ANNO XXI - NUMERO 59 - POSTE ITALIANE - SPED. IN A.P. - ART. 2 COMMA 20/C LEGGE 662/96 LECCE 250 anni fa... BOLLETTINO DEL SANTUARIO DI SAN POMPILIO Bollettino del SANTUARIO S. POMPILIO M. PIRROTTI SOMMARIO: Nuova serie - anno XXI numero 59, Marzo 2015 Padre Agostino M. CALABRESE San Pompilio per le vie di Campi pag. 5 Periodico delle attività pastorali, educative e culturali della Comunità dei Padri Scolopi di Campi Salentina. Zelinda APRILE San Pompilio M. Pirrotti lungo la via della Santità con la Croce di Cristo pag. 7 Direttore Responsabile: P. Agostino M. Calabrese S.P. Direzione, Redazione, Amministrazione: Santuario S. Pompilio, via Pirrotta, 2 73012 Campi Salentina (Lecce) Tel. 0832.791034 - Fax 0832.797114 Sito internet: http://calasanziocampi.it per le lettere: http://scripta.scolopi.net/pompilio Impaginazione e Stampa: Minigraf Campi - Tel. 0832.792116 Anno XXI - Numero 59 Poste Italiane - Sped. in A.P. Art. 2 Comma 20/C Legge 662/96 Lecce Autorizzazione n. 324 del 21/02/2004 del Tribunale di Lecce Abbonamento annuo: offerta libera per stampa e spedizione, sul ccp 12031738. Padre Giovanni GRIMALDI Riflettendo su Papa Francesco pag. 15 Padre Serafino PERLANGELI San Pompilio modello di vita consacrata pag. 19 Aurora GUERRIERI ROMANO La preghiera e la penitenza aprono le porte alla Santità pag. 24 Rita CANTORO I miracoli della Beatificazione e della Canonizzazione pag. 26 Emilia POLIDORO Attualità teologica e pastorale di San Pompilio Maria Pirrotti pag. 30 Giuseppe POLITI La musica del Settecento in Italia pag. 34 Padre Giovanni GRIMALDI Ri-vivere nel Santuario la memoria del tempo pag. 37 Con approvazione Ecclesiastica e dell’Ordine Cari lettori, cari abbonati, avrete certamente notato la nuova veste del Bollettino, al passo con le moderne tecniche editoriali e con le esigenze di una moderna pubblicazione. Il Bollettino, organo di informazione della vita del Santuario e di cultura religiosa, ha cadenza trimestrale. COME OGNI ORGANO EDITORIALE ANCHE IL “BOLLETTINO DEL SANTUARIO DI SAN POMPILIO” NON PUO’ VIVERE SENZA IL SOSTEGNO DEI LETTORI E DEGLI ABBONATI. ANCHE LA TUA OFFERTA CONTRIBUIRÀ ALLA SUA VITA! Carissimi fedeli e devoti di S. Pompilio, la Comunità dei Padri Scolopi di Campi Salentina, con grande gioia spirituale, vi comunica il proposito di celebrare con Voi il 2015­2016 come “Anno vissuto con San Pompilio” nella ricorrenza del 250° anno della sua venuta a Campi e della sua morte (1765­1766). Questa ricorrenza è un dono dello Spirito di Dio perché possiamo approfondire la conoscenza del Santo che abbiamo ritenuto da sempre nostro protettore. Il Signore ci sosterrà in questo cammino e ci donerà la gioia di sentirci accompagnati da San Pompilio che indicherà a noi la “Via dello Spirito”, nella pratica più frequente dei Sacramenti della Confessione e della Comunione Eucaristica; San Pompilio ci sarà accanto quando riconosceremo Gesù povero e sofferente nei poveri della nostra città che abbiamo aiutato o nelle persone ammalate o afflitte spiritualmente che avremo consolato con la nostra visita e con la nostra parola; avvertiremo la presenza del Santo quando ci sentiremo una intensa forza interiore che ci spinge a dare un buon esempio o a rivolgere una buona parola a quei ragazzi o giovani in difficoltà a orientare la propria vita. La gioia interiore donataci dalla risposta generosa a questa chiamata, la manifesteremo attraverso varie celebrazioni in cui loderemo e ringrazieremo il Signore per il grande dono che abbiamo avuto in San Pompilio. Tra i numerosi gesti che compiremo per meglio onorare il nostro Santo, uno ci sta particolarmente caro: Ricomporre i resti mortali di San Pompilio in una nuova Urna; ciò richiederà uno sforzo di generosità da parte di tutti. Nel mese di Marzo di quest’anno 2015 faremo rivivere San Pompilio attraverso la rilettura e la riflessione su alcuni brani delle sue lettere. Perciò il giorno 17 Marzo alle ore 19.30 siamo tutti invitati nel Santuario ad ascoltare il pensiero di S. Pompilio e a gustare dei brani musicali del suo tempo. Il giorno dopo, 18 Marzo alle ore 18.30, parteciperemo nella Chiesa Madre (Parrocchia S. Maria delle Grazie), alla solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta dal P. Provinciale della Provincia Italiana dei Padri Scolopi, P. Ugo BARANI. Con spirito di ringraziamento al Signore per i doni ricevuti, cominciamo l’«Anno di Grazia» (2015­2016) e preghiamo San Pompilio per le necessità materiali e spirituali della nostra città. La Comunità dei Padri Scolopi 250 anni... FACCIAMO FESTA CON SAN POMPILIO... “...L’oratorio viene a meraviglia: luminoso, bello, come se più non fosse lo stesso. Rimodernatosi anche l’Altare, dilatatasi la porta, reca venerazione, e ci farò dipingere sopra lo Spirito Santo col motto: venite al Paradiso. Già vado pensando per l’ostensorio di argento, che non ci sta. L’Altare del noviziato è a meraviglia riuscito; ci voglio far dipingere Bettelemme, il caro Presepio del mio Amante, e sopra la porta voglio farci dipingere pure lo Spirito Santo col motto: venite a Bettelemme; perché veramente deve essere casa di pane per i novizi, che debbon farsi nel noviziato, Pietro caro, la provista del buon biscotto per tutto il tempo della loro vita nella santa Religione. Io vorrei accomodare ancor l’economia, ma vedo bel bello... Questa annata nella Provincia di Lecce è scarsa di tutti i capi di robba. E così fa duopo, andare con economia maggiore. Per bovi non c’è paglia, né avena, e si sta con angustia... Pazienza ci vuole...” E’ emozionante leggere queste belle parole del nostro amato San Pompilio scritte 250 anni fa. Era il 12 luglio 1765 quando giunse qui a Campi, tra i nostri antenati, tra la povertà di quei tempi durissimi. Non sapeva quanto sarebbe rimasto, ma aveva tanti progetti Padre Pompilio, per il Collegio e la Casa, voleva rendere tutto più bello, perché tutto celebrasse la grandezza di Dio, ma soprattutto voleva rendere migliori gli uomini, avvicinarli al mistero del Cristo incarnato, attraverso la confessione, la penitenza, la comunione quotidiana. Alla luce di queste considerazioni, appare evidente, quindi, che è davvero un grande dono per noi poter essere parte di questo progetto divino: se il culto di San Pompilio è giunto fino a noi senza mai affievolirsi, se ha attraversato 250 lunghissimi anni vuol dire davvero che il nostro Santo era davvero immenso, straordinario, sovrumano, altrimenti la sua eco si sarebbe spenta, come si spengono le mode, i falsi profeti, le parole vuote... Questa convinzione ci spinge a proseguire il cammino iniziato dagli avi, quella emozione che ci invade quando ci poniamo al cospetto dei suoi resti mortali, attraverso i quali, davvero ciascuno di noi, almeno una volta nella vita ha sentito netta la certezza di arrivare a Dio, ci fanno gioire per la sua presenza tra noi. Accingiamoci allora a celebrare questo lungo anno pompiliano, tempo di grazia, con la volontà di pregare, riflettere, conoscere la sua spritualità, far festa, insomma, nell’unico modo che Egli ci ha insegnato: incontrando Dio, attraverso la sua vita. La Redazione San Pompilio per le vie di Campi P. Agostino M. Calabrese C i accingiamo a ricordare due avvenimenti particolari che riguardano la vita e la religiosità della nostra cittadina: 250 anni dalla venuta a Campi e dalla morte di S. Pompilio (20152016). Fatti e avvenimenti che ci invitano a riflettere con maggiore impegno sul grande dono che il Signore ci ha fatto, dandoci la presenza di un Santo, ma in modo particolare un invito a prendere maggiormente coscienza della grande eredità che questo Santo ci ha lasciato attraverso la sua presenza fisica e la guida spirituale, che scaturisce abbondantemente dalle sue Lettere. Pensiamo a come i nostri antenati hanno vissuto quell’anno di grazia (1765-1766), amati da San Pompilio di un amore veramente grande, che solo un uomo timorato di Dio poteva effondere in un periodo di carestia e di sofferenze fisiche e morali. Erano tempi difficili, quelli del ‘700, per la Chiesa e per la società; molto sfarzo esteriore, poca o nessuna attenzione ai veri interessi del popolo che viveva nella povertà e nella miseria; nella stessa Chiesa il giansenismo tendeva a ridurre la religione ad un insieme di pratiche esterne, con una forte rigorosità esteriore, senza quell’afflato del cuore, che scaturisce dall’amore di Dio. Ecco allora che il nostro Santo, ricco della carità di Dio, che parla di Dio con cuore aperto, che si dedica a tutti nel nome dell’ “Amante Bello”, 5 va contro corrente, come Cristo ha agito nella sua vita terrena; accoglie e visita i più