non può più
uscirne. E’ noto che le proteine Pbx, attraverso un dominio di 20
amminoacidi posto all’ estremità C-terminale e denominato GKFQ, si
legano direttamente alle proteine Hox (Fig 4), e questo può avvenire
solo in presenza di DNA. Quindi, solo una volta che il dimero Meinox-
Fig. 4. Rappresentazione grafica dell’ipotetico meccanismo di interazione tra le proteine
Meinox, Pbx e Hox. (A) Le proteine Meinox e Pbx interagiscono attraverso precise regioni
all’estremità ammino-terminale di entrambe le proteine (HR1-2 delle proteine Meinox e PBCA dell proteine Pbx). Pbx invece si lega al dominio YPWM dei fattori Hox attraverso una
regione di 20 amminoacidi definita GKFQ posta all’estremità carbossi-terminale. (B) Le
proteine Meinox non sono in grado di entrare nel nucleo se non dopo l’interazione con le
proteine Pbx, mentre le proteine Hox e Pbx possono farlo in modo indipendente. Il dimero
Meinox-Pbx non è in grado di attivare la trascrizione, al contrario il dimero Pbx-Hox stimola
una debole attività trascrizionale, fortemente aumentata dalla presenza del co-fattore
Meinox.
13
Introduzione
Pbx si trova nel nucleo può interagire con una proteina Hox,
stabilizzandola ed aumentandone l’ affinità per il DNA: il dimero
infatti è in grado di riconoscere all’ interno della regione regolatrice di
un gene bersaglio tratti di 16 paia di basi (Ferretti et al., 2000; Jacobs
et al., 1999; Ryoo et al., 1999). Un meccanismo analogo si è riscontrato
anche per le proteine omologhe di invertebrato. In D. melanogaster,
infatti, i livelli cellulari della proteina Exd vengono mantenuti elevati
proprio grazie all’ interzione con la proteina Hth che, al momento della
formazione dell’ eterodimero, maschera il segnale di esporto nucleare
presente in Exd (Kuran et al., 2001).
6 I geni prep
Mediante esperimenti di immunoprecipitazione, Prep1 è stata
isolata da estratti di cellule umane come proteina che co-precipita
assieme a diversi fattori Pbx, mentre Prep2 è stata identificata e
clonata in seguito ad un’analisi di sequenza sul genoma umano
(Berthelsen et al., 1998a; Berthelsen et al., 1998b; Fognari et al., 2002;
Haller et al., 2002). Queste due proteine, che fra loro hanno l’80% di
identità di sequenza amminoacidica, fanno parte di una sotto-famiglia
delle proteine Meinox, denominata appunto Prep. Le proteine Prep,
infatti, solo in alcuni domini mostrano un’elevata conservazione della
sequenza amminoacidica con le proteine Meis (Fognani et al., 2002).
Un’altra differenza fra le proteine Meis e Prep è stata riscontrata nella
loro attività di legame con le proteine Hox: è stato dimostrato che, in
vitro, le proteine Meis di vertebrato sono in grado di legarsi alle
proteine Hox dei cluster da 9 a 13, e che questa interazione aumenta la
specificità nel riconoscimento delle sequenze di DNA bersaglio da parte
del complesso Meis-Hox (Shen et al., 1997). Prep1 in esperimenti
analoghi non ha invece mostrato le stesse proprietà (Thorsteinsdottir
et al., 2001). Inoltre, mentre negli embrioni di zebrafish, fino a 24 ore
di sviluppo, i tre geni prep noti (prep1.1, prep1.2 e prep2 ) sono espressi
in maniera pressoché ubiquitaria (Choe et al., 2002), il profilo
d’espressione dei singoli geni meis è risultato essere molto più ristretto
(Biemar et al., 2001; Waskiewicz et al., 2001).
14
Introduzione
Fig. 5: filogenesi e struttura dei cofattori dei geni Hox. (A) Le omeoproteine TALE sono divise in
due guppi: la famiglia PBC comprende le proteine Pbx dei vertebrati, Extradenticle di D.
melanogaster e Ceh-20 di C. elegans mentre la famiglia MEIS comprende le proteine Meis e Prep
dei vertebrati, Hth e Unc-62. In rosso sono indicate le proteine di topo mentre in blu i loro
ortologhi in zebrafish (Modificato da Moens and Selleri, 2006).
Alcune proprietà che, invece, accomunano proteine Meis e Prep sono
la capacità di legarsi alle proteine Pbx e di fatto questa interazione è
necessaria sia per la loro traslocazione nucleare che per prevenire
l’esporto di Pbx dal nucleo.
6.1 Prep1.1
L’intera ORF codificante di prep1.1 è una proteina di 433
aminoacidi, che contiene due regioni di omologia (HR) caratteristiche
delle proteine Meinox e un omeodominio (HD) di tipo TALE. Sulla
mappa genetica di zebrafish esso si trova a 1894 cRay dall’estremità
del cromosoma 9.
Il gene prep1.1, primo membro della famiglia prep di zebrafish ad
essere studiato, è un gene di origine materna. Esso viene espresso
15
Introduzione
durante le prime ore dell’embriogenesi
de
fino ad uno stadio di 24
2 ore in
maniera ubiquitaria (Choe
(Ch et al., 2002; Waskiewicz et al., 2001
01).
Allo stadio di 48 ore
re la marcatura nel tronco e nella coda,
a, già a 24
ore più debole rispetto
tto a quella della testa, risulta marca
rcatamente
ridotta, e scompare del
el ttutto a partire dalle 72 ore di sviluppo.
o. A questo
stadio l’mRNA di prep
rep1.1 è concentrato nella testa dell’e
ll’embrione,
soprattutto a livello di sistema nervoso e nella vescicola
a otica
o
che
rappresenta il limite po
posteriore del dominio di espressione di prep1.1
(Fig. 6).
Fig. 6: (Modificato da Deflo
eflorian et
al., 2004) (B-E) L’anal
nalisi del
profilo d’espressione espr
spressione
di prep1.1 mostra com
come sia
espresso in maniera ubiq
biquitaria
fino allo stadio di 18 somi
miti. (G-I)
Dalle 24 hpf in avanti ill trascritto
tr
di prep1.1 si concentra nella
nel testa
e la sua espressione sii restringe
re
nella zona rostrale alle vescicole
v
otiche a 72 ore. C, H: visione
laterale; D: visione fronta
ntale; E-G
visione dorsale. m, mesenc
ncefalo; o,
occhio;
r,
romboencefa
efalo;
t,
telencefalo; vo, vescicola otica.
oti
Gli embrioni morfant
anti, giunti ad uno stadio di sviluppo di
d 24 ore,
sono caratterizzati da una prominente area di degene
enerazione,
chiaramente visibile a livello del romboencefalo, che riguard
arda sia il
SNC che le aree circos
rcostanti. Sempre a questo stadio di sviluppo
sv
i
morfanti presentano un’attività
un
motoria scoordinata, a tal pun
unto che la
maggior parte di essi
si n
non sono neppure in grado di fuorius
riuscire dal
corion. A 5 giorni di sviluppo
sv
gli embrioni trattati con il morpholino
mo
paragonati ad embrioni
oni selvatici, presentano una testa di dimensioni
dim
16
Introduzione
ridotte, occhi più
ù piccoli
p
e pinne pettorali atrofiche, sono
ono inoltre privi
della mandibola
la e della vescica natatoria e pre
resentano una
distribuzione anom
omala dei melanociti ed un edema pericardico.
per
Tali
embrioni non super
perano la settimana di vita.
Mediante analis
lisi con Blu di Alcian è stata esaminata
ta la morfologia
del cranio di questi
esti morfanti. Come si può notare nella Figura
Fi
7 C e D,
in morphanti di 5 giorni di sviluppo mancano completam
tamente tutte le
cartilagini degli archi
ar
faringei, che sono depositate da condroblasti
con
che
derivano dalle cres
reste neurali. Solamente la componente
te di
d derivazione
mesodermica dell n
neurocranio di questi embrioni è ancor
cora presente in
una forma quasi
si inalterata, anche se le componentii derivate
d
dalle
creste neurali, ovvero
ov
il piatto etmoide e le trabec
becole craniche,
risultano ridotte in dimensioni e deformate.
La sua inat
attivazione causa inoltre uno sconvolgimento
sc
dell’espressione di
d geni cruciali per il corretto sviluppo del
romboencefalo. L’espressione
L’e
del gene hoxb1b omologo
ogo del murino
Hoxa1, il primo degli
d
Hox ad essere espresso, non è inibita
in
mentre
risulta assente dal
da suo dominio di espressione (r4) il gene hoxb1a.
Anche l’espression
one dei geni hoxa2 e hoxb2 risulta forte
rtemente ridotta
in embrioni morfa
rfanti. La mancanza, nei morfanti di prep1.1, dell’
espressione segme
mentale dei geni mariposa e pax6.1
6.1 in tutto il
romboencefalo e l’ assenza degli interneuroni commisura
rali positivi alla
marcatura di pax2.
x2.1 in r2-r6, hanno mostrato come Prep1
p1.1 sia cruciale
per la segmentazi
azione del romboencefalo. La mancanz
nza di tutte le
Fig. 7: (Modificato da Deflorian et al.,
2004) I morphanti d
di prep1.1 sono
completamente privii dello scheletro
faringeo. La colorazion
ione con il blu di
alcian di embrioni di 5 giorni (C, D)
mostra la completa
ta assenza delle
cartilagini faringee men
entre il neurocranio
pur essendo notevolm
olmente ridotto è
presente. A, C: visione
one laterale; B, D:
visione ventrale. A-D
D anteriore sulla
sinistra.
cb, cerato
to branchiale; ch,
ceratoliale; e, piatto
tto etmoide; hs,
ioimpletico; me, cartilag
lagine di Meckel; n,
notocorda; oa, arco
o occipitale; phc,
paracordale; pq, pala
alato quadro; tr,
trabecola cranica.
cartilagini deriva
ivate dalle cellule delle creste neu
eurali e della
muscolatura faring
ingea sono la caratteristica principale dei
de morfanti di
17
Introduzione
prep1.1. Tale fenotipo sembra imputabile ad un difetto generale nella
condrogenesi dal momento che i precursori delle cartilagini sono
presenti e sembrano migrare correttamente. La regione faringea si
sviluppa inoltre normalmente e l’endoderma faringeo risulta
segmentato.
6.2 Prep1.2
Prep1.2 codifica per un prodotto proteico di 439 pb molto simile a
Prep1.1, con una regione di omologia (HR) e un omeodominio (HD)
molto conservato, tranne per la regione N-terminale in cui Prep1.2
presenta una sequenza ricca di acido glutammico.
L’analisi filogenetica ha rivelato come Prep1.2 non sia lontana
dall’origine comune di tutte le proteine Prep1 dei vertebrati, tant’è che
in zebrafish risulta essere più simile a Prep1.1 rispetto a Prep2.
prep1.2 si trova sul cromosoma 1, in corrispondenza della “line 68” a 59
cRay di distanza dall’estremità del cromosoma.
L’mRNA di prep1.2, agli stadi di blastula, “shield” e “tailbud” viene
espresso in maniera pressoché uniforme in tutto l’embrione, mentre
durante la somitogenesi, pur rimanendo ubiquitario, si concentra
principalmente in due strie di cellule ai lati del tubo neurale.. A 24 ore
di sviluppo l’espressione di prep1.2 appare concentrata nel SNC,
soprattutto nel telencefalo, nei placodi ottici, in due strisce di cellule
posteriori alle vescicole otiche e laterali al tubo neurale e in
corrispondenza della zona degli archi branchiali. A 48 ore l’espressione
di prep1.2 diminuisce drasticamente e si può osservare un debole
segnale solo nella testa, mentre a 4 giorni il segnale relativo
all’espressione di prep1.2 è rilevabile nel cervello, nella regione
faringea e nel lume dello stomaco. I risultati delle ibridazioni in situ
hanno evidenziato un profilo d’espressione di prep1.2 leggermente
diverso da quello di prep1.1, lasciando intendere che i due geni
omologhi non abbiano sempre funzioni ridondanti nel corso dello
sviluppo embrionale.
18
Introduzione
Fig. 8: (A-D) L’ibridazone in-situ mostra come prep1.2 sia espresso in modo ubiquitario già a
partire dai primi stadi di sviluppo fino alla somitogenesi. (E-G) A partire dallo stadio di 18
somiti l’espressione di prep1.2 si concentra in cellule localizzate ai lati del tubo neurale fino
allo stadio di 24h in cui è evidente principalmente nel SNC, in due file di cellule ai lati del
tubo neurale posteriormente alla vescicola otica e nella zona degli archi branchiali pur
rimanendo debolmente ubiquitaria. (H) A 36hpf l’espressione è concentrata nel SNC negli
archi branchiali e negli abbozzi delle pinne pettorali. (I) Dalle 48 ore l’espressione prep1.2
decresce e si restringe nella regione della testa. ba, archi branchiali; e, occhio; h,
romboencefalo; m, mesencefalo; nt, tubo neurale; ov, vescicola otica; pfb, primordio delle pinne
petorali. B, E, F, G visione dorsale; C visione frontale; D, H, I visione laterale. E-I testa a
sinistra.
Gli embrioni iniettati con il MOprep1.2 non presentano alterazioni
morfologiche di rilievo nei primi tre giorni di vita pur essendo più
piccoli dei controlli non iniettati; nella maggior parte dei casi
presentano comunque un edema pericardico.. A partire dal quarto
giorno di sviluppo, diventano tuttavia evidenti, nella maggioranza dei
morfanti di prep1.2, una disorganizzazione della mandibola, la
mancanza di tessuto a livello degli archi branchiali, un aumento della
pigmentazione e una drastica riduzione in dimensioni, se non l’assenza
totale delle pinne pettorali. La colorazione con Blu di Alcian evidenzia
la mancanza delle cartilagini branchiali posteriori al terzo arco
faringeo (p4-p7). Le cartilagini della mandibola (me) e dell’arco ioide
(ch) di questi embrioni sono invece presenti, anche se di dimensioni
ridotte rispetto al normale e leggermente deformi, così come è presente
19
Introduzione
anche la componente
e di derivazione mesodermica del neu
eurocranio,
anche se le sue comp
mponenti derivate dalle creste neural
rali (piatto
etmoide e trabecole ccraniche) risultano ridotte in dimen
mensioni e
deformate (Fig10 C e D)).
Questo mette in evidenza
evi
come l’inattivazione di prep1.2
1.2 alteri il
corretto sviluppo dei derivati
de
delle creste neurali dello schele
eletro della
testa, anche se in man
aniera meno estesa rispetto a quanto
nto è stato
osservato nei morfanti
ti di
d prep1.1, nei quali non si forma nessu
ssuna delle
cartilagini della faringe.
ge.
Fig. 9: (B, D) I morfantii d
di prep1.2
sono privi delle cartilagini
ini associate
agli archi faringei poste
steriori. Le
cartilagini del terzo arco
co faringeo
sono solo accennate (p3) mentre
me
sono
presenti seppur ridotte quelle
q
dei
primi due. ch, cartilagine
ne dell’arco
ioideo; e, piatto etmoi
oide; me,
cartilagine
di
Meckel
kel;
p3-7,
cartilagini degli archi faring
ingei 3-7; tr,
trabecola cranica. A, B visione
ventrale; C, D visione late
aterale; A-D
testa a sinistra
Molti studi hanno
o dimostrato che l’AR rappresenta a
anche in
zebrafish un segnale importante
im
nella regolazione dello svil
viluppo del
romboencefalo, degli archi
arc branchiali e delle estremità delle appendici.
ap
Aspetti del fenotipo dei
ei morfanti quali i difetti dello scheletro
ro facciale
f
e
la mancanza delle pinne
nne pettorali appaiono simili a quelli del
el mutante
della retinaldeide deidr
idrogenasi 2 no-fin (nof) (Grandel et al.,
al 2002).
Alterazioni nella via di
d segnale dell’AR potrebbero quindi
di spiegare
almeno in parte le alte
lterazioni fenotipiche evidenziate nei morfanti
mo
di
prep1.2 . Una prima ev
evidenza del ruolo dell’AR nella regola
olazione di
prep1.2 è stata ottenuta
ta comparando i livelli di espressione genica
gen
dello
stesso in embrioni cresc
esciuti dalla tarda epibolia in differenti
nti medium
contenti AR e l’inibitor
itore della sua sintesi: dietilamminoben
benzaldeide
(DEAB). Come è mostr
strato in Fig. 10B, in embrioni di circa
irca 24 ore
trattati con AR l’espres
ressione di prep1.2 è aumentata soprattut
tutto ai lati
della parte anteriore
e del tubo neurale e nella zona degli
deg archi
branchiali, rispetto a quanto
q
osservato in embrioni non trat
rattati (Fig
20
Introduzione
10A). Negli embrioni trattati con DEAB la marcata espressione di
prep1.2 della zona degli archi branchiali degli embrioni selvatici è
quasi scomparsa, anche se il segnale ubiquitario di fondo dell’ mRNA di
prep1.2 non subisce grosse alterazioni (Fig 10 C e D). I dati sopra
descritti hanno dimostrato come, in effetti, l’espressione del
messaggero di prep1.2 sia sensibile alla presenza di AR e, più
precisamente, che prep1.2 sia regolato positivamente, almeno in certe
regioni dell’embrione, dall’ AR.
Al contrario l’espressione del gene omologo prep1.1 risulta essere
identica in embrioni wt e in embrioni trattati.
Fig. 10: prep1.2 è regolato positivamente dall’AR mentre il gene omologo prep1.1 non lo è.
(A, C, E) L’espressione di prep1.2 in embrioni di 24 ore trattati con AR aumenta rispetto
agli embrioni non trattati. In embrioni di 24 incubati con DEAB si osserva una riduzione
dei livelli di prep1.2 nella zona degli archi branchiali (barra). (B, D, F) Tutti gli embrioni
marcati con la sonda per prep1.1 non presentano differenze nei livelli d’espressione. A-F,
tutti gli embrioni sono in visione dorsale con la testa a sinistra.
7 Il “morpholino
I “Morpholino” sono oligonucleotidi antisenso modificati. Il loro nome
deriva dalla struttura delle unità che li compongono, ciascuna delle
quali contiene una delle quattro basi azotate (A, C, G o T) legata ad un
anello morpholinico a sei atomi. 18-25 subunità sono unite tra loro con
un legame fosforodiamidato che sostituisce il legame fosfodiesterico
presente negli acidi nucleici. Gli oligonucleotidi così sintetizzati,
21
Introduzione
acquistano proprietà peculiari che li rendono adatti all’impiego in studi
di inibizione genica (Summerton & Weller, 1997). I “Morpholino” sono
in grado di riprodurre abbastanza fedelmente il fenotipo e l’espressione
dei geni marcatori degli embrioni mutanti (Nasevicius e Ekker, 2000;
Ekker e Larson, 2001). Il meccanismo d’azione dei “Morpholino”
coinvolge il blocco della traduzione proteica (Summerton, 1999).
L’oligonucleotide è progettato complementare ad una regione compresa
tra il CAP-5’ e i primi venti nucleotidi (circa) dopo l’AUG di inizio
traduzione. Oltre questa distanza l’attività inibitoria dell’oligo crolla.
