ANNO XXI - NUMERO 59 - POSTE ITALIANE - SPED. IN A.P. - ART. 2 COMMA 20/C LEGGE 662/96 LECCE
250 anni fa...
BOLLETTINO
DEL SANTUARIO
DI SAN POMPILIO
Bollettino del
SANTUARIO S. POMPILIO M. PIRROTTI
SOMMARIO:
Nuova serie - anno XXI
numero 59, Marzo 2015
Padre Agostino M. CALABRESE
San Pompilio per le vie di Campi
pag.
5
Periodico delle attività pastorali,
educative e culturali della Comunità
dei Padri Scolopi di Campi Salentina.
Zelinda APRILE
San Pompilio M. Pirrotti lungo la via
della Santità con la Croce di Cristo pag.
7
Direttore Responsabile:
P. Agostino M. Calabrese S.P.
Direzione, Redazione, Amministrazione:
Santuario S. Pompilio, via Pirrotta, 2
73012 Campi Salentina (Lecce)
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per le lettere:
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Anno XXI - Numero 59
Poste Italiane - Sped. in A.P.
Art. 2 Comma 20/C
Legge 662/96 Lecce
Autorizzazione n. 324 del 21/02/2004
del Tribunale di Lecce
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sul ccp 12031738.
Padre Giovanni GRIMALDI
Riflettendo su Papa Francesco
pag. 15
Padre Serafino PERLANGELI
San Pompilio
modello di vita consacrata
pag. 19
Aurora GUERRIERI ROMANO
La preghiera e la penitenza
aprono le porte alla Santità
pag. 24
Rita CANTORO
I miracoli della Beatificazione
e della Canonizzazione
pag. 26
Emilia POLIDORO
Attualità teologica e pastorale
di San Pompilio Maria Pirrotti
pag. 30
Giuseppe POLITI
La musica del Settecento in Italia
pag. 34
Padre Giovanni GRIMALDI
Ri-vivere nel Santuario
la memoria del tempo
pag. 37
Con approvazione Ecclesiastica e dell’Ordine
Cari lettori, cari abbonati,
avrete certamente notato la nuova veste del
Bollettino, al passo con le moderne tecniche
editoriali e con le esigenze di una moderna
pubblicazione. Il Bollettino, organo di informazione della vita del Santuario e di cultura
religiosa, ha cadenza trimestrale.
COME OGNI ORGANO EDITORIALE ANCHE IL
“BOLLETTINO DEL SANTUARIO DI SAN POMPILIO” NON PUO’ VIVERE SENZA IL SOSTEGNO DEI LETTORI E DEGLI ABBONATI.
ANCHE LA TUA OFFERTA
CONTRIBUIRÀ ALLA SUA VITA!
Carissimi fedeli e devoti di S. Pompilio,
la Comunità dei Padri Scolopi di Campi Salentina, con grande
gioia spirituale, vi comunica il proposito di celebrare con Voi il 2015­2016
come “Anno vissuto con San Pompilio” nella ricorrenza del 250° anno della
sua venuta a Campi e della sua morte (1765­1766).
Questa ricorrenza è un dono dello Spirito di Dio perché possiamo
approfondire la conoscenza del Santo che abbiamo ritenuto da sempre nostro
protettore.
Il Signore ci sosterrà in questo cammino e ci donerà la gioia di sentirci
accompagnati da San Pompilio che indicherà a noi la “Via dello Spirito”, nella
pratica più frequente dei Sacramenti della Confessione e della Comunione
Eucaristica; San Pompilio ci sarà accanto quando riconosceremo Gesù povero
e sofferente nei poveri della nostra città che abbiamo aiutato o nelle persone
ammalate o afflitte spiritualmente che avremo consolato con la nostra visita e
con la nostra parola; avvertiremo la presenza del Santo quando ci sentiremo
una intensa forza interiore che ci spinge a dare un buon esempio o a rivolgere
una buona parola a quei ragazzi o giovani in difficoltà a orientare la propria
vita.
La gioia interiore donataci dalla risposta generosa a questa chiamata, la
manifesteremo attraverso varie celebrazioni in cui loderemo e ringrazieremo il
Signore per il grande dono che abbiamo avuto in San Pompilio.
Tra i numerosi gesti che compiremo per meglio onorare il nostro Santo,
uno ci sta particolarmente caro: Ricomporre i resti mortali di San Pompilio in
una nuova Urna; ciò richiederà uno sforzo di generosità da parte di tutti.
Nel mese di Marzo di quest’anno 2015 faremo rivivere San Pompilio
attraverso la rilettura e la riflessione su alcuni brani delle sue lettere. Perciò il
giorno 17 Marzo alle ore 19.30 siamo tutti invitati nel Santuario ad ascoltare il
pensiero di S. Pompilio e a gustare dei brani musicali del suo tempo.
Il giorno dopo, 18 Marzo alle ore 18.30, parteciperemo nella Chiesa
Madre (Parrocchia S. Maria delle Grazie), alla solenne Concelebrazione
Eucaristica presieduta dal P. Provinciale della Provincia Italiana dei Padri
Scolopi, P. Ugo BARANI.
Con spirito di ringraziamento al Signore per i doni ricevuti, cominciamo
l’«Anno di Grazia» (2015­2016) e preghiamo San Pompilio per le necessità
materiali e spirituali della nostra città.
La Comunità dei Padri Scolopi
250 anni...
FACCIAMO FESTA CON SAN POMPILIO...
“...L’oratorio viene a meraviglia: luminoso, bello, come se più non fosse lo stesso. Rimodernatosi anche l’Altare, dilatatasi la porta, reca venerazione, e ci farò
dipingere sopra lo Spirito Santo col motto: venite al Paradiso. Già vado pensando per
l’ostensorio di argento, che non ci sta. L’Altare del noviziato è a meraviglia riuscito;
ci voglio far dipingere Bettelemme, il caro Presepio del mio Amante, e sopra la porta
voglio farci dipingere pure lo Spirito Santo col motto: venite a Bettelemme; perché
veramente deve essere casa di pane per i novizi, che debbon farsi nel noviziato, Pietro
caro, la provista del buon biscotto per tutto il tempo della loro vita nella santa
Religione. Io vorrei accomodare ancor l’economia, ma vedo bel bello... Questa annata nella Provincia di Lecce è scarsa di tutti i capi di robba. E così fa duopo, andare
con economia maggiore. Per bovi non c’è paglia, né avena, e si sta con angustia...
Pazienza ci vuole...”
E’ emozionante leggere queste belle parole del nostro amato San Pompilio scritte
250 anni fa. Era il 12 luglio 1765 quando giunse qui a Campi, tra i nostri antenati, tra
la povertà di quei tempi durissimi. Non sapeva quanto sarebbe rimasto, ma aveva tanti
progetti Padre Pompilio, per il Collegio e la Casa, voleva rendere tutto più bello, perché tutto celebrasse la grandezza di Dio, ma soprattutto voleva rendere migliori gli
uomini, avvicinarli al mistero del Cristo incarnato, attraverso la confessione, la penitenza, la comunione quotidiana.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente, quindi, che è davvero un
grande dono per noi poter essere parte di questo progetto divino: se il culto di San
Pompilio è giunto fino a noi senza mai affievolirsi, se ha attraversato 250 lunghissimi
anni vuol dire davvero che il nostro Santo era davvero immenso, straordinario, sovrumano, altrimenti la sua eco si sarebbe spenta, come si spengono le mode, i falsi profeti, le parole vuote...
Questa convinzione ci spinge a proseguire il cammino iniziato dagli avi, quella
emozione che ci invade quando ci poniamo al cospetto dei suoi resti mortali, attraverso i quali, davvero ciascuno di noi, almeno una volta nella vita ha sentito netta la certezza di arrivare a Dio, ci fanno gioire per la sua presenza tra noi.
Accingiamoci allora a celebrare questo lungo anno pompiliano, tempo di grazia,
con la volontà di pregare, riflettere, conoscere la sua spritualità, far festa, insomma,
nell’unico modo che Egli ci ha insegnato: incontrando Dio, attraverso la sua vita.
La Redazione
San Pompilio per le vie di Campi
P. Agostino M. Calabrese
C
i accingiamo a ricordare
due avvenimenti particolari che riguardano la vita e
la religiosità della nostra cittadina:
250 anni dalla venuta a Campi e
dalla morte di S. Pompilio (20152016). Fatti e avvenimenti che ci invitano a riflettere
con maggiore
impegno sul
grande dono
che il Signore
ci ha fatto,
dandoci la presenza di un
Santo, ma in
modo particolare un invito a
prendere maggiormente coscienza
della grande eredità che questo Santo
ci ha lasciato attraverso la sua presenza fisica e la guida spirituale, che
scaturisce abbondantemente dalle sue
Lettere. Pensiamo a come i nostri
antenati hanno vissuto quell’anno di
grazia (1765-1766), amati da San
Pompilio di un amore veramente
grande, che solo un uomo timorato di
Dio poteva effondere in un periodo di
carestia e di sofferenze fisiche e
morali.
Erano tempi difficili, quelli del
‘700, per la Chiesa e per la società;
molto sfarzo
esteriore, poca o
nessuna attenzione ai veri
interessi del
popolo che viveva nella povertà
e nella miseria;
nella
stessa
Chiesa il giansenismo tendeva a
ridurre la religione ad un insieme di
pratiche esterne, con una forte rigorosità esteriore, senza quell’afflato del
cuore, che scaturisce dall’amore di
Dio. Ecco allora che il nostro Santo,
ricco della carità di Dio, che parla di
Dio con cuore aperto, che si dedica a
tutti nel nome dell’ “Amante Bello”,
5
va contro corrente, come Cristo ha
agito nella sua vita terrena; accoglie e
visita i più poveri, venendo incontro
alle loro necessità; non nega l’assoluzione sacramentale a nessuno, esorta
continuamente i suoi figli spirituali a
cibarsi spesso della divina Eucaristia
per progredire continuamente sulla
via della santità, inculca la devozione
alla Madonna col nome “Mamma
Bella”. Convinto che “La parola di
Dio non è legata ...”, come dice S.