poveri, venendo incontro alle loro necessità; non nega l’assoluzione sacramentale a nessuno, esorta continuamente i suoi figli spirituali a cibarsi spesso della divina Eucaristia per progredire continuamente sulla via della santità, inculca la devozione alla Madonna col nome “Mamma Bella”. Convinto che “La parola di Dio non è legata ...”, come dice S. Paolo, diventa grande apostolo della Parola di Dio … continua a parlare dell’Amore di Dio, non solo in tutta l’Italia centro settentrionale ma particolarmente a Campi, dove, oltre che infaticabile predicatore della Parola, si manifesta umile strumento di Dio per alleviare le sofferenze, la miseria, la fame in quel terribile anno di carestia. Dispensatore generoso della misericordia di Dio attraverso il sacramento della Penitenza, divulgatore della devozione al S. Cuore di Gesù e della divina Eucaristia, S. Pompilio ha lasciato ai posteri una splendida eredità che i cittadini di Campi non possono e non devono disattendere. Mi piace immaginarlo così il 6 nostro Santo: umile e sereno passa per le vie del paese a portare gioia e serenità, conforto e consolazione in mezzo a tante sofferenze causate dalla carestia; sollecito sempre della povertà materiale del popolo, non manca mai una provvista di pane abbrustolito, fave, ceci e altro, prodigando così la sua carità operosa per i più poveri e bisognosi, che visita spesso come fratelli e figli più cari. Tutti dobbiamo ricordarlo così il nostro San Pompilio: ogni anno durante la sua festa ripassa per le vie della nostra cittadina; egli vuol rivedere i suoi figli e i suoi concittadini di adozione vogliono rivedere e festeggiare il loro padre santo e benefattore e se anche dalle sue tasche non escono più pane e coroncine per alleviare le miserie umane, da quelle Sacre Ossa però, scaturisce un messaggio di amore e di fede che ci unisce al passato e ci proietta verso il futuro; ci sprona a far tesoro della sua eredità spirituale e a raggiungere quella meta di santità alla quale tutti siamo chiamati: “Dio, Dio, Dio e niente più …… Vi voglio innamorati di Dio con amore vero”. SAN POMPILIO MARIA PIRROTTI: lungo la via della Santità con la Croce di Cristo (1ª parte) Zelinda Aprile I l 21 gennaio 1765 la Real Camera del Santo Uffizio concedeva al P. Procuratore Generale il permesso di far rientrare P. Pompilio Maria Pirrotti nella Provincia di Puglia essendo trascorsi più di otto anni da quando ne era stato allontanato. Così si esprimeva infatti quella autorevole Camera: “…Così parimenti si è considerato che non trattandosi di farlo venire in Napoli, ma di farlo ritornare alla Provincia di Puglia, di cui è figlio, e ad istanza delli stessi suoi Superiori, e dopo il decorso di otto e più anni che ne è stato lontano, sembra alla Real Camera di non esservi il concorso di quelle antiche circostanze alla nuova domanda. Quindi è di sentimento, che V. M. possa benignamente concedere al Procuratore delle Scuole Pie di Puglia, di potere in quella Provincia Quanti visi ha incontrato il tuo sguardo o San Pompilio; quante confidenze ha raccolto il tuo cuore durante il tuo apostolato! Quante strade hai percorso prima di arrivare qui a Campi! Grazie per la tua venuta! richiamare il P. Pompilio Pirrotti, e che il Governatore locale del monastero dove egli andrà a risiedere, debba invigilare sulla condotta di questo Religioso e farne di tempo in tempo relazione a V. M.”.1 Il 30 marzo 1765 giunse l’obbedienza: P. Pompilio Maria era trasferito da Ancona a Campi Salentina. Il viaggio che lo avrebbe condotto a Campi Salentina, il suo ultimo viaggio, ebbe inizio il 15 aprile 1765 e si concluse il 12 luglio 1765. Un bellissimo diario scritto dal Santo descrive questo cammino lungo tre mesi fatto di diverse soste nei luoghi più cari e intriso di preghiere e penitenze. Quel suo ultimo viaggio lo avrebbe consegnato a Campi per un solo anno, dal 1765 al 1766, anche se la volontà di Dio aveva previsto che Campi diventasse la sua dimora per sempre. L’intera esistenza del nostro amato S. Pompilio fino a quel momento non era stata altro che un doloroso cammino controcorrente. Una salita al calvario con addosso la croce. Del resto questo aveva chiesto al Signore in quella notte di Natale del 1737 nella casa scolopica di Brindisi: “…Ti prometto, Gesù mio che io del mondo altro non 8 ne voglio, se non quello avuto da te cioè patimenti e disprezzi…” 2 E il Signore volle provare quella fede come si prova l’oro nel crogiuolo. Di queste persecuzioni vogliamo raccontare. Padre Pompilio aveva iniziato la sua missione apostolica in Abruzzo : Ortona, Chieti, Lanciano, Francavilla sono solo alcuni dei luoghi in cui Egli testimoniò la devozione e l’amore di Dio. Ad Ortona, dove era giunto alla fine del 1736, era stato richiesto per seguire la fondazione di un nuovo Collegio dove Egli avrebbe fatto il maestro di scuola. In questa città subito il nostro Santo si fece conoscere per il suo esempio di povertà e per il suo spirito di sacrificio. Ma ecco che già dall’agosto 1739 il Provinciale di Napoli richiedeva al Superiore Generale di spostare P. Pompilio da Ortona. A partire dall’autunno 1742, infatti, il nostro Santo era a Lanciano dove piano piano diveniva il punto di riferimento dell’intera città. Ma proprio quando si intensificava la devozione popolare verso il Padre Santo giungeva inaspettata l’obbedienza per Napoli: era il marzo 1744. Tuttavia vari motivi, tra cui la guerra di successione austriaca e la Ortona: Cattedrale “San Tommaso Apostolo” salute malferma del Padre, fecero sì che l’obbedienza fosse sospesa: sarebbe rimasto ancora a Lanciano. Qualcosa, però, stava accadendo. Il nuovo Vescovo Mons. Antinori e buona parte del clero diocesano di quella città vedevano nell’esempio di povertà e di mortificazione di quell’umile Padre Scolopio un rimprovero nei loro confronti, nel loro modo di testimoniare la fede, uno scomodo termine di paragone. Insomma, la gente lo venerava come un santo e questo irritava le gerarchie ecclesiastiche. Il nuovo P. Generale P. Manconi così scriveva, infatti, il 5 novembre 1746 al P. Provinciale Calò: “Stimerei ben fatto che V.R. con qualche prudente mezzo termine, allontanasse dalla diocesi di Chieti e di Lanciano il P. Pompilio, nelle quali intendo che gli sia sospesa la facoltà di predicare”.3 P. Pompilio che era a Pescara come predicatore aveva tutti contro, persino la comunità scolopica. Fu un colpo tremendo per il nostro Santo che il 21 luglio 1747, per decisione della Congregazione Generale, fu allontanato da Lanciano. Nuova destinazione, Napoli. Quanto l’animo del buon 1 Tosti O., Cronologia storico-critica della vita di San Pompilio Maria Pirrotti e lettere datate, Roma 1981, p. 183. 2 Carlo Celso Calzolai, Un apostolo nel ‘700, Firenze 1984, p. 49. 3 Tosti O., Cronologia storico-critica, op.cit, p.64 9 Napoli: Chiesa “S. Maria del Caravaggio” Pompilio fosse scosso lo testimoniano queste parole: “Il buon e caro P. Rettore di Lanciano ha scritto di me a’ nostri superiori in Roma tale robaccia, che dello più infame soggetto non si poteva scrivere di peggio; ora pensate figlio, che persecuzione sta in piedi per me, e con quali battaglie io mi trovo, senza sapere positivamente dove la tempesta orrenda avrà da sbalzarmi. Aspetto risulta dal Provinciale per vedere li suoi sentimenti. Io bramerei andarmene dove di me non se ne potesse sapere più nuova. .... Si faccia però, figlio, in ogni cosa la volontà di Dio.”4. In viaggio verso Napoli, con il cuore pieno di tristezza, visse anche una tragica disgrazia: mentre si recava a cavallo, in una caverna la bestia cadde e trascinò le poche cose che Egli recava con sé, andò perso anche il breviario. Sperava che almeno quel triste 10 viaggio fosse occasione per fermarsi a Montecalvo: lo confortava, infatti, il pensiero di rivedere sua madre. Ma presto arrivò la lettera del Vicario Generale che, oltre a raccomandare la sua sospensione dal confessare e dal predicare, intimava: “Per ora non giudico bene concedere a V.R. la facoltà di andare a vedere li suoi parenti. Preghi il Signore che mi illumini”.5 Pompilio giunge a Napoli nel 1747 e a testimonianza di quanto il suo animo fosse turbato, in una lettera del 24 agosto scrive: “Figlio mio, mi trovo sopra la croce, e spero però imitare il caro Gesù, standoci come si stiede esso: proposito sibi gaudio, cioè con allegrezza, con giubilo, e con amore di sempre più patire: Pati, pati e non mori”6. Intanto il nuovo Preposito Generale P. Delbecchi lo vuole conoscere, così lo convoca a S. Pantaleo. Dopo la breve parentesi romana Egli ritorna a Napoli a Santa Maria a Caravaggio. Nel 1747 riprende a