L’antisenso riesce ad invadere la struttura secondaria dell’RNA
messaggero ed impedisce il riconoscimento del ribosoma. Di
conseguenza, la proteina non viene tradotta. Rispetto agli
oligonucleotidi usati in passato, i “Morpholino” presentano notevoli
vantaggi. Sono più stabili perché insensibili alle nucleasi, consentendo
un’azione prolungata per giorni. Si possono pertanto utilizzare in
esperimenti di microiniezione di uova fecondate ed il loro effetto si
protrae anche su embrioni di 3-4 giorni. Hanno una migliore efficienza
poiché agiscono a concentrazioni nanomolari e la loro tossicità è
ridotta. La sequenza di riconoscimento è specifica. Se si sostituiscono
anche solo quattro nucleotidi il “Morpholino” non è più in grado di
legarsi all’mRNA (Nasevicius and Ekker 2000). Sono ridotte anche le
attività aspecifiche dovute ad interazione con proteine cellulari.
22
ABBREVIAZIONI
1/3ZfR: 1/3 Zebrafish Ringer’s solution (NaCl 40 mM, KCl 1 mM,
HEPES 1.5 mM, CaCl2 2.5 mM, pH 7.2).
AMV RT: trascrittasi inversa del virus della mieloblastosi aviaria
(“Avian Myeloblastosis Virus Reverse Transcriptase ”).
AR: Acido Retinoico
BCIP: 5-Bromo-4-Cloro-3-indolil-fosfato.
BSA: albumina di siero bovino.
CRIBI: Centro di Ricerca Interdipartimentale per le Biotecnologie
Innovative.
DAB: diaminobenzidina
DEAB: dietilaminobenzaldeide
DEPC: dietilpirocarbonato.
DIG: digossigenina.
DMS: dimetilsolfossido.
dNTP: desossiribonucleotidi trifosfato.
dUTP: desossiuridintrifosfato.
EDTA: acido etilen-diammin-tetracetico.
exd: extradenticle.
FLUO: fluoresceina.
GFP: proteina verde fluorescente (“green fluorescent protein”).
HD: omeodominio (“homeodomain”).
HEPES: acido N-2-idrossietilpiperazin-N’-2-etansulfonico.
HM: miscela di ibridazione (“hybridization mix”).
hpf: ore trascorse dalla fecondazione (“ hours post fertilization”).
HR: regioni di omologia (“homology region”).
hth: homothorax.
IPTG: isopropil-β-D-tiogalattopiranoside.
LB: terreno Luria-Bertani Medium.
NBT: 4-nitro-blu-cloro-tetrazolio.
NTP: ribonucleotidi trifosfato.
O/N: tutta la notte (“Overnight”).
PBS: tampone fosfato salino (“phosphate buffered saline”).
PBT: tampone fosfato con aggiunta di tween-20 (“phosphate buffered
tween”).
23
Abbreviazioni
PBTx: tampone fosfato con aggiunto di TRITON X-100 (“phosphate
buffered triton”).
PCR: reazione a catena della polimerasi (“polymerase chain reaction”).
PFA: paraformaldeide.
prep: proteina che regola pbx (“pbx regulating protein”).
PRS: sequenza di DNA riconosciuta dal dimero Pbx/Hox (“Pbx/Hox
responsive elements”).
PTU: feniltiourea.
RACE: amplificazione rapida delle estremità del cDNA (“rapid
amplification of cDNA ends”).
RAR: retinoic acid receptor
RARE: retinoic acid response elements
RT: temperatura ambiente (“room temperature”).
RT-PCR: PCR con retrotrascrizione (“retro trascriptase PCR”).
RXR: retinoic X receptor
SDS: sodio-dodecil-solfato.
SNC: sistema nervoso centrale.
TALE: dominio amminoacidico di legame alla catena di DNA (“three
amino acid loop extension”).
TE: Tris 1 M, EDTA 0.5 M, pH 8.
Tm: temperatura di appaiamento (“melting temperature”).
Tris: Tris-(idrossimetil)-metilammina.
UTR: regione non tradotta (“untranslated region”).
wt: ceppo selvatico (“wild type”).
X-Gal: 5-bromo-4-cloro-3-indolil-β-D-galattopiranoside.
24
MATERIALI E METODI
1 Soluzioni utilizzate
Acqua-DEPC:
1 ml di DEPC per 1 l di acqua mQ. Lasciar agire
O/N e autoclavare.
Alcian Blue Solution: % HCl, 70% etanolo, 0.1% Alcian blue.
BCIP:
75 mg/ml in 70% in dimetiformammide.
Blocking Solution:
0.1% Tween-20, 2 mg/ml BSA, 5% Sheep
serum, 1% DMS.
DAB solution:
Danieau (1X):
0.05% diaminobenzidine, 1% dimethyl sulfoxide in
0.05 M PO4 buffer, pH 7.3
NaCl 58 mM, KCl 0.7 mM, MgSO4 0.4 mM,
Ca(NO3)2 0.6 mM, HEPES 5 mM, PH 7.6
DNA microinjection buffer: 5 mM Tris, pH 8.0 ; 0,.5 mM EDTA, pH
8.0 ; 1 mM KCl
Fish Water (50X): 25 g instant ocean, 39.5 CaSO4, 5 g NaHCO3, in 5 l
di acqua deionizzata.
HM:
Formammide 50-65%, 5X SSC, Tween-20 0.1%,
Acido citrico pH 6.0, Eparina 50 µg/ml, tRNA 500
µg/ml.
HM per i lavaggi: HM senza tRNA ed eparina.
MOPS:
Acido Morpholinopropansolfonico 40 mM, Sodio
Acetato 10 mM, EDTA 1 mM.
NBT:
50 mg/ml in dimetilformamide.
NBT/BCIP staining buffer: 100 mM tris HCl pH 9.5, 50 mM MgCl2,
100 mM NaCl, 0.1% Tween-20.
NBT/BCIP staining solution: NBT 50 mg/ml, BCIP 50 mg/ml,
NBT/BCIP staining buffer: 50 ml.
PBS:
NaCl 130 mM, Na2HPO4 7 mM, NaH2PO4 3 mM.
PBT:
PBS, Tween-20 0.1%.
PBTx:
PBS, TRITON X-100 1%.
PFA:
Paraformaldeide 4% in PBS.
PTU (100X):
PBS (10X), 0.3% feniltiourea
Ringer solution: NaCl 116 mM, KCl 2,9 mM, CaCl2 1,8 mM, Hepes
pH 7,2 5mM.
SSC:
NaCl 150 mM, Citrato sodico 15 mM.
25
Materiali e metodi
TAE:
Tris acetato 0.04 M, EDTA 1 mM.
Soluzioni per gli Anticorpi
• Anti-DIG o Anti-FLUO (Roche): 1:1000 in PBT. Sheep serum 2%,
BSA 2 mg/ml. Preadsorbiti in presenza di embrioni a vari stadi e
spezzettati. Trascorse 2 h a RT al buio, si filtra la soluzione e poi si
diluisce 1:3 la soluzione ottenuta e si aggiunge NaN3.
• Zn-5 (University of Oregon): 1:500 in PBTx
• Anti-Mouse (Sigma):1:200 in PBTx
Terreni di coltura batterica
• LB (1 l): 950 ml di H2O DEPC, 10 gr. Triptone, 5 gr. Estratto di
lievito, 10 gr. NaCl. Portare a volume con H2 DEPC.
• SOB Medium (1L): 950 ml di H2O DEPC, 20 gr. Triptone, 5 gr.
Estratto di lievito, 0.5 gr.NaCl, Poratare a 1 l con H2O DEPC.
• SOC Medium (1ml): 980 µl di terreno SOB/LB, 20 µl glucosio 20
mM.
Antibiotici
• Ampicillina: 50 mg/ml in 70% etanolo
• Kanamicina: 25 mg/ml in H2O
Tutte le soluzioni acquose sono state preparate utilizzando H2O Milli-Rho o H2O
Milli-Q (Water Purification System, Millipore). I tamponi usati per diluire DNA
o RNA sono stati preparati con H2O Milli-Q o H2O-DEPC.
2 Organismo modello
L’organismo modello utilizzato negli esperimenti di questa tesi è lo
zebrafish (Danio rerio), un pesce di acqua dolce che si è affermato come
modello per lo studio della genetica e dell’embriogenesi precoce nei
vertebrati. Le sue dimensioni ridotte (un adulto può raggiungere al
massimo i 5-6 cm di lunghezza) che ne consentono l’allevamento in
spazi minimi, la facilità di accoppiamento, la notevole quantità di uova
che ogni femmina può deporre (100 – 200 circa per evento riproduttivo)
e la trasparenza degli embrioni che permettono analisi genetiche e
26
Materiali e metodi
molecolari su larga scala. La fecondazione esterna consente un analisi
immediata della progenie, senza il sacrificio della madre. Nello
zebrafish, che pur presenta una notevole distanza evolutiva dall’uomo
rispetto ad altri organismi modello, i geni ed i meccanismi molecolari
alla base dello sviluppo embrionale sono altamente conservati rispetto
a quelli dei vertebrati superiori. Questo piccolo ciprinide ha inoltre un
piano corporeo identico a quello umano ed è dotato di apparato
circolatorio e cuore, sistema immunitario, cervello, pancreas, fegato,
ossa e di tutti i tessuti presenti in un mammifero. Queste
caratteristiche peculiari lo hanno reso un organismo modello per lo
studio della biologia dello sviluppo e ne hanno decretato il successo
scientifico: il sequenziamento del suo genoma è ormai completo e sono
stati identificati più 2.000 mutanti. Con un animale così prolifico, di
modestie dimensioni e il cui embrione si accresce molto rapidamente
mantenendo la sua trasparenza nel corso di tutto lo sviluppo precoce, è
possibile analizzare i profili d’espressione genica in embrioni interi e
seguire dal vivo, ad esempio con la microscopia confocale, i meccanismi
genetici che controllano la formazione di organi e tessuti. L’assenza di
un guscio calcareo, rende infatti le uova di zebrafish particolarmente
adatte alle tecniche di micromanipolazione e microiniezione finalizzate
alla produzione di pesci transgenici, alla sovraespressione di mRNA o
al silenziamento genico, con l’uso di oligonucleotidi morpholino. Negli
ultimi mesi sono stati inoltre messi a punto protocolli che, tramite l’uso
di particolari nucleasi, alle quali vengono legati specifici domini per il
riconoscimento di differenti sequenze genomiche con tecniche di
ingegneria genetica, permettono la creazione di pesci knock-out.
2.1 Linee utilizzate
Per gli esperimenti di questa tesi sono state utilizzate due linee di
pesci selvatici diverse, denominate “Giotto” e “Umbria”. Inoltre sono
state
utilizzate
una
linea
di
27
pesci
transgenici
denominata
Materiali e metodi
Tg(gcga:GFP)ial, in cui il gene della GFP è sotto il controllo del
promotore di glucagone di zebrafish e una linea di pesci aventi il gene
per la retinaldeide deidrogenasi 2 (aldh1a2) mutato denominata
neckless (nls).
2.2 Mantenimento e riproduzione
L’allevamento è effettuato nello stabulario del Dipartimento di
Biologia, in acquari da 5 litri contenenti ciascuno una popolazione di
circa venti individui. Gli acquari sono raccolti in sei armadi, ciascuno
dei quali ne raggruppa circa una quarantina. Riserve d'acqua,
proveniente
da
un
impianto
ad
osmosi,
sono
a
disposizione
giornalmente per il ricambio in ciascun armadio. I valori ottimali di
durezza e pH per questo ciprinide sono mantenuti stabili sciogliendo in
una vasca da 150 l le seguenti quantità di sali: 23,5 g CaSO4, 3 g
NaHCO3 e 15 g instant ocean. L’acqua viene mantenuta ad una
temperatura di 28°C ed il suo pH deve essere preferibilmente neutro.
Inoltre, non deve essere presente cloro ed i nitrati non devono superare
il valore di 30 mg/L. L'alimentazione è divisa in 3 razioni giornaliere:
due di cibo secco a scaglie in scatola, denominato AZ300 e una di naupli
di artemie saline. Quest'ultime sono acquistate come cisti e vengono
fatte schiudere in laboratorio con un semplice apparato costituito da un
cono in pvc da 15 L, un areatore e una lampadina (soluzione per
cisti:15 l H2O, 560 g NaCl,11.5 g NaHCO3 e 56 g cisti). Dopo circa 48
ore si possono raccogliere le artemie filtrando i naupli, dopodiche si
preparano delle aliquote da utilizzare quotidianamente. Le larve di
zebrafish crescono per i primi 5 giorni in fish water, in piastre Petri da
20 ml, mantenute a 28°C all’interno di un incubatore. Successivamente
sono trasferite in vasche da 3L dove i piccoli vengono fatti crescere per
i primi 2 mesi di vita; a questo punto i pesci sopravvissuti vengono
spostati negli acquari da 5L. L'alimentazione delle larve consiste di
28
Materiali e metodi
solo cibo secco denominato AZ100, sotto forma di scaglie finissime fino
alle sei settimane di vita per poi passare all’alimentazione degli adulti.
Gli zebrafish hanno un fotoperiodo ottimale di 13 ore di luce e 11 ore
di buio, ottenuto utilizzando lampade regolate da un timer per
l’erogazione della luce artificiale. L’alba ed il tramonto artificiali sono
fissati, per comodità, rispettivamente alle 9,00 e alle 22,00.
I pesci destinati alla riproduzione sono incrociati la sera, un'ora dopo
l'ultimo
pasto,
secondo
le
indicazioni
dello
"Zebrafish
Book"
(Westerfield, 1995). La mattina, con le prime luci dell’alba artificiale, i
maschi cominciano il corteggiamento della femmina, inseguendola e
nuotandole a fianco per poter fecondare le uova appena emesse. Le
uova
rilasciate
attraversando
vengono
una
griglia
depositate
a
rete
sul
fondo
ricoperta
da
della
vaschetta
biglie.
Questi
accorgimenti sono necessari in quanto gli adulti si ciberebbero delle
loro stesse uova, per compensare le perdite energetiche dovute al
frenetico corteggiamento e alla produzione di spermi e uova. In natura
questo non accade perché la corrente tende ad allontanare le uova
appena fecondate.
3 Microiniezione
La microiniezione è quella tecnica che permette l’introduzione di
costrutti in uova fecondate di zebrafish. Questa tecnica viene utilizzata
solitamente con lo scopo di creare pesci transgenici o di studiare in vivo
la funzione di specifiche sequenze geniche bloccandone l’espressione,
grazie all’utilizzo del morpholino, o sovraesprimendole iniettando il
messaggero senso. A seconda delle finalità dello studio, vengono
iniettate sia molecole di RNA che di DNA.
29
Materiali e metodi
L’iniezione di RNA messaggero o di DNA circolare porta alla
formazione
di
animali
transgenici
transienti.
L’acido
nucleico
introdotto, infatti, viene progressivamente perso a causa di eventi di
degradazione e di diluizione. Sebbene la presenza del DNA o RNA
esogeno sia transiente, gli effetti provocati dalla perturbazione
nell’espressione genica dell’embrione possono essere duraturi.
L’iniezione di DNA linearizzato consente di ottenere animali
transgenici stabili, sfruttando la possibilità che molecole di DNA
linearizzate si integrino nel genoma della cellula ricevente.
3.1 Raccolta e microiniezione delle uova
Le uova raccolte dalla vasca dei pesci in accoppiamento sono lavate e
analizzate al microscopio per verificarne qualità e stadio di sviluppo.
Quindi sono disposte lungo il bordo bagnato di un vetrino portaoggetti
inserito in una capsula Petri. A causa della tensione superficiale, le
uova
fecondate
rimangono
sufficientemente
stabili
per
poterle
iniettare.
La microiniezione è effettuata utilizzando una pompa ad aria
controllata a pedale (“Pneumatic Picopump PV820” della “Word
Precision Instrument, Inc”), un micromanipolatore (“Leitz”) e uno
stereomicroscopio (“Wild”) con ingrandimento 32X per monitorare la
procedura.
Utilizzando un puntale Eppendorf® molto sottile montato su una
pipetta Gilson®, si prelevano 1.5-2 µl di soluzione da iniettare
(mantenuta in ghiaccio) e si trasferiscono in un ago da microiniezione.
Gli aghi da microiniezione derivano da capillari di vetro, del
diametro di 1 mm, tirati a caldo in un puller (“Flaming/Brown
micropipette puller” della “Setter Instrument Company®”). Questo
30
Materiali e metodi
strumento possiede dei parametri regolabili per realizzare aghi con
punte più o meno sottili a seconda delle esigenze. I capillari di vetro
utilizzati presentano al loro interno un filamento che aumenta la forza
di capillarità impedendo alla soluzione di microiniezine di fuoriuscire
dal fondo.
L'ago caricato viene infine inserito nell'apposito supporto del
micromanipolatore.
Con
il
minimo
ingrandimento
dello
stereomicroscopio si procede alla messa a fuoco dell'ago la cui punta,
ancora sigillata dal calore, viene rotta con una pinzetta per consentire
alla soluzione contenuta di uscire al momento della microiniezione.
Utilizzando le opportune manopole del micromanipolatore l'ago
viene avvicinato il più possibile alle uova addossate al vetrino. E'
necessario accertarsi che la soluzione da iniettare fuoriesca quando il
pedale del microiniettore viene premuto. L'uscita del liquido dall'ago è
evidenziata dalla colorazione rossa conferita da coloranti presenti nella
soluzione iniettata (rosso fenolo o rodamina destrano). L'ago trapassa
facilmente il corion e viene quindi inserito nel tuorlo dell'uovo
fecondato, in vicinanza dei blastomeri. A questo punto la soluzione
viene fatta fuoriuscire premendo il pedale del microiniettore, che
esercita una pressione regolabile a seconda delle esigenze. Questa
operazione deve venire eseguita in maniera molto rapida,
facendo
entrare ed uscire l'ago molto velocemente, in modo da provocare un
trauma il più possibile limitato all'uovo fecondato. Se la microiniezione
è stata effettuata correttamente si osserva una piccola area rossa nel
tuorlo dell’uovo.
Al termine della procedura, mantenendo fermo il vetrino, viene
versata della fish water in modo da staccare le uova dal vetrino e
trasferirle in un’altra capsula Petri pulita. Le uova iniettate vengono
incubate a 28°C in una soluzione di fish water che viene cambiata più
volte per diminuire la probabilità di crescita fungina. Nelle ore
31
Materiali e metodi
successive
alla
microiniezione,
le
uova
vengono
osservate
al
microscopio per separare quelle fecondate ed iniettate.