Paolo, diventa grande apostolo della
Parola di Dio … continua a parlare
dell’Amore di Dio, non solo in tutta
l’Italia centro settentrionale ma particolarmente a Campi, dove, oltre che
infaticabile predicatore della Parola,
si manifesta umile strumento di Dio
per alleviare le sofferenze, la miseria,
la fame in quel terribile anno di carestia. Dispensatore generoso della misericordia di Dio attraverso il sacramento della Penitenza, divulgatore
della devozione al S. Cuore di Gesù e
della divina Eucaristia, S. Pompilio ha
lasciato ai posteri una splendida eredità che i cittadini di Campi non possono e non devono disattendere.
Mi piace immaginarlo così il
6
nostro Santo: umile e sereno passa
per le vie del paese a portare gioia e
serenità, conforto e consolazione in
mezzo a tante sofferenze causate dalla
carestia; sollecito sempre della povertà
materiale del popolo, non manca mai
una provvista di pane abbrustolito,
fave, ceci e altro, prodigando così la
sua carità operosa per i più poveri e
bisognosi, che visita spesso come fratelli e figli più cari. Tutti dobbiamo
ricordarlo così il nostro San Pompilio:
ogni anno durante la sua festa ripassa
per le vie della nostra cittadina; egli
vuol rivedere i suoi figli e i suoi concittadini di adozione vogliono rivedere e festeggiare il loro padre santo e
benefattore e se anche dalle sue tasche
non escono più pane e coroncine per
alleviare le miserie umane, da quelle
Sacre Ossa però, scaturisce un messaggio di amore e di fede che ci unisce al passato e ci proietta verso il
futuro; ci sprona a far tesoro della
sua eredità spirituale e a raggiungere
quella meta di santità alla quale tutti
siamo chiamati: “Dio, Dio, Dio e
niente più …… Vi voglio innamorati
di Dio con amore vero”.
SAN POMPILIO MARIA PIRROTTI:
lungo la via della Santità con la Croce di Cristo
(1ª parte) Zelinda Aprile
I
l 21 gennaio 1765 la Real
Camera del Santo Uffizio concedeva al P. Procuratore
Generale il permesso di far rientrare P.
Pompilio Maria Pirrotti nella Provincia
di Puglia essendo trascorsi più di otto
anni da quando ne era stato allontanato.
Così si esprimeva infatti quella autorevole Camera: “…Così parimenti si è
considerato che non trattandosi di
farlo venire in Napoli, ma di farlo
ritornare alla Provincia di Puglia, di
cui è figlio, e ad istanza delli stessi
suoi Superiori, e dopo il decorso di
otto e più anni che ne è stato lontano,
sembra alla Real Camera di non
esservi il concorso di quelle antiche
circostanze alla nuova domanda.
Quindi è di sentimento, che V. M.
possa benignamente concedere al
Procuratore delle Scuole Pie di
Puglia, di potere in quella Provincia
Quanti visi
ha incontrato il tuo sguardo o San Pompilio;
quante confidenze ha raccolto il tuo cuore
durante il tuo apostolato!
Quante strade hai percorso
prima di arrivare qui a Campi!
Grazie per la tua venuta!
richiamare il P. Pompilio Pirrotti, e
che il Governatore locale del monastero dove egli andrà a risiedere,
debba invigilare sulla condotta di questo Religioso e farne di tempo in
tempo relazione a V. M.”.1
Il 30 marzo 1765 giunse l’obbedienza: P. Pompilio Maria era trasferito
da Ancona a Campi Salentina. Il viaggio che lo avrebbe condotto a Campi
Salentina, il suo ultimo viaggio, ebbe
inizio il 15 aprile 1765 e si concluse il
12 luglio 1765. Un bellissimo diario
scritto dal Santo descrive questo cammino lungo tre mesi fatto di diverse
soste nei luoghi più cari e intriso di
preghiere e penitenze. Quel suo ultimo
viaggio lo avrebbe consegnato a Campi
per un solo anno, dal 1765 al 1766,
anche se la volontà di Dio aveva previsto che Campi diventasse la sua dimora
per sempre.
L’intera esistenza del nostro amato
S. Pompilio fino a quel momento non
era stata altro che un doloroso cammino controcorrente. Una salita al calvario con addosso la croce. Del resto questo aveva chiesto al Signore in quella
notte di Natale del 1737 nella casa scolopica di Brindisi: “…Ti prometto,
Gesù mio che io del mondo altro non
8
ne voglio, se non quello avuto da te
cioè patimenti e disprezzi…” 2
E il Signore volle provare quella
fede come si prova l’oro nel crogiuolo.
Di queste persecuzioni vogliamo
raccontare.
Padre Pompilio aveva iniziato la
sua missione apostolica in Abruzzo :
Ortona, Chieti, Lanciano, Francavilla
sono solo alcuni dei luoghi in cui Egli
testimoniò la devozione e l’amore di
Dio. Ad Ortona, dove era giunto alla
fine del 1736, era stato richiesto per
seguire la fondazione di un nuovo
Collegio dove Egli avrebbe fatto il
maestro di scuola. In questa città subito
il nostro Santo si fece conoscere per il
suo esempio di povertà e per il suo spirito di sacrificio. Ma ecco che già dall’agosto 1739 il Provinciale di Napoli
richiedeva al Superiore Generale di
spostare P. Pompilio da Ortona. A partire dall’autunno 1742, infatti, il nostro
Santo era a Lanciano dove piano piano
diveniva il punto di riferimento dell’intera città. Ma proprio quando si intensificava la devozione popolare verso il
Padre Santo giungeva inaspettata l’obbedienza per Napoli: era il marzo
1744. Tuttavia vari motivi, tra cui la
guerra di successione austriaca e la
Ortona: Cattedrale “San Tommaso Apostolo”
salute malferma del Padre, fecero sì
che l’obbedienza fosse sospesa: sarebbe rimasto ancora a Lanciano.
Qualcosa, però, stava accadendo. Il
nuovo Vescovo Mons. Antinori e
buona parte del clero diocesano di
quella città vedevano nell’esempio di
povertà e di mortificazione di quell’umile Padre Scolopio un rimprovero nei
loro confronti, nel loro modo di testimoniare la fede, uno scomodo termine
di paragone. Insomma, la gente lo
venerava come un santo e questo irritava le gerarchie ecclesiastiche. Il nuovo
P. Generale P. Manconi così scriveva,
infatti, il 5 novembre 1746 al P.
Provinciale Calò: “Stimerei ben fatto
che V.R. con qualche prudente mezzo
termine, allontanasse dalla diocesi di
Chieti e di Lanciano il P. Pompilio,
nelle quali intendo che gli sia sospesa
la facoltà di predicare”.3
P. Pompilio che era a Pescara
come predicatore aveva tutti contro,
persino la comunità scolopica. Fu un
colpo tremendo per il nostro Santo che
il 21 luglio 1747, per decisione della
Congregazione Generale, fu allontanato da Lanciano. Nuova destinazione,
Napoli. Quanto l’animo del buon
1 Tosti O., Cronologia storico-critica della vita di San Pompilio Maria Pirrotti e lettere datate, Roma 1981, p. 183.
2 Carlo Celso Calzolai, Un apostolo nel ‘700, Firenze 1984, p. 49.
3 Tosti O., Cronologia storico-critica, op.cit, p.64
9
Napoli: Chiesa “S. Maria del Caravaggio”
Pompilio fosse scosso lo testimoniano
queste parole: “Il buon e caro P.
Rettore di Lanciano ha scritto di me
a’ nostri superiori in Roma tale
robaccia, che dello più infame soggetto non si poteva scrivere di peggio;
ora pensate figlio, che persecuzione
sta in piedi per me, e con quali battaglie io mi trovo, senza sapere positivamente dove la tempesta orrenda
avrà da sbalzarmi. Aspetto risulta dal
Provinciale per vedere li suoi sentimenti. Io bramerei andarmene dove di
me non se ne potesse sapere più
nuova. .... Si faccia però, figlio, in
ogni cosa la volontà di Dio.”4.
In viaggio verso Napoli, con il
cuore pieno di tristezza, visse anche
una tragica disgrazia: mentre si recava
a cavallo, in una caverna la bestia
cadde e trascinò le poche cose che Egli
recava con sé, andò perso anche il breviario. Sperava che almeno quel triste
10
viaggio fosse occasione per fermarsi a
Montecalvo: lo confortava, infatti, il
pensiero di rivedere sua madre. Ma
presto arrivò la lettera del Vicario
Generale che, oltre a raccomandare la
sua sospensione dal confessare e dal
predicare, intimava: “Per ora non
giudico bene concedere a V.R. la
facoltà di andare a vedere li suoi
parenti. Preghi il Signore che mi illumini”.5
Pompilio giunge a Napoli nel
1747 e a testimonianza di quanto il suo
animo fosse turbato, in una lettera del
24 agosto scrive: “Figlio mio, mi trovo
sopra la croce, e spero però imitare il
caro Gesù, standoci come si stiede
esso: proposito sibi gaudio, cioè con
allegrezza, con giubilo, e con amore di
sempre più patire: Pati, pati e non
mori”6.
Intanto il nuovo Preposito
Generale P. Delbecchi lo vuole conoscere, così lo convoca a S. Pantaleo.
Dopo la breve parentesi romana Egli
ritorna a Napoli a Santa Maria a
Caravaggio. Nel 1747 riprende a predicare: è ad Atessa. Torna a Napoli: è
sacrista, confessore, predicatore e catechista per i fedeli che accorrono.