predicare: è ad Atessa. Torna a Napoli: è sacrista, confessore, predicatore e catechista per i fedeli che accorrono. Fonda la Congregazione della Carità di Dio e di Maria SS del Suffragio. Intorno a Lui si concentra una grande devozione. Ma all’orizzonte matura una nuova persecuzione. In quegli anni, tuttavia, avvenne una grande novità all’interno dell’Ordine: il 25 maggio 1754 la provincia di Napoli viene divisa tra la Campana e la Pugliese. Ciò fece sperare al primo Provinciale di Puglia P. De Nobili, grande estimatore del P. Pompilio, che potesse averlo con sé in quella nuova provincia e quindi decadesse il divieto di rientro nel Regno di Napoli. Lo invitò presso di sé, ma per ora Egli decise di rimanere a Napoli: doveva ancora subire ingiuste persecuzioni! Suoi nuovi avversari erano il Rettore della casa di Caravaggio P. Andrizzi e il Provinciale P. De Caro. Essi montarono delle accuse che nascevano esclusivamente da invidie e gelosie e da quella miopia che non permetteva loro di vedere la straordinarietà di P. Pompilio. Si informò il Preposito Generale P. Corsini della pericolosità sociale del Santo scolopio, che poteva innescare sommosse e rivolte avendo a che fare con poveri e diseredati. Fu invocato anche l’intervento del Cardinale Sersale il quale sollecitò perfino il sovrano. Si decise l’allontanamento dal Regno di Napoli. A metà gennaio 1759 P. Pompilio lasciò la città nel buio della sera e dopo una breve tappa a Posillipo, giunse a Chieti. Il 26 maggio 1759 fu nuovamente trasferito da Chieti ad Ancona e da qui, dopo quattro mesi, a Lugo. Ritornava tra tanta gente che lo aveva amato, avendo conosciuto le sue virtù. Seguirono gli anni della ripresa: veniva richiesto come predicatore a Comacchio e a Correggio, poi rientrava a Lugo. Ma anche qui le gelosie degli altri sacerdoti crescevano tanto quanto l’ammirazione della gente. Avvenne che il P. domenicano Vito Cavalloni dal pulpito si dichiarò contrario ai metodi del Santo scolopio. Ne nacque una polemica tra domenicani e scolopi. Lo si accusò perfino al Sant’Uffizio, il cui Vicario a Lugo era P. Cavalletti, in piena sintonia con i domenicani. Insomma, in seguito a queste accuse il 16 gennaio 1762 fu spostato da Lugo 4 Ibidem, p. 346 5 Ibidem, p. 70 6 Ibidem, p. 345 11 ad Ancona con il divieto di confessare, predicare, scrivere: “ ...Bensì arrivato che sarà costà V.R. lo terrà coll’istesse condizioni colle quali lo mandò il P. Generale Corsini, cioè che né confessi, né predichi; al che aggiungo che non si accosti ai Monasteri e non scriva biglietti o da sé addirittura o di risposta a qualsivoglia genere di persone....”7. Anni terribili, anni di dura prova, resi tollerabili solo dalla confidenza con qualche caro e sincero amico e confratello con cui si sfoga, come fratel Pietro Caliandro, destinatario di molte lettere: “...Bisogna patire, Figlio mio, in questo mondo; e non ci dobbiamo allontanare noi altri religiosi da tutte le sorte di patimenti. Non ci curiam Figlio dell’onore del mondo, della stima mondana, delle vanità passeggere. Solo Dio e niente più.”8 Nell’agosto1762 il Padre giunse ad Ancona. Intanto continuamente venivano fatte richieste al Padre Generale per avere P. Pompilio come predicatore e il Padre Generale, se da una parte cercava di evitare di acconsentire, a causa Lanciano: Panorama Lugo di Romagna: Piazza Trisi, 1910 del divieto ufficiale imposto al nostro Santo, dall’altra non poteva fare a meno di accogliere qualche richiesta, soprattutto quando veniva da alte eminenze. Non si sa bene a chi venne l’idea di mandare P. Pompilio a predicare la Quaresima a Manfredonia. Forse al P. Provinciale della Puglia De Nobili che sperava, così, che questa fosse l’occasione buona per un definitivo rientro del P. Pompilio nel Regno di Napoli? Resta qualcosa di oscuro nella vicenda. Certo, come sappiamo, Manfredonia è nel Regno di Napoli, che al Padre era precluso. Comunque sia, il Padre Generale, alla fine, acconsentì, ma Pompilio era appena partito tutto contento per Manfredonia che subito i suoi detrattori ottennero il divieto per Lui di tenere quel quaresimale e l’ordine di farlo ritornare indietro, in quanto si dubitò “che tornando in Regno avesse poi potuto per mezzo dei suoi parteggiani farsi venire anche in Napoli e rinnovarsi quei disordini presso la gente credula alla fantastica di lui condotta”.9 Ma P. Pompilio era già arrivato a Manfredonia quando apprese del contrordine e di essere stato sostituito nella predicazione da P. Cavallo. La sua salute crollò: febbri alte, attacchi di nervi e ogni sorta di infermità. Solo a dicembre fu in grado di prendere la via 7 Ibidem, p. 132 8 Ibidem, p. 378 9 Ibidem, p. 173 13 del ritorno, che oltretutto fu funestata da tanta neve e dalla morte del vetturino: “...sono vivo per miracolo, non so come io sia uscito vivo in mezzo ai morti, mortomisi il vetturino colle bestie, e morti gli altri, io uscito vivo senza sapere come…”10. Ad Ancona gli si impediva di predicare, confessare, dirigere anime. Stavolta la prostrazione fu totale. Scrive un confratello: “...dalla sera dell’Assunta sta ammalato con le sue convulsioni, ma tali che gli hanno impedito la favella, ed impedito in tal guisa che da quella sera non può prendere nè bevanda, nè cibo di sorta alcuna.. La mattina cala in Chiesa a comunicarsi e qui riceve la particola, l’inghiottisce bene e allora è contento. Dove finirà non lo so, non lo prevedono i Professori che sono tre a visitarlo più volte al giorno...”.11 Ma finalmente due angeli, P. Giuria e P. De Nobili, facevano di tutto per ottenere il rientro del Padre in Puglia. Indussero la Curia Generalizia ad intervenire presso il Santo Uffizio, spinsero lo stesso Cardinal Sersale ad interessarsi finché ottennero che la Real Camera si pronunciasse a favore del rientro del nostro Santo in terra di Puglia, nel povero Collegio degli scolopi di Campi Salentina. (continua nel prossimo numero) 10 Ibidem, p. 424 11 Ibidem, p. 180 Benedico sempre Dio, che mi ha voluto in Campi; e io venero le divine condotte...... (dalla lettera a fratel Pietro de’ SS Innocenti) Il Santo era a Lecce per predicare gli esercizi spirituali alle monache di S. Chiara 9 maggio 1766 14 Riflettendo su Papa Francesco P. Giovanni Grimaldi (IIª ed ultima parte) Q uelle due parole: “Ricordati dei poveri !”, saranno per Papa Francesco come il seme della parabola, che accolto “con cuore buono e perfetto” (Luca 8, 15), produce anche il cento per cento. Vivere povero ora, vestito di bianco, qui a Roma in un piccolissimo Stato, che però è sotto lo sguardo spesso critico del mondo intero, con lo stesso stile di vita fino allora praticato, sarà una vera sfida a se stesso e alla Chiesa. Vivere povero in Vaticano sembra una assurdità! Assurdità per chi vive nel benessere e nel lusso, ma per il vero povero è una semplice realtà, perché la povertà se la porta addosso sempre e dappertutto, proprio come la pelle che ricopre il suo corpo. Come si fa a distinguere un vero povero? Non è necessario ficcare il naso nel suo portafoglio, è sufficiente osservare come veste. E allora torniamo alla sera del 13 marzo 2013, quando tutto il mondo ha conosciuto solo il nome del nuovo eletto e vuole vedere e applaudire anche il papa che si chiama Francesco. E’ stato rivestito di una tonaca bianca adattandola al suo corpo; ora bisogna che indossi anche i segni del papato, che la tradizione ha inventato e conservato con sacra scrupolosità e devozione: una cotta, che è più merletto che stoffa, la mozzetta (piccola mantellina che ricopre le spalle) bordata di ermellino e una preziosa e ricca stola con le immagini dei Santi Pietro e Paolo, ricamata in oro. Allo zelante monsignore addetto a tale vestizione il Papa Francesco dichiara (speriamo con un paterno e compassionevole sorriso): “Carnevale è finito, monsignore. Se vuole queste cose, se le metta lei!”. Mio Dio! Che parola critica e scandalosa: Carnevale. Darei tutto l’oro del mondo (oh, come si fa presto e volentieri a donare tutto quello che non si ha!!!) per conoscere i pensieri, le paure, le preoccupazioni del povero monsignore diventato rosso a questo rifiuto…e particolarmente dei porporati che hanno sentito le medesime parole 15 del Papa ma con maggiore sbigottimento, i quali però non sono diventati rossi, perché lo erano già da quando furono creati cardinali. Speriamo che almeno abbiano elevato al cielo una preghiera a Cristo, perché tenga una mano, dalla mattina alla sera, sulla testa di questo nuovo contestatore vestito di bianco. Se qualche lettore domandasse che fine hanno fatto le “scarpe bianche” di obbligo per un papa, si risponde subito: “Per un tocco magico sono diventate nere e già calzate ai piedi!”