3.2
Preparazione
delle
soluzioni
da
microiniettare:
“morpholino” mRNA e DNA
3.2.1
MICROINIEZIONE
DEGLI
OLIGONUCLEOTIDI
MORPHOLINO
E
DELL’MRNA
Tutti i nucleotidi antisenso morpholino sono stati ottenuti dalla ditta
Gene Tools LLC. I morpholino utilizzati per gli esperimenti di questa
tesi sono i seguenti:
• MO1-prep1.1
•
•
•
•
MO1-prep1.2
MOprep1.2-5MIS
MOpbx4
MOaldh1a2
5’–GCCAACTGCCAACACTGGGACATTAT–3’
5’–GTCATCAATAGTTACTGTTGCCGTGG–3’
5’–GTgATCtTAcTTAgTGTTGCgGGTGG–3’
5’–GATCATCCATAATACTTTTGAGCCG–3’
5’–GTTCAACTTCACTGGAGGTCATC–3’
Prima della microiniezione nel tuorlo di embrioni di 1 – 2 cellule le
soluzioni madre dei vari morpholino (8,3 mg/ml) sono state diluite in
soluzione Danieau purificata. Alle soluzioni è stata aggiunta della
rodamina destrano filtrata che permette di verificare con un
microscopio a fluorescenza l’avvenuta iniezione.
Quando si inietta il solo mRNA (mRNA di prep1.2-GFP) questo va
risospeso in una soluzione di PBS filtrato
3.2.2 MICROINIEZIONI DEL DNA PLASMIDICO
Questa metodica è stata utilizzata per far esprimere negli embrioni,
in maniera transiente, il gene reporter della Luciferasi e della GFP e in
questo modo testare in vivo la funzionalità della regione 3’RARE di
32
Materiali e metodi
prep1.2. I plasmidi PG1-RARE, p50-Luc (Argenton el al., 1996), p50RARE-Luc e p50-RAREmut-Luc sono stati purificati, testati su gel di
agarosio e risospesi a bassa concentrazione in un tampone ottimizzato
per la microiniezione di DNA (DNA microinjection buffer) (Meng et al.,
1997).
4 Trapianti cellulari e analisi di mosaici
L’analisi di mosaici permette di determinare se un gene agisce in
modo
cellulo-dipendente
oppure
se
la
sua
fuzione
è
cellulo-
indipendente. Gli esperimenti di trapianto sono stati effettuati su
embrioni allo stadio di blastula avanzata, fino a poco prima che
iniziono i movimenti dell’epibolia. Si è utilizzato un apparato
sperimentale
comprendente
uno
stereo-microscopio,
un
micromanipolatore., una siringa Hamilton ed una guida micrometrica
che permette di spostare volumi molto ridotti. La siringa è riempita con
olio minerale, collegata ad un serbatoio d’olio e tramite tubicini
inestensibili
in
teflonad
un
capillare
di
vetro
montato
sul
micromanipolatore. Si utilizza l’olio minerale per la sua inerzia ed
immiscibilità con le soluzioni acquose; i liquidi essendo incomprimibili
consentono inoltre una maggiore precisione quando si spostano piccoli
volumi di liquido rispetto all’uso di gas.
Inizialmente embrioni ospiti e donatori sono stati inietati con
soluzioni differenti. I primi con il MO1-prep1.2. Gli embrioni donatori
invece con una soluzione contenente TARAM-A-mut (1ng/µl), l’mRNA
di GFP (20 ng/µl) e biotina-destrano fissabile (2-3%). L’mRNA di
TARAM-A codifica per un recettore della via di segnale Nodal; nella
sua forma mutata (-mut) è costitutivamente attivo e induce le cellule
che lo esprimono ad assumere un destino endodermico (David and
Rosa, 2001). La biotina-destrano fissabile è utilizzata per permettere
33
Materiali e metodi
dopo la fissazione con PFA 4% di individuare le cellule trapiantate
utilizzando una perossidasi di rafano coniugata all’avidina ed un
substrato
colorante.
L’mRNA della
GFP
per poter facilmente
distinguere in vivo tramite uno stereo microscopio con luce UV le
cellule prima e dopo il trapianto. Alternativamente alla GFP è possibile
utilizzare un tracciante fluorescente. Si è scelto di utilizzare la GFP in
modo che potesse servire come controllo interno sulla qualità
dell’mRNA iniettato.
Gli embrioni iniettati vengono privati manualmente del loro corion
utilizzando un microscopio da dissezione ed coppia di pinze molti
sottili. Tale operazione va effettuata con gli embrioni in piastre petri il
cui fondo deve essere ricoperto da un sottile strato di agarosio per
evitare che questi si attacchino alla piastra rimanendone danneggiati.
Il medium di crescita è la Ringer Solution contenente Penicillina e
Streptomicina (10U/ml).
Fig. 11: (A) Apparato per i trapianti. Sono evidenti la (a) siringa Hamilton da 10 µl
riempita con olio minrale; (b) riserva d’olio; (c) capillare di vetro; (d) connettore a tre
vie; (e) micromanipolatore; (f): piede magnetico; (g): stereo microscopio. (B) Stampo per
la creazione nell’agarosio, all’interno di piastre petri da 90 mm, delle celle in cui i
singoli embrioni vengono depositati.
34
Materiali e metodi
Una volta che gli embrioni abbiano raggiunto lo stadio desiderato
vengono trasferiti, utilizzando una pipetta in vetro, in una piastra
petri. Su questa in precedenza era stato versato agarosio fatto
solidificare in presenza di uno stampo per creare delle file di cellette
nelle quali vengono alloggiati i singoli embrioni. Utilizzando l’apparato
precedentemente descritto è possibile prelevare guppi di 15-20 cellule
dagli embrioni donatori e depositarle negli embrioni ospiti. La presenza
di TARAM-A-mut assicura che le cellule che lo esprimono daranno
origine ad endoderma a prescindere dalla zona in cui saranno
innestate.
I mosaici ottenuti sono cresciuti fino allo stadio desiderato in Ringer
Solution con penicillina e streptomicina. A questo punto gli embrini
esprimenti la GFP nell’endoderma sono selezionati e fissati per essere
utilizzati poi in esperimenti di ibridazione in situ.
Fig.
12:
(A)
schema
sperimentale dei trapianti
effettuati: 15-20 cellule sono
prelevate dagli embrioni
definiti
“donatore”
e
depositate negli embrioni
denominati
“ospite”
allo
stadio di sfera. (B) A 24 ore
vengono
selezionati
gli
embrioni che presentano
fluorescenza
a
livello
del’endoderma faringeo (e);
vengono quindi fissati ed
utilizzati
in
esperimenti
successivi.
e:
endodema
faringeo; o.v.: vescicola otica.
L’embrione in B è in visione
fronte-laterale con la testa
verso sinistra.
35
Materiali e metodi
5 Tecniche di biologia molecolare
5.1 Estrazione degli acidi nucleici
5.1.1 Estrazione del DNA da embrioni
Il DNA genomico è stato estratto da esemplari adulti e da embrioni
dopo ibridazione in situ utilizzando il kit Promega Wizard® SV
Genomic Purifaction System e seguendo le indicazioni del produttore.
5.1.2 ESTRAZIONE DELL’RNA TOTALE DA EMBRIONI
L’RNA totale è stato estratto da embrioni utilizzando il reagente
Trizol LS (Invitrogen®). Il Trizol è una soluzione monofasica di fenolo e
guanidina isotiocianato che consente l’estrazione di RNA totale
attraverso un unico passaggio. Durante l’omogeneizzazione, effettuata
utilizzando colonnine filtranti e sottoponendo i campioni a centrifuga, il
Trizol mantiene l’integrità dell’RNA lisando e dissolvendo gli altri
componenti cellulari. Il protocollo seguito per questa procedura
(condotta sotto cappa sterile ed indossando guanti e camice per evitare
la contaminazione da RNAsi) è il seguente:
• Omogenizzare il campione in 500 µl di Trizol. L’omogenato in Trizol
può essere conservato a 4ºC per una settimana, a -20ºC per un mese
o a -80ºC per un anno. Incubare per 5 minuti a RT.
• Aggiungere all’omogenato 135 µl di cloroformio, agitare
vigorosamente per 15 secondi ed incubare 15 minuti a RT.
• Centrifugare per 15 minuti a 12000 g, a 4ºC. In seguito alla
centrifugazione la soluzione si suddivide in una fase sottostante di
colore rosso, un’interfase ed una fase acquosa più superficiale in cui
è disciolto l’RNA.
• Recuperare la fase acquosa e trasferirla in una provetta sterile.
• Aggiungere 335 µl di isopropanolo per far precipitare l’RNA,
mescolare ed incubare 10 minuti a RT.
• Centrifugare per 10 minuti a 12000 g , a 4ºC.
• Rimuovere il surnatante e lavare il pellet con 670 µl di etanolo 75%
DEPC.
• Centrifugare per 5 minuti a 7500 g, a 4ºC.
36
Materiali e metodi
• Rimuovere il surnatante e lasciare asciugare il pellet.
• Risospendere l’RNA in H2O DEPC.
Al termine del procedimento di estrazione, l’RNA è testato tramite una
corsa elettroforetica su gel d’agarosio denaturante.
5.2 Reazione a catena della polimerasi (PCR)
La tecnica di reazione a catena della polimerasi PCR (polymerase
chain reaction), permette di produrre un elevato numero di copie di una
specifica sequenza di DNA attraverso un processo di amplificazione. La
reazione avviene tramite cicli ripetuti costituiti da 3 fasi:
1. Denaturazione termica del DNA stampo per separare i filamenti
della doppia elica.
2. Appaiamento di oligonucleotidi complementari alle estremità della
sequenza stampo che si intende amplificare.
3. Estensione di nuovi filamenti di DNA complementari allo stampo
grazie all’attività di una DNA polimerasi DNA dipendente che
utilizza gli oligonucleotidi come inneschi per la replicazione.
5.2.1 OLIGONUCLEOTIDI UTILIZZATI
Segue l’elenco degli oligonucleotidi utilizzati nei diversi esperimenti
presentati in questa tesi.
• Primer utilizzati per il clonaggio dell’intera sequenza codificante di
prep1.2 con e senza il codone di STOP
prep1.2FC-For: 5’-CGGGATCCGCCCCAGCGTTGTCCACGG-3’
prep1.2FC-Rev: 5’-CGGGATCCCAGCGAGTCGCTGGTCTCC-3’
prep1.2FC-Rev-STOP: 5’-CGGGATCCCTACAGCGAGTCGCTGGTC-3’
GGATCC: sito di restrizione dell’enzima BamHI
• Primer utilizzati nella RACE
RACE5’-prep1.2-For: 5’-CAGTAACTATGATGACATCCCC-3’
RACE5’-prep1.2-SP1: 5’-CATCAGATTGTCCAAATCAGG-3’
RACE5’-prep1.2-SP2: 5’-AGCAGCGCCAACAGGGGG-3’
37
Materiali e metodi
• Primer utilizzati per amplificare la regione genomica contenente la
sequenza RARE
prom-prep1.2-For:5’-CGGGATCCCGCCGTGTCTCCTCCCACCTCATC-3’
prom-prep1.2-Rev:5’-CGGGATCCAGTTACTGTTGCCGTGGACAACGC-3’
GGATCC: sito di restrizione dell’enzima BamHI
• Primer utilizzati per amplificare la regione contenente la sequenza
RARE poi clonata
prep1.2-RARE-For: 5’–CCCAAGCTTGCACAAAGTTTTGATTGACAGC-3’
prep1.2-RARE-Rev: 5’-AACTGCAGTTTCAATATTTGTCGGCTCATTT-3’
AAGCTT: sito di restrizione dell’enzima HindIII
CTGCAG: sito di restrizione dell’enzima PstI
5.3 PCR per introduzione di mutazioni sito-specifiche
Per mutagenizzare il gene la sequenza RARE presente nel
promotore del gene prep1.2 e clonato nel plasmide 3’RAREp50Luc è
stato utilizzato il kit “QuickChange™ XL Site-Directed Mutagenesis”
della “Stratagene”. Questo kit permette di introdurre mutazioni
puntiformi in modo specifico in sito: la sequenza viene mutagenizzata
direttamente nel plasmide in cui è inserita, senza richiedere alcun
clonaggio.
Prima di procedere con la reazione è necessario progettare due
oligonucleotidi sintetici (ciascuno complementare a uno dei due
filamenti della doppia elica del vettore)
contenenti le mutazioni
desiderate fiancheggiate dalla sequenza w.t.
Il plasmide e gli oligonucleotidi vengono impiegati in una reazione di
PCR che utilizza la DNA polimerasi PfuTurbo. In questa reazione gli
oligonucleotidi si appaiano ai due filamenti della doppia elica e
vengono incorporati dalla DNA polimerasi nei filamenti in estensione.
Il DNA parentale viene successivamente eliminato in seguito
38
Materiali e metodi
all’aggiunta alla reazione della endonucleasi Dnp I che lo riconosce e
digerisce in quanto metilato. Con i due filamenti non digeriti
contenenti le mutazioni introdotte vengono trasformati chimicamente
dei batteri ultracompetenti. Nelle cellule trasformate le estremità dei
filamenti vengono poi chiuse generando un plasmide contenente la
sequenza di interesse mutagenizzata.
Protocollo:
• Disegno degli oligonucleotidi secondo le indicazioni riportate nel
manuale allegato al kit.
• Successivamente si prepara la reazione come riportato:
Reagenti
Volume
buffer di reazione
10X
5 µl
plasmide stampo
10 ng
oligonucleotide Forward
125 ng
oligonucleotide Reverse
125 ng
dNTP mix
1 µl
QuikSolution
3 µl
Pfu Turbo DNA polimerasi
(2.5 U/µl) 1 µl
acqua DEPC fino a volume finale di
50 µl
• A ciascuna reazione vengono aggiunti 30 µl di olio minerale.
• La reazione di mutagenesi/amplificazione avviene su termociclatore
utilizzando il seguente programma:
Fase
Cicli
Temperatura
Durata
Denaturazione
iniziale
1
95° C
1 minuto
Amplificazione
18
95° C denaturazione 50 secondi
60° C appaiamento 50 secondi
68° C estensione
2 minuti ogni Kb
di lunghezza del
plasmide
Estensione finale
1
68° C
7 minuti
Nella fase centrale di amplificazione è importante rispettare il limite
dei 18 cicli per non avere una diminuzione nell’efficienza di reazione.
• Al termine della PCR, la reazione viene raffreddata in ghiaccio per 2
39
Materiali e metodi
•
•
•
•
•
•
•
•
minuti fino a raggiungere almeno i 37° C.
Si aggiunge 1 µl dell’enzima Dnp I mescolando gentilmente. La
reazione viene poi incubata a 37° C per un’ora allo scopo di digerire
il DNA parentale.
Per ciascuna reazione, un’aliquota da 45 µl di cellule XL10-GOLD
ultracompetenti, conservate a –80°C, è posta in ghiaccio a
scongelare. A ciascuna aliquota vengono aggiunti, mescolando
gentilmente, 2 µl della soluzione ß-ME mix del kit.
Dopo aver incubato le cellule in ghiaccio per 10 minuti,
mescolandole ogni 2 minuti, a ciascuna aliquota vengono aggiunti 2
µl della soluzione contenente il DNA trattato con l’enzima Dnp I ed
il tutto viene incubato in ghiaccio per 30 minuti.
Le cellule vengono quindi sottoposte a shock termico immergendole
per 30 secondi in un bagnetto termico alla temperatura di 42°C.
Dopo lo shock, le cellule sono poste in ghiaccio e in ciascun tubo
vengono aggiunti 0,5 ml di brodo NZY+ precedentemente riscaldato
nello stesso bagnetto a 42°C.
Le cellule vengono incubate per un’ora a 37° C in agitazione (250
rpm).
Al termine dell’incubazione volumi diversi della reazione vengono
piastrati su piastre contenenti LB agar e lo specifico antibiotico di
selezione. Le piastre sono poi incubate a 37°C per un minimo di 16
ore.
Per verificare l’avvenuta mutagenesi, le colonie cresciute sulle
piastre vengono successivamente sequenziate.
5.3.1 Sequenza RARE e oligonucleotidi utilizzati nella mutagenesi
Esamero di una sequenza RARE (Retinoic Acid Responsive
Element) = PuG(G/T)TCA
3’RARE di prep1.2 (DR1):AGTTCA a AGTTCA
AtTgCA a AGaTgA
p50-RARE-Luc
p50-RAREmut-Luc
Primer: AATAGGAGTGTAAAAAAtTgCAaAGaTgATCTTCAAACGTTGC
40
Materiali e metodi
5.4 RT-PCR
La tecnica denominata RT-PCR permette la produzione di cDNA
partendo da uno stampo di RNA sfruttando l’attività enzimatica di una
trascrittasi inversa e utilizzando successivamente una Taq Polimerasi
per l’amplificazione mirata del frammento d’interesse. Ho utilizzato i
reagenti presenti nelk kit Roche 5’/3’ RACE Kit, 2nd Generation e
seguito le indicazioni del produttore.
I passaggi previsti per ottenere il prodotto finale sono:
1. Sintesi del cDNA. Si utilizza l’enzima Transcriptor Reverse
Transcriptase (TdT) che possiede anche un’attività RNasica, questo gli
permette di degradare lo stampo di RNA una volta retrotrascritto.
2. Amplificazione mediante PCR.
Come stampo si può utilizzare
direttamente il cDNA prodotto nel primo passaggio senza bisogno di
purificarlo.
5.5 RACE
Per ottenere la regione 5’UTR del gene prep1.2 ho utilizzato la
metodica RACE (rapid amplification of cDNA ends). Ho utilizzato, in
particolare RNA totale estratto da embrioni e il kit “5’/3’ RACE” della
Roche il quale contiene oltre ai reagenti per la retrotrascrizione e la
PCR anche gli Oligo dT – Anchor primer e i PCR – Anchor primer. La
procedura sperimentale prevede i seguenti passaggi:
• Sintesi e purificazione del cDNA
• Tailing del cDNA con una sequenza di poliA
• PCR che utilizzi un PCR –Anchor primer e primer reverse interno
alla sequenza del trascritto di prep1.2 (SP1)
• Ulteriore PCR con primer reverse studiato in una zona più vicina al
sito d’inizio della traduzione (SP2).
41
Materiali e metodi
Dopo aver verificato la reazione attraverso una corsa elettroforetica,
ed aver estratto la banda specifica da gel, il frammento di PCR di circa
®
®
300 basi, è stato clonato nel vettore pCR II-TOPO , ed inviato al
servizio di sequenziamento del CRIBI. Sequenziato da entrambe le
estremità, il frammento ha rivelato, dopo un confronto con la sequenza
genomica di prep1.2 presente in banca dati, che l’ inizio della
trascrizione (TSS - transcription start site) si trova a 3008 pb dall’ ATG,
e che questa regione non codificante comprende un piccolo esone
iniziale (80 pb) seguito da un introne piuttosto lungo (2862 pb) che
precede l’ esone con l’ ATG (vedi figura 23 nei risultati).
5.6 Elettroforesi in gel di agarosio
L’elettroforesi in gel di agarosio permette la separazione di molecole
di DNA (plasmidi o prodotti di PCR) in base al loro peso molecolare e al
loro grado di superavvolgimento. La scelta della concentrazione
d’agarosio, che determina le dimensioni delle maglie del gel, si basa
sulla lunghezza delle molecole di DNA da analizzare. Con questa
tecnica si possono separare sequenze che vanno dalle 70 paia di basi
(agarosio 3%) fino alle 80.000 paia di basi (agarosio 0.1%).