Fonda la Congregazione della Carità
di Dio e di Maria SS del Suffragio.
Intorno a Lui si concentra una grande
devozione. Ma all’orizzonte matura
una nuova persecuzione.
In quegli anni, tuttavia, avvenne
una grande novità all’interno
dell’Ordine: il 25 maggio 1754 la provincia di Napoli viene divisa tra la
Campana e la Pugliese. Ciò fece sperare al primo Provinciale di Puglia P. De
Nobili, grande estimatore del P.
Pompilio, che potesse averlo con sé in
quella nuova provincia e quindi decadesse il divieto di rientro nel Regno di
Napoli. Lo invitò presso di sé, ma per
ora Egli decise di rimanere a Napoli:
doveva ancora subire ingiuste persecuzioni! Suoi nuovi avversari erano il
Rettore della casa di Caravaggio P.
Andrizzi e il Provinciale P. De Caro.
Essi montarono delle accuse che nascevano esclusivamente da invidie e gelosie e da quella miopia che non permetteva loro di vedere la straordinarietà di
P. Pompilio. Si informò il Preposito
Generale P. Corsini della pericolosità sociale del Santo scolopio, che
poteva innescare sommosse e rivolte
avendo a che fare con poveri e diseredati. Fu invocato anche l’intervento del
Cardinale Sersale il quale sollecitò perfino il sovrano. Si decise l’allontanamento dal Regno di Napoli. A metà
gennaio 1759 P. Pompilio lasciò la città
nel buio della sera e dopo una breve
tappa a Posillipo, giunse a Chieti. Il 26
maggio 1759 fu nuovamente trasferito
da Chieti ad Ancona e da qui, dopo
quattro mesi, a Lugo. Ritornava tra
tanta gente che lo aveva amato, avendo
conosciuto le sue virtù. Seguirono gli
anni della ripresa: veniva richiesto
come predicatore a Comacchio e a
Correggio, poi rientrava a Lugo. Ma
anche qui le gelosie degli altri sacerdoti crescevano tanto quanto l’ammirazione della gente. Avvenne che il P.
domenicano Vito Cavalloni dal pulpito
si dichiarò contrario ai metodi del
Santo scolopio. Ne nacque una polemica tra domenicani e scolopi. Lo si
accusò perfino al Sant’Uffizio, il cui
Vicario a Lugo era P. Cavalletti, in
piena sintonia con i domenicani.
Insomma, in seguito a queste accuse il
16 gennaio 1762 fu spostato da Lugo
4 Ibidem, p. 346
5 Ibidem, p. 70
6 Ibidem, p. 345
11
ad Ancona con il divieto di confessare,
predicare, scrivere: “ ...Bensì arrivato
che sarà costà V.R. lo terrà coll’istesse
condizioni colle quali lo mandò il P.
Generale Corsini, cioè che né confessi, né predichi; al che aggiungo che
non si accosti ai Monasteri e non scriva biglietti o da sé addirittura o di
risposta a qualsivoglia genere di persone....”7.
Anni terribili, anni di dura prova,
resi tollerabili solo dalla confidenza
con qualche caro e sincero amico e
confratello con cui si sfoga, come fratel
Pietro Caliandro, destinatario di molte
lettere: “...Bisogna patire, Figlio mio,
in questo mondo; e non ci dobbiamo
allontanare noi altri religiosi da tutte
le sorte di patimenti. Non ci curiam
Figlio dell’onore del mondo, della
stima mondana, delle vanità passeggere. Solo Dio e niente più.”8
Nell’agosto1762 il Padre giunse ad
Ancona. Intanto continuamente venivano fatte richieste al Padre Generale per
avere P. Pompilio come predicatore e il
Padre Generale, se da una parte cercava di evitare di acconsentire, a causa
Lanciano: Panorama
Lugo di Romagna: Piazza Trisi, 1910
del divieto ufficiale imposto al nostro
Santo, dall’altra non poteva fare a
meno di accogliere qualche richiesta,
soprattutto quando veniva da alte eminenze. Non si sa bene a chi venne l’idea di mandare P. Pompilio a predicare
la Quaresima a Manfredonia. Forse al
P. Provinciale della Puglia De Nobili
che sperava, così, che questa fosse
l’occasione buona per un definitivo
rientro del P. Pompilio nel Regno di
Napoli? Resta qualcosa di oscuro nella
vicenda. Certo, come sappiamo,
Manfredonia è nel Regno di Napoli,
che al Padre era precluso. Comunque
sia, il Padre Generale, alla fine, acconsentì, ma Pompilio era appena partito
tutto contento per Manfredonia che
subito i suoi detrattori ottennero il
divieto per Lui di tenere quel quaresimale e l’ordine di farlo ritornare indietro, in quanto si dubitò “che tornando
in Regno avesse poi potuto per mezzo
dei suoi parteggiani farsi venire
anche in Napoli e rinnovarsi quei
disordini presso la gente credula alla
fantastica di lui condotta”.9
Ma P. Pompilio era già arrivato a
Manfredonia quando apprese del contrordine e di essere stato sostituito nella
predicazione da P. Cavallo. La sua
salute crollò: febbri alte, attacchi di
nervi e ogni sorta di infermità. Solo a
dicembre fu in grado di prendere la via
7 Ibidem, p. 132
8 Ibidem, p. 378
9 Ibidem, p. 173
13
del ritorno, che oltretutto fu funestata
da tanta neve e dalla morte del vetturino: “...sono vivo per miracolo, non so
come io sia uscito vivo in mezzo ai
morti, mortomisi il vetturino colle
bestie, e morti gli altri, io uscito vivo
senza sapere come…”10.
Ad Ancona gli si impediva di predicare, confessare, dirigere anime.
Stavolta la prostrazione fu totale.
Scrive un confratello: “...dalla sera
dell’Assunta sta ammalato con le sue
convulsioni, ma tali che gli hanno
impedito la favella, ed impedito in tal
guisa che da quella sera non può
prendere nè bevanda, nè cibo di sorta
alcuna.. La mattina cala in Chiesa a
comunicarsi e qui riceve la particola,
l’inghiottisce bene e allora è contento.
Dove finirà non lo so, non lo prevedono i Professori che sono tre a visitarlo
più volte al giorno...”.11
Ma finalmente due angeli, P.
Giuria e P. De Nobili, facevano di tutto
per ottenere il rientro del Padre in
Puglia. Indussero la Curia Generalizia
ad intervenire presso il Santo Uffizio,
spinsero lo stesso Cardinal Sersale ad
interessarsi finché ottennero che la
Real Camera si pronunciasse a favore
del rientro del nostro Santo in terra di
Puglia, nel povero Collegio degli scolopi di Campi Salentina.
(continua nel prossimo numero)
10 Ibidem, p. 424
11 Ibidem, p. 180
Benedico sempre Dio, che mi ha voluto in Campi;
e io venero le divine condotte......
(dalla lettera a fratel Pietro de’ SS Innocenti)
Il Santo era a Lecce per predicare gli esercizi spirituali alle monache di S. Chiara
9 maggio 1766
14
Riflettendo su Papa Francesco
P. Giovanni Grimaldi (IIª ed ultima parte)
Q
uelle due parole: “Ricordati dei poveri !”, saranno
per Papa Francesco come
il seme della parabola, che accolto “con
cuore buono e perfetto” (Luca 8, 15),
produce anche il cento per cento.
Vivere povero ora, vestito di bianco,
qui a Roma in un piccolissimo Stato,
che però è sotto lo sguardo spesso critico del mondo intero, con lo stesso stile
di vita fino allora praticato, sarà una
vera sfida a se stesso e alla Chiesa.
Vivere povero in Vaticano sembra
una assurdità! Assurdità per chi vive
nel benessere e nel lusso, ma per il vero
povero è una semplice realtà, perché la
povertà se la porta addosso sempre e
dappertutto, proprio come la pelle che
ricopre il suo corpo.
Come si fa a distinguere un vero
povero? Non è necessario ficcare il
naso nel suo portafoglio, è sufficiente
osservare come veste. E allora torniamo alla sera del 13 marzo 2013, quando tutto il mondo ha conosciuto solo il
nome del nuovo eletto e vuole vedere e
applaudire anche il papa che si chiama
Francesco.
E’ stato rivestito di una tonaca
bianca adattandola al suo corpo; ora
bisogna che indossi anche i segni del
papato, che la tradizione ha inventato e
conservato con sacra scrupolosità e
devozione: una cotta, che è più merletto che stoffa, la mozzetta (piccola mantellina che ricopre le spalle) bordata di
ermellino e una preziosa e ricca stola
con le immagini dei Santi Pietro e
Paolo, ricamata in oro.
Allo zelante monsignore addetto a
tale vestizione il Papa Francesco
dichiara (speriamo con un paterno e
compassionevole sorriso): “Carnevale è
finito, monsignore. Se vuole queste
cose, se le metta lei!”.
Mio Dio! Che parola critica e
scandalosa: Carnevale. Darei tutto l’oro
del mondo (oh, come si fa presto e
volentieri a donare tutto quello che non
si ha!!!) per conoscere i pensieri, le
paure, le preoccupazioni del povero
monsignore diventato rosso a questo
rifiuto…e particolarmente dei porporati
che hanno sentito le medesime parole
15
del Papa ma con maggiore sbigottimento, i quali però non sono diventati rossi,
perché lo erano già da quando furono
creati cardinali. Speriamo che almeno
abbiano elevato al cielo una preghiera a
Cristo, perché tenga una mano, dalla
mattina alla sera, sulla testa di questo
nuovo contestatore vestito di bianco.