. Le parole di Gesù, che fa l’elogio di Giovanni Battista: “Ma che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito di morbide vesti? Ecco, quelli, che vestono abiti magnifici e vivono mollemente stanno nei palazzi dei re!” (Luca 7, 25), le aveva lette e commentate nelle omelie; perciò questo severo giudizio del Divino Maestro come non era scivolato dalla coscienza del vescovo Bergoglio, tanto meno poteva essere dimenticato ora che era papa. Le tradi- 16 zioni belle e vissute da tempo possono anche essere messe da parte, ma le parole di Gesù sono vita e orientate verso la vita eterna. Il rifiuto dei ricchi ornamenti papali è servito anche a far capire in Vaticano che il papa non è un re, bensì un umile rappresentante del RE, del regno di Dio. Perciò non vuole essere circondato da una corte papale, perché il papa ha bisogno di collaboratori e non di cortigiani. In verità già il Papa Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II aveva dato alla vasta nobiltà romana un rispettoso e indolore “benservito” ai nobili, che oltre tutto non erano tutti stinchi di Santi! Il vero povero è povero anche di parole, ma ricco di semplicità e di saggezza, perché tutti possano capire. Il povero ama la condivisione non solo nel pane, che sta mangiando, ma particolarmente con quanto pensa e comunica all’altro. * * * La condivisione è la nobiltà dei poveri, bene espressa in questo proverbio: “Il campanile della chiesa fu fatto con le promesse dei ricchi e le offerte della povera gente”. Anche sotto questo aspetto brilla lo spirito di condivisione della comunicazione di Papa Francesco, che offre con le parole ciò che è utile e necessario a coloro che non hanno la fortuna del suo sapere. Ne ha offerto un saggio con il primo discorso, quando si è presentato alla folla di Piazza S. Pietro e al mondo intero tramite radio e televisione. Superato e forse archiviato per sempre il formulario di circostanza, ha usato il saluto della gente comune con un familiare: “Buona sera!”. Alle sue spalle sussurri di stupore e di tremore tra le tonache multicolori di monsignori, vescovi e cardinali, mentre dalla folla saliva gioiosa sorpresa e apprezzamento. Di sicuro anche nelle famiglie, che seguivano tutto dal televisore, non sarà stata minore la simpatia verso chi dalla basilica di S. Pietro si presentava come un padre, che torna dal lavoro. Discorso cordiale, semplice e a volte anche umoristico e stimolo al sorriso. Tutti ricordiamo: “I cardinali sono andati a pescare il papa alla fine del mondo!”. Ma non passeranno molti giorni e Papa Francesco sarà sulla bocca di tutto il mondo. Terminato il rapporto con il mondo esterno, tutti avranno pensato: “Finalmente ora si ritirerà nel suo appartamento papale!”. E anche in questa naturale aspettativa ci fu meraviglia e delusione: Papa Francesco rimane nella zona di S. Marta, dove aveva alloggiato da cardinale durante il conclave, in un appartamentino di pochi metri quadrati. Se uno si professa povero, deve saper vivere anche da povero! L’appartamento papale non è certo famoso per la sua povertà, bensì per il suo lusso ed espansione regale. Una scelta diversa gli avrebbe subito fatto arrivare all’orecchio quel detto critico della povera gente: “I preti predicano bene e razzolano male!”. Il discorso più convincente non è quello che esce dalla bocca, ma dalla vita, dal mangiare con gli altri, dal farsi servire il meno possibile dagli altri e servendo il più possibile gli altri. Non c’è discepolo maggiore del Maestro, 17 diceva e faceva Gesù! E’ bene concludere questa riflessione sul nuovo eletto Papa Francesco, come lui stesso ha concluso il suo primo incontro con la folla di Piazza San Pietro e con il mondo, cioè con la preghiera… anche questa fuori di una multisecolare tradizione. Però anche questa ultima novità scaturisce naturale da chi si sente povero, da chi porta il nome del Povero di Assisi. Del resto tutti sappiamo e vediamo che i poveri, avendo bisogno di tutto e di tutti, sono portati a pregare per la loro stessa natura di essere poveri. Come, al contrario, vediamo pochi ricchi pregare perché non hanno bisogno di niente e di nessuno…e tanto meno di Dio che non vedono. Il povero prega Dio, non perché aspetta che lui faccia scendere dal cielo il canestro con quanto è stato implorato, ma perché la preghiera dona una forza particolare all’orante, per cui mette in evidenza tutte le potenzialità, che sono sepolte in lui stesso. Ho conosciuto in Costa D’Avorio un proverbio che afferma: Dio si appoggia su di te per aiutare te. Credo che nessuno abbia più 18 bisogno dell’appoggio di Dio rispetto a un papa nuovo eletto, ed ecco il bisogno della preghiera espresso da Papa Francesco. Di certo avrà stampate nella mente e nel cuore le parole del suo Maestro: “Senza di me non potete far nulla!”. Ma questa richiesta di preghiera, quel silenzio, in cui si è immersa la folla, dovevano far capire che la Chiesa di oggi è figlia di quella Chiesa di Gerusalemme, che prega per il suo pastore Pietro, incarcerato da Erode, e che sarà libero anche in virtù di quella assidua preghiera: “… mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui”. (Atti 12, 5). Una piazza in silenzio perfetto? Sì, è possibile e bello…, quando si parla con Dio! San Pompilio modello di vita consacrata P. Serafino Perlangeli P apa Francesco ha aperto, il 30 novembre 2014, l’Anno della vita consacrata con il monito: “quali profeti, «svegliate il mondo», testimoniando come Cristo ha vissuto su questa terra”. È un compito questo di tutti i cristiani, ma in una maniera speciale, dei religiosi, perché, mai un religioso deve rinunciare alla profezia (Lettera Apostolica, II, 2). Il P. Generale, facendo proprio il messaggio del Papa, invita gli Scolopi, quali discepoli e testimoni di Cristo, a vivere la propria vocazione in maniera più integrale, integratrice e coesa, tridimensionale. Gli Scolopi, usiamo dire, sono “tre in uno” (religiosi, sacerdoti ed educatori). Ma in realtà non è sempre così. E il problema non è “quanto tempo dedichiamo a ciascuna delle dimensioni della nostra vita” né “come ogni persona le incarna in funzione, anche, del suo personale modo di intendere le cose”. Il problema è che non abbiamo approfondito a sufficienza cosa significa essere “tre in uno”, e separiamo ancora gli ambiti pensando, ad esempio, che si è sacerdote quando si amministrano i sacramenti o maestro quando si fa lezione, o dicendo “mi è difficile avere tempo per la preghiera personale, perché il lavoro fa sì che la giornata finisca senza lasciare il tempo per nient’altro”. L’Ordine ha bisogno di una nuova riflessione sulla sfida del “tre in uno”. E anche ognuno di noi. Quale la nostra risposta? (Salutatio di Novembre 2014, 1). Una consona risposta pratica potrebbe essere imitare il fulgido esempio di S. Pompilio, il quale si fece tutto a tutti, ben coniugando il “tre in uno”, senza mai nulla cercare, nulla ricusare. L’attività apostolica del Pirrotti non conobbe limiti, né scelte, o preferenze di campo, in modo assoluto, ma fu costantemente aperto e impegnato laddove l’ubbidienza, la necessità, il bene e l’utilità altrui lo richiedevano: nella scuola, nel ministero sacerdotale, nella visita e sollievo dei malati, nell’aiuto in genere a quanti ne avevano bisogno, in una attenta e mirabile conciliazione, attendendo al bene e alla concordia della sua comunità, senza mai perdere la comunione con Dio e con i fratelli. In genere faceva scuola ed esercitava il ministero sacerdotale con grande soddisfazione del popolo. Per lui la scuola era qualcosa di celestiale, come un paradiso. Diceva infatti: “... se il paradiso è nella vita presente, o è nel chiostro, o nella scuola. In questa considerazione 19 si metteva in ginocchio nell’insegnare, come davanti al Maestro interiore che istruisce i suoi piccoli. Istruiva i giovanetti con somma bontà e pazienza, insinuando il santo timore di Dio. Gli scolari sul suo esempio stavano composti e in atteggiamento modesto e pio, attenti alla parola facile e persuasiva del loro maestro. Quando non era impegnato nella scuola, non perdeva mai il contatto con essa. Dell’attività scolastica del Pirrrotti ne dà testimonianza il Rettore di Ancona, P. Davini: “P. Pompilio andrebbe a fare supplenze, ma è ricercato di qua e di là per opere più di nostro vantaggio e stento applicarlo. Ciò nonostante al presente unitamente col padre Maestro dei Novizi, suppliscono la scuola del padre Remoli”. Il voto professato dal Pirrotti di ammaestrare nella pietà e nelle lettere la gioventù fu esattamente adempiuto, come