Se si desidera esaminare molecole di mRNA attraverso corsa
elettroforetica bisogna utilizzare alcuni accorgimenti dal momento che
le molecole di mRNA a singolo filamento tendono a ripiegarsi su se
stesse attraverso la formazione di interazione intra-molecolari. Una
molecola di RNA ripiegata incontra una diversa resistenza nel passare
attraverso le maglie del gel rispetto a una molecola delle stesse
dimensioni non ripiegata o ripiegata diversamente. A causa di questo
comportamento una separazione in base alle dimensioni risulterebbe
non veritiera. E’ necessario quindi far avvenire la corsa in condizioni
denaturanti utilizzando MOPS e formamide; prima di caricare l’mRNA
42
Materiali e metodi
nei pozzetti questo deve essere denaturato a 65°C per 10 minuti.
5.7 Purificazione degli acidi nucleici
5.7.1 ESTRAZIONE E PURIFICAZIONE DI DNA DA GEL DI AGAROSIO
Per estrarre e purificare molecole di DNA da gel di agarosio è stato
utilizzato il kit “Wizard SV Gel and PCR Clean-Up System” della
“Promega®” seguendo il protocollo fornito.
5.7.2 ESTRAZIONE E PURIFICAZIONE DEL DNA PLASMIDICO DAI BATTERI
Per l’estrazione e la purificazione dei plasmidi da colture batteriche
è stato utilizzato il kit “Wizard Plus SV Minipreps DNA Purification
System” (“Promega”), seguendo le istruzioni riportate nel manuale.
5.8 Quantificazione degli acidi nucleici
Per la quantificazione degli acidi nucleici sono state adottate due
differenti metodologie.
La prima prevede dopo corsa elettroforetica in gel di agarosio
contenente etidio bromuro e il confronto tra l’intensità della
fluorescenza delle bande di DNA con quella delle bande di un
marcatore di peso molecolare di concentrazione nota (1 kb ladder,
Promega) grazie all’ausilio del software Molecular Analyst (Biorad).
La concentrazione dell’RNA è stata effettuata secondo lo stesso
principio, con la differenza che i campioni in oggetto sono stati
sottoposti ad una corsa elettroforetica in gel di agarosio denaturante.
43
Materiali e metodi
La concentrazione degli acidi nucleici è stata determinata inoltre
mediante analisi spettrofotometrica. Per la quantificazione di DNA a
doppio filamento (ds) si diluisce un’aliquota della soluzione e se ne
misura l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 260 nm (A260)
utilizzando uno spettrofotometro precedentemente tarato con una
soluzione di sola H2O. Si risale alla concentrazione del DNA
utilizzando la seguente formula :
CONCENTRAZIONE DSDNA µG/ML = A260 X 50 X FATTORE DI DILUIZIONE
Anche l’RNA a singolo filamento (ss) può essere quantificato attraverso
l’analisi
spettrofotometrica. Si risale alla concentrazione dell’RNA utilizzando
la seguente formula :
CONCENTRAZIONE SSRNA µG/ML = A260 X 40 X FATTORE DI DILUIZIONE
5.9 Clonaggio in vettori d'espressione
5.9.1 IMPIEGO DELLE ENDONUCLEASI DI RESTRIZIONE
Le endonucleasi di restrizione sono enzimi, di origine batterica, in
grado di riconoscere e tagliare specifiche sequenze di DNA a doppio
filamento. Queste sequenze sono lunghe poche paia di basi (sei
nucleotidi per la maggior parte) e sono spesso palindromiche.
5.9.2 REAZIONE DI DEFOSFORILAZIONE
Prima di una reazione di ligazione, tra il frammento di DNA da
clonare ed il vettore dove dovrà essere inserito, è necessario
defosforilare il plasmide (se linearizzato o digerito con endonucleasi di
restrizione in grado di generare estremità compatibili tra loro). In
44
Materiali e metodi
questo modo si evita che il plasmide si richiuda su se stesso in presenza
di una DNA-ligasi. L’enzima utilizzato è la CIP (calf intestinal
phosphatase) della “Promega” con il buffer fornito e seguendo il
protocollo consigliato.
5.9.3 REAZIONE DI LIGAZIONE
La ligazione di un frammento di DNA (inserto) con un vettore
plasmidico linearizzato avviene attraverso la formazione di nuovi
legami fosfodiesterici. Diverse DNA ligasi sono in grado di catalizzzare
la formazione di nuovi legami fosfodiesterici in vitro. Tra queste la
DNA ligasi del batteriofago T4 catalizza il legame tra le estremità di
due molecole di DNA sia complementari che piatte.
Nella reazione di ligazione il rapporto molare tra inserto e vettore
deve essere circa 3: 1. Per convertire il rapporto molare in rapporto di
massa si utilizza la seguente formula:
[(NG DI VETTORE X 0.5 KB INSERTO) / KB DI VETTORE] X RAPPORTO MOLARE
(INSERTO/VETTORE) = NG INSERTO
5.9.4 UTILIZZO “TA CLONING”
Tutte le regioni geniche e genomiche clonate in vettori d’espressione
sono state prima clonate nel vettore commerciale Invitrogen pCRIITOPO seguendo il protocollo fornito. Il vantaggio nell’utilizzare questo
vettore consiste nel fatto che permette l’inserimento diretto di un
prodotto di PCR ottenuto con una Taq polimerasi al suo interno: non
sono infatti necessarie reazioni di defosforilazione, restrizione e
legazione. Viene sfruttata l’attività spontanea di terminal – transferasi
delle Taq polimerasi. L’enzima fornisce infatti prodotti con estremità 3’
sporgenti di un nucleotide A. Il vettore viene fornito linearizzato, con
45
Materiali e metodi
estremità 3’ sporgenti di una singola timidina e con una Topoisomerasi
I legata covalentemente alle sue estremità. La strategia di clonaggio
sfrutta l’attività di ligasi della Topoisomerasi I. La legazione del
vettore con il prodotto di PCR avviene spontaneamente e con grande
efficienza a temperatura ambiente in pochi minuti.
5.9.5 TRASFORMAZIONE DI BATTERI COMPETENTI
Il processo di trasformazione comporta l’introduzione di DNA
esogeno in una cellula procariote. Essa può essere ottenuta trattando le
cellule in modo da cambiare temporaneamente le caratteristiche della
membrana cellulare, per esempio, mediante shock termico oppure
applicando un campo elettrico tra due elettrodi immersi nella
sospensione cellulare. In entrambi i casi si generano sulle membrane
dei punti di rottura localizzati che permettono lo scambio di molecole
tra l’interno e l’esterno della cellula. Per le trasformazioni sono stati
utilizzati i batteri commerciali del ceppoTOP10 (Invitrogen).
Elettroporazione
• I batteri, conservati a –80°, vengono lasciati scongelare in ghiaccio
per circa dieci minuti.
• Successivamente gli si aggiunge il plasmide che si intende
espandere (100-200 ng) mescolando gentilmente.
• La soluzione ottenuta di batteri e DNA esogeno viene trasferita in
un’apposita cuvetta per l’elettroporazione e viene dato lo shock
elettrico (1.8 kV).
• Immediatamente vengono aggiunti alle cellule 250 µl SOC medium
a temperatura ambiente. I batteri vengono poi recuperati e
trasferiti in un tubo da coltura in cui si aggiungono altri 750 µl di
SOC medium. Segue un’incubazione di un’ora a 37°C in agitazione
(200 rpm).
• Al termine dell’incubazione aliquote (20-100 µl) della
trasformazione vengono seminate su piastre con terreno selettivo e
incubate a 37°C per tutta la notte.
• Le colonie che crescono possono successivamente venire espanse ed
analizzate in merito all’identità del plasmide contenuto.
46
Materiali e metodi
5.9.6 VETTORI OTTENUTI
L’intera sequenza codificante del gene prep1.2 priva del codone di
stop è stata clonata in pCRII-TOPO e da qui subclonata in
pCS2+GFP, utilizzando il sito di restrizione di BamHI, in modo da
risultare in frame con la GFP. La stessa sequenza ma questa volta con
il codone di stop e stata subclonata all’interno del vettore d’espressione
pCS2+.
La regione, di 500 paia di basi, del primo introne di prep1.2
contenente la sequenza RARE (retinoic acid responsive element) è stata
amplificata mediante PCR e sub-clonata nei siti di restrizione di
HindIII e PstI del vettore ptPRL-50-Luc (p50-Luc) (Argenton et al.,
1996).
5.10 Sequenziamento
Tutti i campioni di DNA sono stati sequenziali dal “Servizio di
Sequenziamento di DNA del C.R.I.B.I.” dell’Università di Padova.
Prima di essere portato a sequenziare, il DNA è stato preparato
utilizzando
le
procedure
reperibili
presso
il
sito
internet
http://bmr.cribi.unipd.it. Per analizzare le sequenze di DNA sono stati
utilizzati vari programmi informatici e diverse banche dati. Gli
elettroferogrammi, forniti dal servizio sequenziamento del CRIBI, sono
stati visualizzati ed analizzati grazie al programma EditWiew 1.0.1
(Perkin Elmer). Le sequenze sono state processate grazie ai software
reperibili presso il sito internet dell’EBI (European Bioinformatic
Institute) (www.ebi.ac.uk) e comparate con quelle presenti nelle banche
dati (“Gene Bank”) utilizzando i motori di ricerca dell’EMBL, presso il
sito
dell’EBI
e
dell’NCBI
(National
Information) (www.ncbi.nlm.nih.gov).
47
Centre
of
Biotechnology
Materiali e metodi
5.11 Sintesi di RNA in vitro
5.11.1 SINTESI DI MRNA
La trascrizione, ovvero il processo di sintesi dell’ RNA messaggero,
puo’ essere riprodotto in vitro mediante l’impiego di RNA polimerasi
fagiche (SP6, T3 e T7). Prima di trascrivere è necessario linearizzare il
plasmide, contenente la sequenza da trascrivere a valle del promotore
fagico, con un enzima di restrizione che tagli unicamente a valle
dell'inserto da trascrivere. La rottura della continuità della molecola di
DNA ad opera del processo digestivo causa il distacco della RNA
polimerasi dallo stampo e di conseguenza il blocco della trascrizione.
La qualità e la quantità del plasmide linearizzato vengono controllati
con corsa su gel di agarosio. Per la trascrizione del messaggero è
seguita la procedura del kit "mMESSAGE mMACHINE" (“Ambion”).
Per la purificazione del messaggero si è utilizzato il kit “MEGAclear”
(“Ambion”) seguendo il protocollo del produttore.
5.11.2 SONDE ANTISENSO
Anche la sintesi di sonde antisenso di RNA è possibile utilizzando le
polimerasi fagiche SP6, T3 e T7 i cui promotori sono presenti ai due
lati dei polilinker dei vettori plasmidici d’espressione in cui queste sono
clonate. Vengono utilizzate miscele di ribonucleotidi contenenti una
frazione di UTP marcate con digossigenina (NTPs-DIG) o fluoresceina
(NTPs-FLUO), molecole bersaglio di anticorpi specifici. Anche in questo
caso il vettore va linearizzato prima della sintesi. Sempre partendo da
DNA plasmidico sottoposto a restrizione e purificato si allestisce la
seguente reazione:
Reagenti
Buffer di reazione 5X
NTPs-DIG/NTPs-FLUO 10X
Quantità
4 µl
2 µl
48
Materiali e metodi
DNA stampo
RNasi Inibitor
T7 / SP6
Acqua DEPC fino a volume (20 µl)
1 µg
1 µl
2 µl
La reazione viene incubata a 37°C per 2 ore al termine delle quali
vengono aggiunti 2µl di DNasi priva di RNasi per degradare lo stampo.
La reazione viene lasciata per 20 minuti a 37°C. Per la purificazione
delle sonde si è utilizzato il kit “MEGAclear” (“Ambion”) seguendo il
protocollo del produttore.
5.12 Trattamento degli embrioni con Acido Retinoico (AR) e
DEAB
Uno dei vantaggi dell’utilizzo di D. rerio come organismo modello
consiste nel fatto che il corion che ricopre gli embrioni è permeabile a
piccole molecole organiche. Questo permette di sottoporre a differenti
trattamenti gli embrioni semplicemente incubandoli in un mezzo dove
si trovino diluite alla concentrazione opportuna le sostanze d’interesse.
Embrioni di zebrafish al 50% di epibolia sono stati incubati al buio, a
temperatura ambiente, in fish water contenente all-trans AR (Sigma)
10-7M e DMSO 1:1000. Tale medium di crescita è ottenuto a partire
dalla soluzione madre di AR 10mM in etanolo 100%. Al termine del
trattamento gli embrioni vengono lavati più volte con fish water per
eliminare ogni traccia di AR, poi posti a crescere a 28,5 °C. Lo stesso
stadio di sviluppo degli embrioni e le stesse condizioni sperimentali si
sono utilizzate per l’incubazione degli embrioni in fish water
contenente dietilamminobenzaldeide (DEAB, Sigma), un’inibitore
dell’acido retinoico. La concentrazione finale di DEAB per l’incubazione
è 10µM e DMSO 1:1000. Il controllo negativo si è ottenuto incubando
gli embrioni in soluzione contenente DMSO 1:1000.
49
Materiali e metodi
5.13 Saggio di espressione della Luciferasi
Per valutare l’azione della parte di promotore del gene prep1.2
contenente la sequenza RARE clonato all’interno del vettore p50-Luc
ho utilizzato un saggio di espressione della Luciferasi. In particolare
per quantificare l’azione del gene reporter Luciferasi espresso negli
embrioni microiniettati con i costrutti p0-Luc, p50-Luc, p50-RARE-Luc
e p50-RAREmut-Luc ho utilizzato il kit PROMEGA LUCIFERASE
ASSAY SISTEM.
Materiali
Reporter Lysis Buffer 5X (RLB)
Luciferase Assay Substrate (LAS)
Luciferase Assay Buffer (LAB)
Luminometro Bio-Rad
Protocollo
• Risospendere LAS in LAB e conservare a –80°C (ottengo cosi
Luciferase Assay Reagent, LAR)
• Preparare RLB 1X
• Trasferire gruppi di 4 embrioni privi del corion in tubi eppendorf e
lavare accuratamente con PBS.
• Dopo aver eliminato il PBS aggiungere il tampone di lisi RLB
• Sottoporre i campioni a congelamento per 5 minuti a –80°C
• Scongelare gli embrioni e trasferirli in un nuovo tubo sterile
• Vortexare brevemente
• Centrifugare gli embrioni per 15 secondi a 12000g
• Trasferire il surnatante contenente la Luciferasi in tubi sterili e
conservarli, se non utilizzati subito, a –80°C
• In cuvette sterili monouso aggiungere 100 µl di surnatante e 20 µl
di tampone di reazione LAR
• Misurare la luce emessa in 20 secondi
I dati forniti dal luminometro sono stati normalizzati con la
misurazione della luce emessa da 5 µl di una soluzione 20 pg/µl di
50
Materiali e metodi
Luciferasi pura e 20 µl del nostro tampone. Ogni surnatante è stato
sottoposto a due distinte misurazioni.
5.14 qRT-PCR
Per valutare l’influenza dell’AR e dell’inibitore della sua sintesi
DEAB sull’espressione di prep1.2 è stata utilizzata la tecnica della
qRT-PCR. Per prima cosa si sono sottoposti 3 lotti di 20 embrioni a
trattamento dalla tarda epibolia fino alla fine della somitogenesi a
trattamento con AR e DEAB; il gruppo di controllo è stato incubato con
il solo DMSO. Allo stadio di 24 ore dagli embrioni è stato estratto
l’mRNA totale dal quale poi è stato retro trascritto il cDNA utilizzando
random esameri. L’esperimento è stato ripetuto 3 volte. Dopo avere
verificato
la
qualità
dello
stesso
ed
averne
determinato
la
concentrazione i campioni di cDNA sono stati inviati al CRIBI dove è
stato effettuato l’esperimento utilizzando il termociclatore 7500 Real
Time PCR System (Applera) e il SYBR green per quantificare il cDNA.
I primers utilizzati per l’esperimento sono i seguenti:
prep1.2-For: 5’-CAGTCAGGAGGACGGTTCGTCTA-3’
prep1.2-Rev: 5’-GGATAAGGGTGACCAATGTGCTG-3’;
hoxb1b-For: 5’-CCCCTAAAACAGTTAAAGTCGCCG A-3’;
hoxb1b-Rev: 5’-GTGAAACTCCTTCTCAAGTTCCGT G-3’;
tbx1-For:
5’-CCCTATCCCTCACCCAGCAT-3’;
tbx1-Rev:
5’-TCGTCCGTCAGAAGCCACTA-3’;
b-actin-For: 5’-GCCTGACGGTCAGGTCATCACCATCGG-3’;
b-actin-Rev: 5’-CGCACTTCATGATGGAGTTGAAGGTGG-3’;
eF1-For:
5’-GCGGTACTACTCTTCTTGATGCCC-3’;
eF1-Rev:
5’-ACAGGTACAGTTCCAATACCTCCA-3’.
I primers di tbx1e della b-actin sono stati disegnati basandosi sul
lavoro di Zhang et al., 2006 . eF1 e la b-actina sono stati usati come
controllo per confermare che le quantità e le qualità di partenza dei
differenti cDNA fosserò comparabili. I livelli di espressione di prep1.2,
51
Materiali e metodi
hoxb1b and tbx1 è stata normalizzata rispetto alla quantità di b-actina
di eF1 presenti nei campioni. Le condizioni di amplificazione sono
identiche per tutte le reazioni ad eccezione della Ta di eF1: 94°C 3min,
quindi 94°C 45s, annealing a 64°C (62°C per eF1) per 45s e lo step di
espensione a 72°C per 45s.
6. COLORAZIONI ISTOCHIMICHE
6.1 Ibridazione in situ
La metodica dell’ibridazione in situ su embrioni in toto consente di
rivelare ed analizzare l’espressione di un determinato gene usando
sonde
di
acido
ribonucleico
sequenza
specifiche,
marcate
non
radioattivamente. La procedura è effettuata utilizzando tutti gli
accorgimenti necessari per evitare la contaminazione da RNAsi.
PRIMO GIORNO DI IBRIDAZIONE
1. Reidratazione. Gli embrioni fissati, privi del corion e conservati in
metanolo a -20ºC, vengono trasferiti in una provetta pulita da 2 ml e
reidratati con soluzioni concentrazione crescente di PBT e decrescente
di metanolo.
2. Digestione con proteinasi K. Vengono aggiunti alla soluzione di
PBT, 10 µg/ml di proteinasi K in PBS per digerire parzialmente le
strutture proteiche e creare così dei fori attraverso i quali possa
diffondere la sonda. Il tempo di incubazione dipende dallo stadio degli
embrioni usati:
•
•
•
•
•
1 ora per embrioni a 3gg;
30 minuti per embrioni a 48 hpf;
20 minuti per embrioni a 30 hpf;
15 minuti per embrioni a 24 hpf;
5 minuti per embrioni nella tarda somitogenesi (tra i 14 e i 22
52
Materiali e metodi
somiti);
• 1 minuto per embrioni nella prima somitogenesi;
Subito dopo è necessario il fissaggio in PFA al 4% in PBS per almeno
20 minuti.