Se qualche lettore domandasse
che fine hanno fatto le “scarpe bianche” di obbligo per un papa, si risponde subito: “Per un tocco magico sono
diventate nere e già calzate ai piedi!”.
Le parole di Gesù, che fa l’elogio
di Giovanni Battista: “Ma che cosa
siete andati a vedere? Un uomo vestito
di morbide vesti? Ecco, quelli, che
vestono abiti magnifici e vivono mollemente stanno nei palazzi dei re!” (Luca
7, 25), le aveva lette e commentate
nelle omelie; perciò questo severo giudizio del Divino Maestro come non era
scivolato dalla coscienza del vescovo
Bergoglio, tanto meno poteva essere
dimenticato ora che era papa. Le tradi-
16
zioni belle e vissute da tempo possono
anche essere messe da parte, ma le
parole di Gesù sono vita e orientate
verso la vita eterna.
Il rifiuto dei ricchi ornamenti papali è servito anche a far capire in
Vaticano che il papa non è un re, bensì
un umile rappresentante del RE, del
regno di Dio. Perciò non vuole essere
circondato da una corte papale, perché
il papa ha bisogno di collaboratori e
non di cortigiani. In verità già il Papa
Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II
aveva dato alla vasta nobiltà romana un
rispettoso e indolore “benservito” ai
nobili, che oltre tutto non erano tutti
stinchi di Santi!
Il vero povero è povero anche di
parole, ma ricco di semplicità e di saggezza, perché tutti possano capire. Il
povero ama la condivisione non solo
nel pane, che sta mangiando, ma particolarmente con quanto pensa e comunica all’altro.
*
*
*
La condivisione è la nobiltà dei
poveri, bene espressa in questo proverbio: “Il campanile della chiesa fu fatto
con le promesse dei ricchi e le offerte
della povera gente”.
Anche sotto questo aspetto brilla lo
spirito di condivisione della comunicazione di Papa Francesco, che offre con
le parole ciò che è utile e necessario a
coloro che non hanno la fortuna del suo
sapere. Ne ha offerto un saggio con il
primo discorso, quando si è presentato
alla folla di Piazza S. Pietro e al mondo
intero tramite radio e televisione.
Superato e forse archiviato per
sempre il formulario di circostanza, ha
usato il saluto della gente comune con
un familiare: “Buona sera!”. Alle sue
spalle sussurri di stupore e di tremore
tra le tonache multicolori di monsignori, vescovi e cardinali, mentre dalla
folla saliva gioiosa sorpresa e apprezzamento. Di sicuro anche nelle famiglie, che seguivano tutto dal televisore,
non sarà stata minore la simpatia verso
chi dalla basilica di S. Pietro si presentava come un padre, che torna dal lavoro.
Discorso cordiale, semplice e a
volte anche umoristico e stimolo al sorriso. Tutti ricordiamo: “I cardinali sono
andati a pescare il papa alla fine del
mondo!”.
Ma non passeranno molti giorni e
Papa Francesco sarà sulla bocca di
tutto il mondo.
Terminato il rapporto con il mondo
esterno, tutti avranno pensato:
“Finalmente ora si ritirerà nel suo
appartamento papale!”. E anche in questa naturale aspettativa ci fu meraviglia
e delusione: Papa Francesco rimane
nella zona di S. Marta, dove aveva
alloggiato da cardinale durante il conclave, in un appartamentino di pochi
metri quadrati. Se uno si professa povero, deve saper vivere anche da povero!
L’appartamento papale non è certo
famoso per la sua povertà, bensì per il
suo lusso ed espansione regale. Una
scelta diversa gli avrebbe subito fatto
arrivare all’orecchio quel detto critico
della povera gente: “I preti predicano
bene e razzolano male!”.
Il discorso più convincente non è
quello che esce dalla bocca, ma dalla
vita, dal mangiare con gli altri, dal farsi
servire il meno possibile dagli altri e
servendo il più possibile gli altri. Non
c’è discepolo maggiore del Maestro,
17
diceva e faceva Gesù!
E’ bene concludere questa riflessione sul nuovo eletto Papa Francesco,
come lui stesso ha concluso il suo
primo incontro con la folla di Piazza
San Pietro e con il mondo, cioè con la
preghiera… anche questa fuori di una
multisecolare tradizione.
Però anche questa ultima novità
scaturisce naturale da chi si sente povero, da chi porta il nome del Povero di
Assisi. Del resto tutti sappiamo e
vediamo che i poveri, avendo bisogno
di tutto e di tutti, sono portati a pregare
per la loro stessa natura di essere poveri. Come, al contrario, vediamo pochi
ricchi pregare perché non hanno bisogno di niente e di nessuno…e tanto
meno di Dio che non vedono. Il povero
prega Dio, non perché aspetta che lui
faccia scendere dal cielo il canestro con
quanto è stato implorato, ma perché la
preghiera dona una forza particolare
all’orante, per cui mette in evidenza
tutte le potenzialità, che sono sepolte in
lui stesso. Ho conosciuto in Costa
D’Avorio un proverbio che afferma:
Dio si appoggia su di te per aiutare te.
Credo che nessuno abbia più
18
bisogno dell’appoggio di Dio rispetto a
un papa nuovo eletto, ed ecco il bisogno della preghiera espresso da Papa
Francesco. Di certo avrà stampate nella
mente e nel cuore le parole del suo
Maestro: “Senza di me non potete far
nulla!”. Ma questa richiesta di preghiera, quel silenzio, in cui si è immersa la
folla, dovevano far capire che la Chiesa
di oggi è figlia di quella Chiesa di
Gerusalemme, che prega per il suo
pastore Pietro, incarcerato da Erode, e
che sarà libero anche in virtù di quella
assidua preghiera: “… mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio
dalla Chiesa per lui”. (Atti 12, 5).
Una piazza in silenzio perfetto? Sì,
è possibile e bello…, quando si parla
con Dio!
San Pompilio modello di vita consacrata
P. Serafino Perlangeli
P
apa Francesco ha aperto, il 30
novembre 2014, l’Anno della
vita consacrata con il monito:
“quali profeti, «svegliate il mondo»,
testimoniando come Cristo ha vissuto su
questa terra”. È un compito questo di
tutti i cristiani, ma in una maniera speciale, dei religiosi, perché, mai un religioso
deve rinunciare alla profezia (Lettera
Apostolica, II, 2).
Il P. Generale, facendo proprio il
messaggio del Papa, invita gli Scolopi,
quali discepoli e testimoni di Cristo, a
vivere la propria vocazione in maniera
più integrale, integratrice e coesa, tridimensionale. Gli Scolopi, usiamo dire,
sono “tre in uno” (religiosi, sacerdoti ed
educatori). Ma in realtà non è sempre
così. E il problema non è “quanto tempo
dedichiamo a ciascuna delle dimensioni
della nostra vita” né “come ogni persona le incarna in funzione, anche, del suo
personale modo di intendere le cose”. Il
problema è che non abbiamo approfondito a sufficienza cosa significa essere “tre
in uno”, e separiamo ancora gli ambiti
pensando, ad esempio, che si è sacerdote
quando si amministrano i sacramenti o
maestro quando si fa lezione, o dicendo
“mi è difficile avere tempo per la preghiera personale, perché il lavoro fa sì
che la giornata finisca senza lasciare il
tempo per nient’altro”. L’Ordine ha bisogno di una nuova riflessione sulla sfida
del “tre in uno”. E anche ognuno di noi.
Quale la nostra risposta? (Salutatio di
Novembre 2014, 1).
Una consona risposta pratica potrebbe essere imitare il fulgido esempio di S.
Pompilio, il quale si fece tutto a tutti, ben
coniugando il “tre in uno”, senza mai
nulla cercare, nulla ricusare.
L’attività apostolica del Pirrotti non
conobbe limiti, né scelte, o preferenze di
campo, in modo assoluto, ma fu costantemente aperto e impegnato laddove l’ubbidienza, la necessità, il bene e l’utilità
altrui lo richiedevano: nella scuola, nel
ministero sacerdotale, nella visita e sollievo dei malati, nell’aiuto in genere a
quanti ne avevano bisogno, in una attenta
e mirabile conciliazione, attendendo al
bene e alla concordia della sua comunità,
senza mai perdere la comunione con Dio
e con i fratelli.
In genere faceva scuola ed esercitava il ministero sacerdotale con grande
soddisfazione del popolo. Per lui la scuola era qualcosa di celestiale, come un
paradiso. Diceva infatti: “... se il paradiso è nella vita presente, o è nel chiostro,
o nella scuola. In questa considerazione
19
si metteva in ginocchio nell’insegnare,
come davanti al Maestro interiore che
istruisce i suoi piccoli. Istruiva i giovanetti con somma bontà e pazienza, insinuando il santo timore di Dio. Gli scolari
sul suo esempio stavano composti e in
atteggiamento modesto e pio, attenti alla
parola facile e persuasiva del loro maestro.
Quando non era impegnato nella
scuola, non perdeva mai il contatto con
essa. Dell’attività scolastica del Pirrrotti
ne dà testimonianza il Rettore di Ancona,
P. Davini: “P. Pompilio andrebbe a fare
supplenze, ma è ricercato di qua e di là
per opere più di nostro vantaggio e stento applicarlo. Ciò nonostante al presente
unitamente col padre Maestro dei Novizi,
suppliscono la scuola del padre Remoli”.