attestava con giuramento, un venerando padre, l’ottantenne Ignazio Guerrieri: “io l’ho veduto quasi giornalmente visitare le scuole. Ci istruiva egli stesso, supplendo qualche maestro, legittimamente impedito, cercando sempre la gloria di Dio. E nel tempo che il Santo dimorava in Campi, pur non avendo il dovere della scuola, dichiarava un vecchio allievo, mi ricordo che chiamava i 20 ragazzi, nel qual numero ero ancor io, e non solamente si compiaceva di istruirci nella dottrina cristiana, ma pur anco su leggere e scrivere ed altre cose proporzionatamente alla nostra età. Io l’ho veduto coi propri occhi scendere più volte nelle scuole e mostrare a tutti l’impegno sul profitto della gioventù, colle varie interrogazioni che ci faceva; ma più di tutto ci teneva che custodissimo il santo timor di Dio”. E la pietà, il santo timore di Dio inculcava nei fedeli con il suo infaticabile apostolato sacerdotale e missionario, risvegliando lo spirito della gente da una religiosità passiva, addormentata, infruttuosa. Svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora (Sal 57/56,9). A Ortona a Mare, oltre la scuola nel seminario, al dire del Di Annibale, non lasciava di predicare, confessare, raccomandare anime, ed era presto e sollecito alle necessità e bisogni spirituali e tem- porali di tutta la città, che già lo stimava e venerava per gran servo di Dio e letterato, e nello stesso concetto era tenuto dal Vescovo Amalfetani della predetta città. E per la gloria di Dio e la salute delle anime non guardava a fatiche, a stenti, a sudori, a pene le più fiere, perdendo, sul fiore degli anni, la salute, soffrendo in silenzio e tollerando. Egli predicava per ben quattro e più volte al giorno, e la sera terminava con una processione penitenziale, disciplinandosi, e molti lo imitavano. Scriveva al Frate Pietro, scusandosi per non aver potuto rispondergli prima: “... essendomi trovato solo, solo, a dare al pubblico di Ancona i santi esercizi, che ho dovuto fare da missione, e ora sto applicatissimo di notte e di giorno per le confessioni e concorso di popolo … e adoriamo la bontà di Dio, che ha saputo ben portare le cose con profitto delle povere anime e con decoro del nostro abito; mentre tutta Ancona si è rivoltata, precise i Cavalieri. Così vuole lo Sposo nostro Gesù, perché io, Figlio, non ci ho che fare in tali cose. Io sono un ignorante, un rozzo, un melenso, e quanto fo su del palco, non io ma l’è Dio per mia somma confusione” (lett. 6/1/1763). Fu assiduo nell’assolvere il ministero della confessione dalla mattina alla sera, con pazienza, carità e dolcezza. Da vero religioso, il fine di tutta l’attività del Pirrotti era la salvezza delle anime, il decoro e l’onore dell’Abito, oltre l’onore e la maggior gloria di Dio, del quale cercava il solo suo gusto; era determinato a essere sempre a suo genio e in comunione con lui, con lo sguardo alla vita eterna, al Paradiso, che non perdeva mai di vista: Paradiso! Paradiso! Era sempre attento alle determinazioni di Dio e dei Superiori. Tali sentimenti egli cercava di infondere nella sua Comunità, mettendosi perfino in ginocchio, per richiamare tutti alla concordia e all’amore vicendevole. Il suo punto di forza era la preghiera assidua, di notte e di giorno, nonostante i molti impegni di apostolato: la sua massima espressione era la Liturgia, celebrata con serafico ardore e intensa pietà. Per usare un’immagine, richiamata dal P. Generale (cf Salutatio di gennaio 2015), il P. Pompilio era come un vaso nelle mani del vasaio per essere plasmato. Il vasaio è Dio. Il Pirrotti fu plasmato a genio di Dio. Solo Dio e niente più. Ed esortava: “lasciatevi condurre da Dio, abbandonatevi nelle sue mani”. Egli fu un vaso pieno di sode virtù che non lasciava spazio alle piccole cose insignificanti e caduche. Era totalmente pieno di Dio. “Cercate le virtù sode”, raccomandava spesso. 21 “…Viva fede, ancorché vi vediate combattuta, agitata, oscurata non temiate. S. Maria Maddalena allorché vide tutto ottenebrato, e il monte Calvario e tutta la Terra, e non vedeva né Gesù né Crocifisso, e pur sempre siede fissa e costante e fra se dicea: dentro di quelle tenebre sta il mio diletto; in quello oscuro ritrovasi il mio Amante; non m’importa il vederlo; mi piace l’adorarlo, ancorché io non lo vegga. O’ diletto nell’oscuro, o’ amante nelle tenebre. Il bel cammino di fede è quello che vi deve piacere, cioè ancorché abbiate tutte le bestiazze attorno, ancorché vi vediate con tutte le tentazioni, non avete da dubitare, e vi avete da abbandonare nelle divine mani. Viva il bello oscuro, e così vuole il Signore, che voi siate. Né la vostra mente si aprirà molto; ma con tutto che non si aprirà molto, pure avrete da camminare alla bella unione con Dio, come fu la Maddalena, che fra tutto l’oscuro non perdè mai l’Amore. Anzi in mezzo l’oscuro vie più in esso si vide ardere la fiamma, e abbrugiò senza vedere. Viva Gesù! Onde questa prima cosa dell’oscuro vi piaccia ben capire; e quanto più potete, abbandonatevi nelle divine mani, acciocché di voi il sommo Dio disponga a essere a genio suo, e non vi spostate dalla volontà dello Sposo. Nell’esterno, poi, per ora portatevi allegri, superate tutte le vostre imperfezioni e cercate dare gusto al nostro Amante colla pratica delle virtudi: Carità, Umiltà, Pazienza e scansate sempre la malinconia, e ancorché vi vediate all’oscuro nel vostro interno, non vi atterrite, ma cercate essere fedele allo Sposo. Seguitelo colla fede; mentre la fede vi guiderà; e quantunque voi non discerniate, non importa. Lux in tenebris lucet; nelle tenebre maggiormente risplende la luce… POMPILIO MARIA POVERELLO Cosi` vogliamo ricordare la venuta a Campi di San Pompilio Maria Pirrotti 250 anni fa 17 Marzo 2015 Concerto tenuto dal gruppo: “Ensemble Concentus”; Reading: Vincenzo IACOVIELLO 18 Marzo 2015 Solenne Concelebrazione presieduta dal Rev.mo Padre Ugo BARANI, Superiore Provinciale dei Padri Scolopi 14 Maggio 2015 Conferenza: “Campi nel tempo in cui P. Pompilio vi arrivò”. Sarà tenuta dal Prof. Alfredo CALABRESE 05 Giugno 2015 Conferenza: “La devozione mariana di S. Pompilio nella spiritualità del 1700”. Relatore Prof. Don Franco ASTI 14 Luglio 2015 MATTINA: Solenne Concelebrazione della Benedizione del pane. Presieduta da Sua Ecc.za Mons. Claudio MANIAGO, Vescovo della Diocesi di Castellaneta (Ta). SERA: Processione per le vie della città NOTTE: “Notte bianca del libro” 15 Luglio 2015 Solenne Concelebrazione presieduta da Sua Ecc.za Mons. Domenico D’AMBROSIO, Arcivescovo della Diocesi di Lecce LA PREGHIERA E LA PENITENZA APRONO LE PORTE ALLA SANTITÀ Aurora Guerrieri Romano L a preghiera è un’esigenza dell’anima che trova la vera quiete allorquando la mente e il cuore dell’uomo s’immergono nel mistero stesso della Fede. Tutto il cammino terreno è, infatti, segnato dalle immancabili prove che, se sostenute dalla preghiera fiduciosa, si traducono in penitenza offerta a Dio Padre per il bene personale e dei fratelli in Cristo Gesù. San Pompilio Maria Pirrotti, con la preghiera fiduciosa e costante e la penitenza offerta per il bene delle anime, ha insegnato come divenire anime oranti e, quindi, testimoni credibili della Parola. Egli metteva continuamente in pratica ciò che disse Gesù nell’Orto degli ulivi: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma 24 la carne è debole» (Mc 14,38). L’esortazione dell’Evangelista sottolinea l’importanza della preghiera, in quanto, la penitenza, supportata dalla preghiera ardente, dà origine ad una graduale trasformazione della vita interiore e successivamente anche di quella umana. Infatti, la preghiera diviene l’ancora che sostiene e salva tutti coloro che, come i bambini, si abbandonano fiduciosi alla Volontà Divina: «Se non sarete come questi bambini non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18:3). San Pompilio era distaccato dalle cose del mondo, atteggiamento che rendeva tangibile e luminosa la sua vocazione e credibile l’invito fraterno a pregare e a fare penitenza, perciò non si concedeva mai pause e, sin dalle prime ore del mattino, mediante l’accoglienza del prossimo e vivendo la Parola, insegnava ai vicini e ai lontani la grandezza e la bellezza dell’amore di Dio Padre. Infatti, dopo la Celebrazione Eucaristica, animato e sostenuto dallo Spirito Santo, era nel confessionale a pregare e a fare penitenza che offriva al Signore per il bene dei fratelli, sempre pronto ad accogliere tutti coloro che sentivano l’urgenza di riconciliarsi con Dio. Tutto in lui era la manifestazione tangibile della Carità vissuta ed offerta al Signore. Il confessionale era il