3. Preibridazione. Preibridare gli embrioni con 300-400 µl di
soluzione HM per 2-5 ore alla temperatura di 65ºC.
4. Ibridazione. Rimuovere la soluzione precedente e ripristinare 200
µl di HM contenente 100-200 ng della sonda desiderata. Incubare a
65ºC O/N. La presenza di eparina e di tRNA nella miscela di
ibridazione assicura che la sonda non si leghi a bersagli aspecifici.
SECONDO GIORNO DI IBRIDAZIONE
1. Lavaggi. Utilizzando soluzioni preriscaldate alla temperatura di
ibridazione, si deve effettuare una serie di lavaggi in modo da
rimuovere tutta la sonda non legata al bersaglio specifico. Si effettuano
i seguenti lavaggi:
• 100% di HM (priva di tRNA ed eparina) : lavaggio rapido alla
temperatura di ibridazione
• 75% di HM 25% SSC 2X per 15 minuti alla temperatura di
ibridazione
• 50% di HM, 50% SSC 2X per 15 minuti alla temperatura di
ibridazione
• 25% di HM, 75% SSC 2X per 15 minuti alla temperatura di
ibridazione
• 100% SSC 2X per 15 minuti
• 50% SSC 0.2X 50% formamide per 30 minuti alla temperatura di
ibridazione (2 lavaggi)
2. Preincubazione. Attraverso una serie di passaggi a concentrazione
crescente di PBT e decrescente di SSC 0.2X si riporta la soluzione al
100% di PBT.
53
Materiali e metodi
•
•
•
•
75% SSC 0.2X 25% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente
50% SSC 0.2X 50% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente.
25% SSC 0.2X 75% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente.
100% PBT per 10 minuti a temperatura ambiente.
Si sostituisce il PBT con una soluzione di PBT/Sheep serum/BSA e si
lasciano gli embrioni per almeno 2 ore a temperatura ambiente in
questa miscela.
3. Incubazione. In base a come la sonda è marcata, l’anticorpo
preadsorbito
utilizzato
può
riconoscere
la
digossigenina
o
la
fluoresceina. L’anticorpo è coniugato alla fosfatasi alcalina, un enzima
con proprietà cromogene se messo a contatto con il substrato
appropriato. La reazione anticorpale è condotta in agitazione O/N alla
temperatura di 4ºC in circa 300-400 µl di soluzione.
TERZO GIORNO DI IBRIDAZIONE
1. Lavaggi. Gli embrioni vengono sottoposti ad una serie di lavaggi
in PBT per rimuovere tutto l’anticorpo che non si è legato in maniera
specifica alla sonda (6 lavaggi da 15 minuti a temperatura ambiente).
2. Precolorazione. Per preparare gli embrioni all’ambiente adeguato
prima di fornire il substrato per la fosfatasi alcalina, sono stati eseguiti
3 lavaggi da 5 minuti utilizzando lo tampone di colorazione specifico
per il substrato utilizzato per la colorazione.
3. Colorazione. Gli embrioni trasferiti in un vetrino orologio sono
stati incubati al buio nella soluzione di colorazione. Il substrato
utilizzato è l’NBT-BCIP che, nella reazione con la fosfatasi alcalina,
forma un precipitato di colore blu. Per monitorare la reazione
colorimentrica è necessario osservare gli embrioni al microscopio
dissezione ogni 10-15 minuti. Se la colorazione è lenta, è possibile farla
procedere più velocemente ad una temperatura di 37ºC. Gli embrioni
possono, inoltre, essere conservati per una notte a 4ºC, temperatura
54
Materiali e metodi
alla quale la reazione procede molto lentamente. Una volta raggiunto il
livello di colorazione desiderato, la reazione viene bloccata lavando gli
embrioni con la stop solution.
4. Fissaggio. Gli embrioni vengono fissati O/N con PFA al 4% a 4ºC.
IBRIDAZIONE IN SITU DOPPIA
La procedura per l’ibridazione doppia è uguale alla singola, fino al
terzo giorno di ibridazione. Terminata la prima colorazione, gli
embrioni sono lavati con PBT (3 lavaggi di 5 minuti ciascuno). Una
volta effettuatisi procede con:
•
Rimozione (stripping) dell’anticorpo. Gli embrioni sono trattati
con la soluzione di stripping (3 lavaggi per 5 minuti), per rimuovere il
primo anticorpo.
•
Preincubazione. Seguono dei lavaggi in PBT e la preincubazione
nella soluzione PBT/sheep serum/BSA.
•
Incubazione. Sono aggiunti 300-400 ul di soluzione contenente
l’anticorpo specifico per la seconda sonda e si mette ad incubare per
tutta la notte a 4°C in agitazione.
Gli embrioni vengono poi sottoposti ad una serie di lavaggi in PBT
per rimuovere l’eccesso di anticorpo, prima di fornire il substrato per la
fosfatasi alcalina. Sono stati eseguiti 3 lavaggi da 5 minuti utilizzando
lo staining buffer specifico (ad esempio, se in precedenza e’ stato usato
Dig-staining buffer ora si utilizzera’ il Fluo-staining buffer). E’
consigliabile effettuare la prima rivelazione in blu e la seconda in rosso
e non viceversa. Il substrato utilizzato per effettuare la colorazione in
rosso e’ il FAST RED (1 tavoletta in 2 ml di buffer di colorazione;
Sigma), che nella reazione colorimetrica forma un precipitato rosso. Il
monitoraggio della reazione è identico a quanto descritto per la prima
colorazione.
55
Materiali e metodi
COLORAZIONE
CELLULE
MARCATE
CON
BIOTINA-
DESTRANO
Per evidenziare in mosaici quali siano le cellule provenienti
dall’embrione donatore si sfrutta l’altissima affinità esistente tra la
biotina-destrano iniettata nelle cellule e l’avidina. Una volta terminato
l’esperimento di ibridazione in situ gli embrioni vengono sottoposti ad
un semplice protocollo che prevede come per l’ibridazione in situ doppia
la rimozione dell’anticorpo e la preincubazione. Effettuati questi primi
due passaggi gli embrioni vengono incubati per un’ora in presenza di
Avidina coniugata con una perossidasi alcalina di rafano. La
colorazione dopo alcuni lavaggi per rimuovere l’eccesso di Avidina va
effettuta in DAB staining buffer. Il DAB è il substrato di colorazione.
La reazione è molto veloce e va monitorata con uno stereo microscopio
ogni cinque minuti. Una volta terminata la colorazione gli embrioni
vanno lavati in PBT e poi fissati in PFA4%.
6.2 Colorazione delle cartilagini con Blu di Alcian
1. Reidratazione. Le larve di 5 o 6 giorni conservate in metanolo
100%
a
-20ºC
sono
reidratate
aumentando
gradualmente
la
concentrazione di PBT nella soluzione finché non si raggiunge il 100%
di PBT. Si eseguono poi 3 lavaggi da 5 minuti con PBT.
2. Colorazione. Si trasferiscono le larve in un nuovo tubetto
eppendorf da 2 ml e si aggiunge Alcian blue solution (70% etanolo, 1%
HCl, 0.1% Alcian blue) in cui le larve rimangono O/N. Successivamente
le larve sono decolorate con una soluzione 3% H2O2 , 1% KOH finché
gli occhi delle larve da neri diventano chiari. Quindi si esegue una
graduale disidratazione aumentando via via la concentrazione di
etanolo e poi si possono conservare gli embrioni in glicerolo a 4ºC.
56
Materiali e metodi
3. Osservazione. I campioni sono allestiti su vetrini in modo analogo
alle ibridazioni in situ.
6.3 Immunoistochimica
1. Fissazione. La tecnica è basata sul riconscimento tra gli anticorpi
e i domini proteici per cui essi sono specifici, perciò la tecnica di
fissazione è leggermente diversa rispetto alle altre metodiche che non
riguardano le proteine. Gli embrioni di 30 hpf sono trasferiti in tubi
eppendorf da 2 ml e lavati con PBS per 3 volte, in PBS gli embrioni
sono decorionati utilizzando aghi da dissezione. Il fissativo non può
essere conservato a lungo e perciò è necessario prepararlo fresco
mescolando le giuste dosi di soluzioni più facili da conservare: ogni
volume di fissativo è costituito per 1/2 da soluzione 2x, per 1/4 da PFA
al 4% in PBS, per 1/4 da PBS. La soluzione 2x necessaria per preparare
il fissativo deve contenere CaCl2 0.3 mM, e saccarosio 8%. La
fissazione viene effettuata tenendo gli embrioni a 4ºC e dura 16 ore.
Dopo questo trattamento gli embrioni subiscono operazioni analoghe a
quelle delle altre metodiche fino alla fase di conservazione in metanolo
a -20ºC.
2. Lavaggi. Gli embrioni sono reidratati gradualmente con PBTx e
poi si eseguono dei lavaggi con PBTx: 3 lavaggi da 10 min ed i
successivi 3 da 30 min sempre mantenendo gli embrioni in agitazione
sopra un piatto basculante.
3. Trattamento con anticorpo primario.
Dopo i lavaggi si
trasferiscono gli embrioni in eppendorf da 2 ml pulite e si aggiunge una
soluzione di anticorpo monoclonale di topo: Zn-5, per l’endoderma
faringeo, 1:500 in PBTx.
4. Incubazione. La prima ora di incubazione si svolge tenendo gli
57
Materiali e metodi
embrioni in agitazione a RT e per le successive circa 40 ore gli embrioni
sono incubati a 4ºC. Alla fine dell’incubazione si deve recuperare
l’anticorpo può essere utilizzato per esperimenti successivi. Si eseguono
dei lavaggi analoghi a quelli precedenti l’incubazione.
5. Trattamento con anticorpo secondario. Si trasferiscono gli
embrioni in eppendorf da 2 ml pulite e si aggiunge una soluzione di
anticorpo di capra anti-topo diluita 1:100 in PBTx. La prima ora di
incubazione si svolge tenendo gli embrioni in agitazione a RT e per le
successive 23 ore gli embrioni sono incubati a 4ºC e protetti con della
carta stagnola per evitare che la luce danneggi gli anticorpi. Dopo
questa
incubazione
l’anticorpo
secondario
viene
recuperato.
Si
eseguono lavaggi analoghi a quelli precedenti le incubazioni.
6.
Colorazione.
Le
fasi
successive
coincidono
con
quelle
dell’ibridazine in situ a partire dalla preparazione del tampone di
colorazione.
6.4 Acquisizione delle immagini
Dopo la colorazione gli embrioni sono in PFA al 4% in PBS. Per
poterli montare su vetrino devono essere trasferiti in una soluzione di
glicerolo 85%. Utilizzando un microscopio a dissezione e dei piccoli
aghi, si rimuove il tuorlo dagli embrioni, in modo da poterli osservare e
fotografare senza che questo comprometta la qualità dell’immagine. Si
dispongono dei pezzetti di scotch sovrapposti sul vetrino portaoggetti,
che vengono poi incisi con una lametta per rimuoverne un quadratino e
creare così una tasca in cui alloggiare l’embrione. Per embrioni allo
stadio di 24 hpf e di 30 hpf sono sufficienti due o tre strati di scotch,
mentre gli embrioni a 3gg necessitano di almeno 5 strati, essendo più
voluminosi. Agli embrioni a 4-5gg vengono dissezionati gli occhi che
impediscono l’osservazione del segnale. L’embrione è posto sul vetrino
58
Materiali e metodi
portaoggetti con una goccia di glicerolo e un coprioggetto viene
adagiato sopra. E ’possibile, muovendo delicatamente il coprioggetto,
ruotare l’embrione per disporlo nella posizione desiderata.
Le foto sono state acquisite con una fotocamera digitale DC 500
(Leica®), montata su microscopio composto Leica DMR. Le immagini
sono state elaborate con il programma Adobe Photoshop CS3.
7 Tabelle
7.1 Risultati ibridazioni in situ
Sonda
tfap2a
24hpf
sox9a
48hpf
flk1
24 hpf
fli1
24 hpf
foxd3
10 s
dlx2a
10 s
dlx2a
24 hpf
dlx2a
48 hpf
Glu::GFP
36 hpf *
Zn5
36 hpf **
pea3
24 hpf
fgf3
48hpf
her5
tail bud
Costrutto
iniettato
Non iniettati
MO1-prep1.1
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.1
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.1
Non iniettati
MO1-prep1.1
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
MO1-prep1.2
Non iniettati
22
24
28
18
25
20
Fenotipo
wt
22
22
25
18
25
2
Fenotipo
non wt
0
2
3
0
0
18
22
22
0
29
42
37
17
31
23
32
55
62
30
19
82
97
28
42
3
17
27
23
30
55
11
30
2
82
19
0
0
34
0
4
0
2
0
51
0
40
0
78
68
68
0
112
34
38
18
24
34
6
18
88
0
32
0
20
2
18
16
23
30
16
22
27
0
1
3
trattamento N°embrioni
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
DEAB
59
Materiali e metodi
aldh1a2
15 s
aldh1a2
20 s
aldh1a2
24 hpf
hoxb1b
tail bud
hoxb1b
24 hpf
MOprep1.2-5mis
MO1-prep1.2
MOprep1.2-5mis
MO1-prep1.2
MOprep1.2-5mis
MO1-prep1.2
MOprep1.2-5mis
MO1-prep1.2
MOprep1.2-5mis
MO1-prep1.2
8
32
20
26
22
48
11
20
21
50
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
Fish Water
8
9
20
5
22
7
11
18
21
5
0
23
0
21
0
41
0
2
0
45
Tab. 1: in tabella sono riportati i risultati delle ibridazioni in situ. In particolare per ogni
sonda è indicato il numero di embrioni utilizzati, il trattamento cui sono stati sottoposti e il
fenotipo osservato. * GLU::GFP indica l’utilizzo di una linea transgenica che esprime la GFP
anche nell’endoderma faringeo; ** Zn5 è l’anticorpo specifico per l’endoderma faringeo usato in
esperimenti di immunoistochimica.
7.2 Tabella esperimenti di recupero condrogenesi
Costrutto
Fenotipo Fenotipo
trattamento N°embrioni
iniettato
wt
non wt
Non iniettati
22
22
0
col2a1
MO1-prep1.1
39
32
7
Fish Water
48 hpf
MO1-prep1.1
78
2
76
+mRNAfli1
Tab. 2: la tabella mostra i risultati degli esperimenti in cui si è tentato di
recuperare la condrogenesi nei morfanti di prep1.1 mediante l’iniezione di mRNA di
fli1. Per valutare la condrogenesi si è utilizzato il marcatore col2a1 il primo
marcatore specifico alterato in tali morfanti (Deflorian et al., 2004).
Sonda
7.3 Tabella analisi mosaici
Ospite
/
MO1-prep1.2
MO1-prep1.2
Cellule da
donatore
/
/
TARAM-A-mut
N°embrioni
Fenotipo wt
20
15
17
20
4
13
Fenotipo
non wt
0
11
4
Tab. 3: la tabella mostra i risultati dell’analisi dei mosaici creati con i trapianti. Risulata
evidente come il fenotipo wt delle creste (visualizzate con la sonda dlx2a) venga ripristinato
una volta trapiantate cellule endodermiche negli embrioni morfanti.
60
Materiali e metodi
7.4 Tabella recupero segmentazione endodema faringeo in
embroni trattati con DEAB ed iniettati con mRNAprep1.2
Marcatura
fgf3
Costrutto
iniettato
Trattamento
/
mRNA prep1.2
75 ng/µl
mRNA prep1.2
100 ng/µl
/
Zn5
mRNA prep1.2
75 ng/µl
mRNA prep1.2
100 ng/µl
Fish water
DEAB
N°
embrioni
32
38
Fenotipo
wt
32
1
Fenotipo
non wt
0
37
DEAB
22
0
22
DEAB
29
2
27
Fish water
DEAB
37
44
37
0
0
44
DEAB
25
0
25
DEAB
22
1
21
Tab. 4: in tabella sono riportati i numeri di embrioni utilizzati negli esperimenti, gli
embrioni con fenotipo wt o differenti da esso. Il carattere osservato per discriminare tra wt e
non wt è la segmentazione dell’endoderma faringeo
7.5 Tabella recupero segmentazione endoderma faringeo in
mutanti nls dopo iniezione mRNAprep1.2
Marcatura
fgf3
Costrutto
iniettato
Background
N°
embrioni
Fenotipo
wt
Fenotipo
nls
/
nls+/- X nls+/-
37
28 [74,7%]
9 [24,3%]
mRNA prep1.2
150 ng/µl
nls+/- X nls+/-
148
111 [75%]
37 [25%]
Tab. 5: in tabella sono riportati i dati delle ibridazioni in situ su embrioni nls. Il 25% degli
embrioni inietati con mRNAprep1.2 presentano il fenotipo nls così come accade nei controlli.
Dal momento che la mutazione nls inserisce un sito di restrizione per PstI, gli embrioni
iniettati con endoderma faringeo wt sono stati genotipizzati tramite PCR e analisi di
restrizione per verificare che tra loro non fossero presenti mutanti omozigoti. Primer utilizzati:
nls_for: 5’-TTT GCA TCT GTA AGT GTG TTG A-3’; nls_rev: 5’-TGC TTA GGT CAC AAA GTA
ACC
A-3’
61
62
RISULTATI
1 Ruolo dei geni prep nei processi che portano alla
formazione dello scheletro faringeo.
Il fenotipo causato dall’inattivazione dei geni prep presi in
considerazione
evidenzia
chiaramente
come
questi
siano
di
fondamentale importanza negli eventi che durante l’embriogenesi di
zebrafish portano alla formazione dello scheletro faringeo. Si è voluto
quindi cercare di valutare il loro ruolo nella condrogenesi mediante lo
studio dell’espressione, in embrioni morfanti, di fattori di trascrizione
necessari per la stessa: si è scelto di utilizzare sonde che ibridassero
con i trascritti di tfap2a e sox9a. In particolare è stato dimostrato che
tfap2a ha un ruolo fondamentale per la sopravvivenza delle cellule
delle
creste
neurali
successivamente
per
(CCN)
la
craniali
corretta
in
fase
premigratoria
regionalizzazione
delle
e
cellule
mesenchimali che originano da esse, dalle quali si forma lo scheletro
faringeo, e per il loro differenziamento (Knight et al., 2003; Knight et
al., 2005). sox9a invece viene espresso negli archi faringei, nel
neurocranio e nelle pinne pettorali e la sua attività è necessaria per
l’espressione di col2a1 nelle cartilagini in via di formazione di tali
regioni ma non per l’induzione e la migrazione delle CCN (Yan et al.,
2002; Yan et al., 2005 ). L’analisi di questi marcatori ha quindi
permesso una valutazione di processi distinti che portano al corretto
sviluppo
dello
scheletro
facciale.
Come
mostrato
in
Fig.