Il voto professato dal Pirrotti di
ammaestrare nella pietà e nelle lettere la
gioventù fu esattamente adempiuto,
come attestava con giuramento, un venerando padre, l’ottantenne Ignazio
Guerrieri: “io l’ho veduto quasi giornalmente visitare le scuole. Ci istruiva egli
stesso, supplendo qualche maestro, legittimamente impedito, cercando sempre la
gloria di Dio. E nel tempo che il Santo
dimorava in Campi, pur non avendo il
dovere della scuola, dichiarava un vecchio allievo, mi ricordo che chiamava i
20
ragazzi, nel qual numero ero ancor io, e
non solamente si compiaceva di istruirci
nella dottrina cristiana, ma pur anco su
leggere e scrivere ed altre cose proporzionatamente alla nostra età. Io l’ho
veduto coi propri occhi scendere più
volte nelle scuole e mostrare a tutti l’impegno sul profitto della gioventù, colle
varie interrogazioni che ci faceva; ma
più di tutto ci teneva che custodissimo il
santo timor di Dio”.
E la pietà, il santo timore di Dio
inculcava nei fedeli con il suo infaticabile apostolato sacerdotale e missionario,
risvegliando lo spirito della gente da una
religiosità passiva, addormentata, infruttuosa. Svegliati, mio cuore, svegliatevi,
arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora
(Sal 57/56,9).
A Ortona a Mare, oltre la scuola nel
seminario, al dire del Di Annibale, non
lasciava di predicare, confessare, raccomandare anime, ed era presto e sollecito
alle necessità e bisogni spirituali e tem-
porali di tutta la città, che già lo stimava
e venerava per gran servo di Dio e letterato, e nello stesso concetto era tenuto
dal Vescovo Amalfetani della predetta
città. E per la gloria di Dio e la salute
delle anime non guardava a fatiche, a
stenti, a sudori, a pene le più fiere, perdendo, sul fiore degli anni, la salute, soffrendo in silenzio e tollerando. Egli predicava per ben quattro e più volte al giorno, e la sera terminava con una processione penitenziale, disciplinandosi, e
molti lo imitavano.
Scriveva al Frate Pietro, scusandosi
per non aver potuto rispondergli prima:
“... essendomi trovato solo, solo, a dare
al pubblico di Ancona i santi esercizi,
che ho dovuto fare da missione, e ora sto
applicatissimo di notte e di giorno per le
confessioni e concorso di popolo … e
adoriamo la bontà di Dio, che ha saputo
ben portare le cose con profitto delle
povere anime e con decoro del nostro
abito; mentre tutta Ancona si è rivoltata,
precise i Cavalieri. Così vuole lo Sposo
nostro Gesù, perché io, Figlio, non ci ho
che fare in tali cose. Io sono un ignorante, un rozzo, un melenso, e quanto fo su
del palco, non io ma l’è Dio per mia
somma confusione” (lett. 6/1/1763).
Fu assiduo nell’assolvere il ministero della confessione dalla mattina alla
sera, con pazienza, carità e dolcezza.
Da vero religioso, il fine di tutta l’attività del Pirrotti era la salvezza delle
anime, il decoro e l’onore dell’Abito,
oltre l’onore e la maggior gloria di Dio,
del quale cercava il solo suo gusto; era
determinato a essere sempre a suo genio
e in comunione con lui, con lo sguardo
alla vita eterna, al Paradiso, che non perdeva mai di vista: Paradiso! Paradiso!
Era sempre attento alle determinazioni di
Dio e dei Superiori. Tali sentimenti egli
cercava di infondere nella sua Comunità,
mettendosi perfino in ginocchio, per
richiamare tutti alla concordia e all’amore vicendevole. Il suo punto di forza era
la preghiera assidua, di notte e di giorno,
nonostante i molti impegni di apostolato:
la sua massima espressione era la
Liturgia, celebrata con serafico ardore e
intensa pietà.
Per usare un’immagine, richiamata
dal P. Generale (cf Salutatio di gennaio
2015), il P. Pompilio era come un vaso
nelle mani del vasaio per essere plasmato. Il vasaio è Dio. Il Pirrotti fu plasmato
a genio di Dio. Solo Dio e niente più. Ed
esortava: “lasciatevi condurre da Dio,
abbandonatevi nelle sue mani”.
Egli fu un vaso pieno di sode virtù
che non lasciava spazio alle piccole cose
insignificanti e caduche. Era totalmente
pieno di Dio. “Cercate le virtù sode”,
raccomandava spesso.
21
“…Viva fede, ancorché vi vediate combattuta, agitata, oscurata non temiate. S. Maria Maddalena allorché vide tutto ottenebrato, e il monte Calvario e tutta la Terra, e non vedeva né Gesù né
Crocifisso, e pur sempre siede fissa e costante e fra se dicea: dentro di quelle tenebre sta il mio diletto; in quello oscuro ritrovasi il
mio Amante; non m’importa il vederlo; mi piace l’adorarlo,
ancorché io non lo vegga. O’ diletto nell’oscuro, o’ amante nelle
tenebre.
Il bel cammino di fede è quello che vi deve piacere, cioè
ancorché abbiate tutte le bestiazze attorno, ancorché vi vediate
con tutte le tentazioni, non avete da dubitare, e vi avete da abbandonare nelle divine mani. Viva il bello oscuro, e così vuole il
Signore, che voi siate. Né la vostra mente si aprirà molto; ma con
tutto che non si aprirà molto, pure avrete da camminare alla bella
unione con Dio, come fu la Maddalena, che fra tutto l’oscuro non
perdè mai l’Amore. Anzi in mezzo l’oscuro vie più in esso si vide
ardere la fiamma, e abbrugiò senza vedere. Viva Gesù!
Onde questa prima cosa dell’oscuro vi piaccia ben capire; e
quanto più potete, abbandonatevi nelle divine mani, acciocché di
voi il sommo Dio disponga a essere a genio suo, e non vi spostate
dalla volontà dello Sposo.
Nell’esterno, poi, per ora portatevi allegri, superate tutte le
vostre imperfezioni e cercate dare gusto al nostro Amante colla
pratica delle virtudi: Carità, Umiltà, Pazienza e scansate sempre
la malinconia, e ancorché vi vediate all’oscuro nel vostro interno,
non vi atterrite, ma cercate essere fedele allo Sposo. Seguitelo
colla fede; mentre la fede vi guiderà; e quantunque voi non
discerniate, non importa. Lux in tenebris lucet; nelle tenebre
maggiormente risplende la luce…
POMPILIO MARIA POVERELLO
Cosi` vogliamo ricordare la venuta a Campi
di San Pompilio Maria Pirrotti 250 anni fa
17 Marzo 2015
Concerto tenuto dal gruppo:
“Ensemble Concentus”; Reading: Vincenzo IACOVIELLO
18 Marzo 2015
Solenne Concelebrazione presieduta dal Rev.mo Padre Ugo
BARANI, Superiore Provinciale dei Padri Scolopi
14 Maggio 2015
Conferenza: “Campi nel tempo in cui P. Pompilio vi arrivò”.
Sarà tenuta dal Prof. Alfredo CALABRESE
05 Giugno 2015
Conferenza: “La devozione mariana di S. Pompilio
nella spiritualità del 1700”. Relatore Prof. Don Franco ASTI
14 Luglio 2015
MATTINA: Solenne Concelebrazione della Benedizione del pane.
Presieduta da Sua Ecc.za Mons. Claudio MANIAGO,
Vescovo della Diocesi di Castellaneta (Ta).
SERA: Processione per le vie della città
NOTTE: “Notte bianca del libro”
15 Luglio 2015
Solenne Concelebrazione presieduta da
Sua Ecc.za Mons. Domenico D’AMBROSIO,
Arcivescovo della Diocesi di Lecce
LA PREGHIERA E LA PENITENZA
APRONO LE PORTE ALLA SANTITÀ
Aurora Guerrieri Romano
L
a preghiera è un’esigenza
dell’anima che trova la vera
quiete allorquando la mente
e il cuore dell’uomo s’immergono nel
mistero stesso della Fede.
Tutto il cammino terreno è, infatti,
segnato dalle
immancabili
prove che, se
sostenute dalla
preghiera fiduciosa, si traducono in penitenza offerta a
Dio Padre per
il bene personale e dei fratelli in Cristo
Gesù.
San Pompilio Maria Pirrotti, con la
preghiera fiduciosa e costante e la penitenza offerta per il bene delle anime, ha
insegnato come divenire anime oranti e,
quindi, testimoni credibili della Parola.
Egli metteva continuamente in pratica ciò che disse Gesù nell’Orto degli
ulivi: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma
24
la carne è debole» (Mc 14,38).
L’esortazione dell’Evangelista sottolinea l’importanza della preghiera, in
quanto, la penitenza, supportata dalla
preghiera ardente, dà origine ad una
graduale trasformazione della vita interiore e successivamente anche di
quella umana.
Infatti, la preghiera diviene
l’ancora
che
sostiene e salva
tutti coloro che,
come i bambini,
si abbandonano
fiduciosi alla
Volontà Divina:
«Se non sarete
come questi bambini non entrerete nel
Regno dei cieli» (Mt 18:3).
San Pompilio era distaccato dalle
cose del mondo, atteggiamento che rendeva tangibile e luminosa la sua vocazione e credibile l’invito fraterno a pregare e a fare penitenza, perciò non si
concedeva mai pause e, sin dalle prime
ore del mattino, mediante l’accoglienza
del prossimo e vivendo la Parola, insegnava ai vicini e ai lontani la grandezza
e la bellezza dell’amore di Dio Padre.
Infatti, dopo la Celebrazione
Eucaristica, animato e sostenuto dallo
Spirito Santo, era nel confessionale a
pregare e a fare penitenza che offriva al
Signore per il bene dei fratelli, sempre
pronto ad accogliere tutti coloro che
sentivano l’urgenza di riconciliarsi con
Dio.
Tutto in lui era la manifestazione
tangibile della Carità vissuta ed offerta
al Signore.
Il confessionale era il punto d’incontro con le creature che San Pompilio
accoglieva con grande premura paterna,
invitandole a rimanere ancorate a Gesù
e a pregare la Madonna mediante la
recita del Santo rosario.