punto d’incontro con le creature che San Pompilio accoglieva con grande premura paterna, invitandole a rimanere ancorate a Gesù e a pregare la Madonna mediante la recita del Santo rosario. La preghiera mariana, infatti, scandiva la sua vita umana e sacerdotale tanto che, come un bravo artigiano al servizio del Signore, faceva le corone del rosario che poneva tra le mani dei fedeli, un gesto semplice e, nello stesso tempo, molto significativo in quanto confermava il suo grande amore per la Madre di Dio e Madre dell’umanità. Campi Salentina, dal 12 luglio 1765 al 15 luglio 1766, è stata segnata per sempre dalla presenza di San Pompilio, una breve, ma straordinaria e fruttuosa parentesi che conferma il suo totale distacco da tutto ciò che poteva distrarlo dal suo stare umilmente al cospetto di Dio. La vita di S. Pompilio riporta alla mente quella di S. Pio da Pietralcina, in quanto l’amore verso Dio e verso il prossimo li portava a pregare e a soffrire per la salvezza delle anime che il Signore, nella sua infinita potenza, affidava loro. La devozione a San Pompilio Maria Pirrotti non è il frutto di un atteggiamento esteriore, ma di una tradizione che porta gli uomini ad avvicinarsi con Fede al Signore, Unico Datore di ogni Bene. 25 I MIRACOLI DELLA BEATIFICAZIONE E DELLA CANONIZZAZIONE Rita Cantoro L a fama della santità di San Pompilio era diffusa già durante la sua vita, e tanti accorrevano a lui, che prontamente si offriva di riportare le anime a Dio con la Confessione, di seguirle come delicata e vigile guida spirituale, di operare prodigi. Alla sua morte, il 15 luglio 1766, tutti concordarono nell’affermare che era morto un Santo. Fatti portentosi si registrarono anche al suo funerale, e siccome si verificò una vera e propria corsa all’accaparramento di una reliquia (chi strappò dei capelli, chi l’abito, chi portò a casa una scheggia del confessionale) i Padri decisero di seppellirlo in segreto nella notte del 17 luglio, alla presenza di pochi testimoni. La cassa venne deposta nella parete della Cappella di 26 Sant’Antonio. La voce del popolo: “E’ morto il Santo!” trovò conferma in un primo tempo nella beatificazione avvenuta il 26 gennaio 1890, per mano di Leone XIII, dopo la discussione dei due miracoli scelti tra i tanti a lui attribuiti. Come scrivono Giuseppe Tasca e Francesco Grillo in Vita di S. Pompilio Maria Pirrotti delle Scuole Pie (1934), il primo miracolo fu quello di una bambina di Campi, Rosina Serio, istantaneamente guarita da tumore bianco nell’articolazione tibio-femorale sinistra. Il tumore era in uno stato avanzato, assolutamente inguaribile, con ingrossamento del capo della tibia, con alterazione di tutti i tessuti circostanti e grave anchilosi del ginocchio. La piccina non poteva reggersi e non aveva potuto imparare a camminare, perché non riusciva ad appoggiare il piedino a terra. Furono tentate tutte le cure esterne ed interne, ma senza alcun effetto, talché il medico dichiarò l’assoluta inutilità di altri tentativi. La madre, addoloratissima ricorse con fede all’intercessione del P. Pompilio. Si recò alla chiesa delle Scuole Pie ad ascoltare la S. Messa nella Cappella ove era deposto il corpo del Servo di Dio. Condusse con sé la domestica, la quale portava in braccio la piccola malata. Mentre la madre fervorosamente pregava, Rosina alzatasi d’improvviso da dove l’avevano messa a sedere, si pose in ginocchio accanto al sepolcro del P. Pompilio. La madre spaventata, la risollevò, ma la piccina tornò ad inginocchiarsi. Terminata la S. Messa e tornate a casa, ecco Rosina reggersi in piedi, non solo, ma camminare, dapprima sostenendosi alle sedie e poi liberamente, mentre con una manina additava un ritratto del P. Pompilio che trovavasi affisso ad una parete. I medici, rivisitata la piccina, constatarono e dichiararono che Rosina Serio era istantaneamente guarita in modo miracoloso e che nessuna traccia più restava del male. Il secondo miracolo riguardò la guarigione istantanea di una frattura ossea del contadino Giovanni Ingrosso, ottantenne che, cadendo dal letto a causa di una vertigine, riportò una frattura obliqua della clavicola destra, accompagnata da scomposizione. Data l’età, il caso era molto grave. Il medico lo fasciò e gli ordinò assoluta immobilità per lungo tempo, facendo intendere anche che giudicava quasi impossibile una completa guarigione. Spaventato all’idea di non poter più lavorare nei campi per mandare avanti sé stesso e sua moglie, si rivolse con grande fede al Beato Pompilio. Si alzò dal letto e andò a pregare sulla tomba di Padre Pompilio. Tornato a casa, si coricò, pieno di speranza. Durante la notte si svegliò senza dolore e si tolse la fasciatura. Chiamata la moglie: «Angela, esclamò, io sono libero! Vedete, porto liberamente la mano alla fronte, 27 Fanciulla spagnola guarita dall’otite purulenta facendo il segno della santa Croce! ». E si trovò talmente sano che il giorno appresso andò di nuovo all’usato lavoro nei campi. I medici che poi lo visitarono «sorpresi da meraviglia, confessarono che un vero miracolo doveva chiamarsi quell’avvenimento, stante che la clavicola si osservò perfettamente sana e senza più vestigia della passata frattura». (Ibidem, pp. 310-311) In un secondo momento, ancora due miracoli portarono il nostro Beato Pompilio alla canonizzazione, avvenuta il 19 marzo 1934 sotto il pontificato di Pio XI. Uno accadde in un villaggio della provincia di Huesca in Spagna, a Tamarite, dove una fanciulla di 7 anni, Matilde Ireugas Carcame y Abuin, si ammalò di otite purulenta e 28 soffrì lunghe febbri infettive che la stremarono e le causarono un vistoso dimagramento. Il 13 dicembre 1892, dopo quaranta giorni dall’inizio della malattia, fu colta improvvisamente da broncopolmonite catarrale con pleurite. Si aggravò tanto che dopo tre giorni si era persa ogni speranza di salvarla. Il padre della bambina, pieno di fede, applicò per tre volte sul corpicino sofferente una reliquia del Beato Pompilio e la bimba si alzò dal letto, rassicurando tutti che stava bene. I rigorosi esami dei medici periti, vagliati in ogni parte, concordarono nell’attribuire a miracolo una guarigione così repentina e perfetta. L’altro miracolo avvenne a Napoli, dove viveva Domenica Maria Melisci, nubile. All’età di 16 anni le fu diagnosticato un leggero tumore alla mammella destra, ma siccome non le procurava alcun fastidio, non se ne preoccupò. Passato molto tempo, il 14 settembre 1891, quando aveva circa 43 anni, sentì un fortissimo dolore alla stessa mammella e la vide tumefarsi. Il medico, chiamato prontamente, trovò all’interno della mammella una massa dura, avente tutti i caratteri di un cancro. Dopo aver prescritto alcuni rimedi che non riuscirono efficaci, il medico consigliò un intervento per rimuovere il tumore. L’ammalata, intimorita dalla mutilazione prevista, implorò con fiducia l’aiuto del Beato Pompilio. Dopo tre o quattro giorni il tumore era scomparso e il dolore cessato. E ciò fu confermato dopo alcuni giorni dal medico curante che procedette ad un esame e non trovò nessun vestigio del precedente tumore; egli riconosce il miracolo, e in ciò convengono con lui due altri medici chiamati dalla Curia Napoletana (Ibidem, p. 315). Come il Papa Pio XI ebbe a dire il 12 novembre 1933, nella solenne lettura del Decreto di approvazione dei miracoli, la vita dei Santi ci offre utili insegnamenti e desiderio di imitazione; dove ‘imitazione’ non è ‘copiare’ la vita di un altro, ma significa entrare nella sua luce, vedere e sentire le cose nel suo stesso modo. Prendiamo esempio dal nostro Santo, così vicino a noi e così attuale, nonostante le sue ‘scomode’ affermazioni: Donna napoletana, guarita dal tumore al seno imitiamone l’accettazione delle avversità della nostra vita, anche delle calunnie, sopportate con quell’umiltà che tutto accetta dalle mani di Dio e tutto perdona agli uomini. L’arazzo della canonizzazione ritrae San Pompilio mentre spicca il volo per i cieli, circondato da schiere di angeli. Ma come riportano gli autori sopra citati, il suo sguardo è rivolto alla terra; il suo cuore palpita ancora per gli uomini, le sue mani sono ancora aperte per donare. Egli passa ancora beneficando! ATTUALITÀ TEOLOGICA E PASTORARE DI SAN POMPILIO MARIA PIRROTTI Nelle quattro lettere ad una famiglia di Lanciano Emilia Polidoro S an Pompilio visse a Lanciano dall’autunno del 1742 al 10 agosto del 1747, ma non in modo fisso. Si spostava nei paesi vicini, Penne, Castellammare, Tornareccio, per predicare la quaresima, gli esercizi spirituali al clero e alle suore o a Loreto per partecipare ad un pellegrinaggio. La sua