13
l’espressione di tfap2a nelle CCN nei morfanti di entrambi i geni
(prep1.1 e prep1.2) non risulta alterata. L’espressione di sox9a nei
MOprep1.1 a 48 ore è inalterata e solo in embrioni di tre giorni è
fortemente ridotta nella regione faringea mentre, in accordo con i dati
ottenuti negli esperimenti precedenti, nei morfanti di prep1.2 la sua
espressione scompare quasi completamente dalla regione degli archi
63
Risultati
branchiali già a 48 ore. Mentre Prep1.1 sembra avere un ruolo in
processi condrogenetici tardivi, Prep1.2 avrebbe un ruolo nella
specificazione o nella migrazione delle CCN i cui marcatori non sono
visibili posteriormente al primo degli archi branchiali in embrioni in
cui la sua attività è spenta.
Figura 13: condrogenesi nei morfanti dei geni prep. A-C Analisi dell’espressione del gene tfap2a
a 24 ore di sviluppo. B: Embrioni iniettati con MOprep1.1 presentano difetti nella
segmentazione del romboencefalo ma l’espressione nelle NCC è normale. C: L’espressione è
normale anche nei morfanti di prep1.2. D-F Ibridazione in situ su embrioni selvatici e morfanti
utilizzando la sonda sox9a. (E): i morfanti di prep1.1 hanno un profilo d’espressione normale
mentre quelli di prep1.2 (F) non esprimono tale gene nella zona posteriore degli archi
branchiali. A e B: visione dorsale; C e D visione laterale; A-D: testa a sx. (ba), regione degli archi
branchiali; (h), arco ioideo; (m), arco mandibolare; (e),occhio; (ov), vescicola otica.
2 Prep1.1 controlla attraverso fli1 la condrogenesi degli archi
branchiali
Attraverso l’utilizzo di marcatori delle CCN, della segmentazione
dell’endoderma faringeo (Deflorian et al., 2004) e della condrogenesi
non si è riusciti a stabilire in quale punto le cascate geniche che
conducono alla formazione dello scheletro facciale di zebrafish vengano
interrotte nei morfanti di prep1.1. In un recente lavoro viene
dimostrato che embrioni di topo ipomorfi per Prep1 hanno degli
evidenti problemi angiogenetici specialmente nella regione della testa
(Ferretti et al., 2006). Ci si è quindi chiesti se in embrioni morfanti di
64
Risultati
prep1.1 la causa della mancata formazione delle cartilagini non fosse
dovuta all’assente irrorazione delle stesse da parte degli archi aortici.
Si è quindi scelto di verificare se e come l’espressione dei marcatori
angiogenetici flk1 e fli1 (Forquet et al., 2001; Brown et al., 2000) fosse
in qualche maniera alterata. Esperimenti di ibridazione in situ con flk1
evidenziano che non ci sono differenze tra embrioni MOprep1.1 alle 24
ore rispetto agli embrioni selvatici escludendo in questo modo un suo
ruolo nel mancato differenziamento delle CCN (Fig. 14 A e B). Anche
fli1 non mostra differenze significative tra i morfanti e gli embrioni non
iniettati per quanto riguarda la vascolarizzazione, ma sempre a 24 ore
sembra evidente una riduzione della marcatura a livello delle zone
corrispondenti alle CCN (Fig. 14 C e D). Questo ci suggerisce che fli1
non sia causa di un processo anomalo di angiogenesi da un lato ma
fanno ipotizzare che tale fattore di trascrizione sia coinvolto e
responsabile della mancata condrogenesi. La co-localizzazione del
segnale di fli1 e di dlx2a, in esperimenti di ibridazione in situ doppia,
mostra che le cellule della zona faringea marcate da fli1 sono CCN
(Fig. 14 E). Dal momento che fli1 risulta essere il primo fattore di
trascrizione individuato espresso nelle CCN ad essere inattivato in
embrioni morfanti di prep1.1, si è ipotizzato che la condrogenesi
successiva fosse regolata da Prep1.1 proprio tramite la sua azione. Per
dimostrarlo si è tentato un esperimento di recupero del fenotipo nel
quale in embrioni allo stadio di una cellula è stato co-iniettato il
morfolino contro prep1.1 e l’mRNA di fli1. In questi embrioni il
processo condrogenetico visualizzato tramite il marker col2a1 (Yan et
al., 1995) non viene però recuperato (Tab. 2); i dati comunque mostrano
chiaramente l’epistasi di prep1.1 su fli1 nei pre-condrociti ma non ci
permettono di dimostrare chiaramente quale sia la correlazione
meccanicistica tra i loro prodotti genici durante lo sviluppo della testa.
65
Risultati
Figura 14: l’iniezione del morfolino contro prep1.1 non altera l’angiogenesi: A, B:
L’ibridazione in situ mostra livelli d’espressione normali di flk1 nella regione della testa di
morfanti analizzati a 24 ore. C, D: l’espressione di fli1 evidentemente ridotta nella regione
faringea e branchiale dei morfanti di prep1.1. E: l‘ibridazione in situ doppia mostra che le
cellule esprimenti fli1 nelle zone faringea e branchiale sono NCC craniali marcate da dlx2a.
A e B: visione laterale. C-E: visione dorsale. A-E: testa a sinistra. aa: primo arco aortico; acv:
vena cardinale anteriore; da: aorta dorsale; ov: vescicola otica; pa1 e pa2: archi faringei;
pa3+: archi branchiali.
3. Induzione e specificazione delle creste neurali nei morfanti
di prep1.2
La morfologia degli embrioni iniettati con il morfolino di prep1.2
mostra dei chiari difetti nella formazione dello splancnocranio. Tale
struttura deriva dalle CCN craniali. Queste sono una popolazione di
cellule altamente specializzata, caratteristica dei vertebrati, che si
origina al confine tra la piastra neurale e l’epidermide presuntiva. In
seguito le cellule della CCN vanno incontro ad un processo di
transizione epitelio–mesenchimale che conferisce l’abilità a migrare.
Iniziano così a segregare dalla regione dorsale del tubo neurale lungo
differenti flussi migrando ventralmente a livello delle tasche branchiali
66
Risultati
da cui si originano gli archi mandibolare, ioideo e branchiali. Le cellule
della cresta neurale craniale differenzieranno quindi dando origine alle
cartilagini e ossa craniofacciali e ai gangli dei nervi cranici. Per
valutare se difetti nell’induzione o nella specificazione di tali cellule
potessero rendere conto del fenotipo osservato si è proceduto con
l’analisi dell’espressione di loro geni specifici. Uno di questi, espresso
durante le primissime fasi della specificazione è foxd3 (Kelsh et al.,
2000). Come si può osservare in figura 2 (Fig. 15 A e B) embrioni di 10
somiti iniettati con il MOprep1.2 non mostrano particolari anomalie
nel profilo d’espressione del messaggero, se confrontati con embrioni
wt, suggerendo che l’induzione delle CCN non è alterata dall’assenza di
Prep1. Successivamente si è analizzata l’espressione di dlx2a, membro
della famiglia Distalless i cui membri codificano proteine, contenenti
omeobox, importanti per la specificazione e lo sviluppo delle strutture
craniche. dlx2a viene espresso in tre gruppi distinti di CCN craniali
che migreranno nell’arco mandibolare (m), nell’arco ioideo (h) e nei
cinque archi branchiali (b) (Akimenko et al., 1994). Dal momento che
dlx2a continua ad essere espresso negli archi branchiali anche dopo la
completa migrazione delle CCN la sua espressione è un ottimo
marcatore per l’intero processo di formazione dello scheletro craniale
ventrale. In embrioni di zebrafish knock-down per prep1.2 si può
osservare a stadi precoci (10s) un’espressione di dlx2a inalterata
rispetto ai controlli (Fig. 15 C e D) mentre a partire dal termine della
somitogenesi in avanti risulta fortemente ridotta nel terzo gruppo (b).
Il terzo gruppo di CCN migrando verso le tasche endodermiche, loro
sede definitiva, dove istruite dai segnali provenienti dai tessuti
circostanti
si
differenzieranno
in
condroblasti
originando
successivamente lo scheletro che sostiene le branchie, si suddivide in
una serie di cinque sottogruppi come cinque sono gli archi branchiali. A
24 hpf si può osservare come l’espressione di dlx2a sia presente e
inalterata nei gruppi che origineranno l’arco mandibolare e l’arco ioideo
mentre sia fortemente ridotta se non del tutto assente nella porzione
67
Risultati
posteriore del terzo gruppo in quegli embrioni in cui il gene prep1.2 è
inattivato con il morfolino. Lo stesso risultato si può osservare in
embrioni di due giorni di vita: anche qui l’espressione di dlx2a manca
nelle arcate branchiali poteriori (Fig. 15 E-H ).
Figura 15: Prep1.2 è essenziale per l’identità delle creste neurali branchiali.(A e B)
L’espressione del marcatore delle creste neurali pre-migratorie foxd3 in embrioni morfanti
di prep1.2 di 10 somiti è risultata confrontabile con quella degli embrioni selvatici. (C-F) A
questo stadio anche l’espressione del gene dlxa2 non subisce alterazioni quando Prep1.2 è
assente. Negli embrioni trattati con il MOprep1.2 l’espressione di dlx2a a 24 ore è invece
fortemente ridotta nel gruppo di NCC che migreranno negli archi branchiali. (G e H) Anche
a 48 ore, nei morfanti le creste neurali branchiali positive all’espressione di dlx2 sono
ridotte: l’espressione è presente solo nella zona branchiale più anteriore.. Gli embrioni A e B
sono in visione dorsale, gli embrioni C-H in visione laterale, in tutti gli embrioni la regione
anteriore è a sinistra. (b), regione degli archi branchiali; (h), arco ioideo; (m), arco
mandibolare; (e),occhio; (ov), vescicola otica.
68
Risultati
Tali risultati sono in accordo con il fenotipo morfante, osservato a
cinque giorni grazie alla tecnica istochimica del blu di alcian, nel quale
è presente un solo arco branchiale e le sue dimensioni risultano essere
molto ridotte. I risultati ottenuti mediante l’analisi di marcatori delle
CCN suggeriscono che il ruolo di Prep1.2 non sia importante nelle fasi
della loro induzione quanto piuttosto successivamente. Tale analisi non
permette però di discriminare se gli effetti osservati siano a carico di
fenomeni di proliferazione, differenziamento oppure sopravvivenza
delle stesse.
4 Il mancato differenziamento delle CCN può dipendere da un
difetto della segmentazione faringea
Molti studi hanno indicato come le CCN si possano differenziare in
condroblasti
soltanto
in
presenza
dell’endoderma
faringeo
correttamente segmentato. In particolare è stato dimostrato come negli
anfibi l’endoderma sia il vero responsabile nel promuovere il
differenziamento delle CCN craniali verso la formazione e il
modellamento delle componenti cartilaginee degli archi branchiali. In
zebrafish, nel mutante del gene tbx1 chiamato van gogh (vgo), che
viene espresso nel mesendoderma faringeo, la segmentazione del
romboencefalo avviene correttamente ma i setti delle tasche faringee
non si formano e il mesoderma circostante non è correttamente
regionalizzato: come conseguenza si ha che i tre gruppi di CCN
provenienti dal romboencefalo, pur esprimendo l’appropriato set
specifico di geni hox che conferisce loro le informazioni posizionali, si
uniscono terminato il processo di migrazione, in un unico gruppo e le
cartilagini dello scheletro facciale non si formano correttamente
(Piotrowski e Nusselin-Volhard, 2000; Piotrowski et al., 2003). Il
mesendoderma sembra dunque essere la fonte di segnali secreti
necessari per lo sviluppo delle CCN della regione degli archi faringei.
69
Risultati
Fig. 16. Prep1.2 è importante nel processo di segmentazione dell’endoderma faringeo.
(A-D) A 36 ore, l’endoderma faringeo dei morfanti di prep1.2, rilevabile grazie
all’espressione della GFP negli embrioni della linea transgenica Tg(gcga:GFP)ial (B) e
alla marcatura dell’anticorpo Zn5 (D), appare segmentato solamente nella regione
anteriore. In particolare, si formano solo le prime due tasche endodermiche, p1 e p2. Gli
embrioni A-D sono in visione laterale e la regione anteriore è a sinistra. p1-5: tasche
faringee 1-5.
Anche nel mutante lazarus/pdx4, nel quale il prodotto genico
alterato
è
un
partner
delle
proteine
Prep,
non
avviene
la
segmentazione dell’endoderma faringeo e lo scheletro facciale non si
sviluppa (Popperl et al., 2000). Per questi motivi il tentativo di
comprendere il ruolo embrionale di Prep1.2 è passato attraverso
l’analisi della segmentazione dell’endoderma faringeo in una linea di
zebrafish
transgenica
denominata
Tg(gcga:GFP)ial.
Questi
pesci
esprimono la proteina reporter GFP sotto il controllo del promotore del
glucagone anche nell’endoderma faringeo: questo è probabilmente
dovuto alla mancanza di un elemento con funzione di repressore nel
frammento di 2,7 kb del promotore del glucagone utilizzato per
generare la linea. Nei morfanti di prep1.2 a 36 ore non è possibile
osservare le tasche faringee posteriori (p3-p5) (Fig 16 B e D).
Esperimenti di immuno-istochimica utilizzando l’anticorpo anti Zn5,
che è specifico per l’endoderma faringeo (Piotrowski and NussleinVolhard, 2000) hanno confermato i dati ottenuti. Ulteriori esperimenti
70
Risultati
di controllo sono stati effettuati utilizzando morfanti di pbx4 e di
prep1.1: come ci si aspettava la segmentazione dell’endoderma faringeo
è assente nei primi e normale nei secondi (Popperl et al., 2000;
Deflorian et al., 2004). Questi risultati, unitamente a quelli ottenuti
con i marcatori delle CCN, hanno chiaramente dimostrato come
prep1.2 giochi un ruolo decisivo nella specificazione delle CCN anche
attraverso il controllo della segmentazione dell’endoderma faringeo
posteriore, laddove prep1.1 sembra essere decisivo in fenomeni
differenziativi.
5 Prep1.2 regola l’espressione di geni fondamentali per lo
sviluppo dello scheletro faringeo posteriore
Si è dimostrato come alcuni membri della famiglia degli Fgf abbiano
un ruolo chiave nella formazione della testa dei vertebrati. In
particolare in zebrafish l’assenza dei geni fgf3 e fgf8 determina la
mancata formazione dell’intero scheletro faringeo. In pesci in cui solo
fgf3, che viene espresso nella parte posteriore delle tasche branchiali in
cellule confinanti con le CCN che esprimono dlx2a, sia inattivato viene
bloccata la formazione dello scheletro branchiale; inoltre in tali
embrioni nel terzo gruppo di CCN craniali l’espressione di dlx2a è
fortemente diminuita se non del tutto assente (David et al., 2002;
Walshe and Mason, 2003a e 2003b; Crump et al., 2004). Per questi
motivi siamo andati a osservare se e come l’espressione di fgf3 venisse
alterata negli embrioni morfanti per prep1.2. Dal momento che tali
fattori di crescita regolano l’espressione di numerosi geni è stata presa
in considerazione quella di uno di essi, pea3, un fattore di trascrizione
regolato dalla via di segnale Fgfs-Ras-MAPK, che durante il corso dello
sviluppo embrionale, a partire dalla tarda somitogenesi, viene espresso
nei tessuti degli archi branchiali. Come appare evidente in figura 17
negli embrioni iniettati con il morfolino l’espressione di fgf3 scompare
71
Risultati
completamente dall’endoderma faringeo posteriore; una situazione
simile si verifica con pea3 la cui espressione è fortemente ridotta nella
zona degli archi branchiali posteriore alla vescicola otica (Fig. 17 D).
Tali
risultati
correlano
bene
con
la
mancata
segmentazione
dell’endoderma faringeo posteriore e suggeriscono un coinvolgimento di
prep1.2 nella regolazione dello sviluppo cranio facciale tramite il
controllo indiretto di elementi della cascata di segnale degli fgf.
Fig 17: Espressione di geni della cascata degli Fgfs in embrioni iniettati con MO1prep1.2. (A-D) La mancata segmentazione dell’endoderma faringeo posteriore
osservata nei morfanti di prep1.2 può essere causata dall’assenza dell’espressione di
fgf3 (B) e di pea3 (D) in questa regione (barra). L’espressione di pea3 rimane
inalterata nei tessuti presuntivi del primo e secondo arco faringeo (circolo). Gli
embrioni A e B sono in visione laterale, C e D in visione dorsale; tutti hanno la testa
rivolta verso sinistra. ep: endoderma faringeo.
6 Prep1.2 è necessario nel mesendoderma per la corretta
segmentazione dell’endoderma faringeo
Con l'intenzione di individuare in quali tessuti sia necessaria
l'attività di Prep1.2 affinché la segmentazione di CCN e dell'endoderma
faringeo abbiano luogo correttamente sono stati effettuati degli
esperimenti di trapianto cellulare.
72
Risultati
Fig 18: Prep1.2 agisce in modo cellulo-indipendente sulle CCN ed è necessario per la
loro segmentazione. (A) L’espressione di dlxa2 in embrioni selvatici mostra che il
gruppo posteriore di CCN è segmentato (teste di freccia bianche, b1 e b2). (B) In
embrioni morfanti per prep1.2 l’espressione di dlxa2 è ridotta e mostra la mancata
segmentazione del terzo gruppo di CCN (testa di freccia bianca, b). (C) Nei morfanti
di prep1.2 trapiantati con cellule provenienti da embrioni iniettati con TARAM-A-mut
marcate con biotina (teste di freccia colorate) l’espressione di dlxa2 mostra un
recupero delle segmentazione del terzo gruppo di CCN (teste di freccia bianche, b1 e
b2). A-C embrioni in visione laterale con la testa rivolta a sinistra. b1 e b2: terzo
gruppo anteriore e posteriore delle CCN craniali; h: secondo gruppo di CCN craniali;
m: primo gruppo di CCN craniali; o.v.: vescicola otica.
73
Risultati
Partendo dall'ipotesi che l'attività di Prep1.2 sia indispensabile per
la regionalizzazione dell'endoderma faringeo, e quindi in maniera
indiretta coinvolta in quello delle CCN, il trapianto di endoderma
faringeo wt in embrioni iniettati con il morpholino per prep1.2 avrebbe
dovuto recuperare il fenotipo delle creste in migrazione. Negli
esperimenti di trapianto cellulare si è dunque seguito essenzialmente
questo procedura sperimentale: gli embrioni donatori sono stati
iniettati allo stadio di 1/2 cellule con mRNA di una forma attivata di un
recettore del TGF-β (TARAM-A-mut) contemporaneamente a mRNA di
GFP e a biotina destrano utilizzata come tracciante cellulare
(Peyriéras et al 1998). Durante la gastrulazione (allo stadio si sfera)
15-20 cellule fluorescenti sono state prelevate dagli embrioni donatori e
trapiantate
negli
embrioni
morfanti
per
prep1.2.
I
risultati
sperimentali mostrano che gli embrioni trapiantati con l'endoderma
indotto da TARAM-A-mut, hanno le CCN craniali segmentate (Fig. 18
C) indicando che Prep1.2 svolge un ruolo indiretto nel regolare la loro
segmentazione (Tab. 3).