La preghiera mariana, infatti, scandiva la sua vita umana e sacerdotale
tanto che, come un bravo artigiano al
servizio del Signore, faceva le corone
del rosario che poneva tra le mani dei
fedeli, un gesto semplice e, nello stesso
tempo, molto significativo in quanto
confermava il suo grande amore per la
Madre di Dio e Madre dell’umanità.
Campi Salentina, dal 12 luglio
1765 al 15 luglio 1766, è stata segnata
per sempre dalla presenza di San
Pompilio, una breve, ma straordinaria e
fruttuosa parentesi che conferma il suo
totale distacco da tutto ciò che poteva
distrarlo dal suo stare umilmente al
cospetto di Dio.
La vita di S. Pompilio riporta alla
mente quella di S. Pio da Pietralcina, in
quanto l’amore verso Dio e verso il
prossimo li portava a pregare e a soffrire per la salvezza delle anime che il
Signore, nella sua infinita potenza, affidava loro.
La devozione a San Pompilio
Maria Pirrotti non è il frutto di un atteggiamento esteriore, ma di una tradizione
che porta gli uomini ad avvicinarsi con
Fede al Signore, Unico Datore di ogni
Bene.
25
I MIRACOLI DELLA BEATIFICAZIONE
E DELLA CANONIZZAZIONE
Rita Cantoro
L
a fama della santità di San
Pompilio era diffusa già
durante la sua vita, e tanti
accorrevano a lui, che prontamente si
offriva di riportare le anime a Dio con
la Confessione, di seguirle come delicata e vigile guida spirituale, di operare prodigi.
Alla sua morte, il
15 luglio 1766, tutti
concordarono nell’affermare che era morto
un Santo. Fatti portentosi si registrarono
anche al suo funerale,
e siccome si verificò
una vera e propria
corsa all’accaparramento di una reliquia
(chi strappò dei capelli,
chi l’abito, chi portò a casa una
scheggia del confessionale) i Padri
decisero di seppellirlo in segreto nella
notte del 17 luglio, alla presenza di
pochi testimoni. La cassa venne deposta nella parete della Cappella di
26
Sant’Antonio.
La voce del popolo: “E’ morto il
Santo!” trovò conferma in un primo
tempo nella beatificazione avvenuta il
26 gennaio 1890, per mano di Leone
XIII, dopo la discussione dei due
miracoli scelti tra i
tanti a lui attribuiti.
Come scrivono
Giuseppe Tasca e
Francesco Grillo in
Vita di S. Pompilio
Maria Pirrotti delle
Scuole Pie (1934), il
primo miracolo fu
quello di una bambina
di Campi, Rosina
Serio, istantaneamente
guarita da tumore
bianco nell’articolazione tibio-femorale
sinistra. Il tumore era
in uno stato avanzato, assolutamente
inguaribile, con ingrossamento del
capo della tibia, con alterazione di
tutti i tessuti circostanti e grave
anchilosi del ginocchio. La piccina
non poteva reggersi e non aveva
potuto imparare a camminare, perché
non riusciva ad appoggiare il piedino
a terra. Furono tentate tutte le cure
esterne ed interne, ma senza alcun
effetto, talché il medico dichiarò l’assoluta inutilità di altri tentativi. La
madre, addoloratissima ricorse con
fede all’intercessione del P. Pompilio.
Si recò alla chiesa delle Scuole Pie
ad ascoltare la S. Messa nella
Cappella ove era deposto il corpo del
Servo di Dio. Condusse con sé la
domestica, la quale portava in braccio la piccola malata. Mentre la
madre fervorosamente pregava,
Rosina alzatasi d’improvviso da dove
l’avevano messa a sedere, si pose in
ginocchio accanto al sepolcro del P.
Pompilio. La madre spaventata, la
risollevò, ma la piccina tornò ad inginocchiarsi. Terminata la S. Messa e
tornate a casa, ecco Rosina reggersi
in piedi, non solo, ma camminare,
dapprima sostenendosi alle sedie e
poi liberamente, mentre con una
manina additava un ritratto del P.
Pompilio che trovavasi affisso ad una
parete. I medici, rivisitata la piccina,
constatarono e dichiararono che
Rosina Serio era istantaneamente
guarita in modo miracoloso e che
nessuna traccia più restava del male.
Il secondo miracolo riguardò la
guarigione istantanea di una frattura
ossea del contadino Giovanni
Ingrosso, ottantenne che, cadendo dal
letto a causa di una vertigine, riportò
una frattura obliqua della clavicola
destra, accompagnata da scomposizione. Data l’età, il caso era molto
grave. Il medico lo fasciò e gli ordinò
assoluta immobilità per lungo tempo,
facendo intendere anche che giudicava quasi impossibile una completa
guarigione.
Spaventato all’idea di non poter
più lavorare nei campi per mandare
avanti sé stesso e sua moglie, si rivolse con grande fede al Beato Pompilio.
Si alzò dal letto e andò a pregare sulla
tomba di Padre Pompilio. Tornato a
casa, si coricò, pieno di speranza.
Durante la notte si svegliò senza
dolore e si tolse la fasciatura.
Chiamata la moglie: «Angela,
esclamò, io sono libero! Vedete, porto
liberamente la mano alla fronte,
27
Fanciulla spagnola guarita dall’otite purulenta
facendo il segno della santa Croce! ».
E si trovò talmente sano che il giorno
appresso andò di nuovo all’usato
lavoro nei campi. I medici che poi lo
visitarono «sorpresi da meraviglia,
confessarono che un vero miracolo
doveva chiamarsi quell’avvenimento,
stante che la clavicola si osservò
perfettamente sana e senza più vestigia della passata frattura». (Ibidem,
pp. 310-311)
In un secondo momento, ancora
due miracoli portarono il nostro Beato
Pompilio alla canonizzazione, avvenuta il 19 marzo 1934 sotto il pontificato di Pio XI.
Uno accadde in un villaggio della
provincia di Huesca in Spagna, a
Tamarite, dove una fanciulla di 7
anni, Matilde Ireugas Carcame y
Abuin, si ammalò di otite purulenta e
28
soffrì lunghe febbri infettive che la
stremarono e le causarono un vistoso
dimagramento. Il 13 dicembre 1892,
dopo quaranta giorni dall’inizio della
malattia, fu colta improvvisamente da
broncopolmonite catarrale con pleurite. Si aggravò tanto che dopo tre giorni si era persa ogni speranza di salvarla. Il padre della bambina, pieno di
fede, applicò per tre volte sul corpicino sofferente una reliquia del Beato
Pompilio e la bimba si alzò dal letto,
rassicurando tutti che stava bene. I
rigorosi esami dei medici periti,
vagliati in ogni parte, concordarono
nell’attribuire a miracolo una guarigione così repentina e perfetta.
L’altro miracolo avvenne a
Napoli, dove viveva Domenica Maria
Melisci, nubile. All’età di 16 anni le
fu diagnosticato un leggero tumore
alla mammella destra, ma siccome
non le procurava alcun fastidio, non
se ne preoccupò. Passato molto
tempo, il 14 settembre 1891, quando
aveva circa 43 anni, sentì un fortissimo dolore alla stessa mammella e la
vide tumefarsi. Il medico, chiamato
prontamente, trovò all’interno della
mammella una massa dura, avente
tutti i caratteri di un cancro. Dopo
aver prescritto alcuni rimedi che non
riuscirono efficaci, il medico consigliò un intervento per rimuovere il
tumore. L’ammalata, intimorita dalla
mutilazione prevista, implorò con
fiducia l’aiuto del Beato Pompilio.
Dopo tre o quattro giorni il tumore
era scomparso e il dolore cessato. E
ciò fu confermato dopo alcuni giorni
dal medico curante che procedette ad
un esame e non trovò nessun vestigio
del precedente tumore; egli riconosce
il miracolo, e in ciò convengono con
lui due altri medici chiamati dalla
Curia Napoletana (Ibidem, p. 315).
Come il Papa Pio XI ebbe a dire
il 12 novembre 1933, nella solenne
lettura del Decreto di approvazione
dei miracoli, la vita dei Santi ci offre
utili insegnamenti e desiderio di imitazione; dove ‘imitazione’ non è
‘copiare’ la vita di un altro, ma significa entrare nella sua luce, vedere e
sentire le cose nel suo stesso modo.
Prendiamo esempio dal nostro Santo,
così vicino a noi e così attuale, nonostante le sue ‘scomode’ affermazioni:
Donna napoletana, guarita dal tumore al seno
imitiamone l’accettazione delle
avversità della nostra vita, anche delle
calunnie, sopportate con quell’umiltà
che tutto accetta dalle mani di Dio e
tutto perdona agli uomini.
L’arazzo della canonizzazione
ritrae San Pompilio mentre spicca il
volo per i cieli, circondato da schiere
di angeli. Ma come riportano gli autori sopra citati, il suo sguardo è rivolto
alla terra; il suo cuore palpita ancora
per gli uomini, le sue mani sono
ancora aperte per donare. Egli passa
ancora beneficando!
ATTUALITÀ TEOLOGICA E PASTORARE
DI SAN POMPILIO MARIA PIRROTTI
Nelle quattro lettere ad una famiglia di Lanciano
Emilia Polidoro
S
an Pompilio visse a
Lanciano dall’autunno del
1742 al 10 agosto del
1747, ma non in modo fisso. Si spostava nei paesi vicini, Penne,
Castellammare, Tornareccio, per predicare la quaresima, gli esercizi spirituali al clero e alle suore o a Loreto
per partecipare ad un pellegrinaggio.