vita in Abruzzo non fu affatto facile, perché san Pompilio, con la sua vita improntata ad una fede incrollabile, seppe anticipare i segni dei tempi, mentre i mediocri, ripiegandosi sulla loro autoreferenzialità, li ritardano. A Lanciano, non solo si dedicò all’insegnamento, alla questua e al suo ministero sacerdotale, ma stabilì anche dei rapporti di amicizia con diverse famiglie del 30 luogo, amicizia che dette luogo ad una fitta corrispondenza, quando il Santo si allontanò da Lanciano. Scrisse numerose lettere, indirizzate a Domenico Antonio Ferramosca e a Giovanna Napolitano sua moglie, a Giuseppe Ravizza e Domenico suo figlio, alla baronessa Gigliani, oriunda di Agnone, alle famiglie Capretti, Maranga e Germino. Quest’ultima famiglia diventerà padrona del Castello di Sette, situato presso la foce del Sangro, oggi trasformato in luogo di accoglienza. (Supplemento, Roma, 1984 pp. 78 e ss.) Tra le tante lettere, ne ho scelto quattro, pubblicate da padre Serafino Perlangeli nel Fascicolo: “Le 23 lettere di San Pompilio conservate a Montecalvo, edizione Montecalvo Miracolo eucaristico di Lanciano 2010.” Le lettere sono di un’attualità sconcertante, sia per quanto riguarda il pensiero teologico, sia per il loro significato pastorale. Le prime due, una del 14 ottobre 1747, l’altra senza data, ma presumibilmente scritta intorno allo stesso anno, sono dirette al signor Domenicantonio Ferramosca di Lanciano. Dalla prima lettera emerge con chiarezza che Ferramosca è un figlio spirituale del Santo. Infatti san Pompilio gli dice che se potesse sarebbe disposto a scrivergli tutte le settimane, poi continua con alcune indicazioni, che dovrà perseguire per camminare verso la santità. Gli consiglia il pensiero fisso all’eternità, la fedeltà a Cristo, l’abbandono alla volontà di Dio, attraverso lo sguardo al Crocifisso, la frequenza all’Eucaristia, nonostante molti pensatori del tempo insistessero sulla indegnità umana ad accostarsi a Gesù eucaristia e pertanto rifiutassero del tutto la comunione frequente. Nel centro della lettera, il Santo, dopo aver rac- comandato la preghiera e l’unione intima con Dio, fa il punto sulla educazione dei figli. La madre educhi i figli, anche se discoli, con la dolcezza, il padre intervenga con la sua autorevolezza perché progrediscano nella fede. Lo stesso padre si interessi degli affari di famiglia con lungimiranza e carità cristiana. La raccomandazione, ovviamente, vale anche per le relazioni con gli altri componenti della famiglia. I due concetti teologici esposti nella lettera, che ritroviamo nei documenti conciliari e pertanto attualissimi, sono: la vocazione alla santità per tutti i battezzati, considerati come popolo di Dio (Lumen Gentium, cap. II, 9-17, cap. V, n. 39-42), l’importanza della sacra Scrittura, nella quale, Gesù Cristo, Verbo fatto carne, porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (Dei Verbum, cap. I, n. 4, cap. III). Infine l’espressione che il Santo riserva ai teologi, con un linguaggio tipicamente settecentesco, (Lasciate 31 andare i teologi, chi vuol perdere la coscienza la metta in mano ai teologi) trova qualche corrispondenza con quella usata da papa Francesco (Evangelii Gaudium, 133: “Faccio appello ai teologi affinché compiano questo servizio come parte della missione salvifica della Chiesa. Ma è necessario che, per tale scopo, abbiano a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia e non si accontentino di una teologia da tavolino”). Nella seconda lettera, san Pompilio insiste sulla contemplazione, stadio avanzato dell’unione intima con Dio, e la frequenza ai sacramenti, dimostrando la sua ricca e profonda paternità pastorale. Le due lettere dirette a Giovanna Napoletani, la n. 125 e la n. 126, sottolineano tre aspetti della spiritualità che San Pompilio offre ai suoi figli spirituali, indipendentemente dalla 32 loro appartenenza sociale o di genere: Maria Vergine, cooperatrice di salvezza con il Figlio, i due grandi attributi di Dio: l’amore e la misericordia. La Lumen Gentium dedica tutto il capitolo VIII, dal n. 52 al 68, alla beata Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa. Insiste sulla particolare unione di Maria con il Figlio nell’opera della Redenzione, sulla sua funzione di madre e modello per la Chiesa, pur nella diversità di culto a lei dovuto. Infatti a Dio, e pertanto a Gesù suo figlio, è dovuto il culto di adorazione, a Maria la venerazione. Nella prima lettera di san Pompilio si nota con chiarezza la visione cristocentrica della storia della salvezza, in un secolo in cui le tentazioni illuministiche, che rifiutavano ogni mediazione tra l’uomo e Dio, erano molto forti. Veniamo infine all’amore e alla misericordia di Dio. Il Settecento, razio- nalista e giurisdizionalista, aveva relegato Dio fuori dalla ragione e dall’esperienza, perciò aveva riposto la sua felicità solo nel progresso infinito. Parlare di Dio, amore e misericordia, doveva sembrare una follia. Basti pensare ai tanti manuali teologici, dimostrativi dell’esistenza di Dio, per capire quanto san Pompilio anticipasse i secoli. Il Concilio Vaticano II è tutto permeato dalla misericordia di Dio, che ispira la sua Chiesa ad usare misericordia. In fondo la preghiera ufficiale della Chiesa, che prega con le Scritture e soprattutto con i Salmi è tutto un inno alla misericordia. I due grandi concetti dell’amore e della misericordia di Dio ci sono stati regalati soprattutto nella vita vissuta da Santa Faustina Kowalska, attraverso le sue rivelazioni private, e dal suo confessore, il beato Michele Sopoc’ho, che ha riletto la Scrittura alla luce della Divina misericordia. Il Beato subì le due guerre mondiali, riuscendo a mantenersi in equilibrio tra nazismo e comunismo, in un con- testo culturale materialista e totalitario. Senza capire la lacerazione culturale e sociale del suo tempo, riesce quasi impossibile comprendere come sia diventato l’apostolo della misericordia. Papa Giovanni Paolo II, poi, con l’enciclica “Dives in misericordia”, ha consigliato a tutti i cristiani la possibilità di sperimentare l’amore e la misericordia di Dio nella quotidianità. Successivamente, con l’istituzione della festa della misericordia nella seconda domenica di Pasqua, ha reso possibile ad ogni cristiano attingere al tesoro di grazie del Cuore di Gesù misericordioso. E’ abbastanza chiaro che per i santi non conta il secolo in cui vivono, ma l’intensità della fede, capace di contemplare il mistero di Dio, oltre i modelli culturali del proprio tempo. I santi non solo hanno il dono di interpretare i segni dei tempi, ma spesso riescono a precorrerli, per questo la storia della salvezza ha caratteristiche uniche e originalissime, perché portano l’impronta dello Spirito Santo che soffia costantemente sulla Chiesa. 33 La musica nel Settecento in Italia Giuseppe Politi I lluminismo! È la caratteristica del ‘700 con massimo sviluppo dal 1750 al 1780; le idee illuministe diventano il fondamento delle ideologie culturali a livello europeo e impongono un nuovo modello di uomo, l’ideale antropologico, cioé quello del filosofo, il quale ha uno spirito di osservazione e di precisione che misura tutto sui veri principi. La cultura europea è dettata dalle idee fondamentali della “Filosofia dei lumi” che porta con sé innovazioni profonde in ogni campo, dalla Filosofia alle Arti, alle Scienze; regnano il buon gusto, il bello, l’estetica del sublime. Il XVIII secolo è dunque, straordinariamente ricco di cultura, di progresso accompagnato da un Cosmopolitismo Culturale che adotta il Francese come lingua internazionale, come oggi potremmo dire dell’Inglese. Anche la Musica, quindi, in tutti i suoi indirizzi, vocale, strumentale, religioso, concertistico... nel ‘700 raggiunge esperienze diverse, innovative e felicissime; basti ricordare Luigi Cherubini, Benedetto Marcello, Giuseppe Tartini e, su tutti, il primato di 34 Antonio Vivaldi che nella sua fecondissima opera del ciclo “Le quattro Stagioni” accomuna una drammaticità e una vivacità straordinarie e sorprendenti. Al “Prete Rosso”, così era detto Vivaldi per via della sua capigliatura rossastra, si deve la concezione di concerto di vero stile italiano. Anche la Sinfonia subisce nuovi dinamismi di timbro e di elaborazione tematica e una nuova organizzazione strumentale; la Sonata, che nel ‘600, aveva avuto grande risonanza, nel ‘700 trova in Arcangelo Corelli grandi e stabili modifiche che troviamo nelle sue 12 Sonate anche con l’introduzione del quartetto, esempio seguito poi da Tartini. Egli è, inoltre, autore di spicco nella musica strumentale; con lui l’evoluzione del violino ha