7 Regolazione di prep1.2 da parte dell’acido retinoico (AR)
La formazione degli archi faringei richiede interazioni complesse tra
i tessuti derivanti da tutti e tre i foglietti embrionali ed è mediata da
tutte le principali vie di segnale. Per diversi motivi, tra i quali
l’importanza dell’AR per la formazione dello scheletro faringeo e delle
appendici, la somiglianza degli effetti della deplezione di prep1.2 alle
anomalie fenotipiche osservate in embrioni mutanti per l’enzima
retinaldeide deidrogenasi 2 (aldh1a2) si è pensato che AR e Prep1.2
fossero in qualche modo correlati. Esperimenti preliminari di
ibridazione in situ sembravano dimostrare l’importanza dell’AR nel
controllo dell’espressione di prep1.2. Per confermare che l’AR sia
capace di aumentare la trascrizione di prep1.2 è stata effettuata
74
Risultati
un’analisi qRT-PCR. I livelli di espressione sono stati testati in
embrioni incubati in AR oppure nel suo inibitore DEAB e in embrioni
cresciuti in acqua. Gli embrioni sono stati cresciuti fino alla tarda
epibolia in fish water e a questo punto divisi in tre gruppi. Ad un
gruppo è stato aggiunto AR al medium di crescita fino a raggiungere
un concentrazione finale di 10-7 M; ad un altro gruppo è stato aggiunto
l’inibitore della sua sintesi (DEAB) ad una concentrazione di 10-5 M.
Entrambe le sostanze erano diluite in DMSO e concentrate 1000 volte
rispetto alla concentrazione di utilizzo; per questo motivo al terzo
gruppo di embrioni è stata aggiunta tale sostanza fino alla
concentrazione di 10-3 v/v. Gli embrioni sono stati cresciuti in presenza
di tali sostanze fino alle 24 ore di sviluppo. A questo punto è stato
estratto l’RNA totale. L’espressione di prep1.2, hoxb1b e tbx1 è stata
normalizzata rispetto a quella della β-actina e dell’ elongation factor 1
(eF1) due geni con espressione basale. Come si può vedere in Fig. 19 A
l’espressione di prep1.2 è aumentata di almeno tre volte quando gli
embrioni vengono sottoposti all’azione di AR esogeno e mentre non
sembra subire alterazioni particolari in assenza dello stesso. Anche la
quantità dell’mRNA di hoxb1b presente negli embrioni è aumentata
dall’AR e diminuisce se questo viene eliminato utilizzando il DEAB;
l’espressione globale di tbx1 invece si riduce in presenza di AR ma non
subisce variazioni in sua assenza. Tali risultati confermano i dati
ottenuti in precedenza, ovvero la capacità dell’AR di regolare
positivamente l’espressione di prep1.2.
8 Identificazione del sito di legame per i recettori dell’AR
nella sequenza genomica di prep1.2
Gli effetti pleiotropici dell’AR sono mediati da recettori nucleari
chiamati retinoic acid receptors (RARs) e retinoic X receptors (RXRs),
che sono dei fattori di trascrizione attivati da ligando. In risposta al
75
Risultati
legame con l’AR questi formano degli eterodimeri che vanno incontro a
cambiamenti conformazionali che li rendono capaci di orchestrare la
trascrizione di differenti geni attraverso un legame con sequenze
specifiche di DNA chiamate retinoic acid responsive element (RARE).
Queste sequenze sono solitamente composte da due ripetizioni dirette
di un motivo di sei basi nucleotidiche (PuG(G/T)TCA) separate da
cinque paia di basi (Direct Repeat 5 – DR5) anche se in natura sono
state riscontrate DR2 e DR1. Nel caso delle DR1 sono omodimeri
RXR/RXR che si legano al DNA. Tali sequenze si possono trovare a
valle o a monte del sito d’inizio della trascrizione di un gene e si parla
allora di sequenze 5’RARE e 3’RARE rispettivamente (Bastien and
Rochette-Egly, 2003). Il fatto che l’AR regoli la trascrizione di prep1.2
suggeriva la presenza nel suo promotore di almeno una sequenza
RARE. L’analisi tramite screening informatico della regione genomica
di prep1.2 presente in banca dati (clone AL672083 di 111516 bp) ha
confermato la presenza di un’unica sequenza posta 1734 paia di basi a
monte del ATG di prep1.2 con le caratteristiche di una sequenza RARE:
AGTTCAaAGTTCA. La sequenza di questa probabile RARE ha le
caratteristiche di una DR1, cui si lega un omodimero RXR/RXR. Per
poter dimostrare sperimentalmente l’effettiva presenza di una RARE
nella regione d’interesse e che questa funzionasse effettivamente in
vivo come regolatore positivo dell’espressione di prep1.2 controllato
dall’AR è stato necessario clonarla e sequenziarla. Inizialmente grazie
ad una 5’-RACE, a partire da RNA totale di embrioni a vari stadi di
sviluppo,
è
stato
possibile
determinare
quale
e
dove
fosse
effettivamente il sito d’inizio della trascrizione di prep1.2. La sequenza
ottenuta ha dimostrato come la probabile RARE identificata nel DNA
genomico di prep1.2 si trovi a valle del sito d’inizio della trascrizione,
all’interno del primo introne lungo 2862 paia di basi. Si tratta quindi di
una 3’RARE (Fig 19 B). Di regioni regolatrici all’interno di introni è
stata dimostrata ampiamente la presenza, inoltre la sequenza RARE di
hoxb1b si trova in una posizione simile anche se si tratta di una DR5. A
76
Risultati
questo punto utilizzando DNA genomico estratto da esemplari di
zebrafish di un mese è stata clonata e successivamente sequenziata
una regione di circa 500 paia di basi del primo introne di prep1.2
contenente la sequenza 3’RARE. Si è avuta così conferma che una
regione RARE sia effettivamente presente nel primo introne di prep1.2.
77
Risultati
Fig. 19: Il primo introne di prep1.2 contiene una sequenza RARE che contribuisce a
regolarne l’espressione. (A) Il saggio di qRT-PCR mostra che l’epressione di prep1.2, se
paragonata a quella di geni ad espressione basale quali b-actin e eF1, è aumentata di circa
tre volte quando gli embrioni vengono incubati dalla tarda epibolia alle 24 ore di sviluppo
in AR 10-7M. Il grafico mostra come l’espressione dei controlli positivi hoxb1b e tbx1
aumenti e diminuisca come atteso dopo trattamento con RA. Quando gli embrioni sono
incubati con DEAB 10-5M l’espressione di prep1.2 e tbx1 rimane inalterata mentre quella
di hoxb1b diminuisce. (B) Rappresentazione grafica della struttura del gene prep1.2: sono
riportate le lunghezze (in n°di nucleotidi) degli esoni (rettangoli orizzontali) e degli introni
(linee a “v”), la regione 3’RARE (che si trova all’interno del primo introne), il sito di inizio
della trascrizione (TTS), quello di inizio (ATG) e di termine (stop) della regione codificante
di prep1.2. (C) Attività della regione 3’RARE di prep1.2 in risposta all’AR. Il grafico è
costruito elaborando i dati ottenuti al luminometro, relativi alla quantità di Luciferasi
presente in omogenati di embrioni di zebrafish iniettati con differenti costrutti e fatti
crescere in fish water o in soluzione contenente AR 10-7M. Il trattamento con AR non
influenza l’attività del promotore basale (p50-Luc) mentre innalza di circa 10 volte la
quantità di proteina reporter in presenza della sequenza RARE dimostrandone l’attività
promotrice (p50-RARE-Luc) che viene persa quando questa è mutata (p50-RAREmut-Luc).
Le barre si riferiscono ai valori medi delle deviazioni standard.
9 Analisi dell’attività in vivo della 3’RARE di prep1.2
Date le evidenze sperimentali della presenza di una 3’RARE nella
sequenza di prep1.2 si è deciso di proseguire l’analisi funzionale
testando in vivo l’attività di questa sequenza come sito di legame per i
recettori dell’AR. Per fare ciò si è utilizzata una metodologia basata
sulla possibilità di quantificare con precisione l’espressione di un gene
reporter in estratti di embrioni di zebrafish. Il gene ideale per questa
metodica si è rivelato quello della luciferasi (luc), il cui prodotto
proteico (responsabile della luminescenza notturna delle lucciole), in
presenza delle opportune condizioni è in grado di trasformare la
Luciferina in Ossiluciferina, con una reazione accompagnata dal
rilascio di CO2, AMP, PPi e, soprattutto, di luce. E’ proprio grazie alla
possibilità di rilevare e misurare l’intensità della luce emessa durante
la reazione (direttamente proporzionale alla quantità di Luciferasi
presente nel mezzo) con uno strumento apposito, detto luminometro,
che si può utilizzare questo gene reporter in analisi quantitative.
78
Risultati
Innanzitutto, è stata sub-clonata la regione intronica di 500 paia di
basi contenente la sequenza 3’-RARE di prep1.2, in un vettore di
espressione con il gene luc coniugato alla sequenza basale (di 58 paia di
basi) del promotore della Prolattina di trota (tPRL). E’ stato infatti
dimostrato che questa breve sequenza del promotore di tPRL è
sufficiente
per
indurre
in
vitro
un’espressione
minima,
ma
quantificabile, della Luciferasi ad esso coniugata (Argenton et al.,
1996). Successivamente, si è iniettata una dose di circa 30 pg del
vettore di espressione risultante, denominato p50-RARE-Luc, e del
vettore senza l’ inserto (p50-Luc), come controllo positivo, in embrioni
di zebrafish allo stadio di una cellula. Al medium di crescita di alcuni
di questi embrioni è stato successivamente aggiunto dell’ AR, ad una
-7
concentrazione di 10 M. Tutti gli embrioni sono stati fatti crescere fino
alle 24 ore di sviluppo. Gli embrioni iniettati con p50-RARE-Luc e p50Luc sono stati raccolti in base al trattamento ricevuto e, a gruppi di 4,
sono stati omogenati. La Luciferasi espressa da ogni lotto di 4 embrioni
è stata misurata al luminometro. I dati ottenuti sono stati elaborati e
utilizzati per tracciare un grafico (Fig. 19 C) relativo alla risposta in
vivo al trattamento con AR della sequenza 3’RARE di prep1.2. Come si
può osservare la quantità maggiore di Luciferasi si è avuta proprio in
estratti di embrioni iniettati con il vettore p50-RARE-Luc e trattati con
AR. In particolare essa è risultata, mediamente, circa 10 volte
maggiore rispetto a quella degli estratti di embrioni iniettati con p50RARE-Luc ma non trattati con AR e circa 3 volte maggiore rispetto a
quella di tutti gli embrioni iniettati con p50-Luc (trattati e non trattati
con AR). Il valore medio relativo alla quantità di Luciferasi in questi
ultimi embrioni, confrontato con quello relativo ad estratti di embrioni
non iniettati, si può considerare inoltre come il valore dell’attività
basale del promotore della tPRL. Ulteriori esperimenti di controllo
sono stati effettuati mutagenizzando la sequenza RARE di prep1.2 in
modo sito specifico in quattro posizioni. Il vettore ottenuto denominato
79
Risultati
p50-RAREmut-Luc è stato iniettato in embrioni allo stadio di una
cellula e alcuni di questi individui sono stati sottoposti a trattamento
con AR. La Luciferasi espressa da questi embrioni è stata misurata al
luminometro. I dati ottenuti in questi esperimenti sono paragonabili a
quelli ottenuti iniettando p50-Luc sia negli embrioni trattati con AR
che negli altri. La presenza di mutazioni puntiformi all’interno di
questa sequenza quindi ne annullano la capacità di regolare
l’espressione di prep1.2, validando i dati ottenuti in precedenza. Tali
esperimenti dimostrano la presenza nella sequenza genomica di
prep1.2 di una regione di legame per i recettori dell’ AR, che questa
regione, da sola, è in grado di regolare positivamente l’espressione
genica in presenza di AR in vivo e che l’espressione embrionale di
Prep1.2 ne è condizionata
10
Ruolo
dell’AR
nella
segmentazione
dell’endoderma
faringeo
Molti studi hanno dimostrato che l’AR rappresenta anche in
zebrafish un segnale fondamentale nella regolazione dello sviluppo del
romboencefalo, dello scheletro faringeo, dell’estremità delle appendici e
più in generale nella determinazione dell’asse antero-posteriore dei
derivati di tutti e tre i foglietti embrionali. Dal momento che gli
embrioni morfanti per prep1.2 mancano della segmentazione faringea e
che il gene in questione è regolato positivamente dall’AR si è voluto
verificare se anche lo sviluppo e la regionalizzazione dell’endoderma
faringeo risentissero di alterazioni di tale via di segnale. Per questa
analisi sono state utilizzate le condizione sperimentali già viste in
precedenza: incubazione in DEAB dalla tarda epibolia fino alle 24 ore;
risciacqui in fish water per eliminare tale molecola dal medium di
crescita; sviluppo fino alle 48 ore. I risultati, ottenuti dall’analisi dei
marcatori fgf3 (Fig. 20 B e C) e Zn5 dopo la deplezione dell’AR negli
80
Risultati
embrioni mediante l’utilizzo dell’inibitore DEAB, mostrano una chiara
correlazione tra il fenotipo di questi e quello dei morfanti. Studi
successivi (Kopinke et al., 2006) hanno poi dimostrato che in effetti
l’assenza di AR provoca negli embrioni la mancata regionalizzazione
dell’endoderma
faringeo
mentre
l’induzione
non
ne
sarebbe
influenzata. Anche tale dato è verificato da nostri esperimenti ed è
uguale a ciò che accade nei morfanti di prep1.2: il gene her5 mostra che
a stadi precoci sono presenti un numero di cellule endodermiche simili
in embrioni selvatici, morfanti e trattati con DEAB (Fig. 21 A-C).
Sembra dunque evidente che i fenomeni che privano tali embrioni di un
endoderma faringeo correttamente segmentato siano successivi alla
fase di induzione dell’endoderma. Per verificare che prep1.2 sia un
target dell’AR non solo necessario ma anche sufficiente a mediare la
segmentazione dell’endoderma faringeo si è provato a recuperare il
fenotipo dovuto all’assenza di AR, dopo trattamento con DEAB,
iniettando in embrioni allo stadio di una cellula l’mRNA di prep1.2. Nel
caso la segmentazione dell’endoderma faringeo venisse ristabilita
dall’iniezione si dimostrerebbe che l’AR controlla questo fenomeno
attraverso la modulazione dell’espressione di prep1.2. Si è perciò deciso
di procedere con esperimenti nei quali si è valutata la corretta
formazione della zona faringea a 48 ore: l’mRNA di prep1.2 è stato
iniettato a concentrazioni differenti (50ng/µl – 100ng/µl); gli embrioni
iniettati sono stati fatti crescere in un medium contenente DEAB a
partire dalla tarda epibolia fino a somitogenesi completa; a questo
punto è stato rimosso l’inibitore dal medium di crescita tramite una
serie di lavaggi in fish water fino ai due giorni di sviluppo. Gli embrioni
sono stati a questo punto bloccati, divisi in due gruppi ed analizzati con
due metodiche differenti: ibridazione in situ con la sonda fgf3 e
immuno-istochimica con l’anticorpo Zn5. Putroppo il recupero del
fenotipo non si è mai verificato negli embrioni considerati: solo in una
minima percentuale di embrioni iniettati con il messaggero alla
concentrazione più elevata si è potuto osservare un’espressione
81
Risultati
parzialmente ectopica di fgf3 (Fig. 20 D). Lo stesso tentativo di
recupero del fenotipo è stato fatto anche sui mutanti genetici per
l’enzima responsabile della sintesi dell’AR (aldh1a) chiamati neckless
(nls).
Fig 20: L’assenza di Prep1.2 e di AR hanno effetti simili sulla segmentazione
dell’endoderma faringeo. (A-C) L’espressione di fgf3 mostra come il knock.down di prep1.2
e l’incubazione con DEAB 10-5M porta alla mancata segmentazione dell’endoderma
faringeo posteriore. (D) L’iniezione dell’mRNA di prep1.2 in embrioni che verranno poi
incubati in DEAB 10-5M non recupera il fenotipo selvatico anche se è visibile espressione
ectopica. A-D embrioni in visione laterale con testa a sinistra. ep2-6: tasche faringee 2-6;
ov: vescicola otica.
Anche in tali embrioni è stato iniettato il messaggero di prep1.2.
Visti i risultati ottenuti precedentemente si è deciso di aumentare la
concentrazione del messaggero iniettato a 150 ng/µl e di valutare
l’eventuale recupero tramite ibridazione in situ utilizzando la sonda
fgf3. Per discriminare tra embrioni con la mutazione in omozigosi e gli
82
Risultati
altri tutti quelli che presentavano l’endoderma faringeo posteriore
segmentato sono stati genotipizzati. Anche in questo caso l’iniezione di
prep1.2 non ha portato a recupero significativo del fenotipo (Tab. 4;
Tab. 5) portandoci alla conclusione che: pur essendo Prep1.2 necessario
nei processi di regionalizzazione e segmentazione dell’endoderma
faringeo posteriore e tramite questi per la formazione dello scheletro
branchiale, esso non sia sufficiente e recuperare il fenotipo dovuto
all’assenza dell’AR e non possa essere quindi considerato l’unico suo
target, o per lo meno il principale, in questi eventi.
Fig 21: Prep1.2 e AR non regolano l’induzione dell’endoderma. (A-C) Il numero di cellule
endodermiche marcate con her5 non subisce variazioni di rilievo in embrioni iniettati con
MO1-prep1.2 e trattati con DEAB 10-5M rispetto ad embrioni selvatici. A-C embrioni in
visione frontale.
11 Prep1.2 regola aldh1a2 negli archi branchiali e nelle
pinne pettorali
Recenti sviluppi nello studio dell’embiogenesi di zebrafish hanno
messo in luce come sia i membri della famiglia Pbx che il gene meis1.1,
membro della famiglia Meinox cui appartiene prep1.2, abbiano la
capacità di regolare l’espressione del gene aldh1a2 responsabile a
livello embrionale della sintesi dell’AR (French et al., 2007). Tali
risultati indicano chiaramente un ruolo di tali geni nel controllo della
83
Risultati
via dell’AR. Per questo motivo si è ipotizzato che prep1.2 potesse avere
un ruolo nel controllo della sintesi dell’AR e non esserne solamente un
target.
Fig 22: L’espressione di aldh1a2 è regolata da Prep1.2. (A-F) A partire dallo stadio di
15 somiti l’espressione di aldh1a2 in embrioni morfanti è fortemente ridotta nella zona
degli archi branchiali (testa di freccia nera) se paragonata ad embrioni iniettati con il
morfolino di controllo mentre rimane invariata nel tronco e negli occhi. A 24 ore di
sviluppo l’espressione di aldh1a2 è persa anche negli abbozzi delle pinne pettorali (*). AF: embrioni in visione laterale con la testa verso sinistra. p.b.a: archi branchiali
presuntivi; p.f.b.: abbozzi delle pinne pettorali.