La sua vita in Abruzzo non fu affatto
facile, perché san Pompilio, con la
sua vita improntata ad una fede
incrollabile, seppe anticipare i segni
dei tempi, mentre i mediocri, ripiegandosi sulla loro
autoreferenzialità,
li ritardano. A
Lanciano, non
solo si dedicò
all’insegnamento,
alla questua e al
suo
ministero
sacerdotale, ma
stabilì anche dei
rapporti di amicizia con diverse
famiglie
del
30
luogo, amicizia che dette luogo ad
una fitta corrispondenza, quando il
Santo si allontanò da Lanciano.
Scrisse numerose lettere, indirizzate
a Domenico Antonio Ferramosca e a
Giovanna Napolitano sua moglie, a
Giuseppe Ravizza e Domenico suo
figlio, alla baronessa Gigliani, oriunda di Agnone, alle famiglie Capretti,
Maranga e Germino. Quest’ultima
famiglia diventerà padrona del
Castello di Sette, situato presso la
foce del Sangro, oggi trasformato in
luogo di accoglienza. (Supplemento,
Roma, 1984 pp.
78 e ss.) Tra le
tante lettere, ne ho
scelto quattro,
pubblicate
da
padre Serafino
Perlangeli nel
Fascicolo: “Le 23
lettere di San
Pompilio conservate a Montecalvo, edizione
Montecalvo
Miracolo eucaristico di Lanciano
2010.” Le lettere sono di un’attualità
sconcertante, sia per quanto riguarda
il pensiero teologico, sia per il loro
significato pastorale. Le prime due,
una del 14 ottobre 1747, l’altra senza
data, ma presumibilmente scritta
intorno allo stesso anno, sono dirette
al signor Domenicantonio Ferramosca di Lanciano. Dalla prima lettera
emerge con chiarezza che Ferramosca è un figlio spirituale del
Santo. Infatti san Pompilio gli dice
che se potesse sarebbe disposto a
scrivergli tutte le settimane, poi continua con alcune indicazioni, che
dovrà perseguire per camminare
verso la santità. Gli consiglia il pensiero fisso all’eternità, la fedeltà a
Cristo, l’abbandono alla volontà di
Dio, attraverso lo sguardo al
Crocifisso, la frequenza all’Eucaristia, nonostante molti pensatori del
tempo insistessero sulla indegnità
umana ad accostarsi a Gesù eucaristia e pertanto rifiutassero del tutto la
comunione frequente. Nel centro
della lettera, il Santo, dopo aver rac-
comandato la preghiera e l’unione
intima con Dio, fa il punto sulla educazione dei figli. La madre educhi i
figli, anche se discoli, con la dolcezza, il padre intervenga con la sua
autorevolezza perché progrediscano
nella fede. Lo stesso padre si interessi degli affari di famiglia con lungimiranza e carità cristiana. La raccomandazione, ovviamente, vale anche
per le relazioni con gli altri componenti della famiglia. I due concetti
teologici esposti nella lettera, che
ritroviamo nei documenti conciliari e
pertanto attualissimi, sono: la vocazione alla santità per tutti i battezzati,
considerati come popolo di Dio
(Lumen Gentium, cap. II, 9-17, cap.
V, n. 39-42), l’importanza della sacra
Scrittura, nella quale, Gesù Cristo,
Verbo fatto carne, porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal
Padre (Dei Verbum, cap. I, n. 4, cap.
III). Infine l’espressione che il Santo
riserva ai teologi, con un linguaggio
tipicamente settecentesco, (Lasciate
31
andare i teologi, chi vuol perdere la
coscienza la metta in mano ai teologi) trova qualche corrispondenza con
quella usata da papa Francesco
(Evangelii Gaudium, 133: “Faccio
appello ai teologi affinché compiano
questo servizio come parte della missione salvifica della Chiesa. Ma è
necessario che, per tale scopo,
abbiano a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa
teologia e non si accontentino di una
teologia da tavolino”). Nella seconda
lettera, san Pompilio insiste sulla
contemplazione, stadio avanzato dell’unione intima con Dio, e la frequenza ai sacramenti, dimostrando la
sua ricca e profonda paternità pastorale.
Le due lettere dirette a Giovanna
Napoletani, la n. 125 e la n. 126, sottolineano tre aspetti della spiritualità
che San Pompilio offre ai suoi figli
spirituali, indipendentemente dalla
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loro appartenenza sociale o di genere: Maria Vergine, cooperatrice di
salvezza con il Figlio, i due grandi
attributi di Dio: l’amore e la misericordia. La Lumen Gentium dedica
tutto il capitolo VIII, dal n. 52 al 68,
alla beata Vergine Madre di Dio nel
mistero di Cristo e della Chiesa.
Insiste sulla particolare unione di
Maria con il Figlio nell’opera della
Redenzione, sulla sua funzione di
madre e modello per la Chiesa, pur
nella diversità di culto a lei dovuto.
Infatti a Dio, e pertanto a Gesù suo
figlio, è dovuto il culto di adorazione,
a Maria la venerazione. Nella prima
lettera di san Pompilio si nota con
chiarezza la visione cristocentrica
della storia della salvezza, in un
secolo in cui le tentazioni illuministiche, che rifiutavano ogni mediazione
tra l’uomo e Dio, erano molto forti.
Veniamo infine all’amore e alla misericordia di Dio. Il Settecento, razio-
nalista e giurisdizionalista, aveva
relegato Dio fuori dalla ragione e dall’esperienza, perciò aveva riposto la
sua felicità solo nel progresso infinito. Parlare di Dio, amore e misericordia, doveva sembrare una follia.
Basti pensare ai tanti manuali teologici, dimostrativi dell’esistenza di
Dio, per capire quanto san Pompilio
anticipasse i secoli.
Il Concilio Vaticano II è tutto
permeato dalla misericordia di Dio,
che ispira la sua Chiesa ad usare
misericordia. In fondo la preghiera
ufficiale della Chiesa, che prega con
le Scritture e soprattutto con i Salmi
è tutto un inno alla misericordia. I
due grandi concetti dell’amore e
della misericordia di Dio ci sono stati
regalati soprattutto nella vita vissuta
da Santa Faustina Kowalska, attraverso le sue rivelazioni private, e dal
suo confessore, il beato Michele
Sopoc’ho, che ha riletto la Scrittura
alla luce della Divina misericordia. Il
Beato subì le due guerre mondiali,
riuscendo a mantenersi in equilibrio
tra nazismo e comunismo, in un con-
testo culturale materialista e totalitario. Senza capire la lacerazione culturale e sociale del suo tempo, riesce
quasi impossibile comprendere come
sia diventato l’apostolo della misericordia. Papa Giovanni Paolo II, poi,
con l’enciclica “Dives in misericordia”, ha consigliato a tutti i cristiani
la possibilità di sperimentare l’amore
e la misericordia di Dio nella quotidianità. Successivamente, con l’istituzione della festa della misericordia
nella seconda domenica di Pasqua, ha
reso possibile ad ogni cristiano attingere al tesoro di grazie del Cuore di
Gesù misericordioso. E’ abbastanza
chiaro che per i santi non conta il
secolo in cui vivono, ma l’intensità
della fede, capace di contemplare il
mistero di Dio, oltre i modelli culturali del proprio tempo. I santi non
solo hanno il dono di interpretare i
segni dei tempi, ma spesso riescono a
precorrerli, per questo la storia della
salvezza ha caratteristiche uniche e
originalissime, perché portano l’impronta dello Spirito Santo che soffia
costantemente sulla Chiesa.
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La musica nel Settecento in Italia
Giuseppe Politi
I
lluminismo! È la caratteristica
del ‘700 con massimo sviluppo
dal 1750 al 1780; le idee illuministe diventano il fondamento delle
ideologie culturali a livello europeo e
impongono un nuovo modello di uomo,
l’ideale antropologico, cioé quello del
filosofo, il quale ha uno spirito di osservazione e di precisione che misura tutto
sui veri principi.
La cultura europea è dettata dalle
idee fondamentali della “Filosofia dei
lumi” che porta con sé innovazioni
profonde in ogni campo, dalla Filosofia
alle Arti, alle Scienze; regnano il buon
gusto, il bello, l’estetica del sublime.
Il XVIII secolo è dunque, straordinariamente ricco di cultura, di progresso accompagnato da un Cosmopolitismo Culturale che adotta il Francese
come lingua internazionale, come oggi
potremmo dire dell’Inglese.
Anche la Musica, quindi, in tutti i
suoi indirizzi, vocale, strumentale, religioso, concertistico... nel ‘700 raggiunge esperienze diverse, innovative e felicissime; basti ricordare Luigi
Cherubini, Benedetto Marcello,
Giuseppe Tartini e, su tutti, il primato di
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Antonio Vivaldi che nella sua fecondissima opera del ciclo “Le quattro
Stagioni” accomuna una drammaticità
e una vivacità straordinarie e sorprendenti. Al “Prete Rosso”, così era detto
Vivaldi per via della sua capigliatura
rossastra, si deve la concezione di concerto di vero stile italiano.
Anche la Sinfonia subisce nuovi
dinamismi di timbro e di elaborazione
tematica e una nuova organizzazione
strumentale; la Sonata, che nel ‘600,
aveva avuto grande risonanza, nel ‘700
trova in Arcangelo Corelli grandi e stabili modifiche che troviamo nelle sue
12 Sonate anche con l’introduzione del
quartetto, esempio seguito poi da
Tartini.
Egli è, inoltre, autore di spicco
nella musica strumentale; con lui l’evoluzione del violino ha amplissimi sviluppi. Compositore, direttore d’orchestra, esecutore egli stesso, ha lasciato
fondamentali opere tra cui le Sonate da
chiesa e da camera.
Egli incide nel violino un linguaggio strumentale suggerito da una vera e
propria etica della musica. Per quanto
riguarda la musica sacra, sinfonica, da
Gaspare Traversi: il Concerto (1755)
camera, il ‘700 è senza dubbio il secolo
più florido, come l’800 lo sarà, poi, per
l’arte melodrammatica, cioé per l’Opera
lirica.
Di assoluta rilevanza nel ‘700 italiano sono Domenico Scarlatti e Luigi
Boccherini. Scarlatti, con le sue Sonate
ci regala il ritratto più vivo e vero del
suo tempo conferendo un suono e un
timbro assolutamente luminosi e caldi,
rappresentando impareggiabilmente la
sensibilità e l’anima del suo tempo.
Boccherini esprime, invece, uno
stile eccezionale, aristocratico, dall’espressione vigorosa specialmente nei
suoi quartetti e quintetti dove assurgono
a più grande dignità e perfezione il vio-
lino con la sua purezza sonora, e il violoncello.
Imponente nel ‘700 è anche la produzione clavicembalista da camera, clavicembalo che si avvia ad una definitiva evoluzione in fortepiano, poi pianoforte alla fine del secolo.
Tuttavia è necessario sottolineare
come nel sec. XVIII tutta la produzione
strumentale italiana va sviluppandosi
per grandi individualismi. Tra l’altro,
proprio in quel secolo vengono stabilite
e dettate le leggi sull’armonia moderna.
Quindi l’epoca in cui vive San
Pompilio (1710-1766) è quella delle
grandi sonate, dei quartetti e dei quintetti da camera, dei concerti e delle
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sinfonie, ma anche di una vasta produzione di meravigliosa musica sacra.
Questo in Italia, ma anche nel resto
d’Europa dove spiccano Franz Joseph
Haydn, George Friedrich Handel, il
sommo Johann Sebastian Bach, il divino Wolfgang Amadeus Mozart e il
gigante della Musica Ludwing Van
Beethoven.
Abbiamo citato solo alcuni dei
massimi esponenti della Musica in Italia
e fuori dai suoi confini ma lunghissimo
sarebbe l’elenco di altri protagonisti
musicali del ‘700 e delle loro opere, a
tal punto che le pagine concesse dal
Bollettino di San Pompilio risulterebbero assai esigue e d’altra parte non è questo un trattato ma soltanto un accenno
generale. Infine una curiosità: la musica
per archi nel ‘700 viene eseguita dai più
grandi concertisti con strumenti tutti italiani; in particolare il violino, non ha
rivali; basti ricordare quelli fabbricati
dal liutaio Antonio Stradivari al quale
Augusto II, re di Polonia, ordina 6 violini, 3 viole e 3 violoncelli sottolineando
nella lettera di commissione, che
“grande meraviglia et dolcezza lasciano, a chi suona e a chi sente, li vostri
strumenti”.
Da sx a dx:
violino di A.
Stradivari;
violino in forma di
targa di Pasquale
Antonio Testore,
1731 (Milano,
Museo Teatrale
alla Scala);
violino di
G. Guarnieri,
già appartenuto
a G. Tartini
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RI–VIVERE NEL SANTUARIO
LA MEMORIA DEL TEMPO
P. Giovanni Grimaldi
Sarà difficile che io trascuri di far memoria del giorno 29 sett. : ricorrenza della nascita
di S. Pompilio, anche perché questo giorno ha una felice coincidenza con la vita scolopica,
risalente agli anni 1940 – 1945, quando nel noviziato dei PP. Scolopi di Finalborgo (Savona)
si celebravano due tappe iniziali della vita religiosa fondata da S. Giuseppe Calasanzio.
Infatti nel giorno 29 settembre (a quell’epoca festa dell’arcangelo S. Michele) i giovani aspiranti vestivano l’abito delle Scuole Pie, iniziando così l’anno di noviziato. Trascorso questo
periodo, il 30 settembre i novizi emettevano i voti religiosi di Povertà, Castità e Obbedienza
per un periodo di almeno tre anni.
Che felici coincidenze! Pensate: il 29 settembre è il giorno della nascita di S. Pompilio;
il 30 settembre è il giorno del battesimo di Domenico Pirrotti, che diventerà S. Pompilio
Maria Pirrotti.
Queste due coincidenze, non sappiamo se scelte o casuali, si sono verificate proprio in
quella Provincia Religiosa Ligure, che con alcuni suoi religiosi scolopi, in particolar modo
del P. F. Grillo, sono stati i principali artefici della beatificazione e canonizzazione di S.
Pompilio.
Ciò premesso ritorniamo ai nostri giorni
e nella nostra cittadina di Campi Salentina.
Da quando nel 2 luglio 2006 un comitato permanente di devoti di S. Pompilio ha
fatto erigere un gruppo marmoreo, che comprende la statua del Santo, che dà del pane a
due bambine, monumento situato in Viale
Nino di Palma su una verde ed alberata aiuola, ogni anno il 29 di settembre la Comunità
dei Padri Scolopi di Campi celebra una
messa solenne in onore di S. Pompilio
davanti a moltissima gente ivi radunata. Il
comitato oltre ad organizzare il tutto per la
celebrazione: altare, luminarie, coro ecc., al
temine della messa rallegra gli occhi dei partecipanti con meravigliosi fuochi d’artificio,
ogni anno sempre più belli e con il colpo
finale sempre più potente.
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8 dicembre 2014
J. S. Bach su ogni partitura di musica,
che iniziava a comporre, scriveva il alto:
S.D.G., iniziali di Soli Deo Gloria, cioè: Al
solo Dio la gloria. Perciò se il compositore
può rendere gloria a Dio con la sua musica,
anche coloro che eseguono quella composizione o ascoltano quella musica danno gloria a Dio, alla Madre di Dio, Maria e ai
Santi. Nel nostro santuario da alcuni anni è
nata, e va conservata, la tradizione di un
Concerto Vocale e Strumentale, che viene
eseguito nella festa dell’Immacolata dopo la
messa serale. Quest’anno il Trio: Giovanna
Tricarico, organo, Elisa Caricato, violino,
Elena Mignone, soprano, hanno entusiasmato i numerosissimi partecipanti con
musiche e canti sacri in onore
dell’Immacolata e dell’imminente Natale.
E’ stato chiesto anche il famoso bis!
Il santuario di S. Pompilio non è dedicato ad un monaco trappista o camaldolese,
ma ad un sacerdote scolopio, cioè ad un
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religioso, il quale oltre ad emettere i voti di
Povertà, Castità e Obbedienza, ha emesso
un quarto voto: l’educazione dei ragazzi e
dei giovani. La loro vera educazione, armonica e perseverante, si ottiene formando in
essi un dignitoso carattere umano e una
chiara e serena vita cristiana, come voleva il
Fondatore S. Giuseppe Calasanzio.
S. Pompilio, degno suo fedele figlio,
necessariamente è stato un ottimo formatore
di uomini e di cristiani mediante la cultura e
la fede: un vero sacerdote, un vero maestro.
Ma quando si predica di lui, si scrive di lui,
spesso viene messo in luce il sacerdote, il
confessore, il predicatore, il penitente che
castiga il suo corpo, il benefattore di grazie
e miracoli, e raramente si ammira la sua
cultura umana e teologica e la sua generosità nel donarle agli altri con l’insegnamento. E’ una vera e propria mutilazione della
sua alta personalità!
Tutti sapranno che una delle non molte
fondazioni di case religiose volute dal
Calasanzio, è proprio quella di Campi Sal.
E l’ha voluta secondo il suo ideale: Scuola e
chiesa; Chiesa e scuola. Quando il santuario viveva accanto alla scuola, e la scuola
accanto al santuario, questi due valori erano
ben visibili ed hanno realizzato per molte
generazioni uomini e donne eccellenti. Ora
però che non esiste più la scuola del
Calasanzio… (lettore, ricordati che nella
Comunità Europea l’unico Stato che non
finanzia le scuole paritarie, è l’Italia! In
Bolivia, Stato poverissimo i Padri Scolopi
hanno realizzato un Centro Scolastico dalla
scuola Materna alla Superiore, dotato di
residence per gli insegnanti e convitto per
bambini e giovani, MA LO STATO BOLIVIANO POVERO FINANZIA I PROFESSORI E I VARI IMPIEGATI!!!) …il fattore cultura non è andato in esilio, ma rivive
nel “Calasanzio Cultura e Formazione” per
i giovani che hanno interrotto gli studi, per
chi vuole entrare in alcuni settori di occupazione, per cassintegrati ecc. Esiste un doposcuola denominato “Trastevere” per ragazzi
e adolescenti. Questi sono i nuovi poveri
del mondo moderno e il Fondatore dei Padri
Scolopi, per opera dei suoi figli, non è
insensibile.
Ma esiste anche un altro modo per
seguire la cultura: mettersi al servizio delle
varie manifestazioni culturali della odierna
comunità umana: spalancando le porte del
Calasanzio. Forse non tutti sanno che la
Comunità dei PP. Scolopi possiede una
antica e preziosissima biblioteca, accreditata anche presso la Regione Puglia. Qui si
sono svolti vari incontri ad alto livello culturale: ne segnalo in particolare solo due.
Ciclo di conferenze quindicinali, iniziate a
gennaio 2014 e terminate a fine giugno
2014. Inoltre il 27 dicembre 2014 è stata
eseguita la Premiazione dei migliori alunni
della scuola superiore della Provincia di
Lecce, ad opera della “Fondazione
Calabrese” di Campi. Questa biblioteca è
richiesta per vari incontri e conferenzestampa, in particolar modo ad opera della
“Città del Libro di Campi Salentina”.
Dio, Dio e niente piu`!
Non vi curate di cercare altro.
Cercate il fondamento delle virtu` sode
e abbandonatevi sempre nelle mani di Dio.
E non ci sia in voi se non il solo mio Amante Bello.
Vi voglio innamorati di Dio con amore vero.
San Pompilio