Un semplice esperimento per verificare la veridicità dell’ipotesi è
stato quello di valutare, a diversi stadi di sviluppo, i livelli di
espressione tramite in situ del gene aldh1a2 in embrioni morfanti per
prep1.2 paragonandoli ad embrioni iniettati con un morfolino di
controllo. Come mostrato in Fig. 22 l’assenza di Prep1.2 causa evidenti
alterazioni nel profilo d’espressione di aldh1a2. A partire dallo stadio
84
Risultati
di 15 somiti è visibile una forte riduzione della marcatura nella zona
dell’embrione da cui origineranno gli archi branchiali. Con il proseguire
dello sviluppo la riduzione dell’espressione in questa zona si fa via via
più accentuata fino a scomparire quasi del tutto alle 24 ore: a questo
stadio la trascrizione dell’mRNA di aldh1a2 è quasi del tutto assente
anche negli abbozzi delle pinne pettorali. In tutti gli stadi analizzati
l’espressione di aldh1a2 è tuttavia presente ed inalterata nel tronco e
negli occhi. Questi esperimenti dimostrano che prep1.2 è richiesto per
la normale espressione di aldh1a2 nei tessuti coinvolti nello sviluppo
degli archi branchiali e delle pinne pettorali. Anche in questo caso
abbiamo tentato di recupero del fenotipo morfante: embrioni iniettati
con MOprep1.2 sono stati incubati in soluzioni contenenti RA a
differenti concentrazioni (10-7M e 10-8M); l’incubazione è stata fatta in
due finestre temporali differenti (dalle 4 alle 10 ore e dalle 16 alle 30).
Dopo una serie di lavaggi per eliminare l’AR gli embrioni sono stati
fatti crescere fino alle 48 ore. A questo punto si è valutata la
segmentazione
dell’endoderma
faringeo
tramite
esperimenti
di
immuno-istochimica che però non hanno dato i risultati: non si è mai
avuto un recupero del fenotipo. Per verificare se profili anormali
d’espressione genica, la mancata regionalizzazione e segmentazione
della zona branchiale posteriore nei morfanti di prep1.2 siano dovuti
all’alterazione della via di segnale che coinvolge AR e geni hox abbiamo
analizzato il profilo d’espressione del gene hoxb1b: è stato dimostrato
che l’espressione di hoxb1b sia regolata dall’AR (ref) e che il suo
prodotto genico sia in grado di interagire con dimeri Pbx/Meis (ref). In
zebrafish è noto venga espresso, oltre al romboencefalo e al midollo
spinale, a partire dalla somitogenesi in una regione identificabile con
quella del mesendoderma faringeo posteriore e che la sua espressione
ectopica
provoca
uno
sviluppo
anomalo
dell’arco
mandibolare
fenocopiando gli effetti di un eccesso di AR (Alexandre et al., 1996). Più
lavori hanno dimostrato, inoltre, come hoxB1 di topo sia coinvolto nello
sviluppo del terzo e quarto arco faringeo e abbia una notevole
85
Risultati
importanza nella specificazione delle creste neurali craniali che
discendono da r4 e r6. Come si può osservare nella Fig. 23, in embrioni
allo stadio “tailbud” (circa 10 ore di sviluppo), trattati con il MO, l’
espressione del messaggero di hoxb1b è risultata paragonabile a quella
degli embrioni selvatici. In embrioni morfanti di 24 ore invece,
l’espressione di hoxb1b, pur rimanendo intensa nel midollo spinale,
negli archi branchiali è solo accennata. I dati ottenuti indicano come
Prep1.2 entri in gioco nei complessi meccanismi di regionalizzazione e
segmentazione delle arcate branchiali e delle pinne pettorali regolati
dalla via di segnale dell’AR; che abbia un ruolo nel regolarne la
produzione influenzando di conseguenza l’attività di geni hox suoi
diretti target. Ci indicano inoltre che abbia ruoli indipendenti dall’AR
poiché la presenza ectopica di quest’ultimo non è in grado di recuperare
il fenotipo causato dall’assenza di Prep1.2.
Figura 23: prep1.2 è importante per il mantenimento dei livelli di hoxb1b negli archi
branchiali. (A-B) L’espressione di hoxb1b in morfanti di prep1.2 allo stadio di tail bud è
confrontabile con quella di embrioni selvatici. (C-D) Procedendo con lo sviluppo
embrionale, però, si osserva come l’espressione di hoxb1b negli archi branchiali
presuntivi (p.b.a.), ma non nel midollo spinale, negli embrioni di 24 ore scompaia quasi
completamente. Gli embrioni A e B sono in visione frontale, gli embrioni C e D in visione
dorsale con la regione anteriore a sinistra. ov: vescicola otica; p.b.a.: archi branchiali
presuntivi.
86
DISCUSSIONE
Nel presente lavoro si sono descritti gli effetti dell’inattivazione
mirata, mediante l’utilizzo di nucleotidi antisenso morfolino, dei geni
prep durante l’embriogenesi di Danio rerio con l’intenzione di valutarne
funzione e regolazione. Tali geni sono membri della famiglia Meinox
dei vertebrati, omologhi di hth di Drosophila melanogaster, importanti
cofattori trascrizionali di geni Hox, appartenenti alla superfamiglia
TALE. L’analisi comparativa dei ruoli specifici di prep1.1 e del suo
paralogo prep1.2 ha permesso di studiare un modello animale nel quale
i meccanismi dello sviluppo embrionale si sono evoluti dopo una
duplicazione del genoma. Tale evento evolutivo, avvenuto nei teleosti
circa 250 milioni di anni fa, rende lo zebrafish un interessante modello
per lo studio di geni con funzioni pleiotropiche (Ohno, 1999; Holland et
al., 1994: Force et al., 1999; Postlehwait et al., 2004). L’analisi
bioinformatica delle sequenze delle proteine ha sottolineato come
l’omeodominio e le sequenze specifiche HR1 e HR2 siano estremamente
conservate, mettendo in luce al contempo una sostanziale differenza
tra le due regioni N-terminali. Tale caratteristica potrebbe aver reso
possibile
la
loro
sub-funzionalizzazione
durante
l’embriogenesi.
Esperimenti di ibridazione in-situ, utilizzando sonde antisenso
specifiche contro le loro sequenze codificanti, mostrano come anche la
regolazione della loro espressione sia differente. L’mRNA di prep1.1 è
espresso in maniera ubiquitaria e omogenea dai primi stadi di sviluppo
fino alle 48 hpf (Deflorian et al, 2004); l’mRNA di prep1.2 invece, pur
rimanendo espresso in maniera ubiquitaria sino alla somitogenesi, da
questo momento in poi si concentra nella testa e nella regione da cui
origineranno
gli
archi
branchiali.
In
altre
parole,
durante
l’embriogenesi, entrambi i geni sono espressi in tutti i tessuti e negli
stessi organi, ma l’mRNA di prep1.2 si concentra in alcuni tipi cellulari
in tempi e modi peculiari.
87
Discussione
Il fenotipo macroscopico dei morfanti di prep1.2 evidenzia a quattro
cinque giorni alcuni difetti morfologici quali la mancanza di parte del
tessuto branchiale e l’assenza o la malformazione delle pinne pettorali;
sono
inoltre
presenti
evidenti
difetti
all’organizzazione
della
mandibola. La colorazione delle cartilagini con metodi istochimici
mostra come la prima cartilagine faringea abbia forma e dimensioni
sostanzialmente inalterate mentre la seconda sia evidentemente
ridotta e malformata rispetto agli embrioni selvatici. Nei morfanti le
cartilagini branchiali, ad eccezione della prima, della quale rimane un
piccolo abbozzo, sono invece assenti. Tali difetti si sovrappongono solo
parzialmente a quelli osservati nei morfanti di prep1.1: in tali embrioni
si
osserva
infatti
la
completa
assenza
di
condrogenesi
nello
splancnocranio (Deflorian et al., 2004). I difetti di prep1.2 sono tuttavia
molto simili a quelli descritti nei mutanti del gene pbx4, lazarus (lzr)
(Popperl et al., 2000), in embrioni mutanti per il gene codificante
l’enzima responsabile della sintesi dell’AR , aldh1a2, chiamati no-fin
(nof) e neckless (nls) (Grandel et al., 2002; Linville et al., 2004) e negli
embrioni trattati con DEAB (Kopinke et al., 2006). Questi dati sono la
prima forte evidenza che Prep1.2 possa giocare un ruolo rilevante e
distinto da quello di Prep1.1 nella specificazione e/o nella morfogenesi
della zona faringea, probabilmente influenzando in questa zona la
cascata di segnale dell’AR. Per queste ragioni si è deciso di indagare le
basi genetiche e funzionali dei differenti ruoli dei geni prep durante lo
sviluppo.
Dati di letteratura indicano come nello sviluppo degli archi faringei
siano coinvolti tutte le principali vie di segnale (BMP, FGFs, Wnt, RA)
con ruoli distinti ma interconnessi: l’induzione, la regionalizzazione e
la corretta segmentazione di tutti i derivati dei tre foglietti embrionali
sono infatti eventi indispensabili per il corretto sviluppo dello scheletro
faringeo e branchiale così come lo sono la specificazione e la
condrogenesi delle NCC. I nostri risultati indicano che il knock-down di
88
Discussione
prep1.2 altera la condrogenesi degli archi branchiali posteriori, mentre
quello di prep1.1 la inibisce completamente (Deflorian et al., 2004); in
questo secondo caso però l’espressione di marcatori condrogenetici
specifici (tfap2a, sox9a) è inalterata nelle NCC fino alle 48 ore di
sviluppo. Sorprendentemente si è scoperto che il marcatore endoteliale
fli1, che gioca un ruolo essenziale nei processi angiogenetici tra le 24 e
le 48 ore, finestra temporale nella quale è espresso anche nelle CCN
craniali, è down-regolato in queste nei morfanti di prep1.1. L’iniezione
contemporanea dell’mRNA di fli1 e del morfolino contro prep1.1 non
recupera tuttavia i processi condrogenetici: non è quindi possibile
dimostrare la presenza nella condrogenesi della testa di una relazione
epistatica tra Prep1.1 e Fli1, che risulata comunque il primo fattore di
trascrizione individuato con espressione alterata nella NCC dei
morfanti di prep1.1.
Recenti studi hanno dimostrato che la mancanza di AR a partire
dalla gastrulazione causa la mancata specificazione dei rombomeri
posteriori e la perdita delle NCC della regione post-otica (Maden et al.,
1996; Galvas and Krumlauf,2000; Begemann et al., 2004; Linville et
al.,2004; Maves and Kimmel, 2005); quando invece la sintesi dell’AR è
inibita durante
la somitogenesi il romboencefalo
si
segmenta
correttamente, le NCC del terzo gruppo migrano correttamente nella
regione faringea ma l’endoderma di tale regione non si forma (Kopinke
et al., 2006).
Nel lavoro viene dimostrato il coinvolgimento di prep1.2 nella via di
segnale mediata dall’AR. Considerando la mancata segmentazione
dell’endoderma faringeo nei mutanti di topo e zebrafish dei geni pbx
(Popperl et al., 2000; Manley et al., 2004), abbiamo dimostrato che
Prep1.2, probabilmente in associazione con le proteine Pbx, ha un ruolo
fondamentale
nella
regionalizzazione
89
dell’endoderma
faringeo
Discussione
posteriore: i morfanti di prep1.2 non possiedono infatti le tasche
endodermiche posteriori alla seconda.
Il knock-down di fgf3, che viene espresso nell’endoderma faringeo,
causa una riduzione dell’espressione di dlx2a nelle NCC del terzo
gruppo e successivamente la mancata formazione dello scheletro
branchiale: effetti simili se non del tutto identici a quanto osservato nei
morfanti di prep1.2. L’analisi dell’espressione di dlx2a nei morfanti di
prep1.2
mostra
come
le
NCC
vengono
correttamente
indotte;
successivamente, durante e dopo la loro migrazione, l’espressione di
dlx2a scompare dalle parte posteriore del terzo gruppo. La similitudine
dei fenotipi ci ha indotto a valutare l’espressione di fgf3 nei morfanti di
prep1.2 comparandola poi con quella di embrioni trattati con AR. I dati
evidenziano come in entrambi i casi fgf3 venga espresso soltanto nelle
tasche endodermiche anteriori. Questi risultati ci permettono di
ipotizzare
che
la
scomparsa
di
segnali
induttivi
provenienti
dall’endoderma faccia in modo che non venga mantenuta l’espressione
di geni importanti per la condrogenesi rendendo in questo modo
impossibile la formazione dello scheletro facciale. Che prep1.2 abbia un
ruolo importante ma indiretto per il corretto differenziamento delle
NCC risulta evidente dagli esperimenti di trapianto cellulare
effettuati. Embrioni iniettati con il morfolino di prep1.2 nei quali
vengono trapiantate, durante i primi stadi dell’epibolia, cellule
dell’endoderma provenienti da embrioni selvatici mostrano un recupero
della segmentazione del terzo gruppo di NCC. Anche se non è stato
possibile ristabilire il fenotipo selvatico delle cartilagini a 5 giorni
possiamo comunque affermare che Prep1.2 agisce in modo celluloindipendente nelle NCC che in questi embrioni chimera sono
comunque morfanti.
La dipendenza dell’espressione di prep1.2 dall’AR è stata dimostrata
tramite studi funzionali. Una qRT-PCR ha mostrato direttamente come
90
Discussione
la presenza di AR aumenti in vivo l’espressione di prep1.2. Il blocco
della sintesi dell’AR tramite l’utilizzo di DEAB non sembra invece
influenzare la quantità di mRNA di prep1.2 presente negli embrioni.
Questo è facilmente spiegabile osservandone il profilo di espressione.
prep1.2 viene infatti espresso in maniera ubiquitaria nell’embrione ma
è soprattutto concentrato in zone in cui l’AR non viene normalmente
prodotto. L’assenza di AR influenza l’espressione di prep1.2 solo
laddove normalmente questo morfogeno agisce come ad esempio nella
zona degli archi branchiali: l’espressione totale non sarà quindi
influenzata in modo rilevante. Al contrario l’aggiunta di AR al medium
di crescita influenza l’espressione di prep1.2 in tutto l’embrione dando
come risultato un suo globale aumento. Lo stesso ragionamento può
essere fatto per tbx1 tenendo però presente il ruolo inibitorio che ha
l’AR in questo caso. La presenza nel promotore di hoxb1b di una
sequenza in grado di rispondere all’AR (Mc Clintock et al., 2002) e il
suo profilo d’espressione, concentrato lungo il midollo spinale, in
prossimità delle zone di maggior produzione dell’AR spiega come
questa sia influenzato positivamente o negativamente da AR e DEAB.
La presenza di una sequenza RARE nel primo introne di prep1.2 rende
conto
della
capacità
dell’AR
di
influenzarne
direttamente
la
trascrizione. La sequenza RARE è stata individuata studiando con
metodi bioinformatici la regione promotrice di prep1.2; la sua
clonazione ci ha permesso di utilizzare tale sequenza regolatrice per
studi in vivo. Plasmidi contenenti un promotore basale e la sequenza
RARE, originale oppure una mutagenizzata, a monte della sequenza
codificante di un gene reporter sono stati iniettati in embrioni
sottoposti poi a trattamento con AR: la risposta positiva della sola
RARE selvatica e ha dimostrato la sua funzione di enancher.
In questo lavoro si è anche dimostrato che Prep1.2 è capace di
regolare l’espressione di aldh1a2 nella zona branchiale e negli abbozzi
delle pinne pettorali. A partire dalla somitogenesi, proprio quando l’AR
91
Discussione
è fondamentale per la corretta formazione dell’endoderma faringeo
l’espressione di aldh1a2 decresce marcatamente nei tessuti da cui
origineranno gli archi branchiali nei morfanti. In questi embrioni alle
24 ore sarà quasi del tutto assente anche negli abbozzi delle pinne
pettorali. L’espressione rimane invece paragonabile a quella selvatica,
durante tutto lo sviluppo, nella zona del tronco e negli occhi. Sembra
dunque plausibile che la sintesi di AR e la contemporanea presenza di
Prep1.2
negli
archi
branchiali
e
nelle
pinne
pettorali
siano
indispensabili per la loro formazione. I tentativi di recuperare la
segmentazione dell’endoderma faringeo iniettando mRNA di prep1.2
nei mutanti nls e in embrioni selvatici trattati con DEAB mostrano
tuttavia che Prep1.2 non è sufficiente a mediare tutte le funzioni
dell’AR nella zona branchiale. Allo stesso modo l’aggiunta di AR al
medium di crescita di embrioni morfanti non ristabilisce la corretta
formazione dell’endoderma faringeo. Questo indica che Prep1.2 svolge
anche funzioni indipendenti dalla regolazione dell’AR e dalla sua
presenza: il ruolo di co-fattore dei geni Pbx e Hox necessari anch’essi
per il corretto sviluppo di tale regione ne sono un esempio.
Nel modello che proponiamo per spiegare le complesse interazioni
molecolari e tissutali che portano alla formazione dello scheletro
faringeo e branchiale di Danio rerio il gene prep1.1 ed il suo paralogo
prep1.2 agiscono regolando diversi processi. Prep1.1 è indispensabile
per la formazione delle strutture cartilaginee della testa attraverso il
controllo diretto della condrogenesi; la sua assenza non altera la
segmentazione dell’endoderma faringeo e delle NCC che migrano
correttamente tra le tasche endodermiche ma che poi non si
differenziano (Deflorian et al., 2004). Prep1.2 non regola l’espressione
di geni responsabili della condrogenesi ma facendo parte con l’AR di
loop auto regolativo contribuisce a regolarne la produzione nella zona
branchiale. La scomparsa in questa zona dell’AR a partire dalla
somitogenesi determina la mancata regionalizzazione e segmentazione
92
Discussione
dell’endoderma faringeo posteriore. Ciò coincide con la mancata
produzione di segnali diffusibili normalmente rilasciati da questo
tessuto quali fgf3 necessario per il mantenimento dell’espressione di
geni caratteristici delle NCC e necessari per il loro differenziamento
quali dlx2a. In assenza di AR anche l’espressione di hoxb1b, il cui
omologo in topo è necessario per la formazione delle arcate branchiali
posteriori, non viene mantenuta.
Fig. 24: in figura è riportato il modello di azione dei geni prep1 nella zona branchiale. L’azione di
prep1.1 coinvolge direttamente i processi di condrogenesi delle CCN una volta che queste siano migrate
tra le tasche dell’endoderma faringeo dopo l’avvenuta regionalizzazione segmentazione della zona.
Prep1.2 fa invece parte di un meccanismo retroazione positiva in cui è coinvolta anche la sintesi di AR
da parte dell’enzima aldh1a2. La sua funzione è necessaria per la regionalizzazione dell’endoderma
faringeo posteriore e la conseguente formazione degli archi branchiali.
I risultati ottenuti oltre ad essere la prima dimostrazione in vivo
dell’interazione tra proteine Meinox ed AR dimostrano una forte
specializzazione funzionale dei geni prep di zebrafish durante lo
sviluppo
dello
scheletro
93
cranio
facciale.
94
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