amplissimi sviluppi. Compositore, direttore d’orchestra, esecutore egli stesso, ha lasciato fondamentali opere tra cui le Sonate da chiesa e da camera. Egli incide nel violino un linguaggio strumentale suggerito da una vera e propria etica della musica. Per quanto riguarda la musica sacra, sinfonica, da Gaspare Traversi: il Concerto (1755) camera, il ‘700 è senza dubbio il secolo più florido, come l’800 lo sarà, poi, per l’arte melodrammatica, cioé per l’Opera lirica. Di assoluta rilevanza nel ‘700 italiano sono Domenico Scarlatti e Luigi Boccherini. Scarlatti, con le sue Sonate ci regala il ritratto più vivo e vero del suo tempo conferendo un suono e un timbro assolutamente luminosi e caldi, rappresentando impareggiabilmente la sensibilità e l’anima del suo tempo. Boccherini esprime, invece, uno stile eccezionale, aristocratico, dall’espressione vigorosa specialmente nei suoi quartetti e quintetti dove assurgono a più grande dignità e perfezione il vio- lino con la sua purezza sonora, e il violoncello. Imponente nel ‘700 è anche la produzione clavicembalista da camera, clavicembalo che si avvia ad una definitiva evoluzione in fortepiano, poi pianoforte alla fine del secolo. Tuttavia è necessario sottolineare come nel sec. XVIII tutta la produzione strumentale italiana va sviluppandosi per grandi individualismi. Tra l’altro, proprio in quel secolo vengono stabilite e dettate le leggi sull’armonia moderna. Quindi l’epoca in cui vive San Pompilio (1710-1766) è quella delle grandi sonate, dei quartetti e dei quintetti da camera, dei concerti e delle 35 sinfonie, ma anche di una vasta produzione di meravigliosa musica sacra. Questo in Italia, ma anche nel resto d’Europa dove spiccano Franz Joseph Haydn, George Friedrich Handel, il sommo Johann Sebastian Bach, il divino Wolfgang Amadeus Mozart e il gigante della Musica Ludwing Van Beethoven. Abbiamo citato solo alcuni dei massimi esponenti della Musica in Italia e fuori dai suoi confini ma lunghissimo sarebbe l’elenco di altri protagonisti musicali del ‘700 e delle loro opere, a tal punto che le pagine concesse dal Bollettino di San Pompilio risulterebbero assai esigue e d’altra parte non è questo un trattato ma soltanto un accenno generale. Infine una curiosità: la musica per archi nel ‘700 viene eseguita dai più grandi concertisti con strumenti tutti italiani; in particolare il violino, non ha rivali; basti ricordare quelli fabbricati dal liutaio Antonio Stradivari al quale Augusto II, re di Polonia, ordina 6 violini, 3 viole e 3 violoncelli sottolineando nella lettera di commissione, che “grande meraviglia et dolcezza lasciano, a chi suona e a chi sente, li vostri strumenti”. Da sx a dx: violino di A. Stradivari; violino in forma di targa di Pasquale Antonio Testore, 1731 (Milano, Museo Teatrale alla Scala); violino di G. Guarnieri, già appartenuto a G. Tartini 36 RI–VIVERE NEL SANTUARIO LA MEMORIA DEL TEMPO P. Giovanni Grimaldi Sarà difficile che io trascuri di far memoria del giorno 29 sett. : ricorrenza della nascita di S. Pompilio, anche perché questo giorno ha una felice coincidenza con la vita scolopica, risalente agli anni 1940 – 1945, quando nel noviziato dei PP. Scolopi di Finalborgo (Savona) si celebravano due tappe iniziali della vita religiosa fondata da S. Giuseppe Calasanzio. Infatti nel giorno 29 settembre (a quell’epoca festa dell’arcangelo S. Michele) i giovani aspiranti vestivano l’abito delle Scuole Pie, iniziando così l’anno di noviziato. Trascorso questo periodo, il 30 settembre i novizi emettevano i voti religiosi di Povertà, Castità e Obbedienza per un periodo di almeno tre anni. Che felici coincidenze! Pensate: il 29 settembre è il giorno della nascita di S. Pompilio; il 30 settembre è il giorno del battesimo di Domenico Pirrotti, che diventerà S. Pompilio Maria Pirrotti. Queste due coincidenze, non sappiamo se scelte o casuali, si sono verificate proprio in quella Provincia Religiosa Ligure, che con alcuni suoi religiosi scolopi, in particolar modo del P. F. Grillo, sono stati i principali artefici della beatificazione e canonizzazione di S. Pompilio. Ciò premesso ritorniamo ai nostri giorni e nella nostra cittadina di Campi Salentina. Da quando nel 2 luglio 2006 un comitato permanente di devoti di S. Pompilio ha fatto erigere un gruppo marmoreo, che comprende la statua del Santo, che dà del pane a due bambine, monumento situato in Viale Nino di Palma su una verde ed alberata aiuola, ogni anno il 29 di settembre la Comunità dei Padri Scolopi di Campi celebra una messa solenne in onore di S. Pompilio davanti a moltissima gente ivi radunata. Il comitato oltre ad organizzare il tutto per la celebrazione: altare, luminarie, coro ecc., al temine della messa rallegra gli occhi dei partecipanti con meravigliosi fuochi d’artificio, ogni anno sempre più belli e con il colpo finale sempre più potente. 37 8 dicembre 2014 J. S. Bach su ogni partitura di musica, che iniziava a comporre, scriveva il alto: S.D.G., iniziali di Soli Deo Gloria, cioè: Al solo Dio la gloria. Perciò se il compositore può rendere gloria a Dio con la sua musica, anche coloro che eseguono quella composizione o ascoltano quella musica danno gloria a Dio, alla Madre di Dio, Maria e ai Santi. Nel nostro santuario da alcuni anni è nata, e va conservata, la tradizione di un Concerto Vocale e Strumentale, che viene eseguito nella festa dell’Immacolata dopo la messa serale. Quest’anno il Trio: Giovanna Tricarico, organo, Elisa Caricato, violino, Elena Mignone, soprano, hanno entusiasmato i numerosissimi partecipanti con musiche e canti sacri in onore dell’Immacolata e dell’imminente Natale. E’ stato chiesto anche il famoso bis! Il santuario di S. Pompilio non è dedicato ad un monaco trappista o camaldolese, ma ad un sacerdote scolopio, cioè ad un 38 religioso, il quale oltre ad emettere i voti di Povertà, Castità e Obbedienza, ha emesso un quarto voto: l’educazione dei ragazzi e dei giovani. La loro vera educazione, armonica e perseverante, si ottiene formando in essi un dignitoso carattere umano e una chiara e serena vita cristiana, come voleva il Fondatore S. Giuseppe Calasanzio. S. Pompilio, degno suo fedele figlio, necessariamente è stato un ottimo formatore di uomini e di cristiani mediante la cultura e la fede: un vero sacerdote, un vero maestro. Ma quando si predica di lui, si scrive di lui, spesso viene messo in luce il sacerdote, il confessore, il predicatore, il penitente che castiga il suo corpo, il benefattore di grazie e miracoli, e raramente si ammira la sua cultura umana e teologica e la sua generosità nel donarle agli altri con l’insegnamento. E’ una vera e propria mutilazione della sua alta personalità! Tutti sapranno che una delle non molte fondazioni di case religiose volute dal Calasanzio, è proprio quella di Campi Sal. E l’ha voluta secondo il suo ideale: Scuola e chiesa; Chiesa e scuola. Quando il santuario viveva accanto alla scuola, e la scuola accanto al santuario, questi due valori erano ben visibili ed hanno realizzato per molte generazioni uomini e donne eccellenti. Ora però che non esiste più la scuola del Calasanzio… (lettore, ricordati che nella Comunità Europea l’unico Stato che non finanzia le scuole paritarie, è l’Italia! In Bolivia, Stato poverissimo i Padri Scolopi hanno realizzato un Centro Scolastico dalla scuola Materna alla Superiore, dotato di residence per gli insegnanti e convitto per bambini e giovani, MA LO STATO BOLIVIANO POVERO FINANZIA I PROFESSORI E I VARI IMPIEGATI!!!) …il fattore cultura non è andato in esilio, ma rivive nel “Calasanzio Cultura e Formazione” per i giovani che hanno interrotto gli studi, per chi vuole entrare in alcuni settori di occupazione, per cassintegrati ecc. Esiste un doposcuola denominato “Trastevere” per ragazzi e adolescenti. Questi sono i nuovi poveri del mondo moderno e il Fondatore dei Padri Scolopi, per opera dei suoi figli, non è insensibile. Ma esiste anche un altro modo per seguire la cultura: mettersi al servizio delle varie manifestazioni culturali della odierna comunità umana: spalancando le porte del Calasanzio. Forse non tutti sanno che la Comunità dei PP. Scolopi possiede una antica e preziosissima biblioteca, accreditata anche presso la Regione Puglia. Qui si sono svolti vari incontri ad alto livello culturale: ne segnalo in particolare solo due. Ciclo di conferenze quindicinali, iniziate a gennaio 2014 e terminate a fine giugno 2014. Inoltre il 27 dicembre 2014 è stata eseguita la Premiazione dei migliori alunni della scuola superiore della Provincia di Lecce, ad opera della “Fondazione Calabrese” di Campi. Questa biblioteca è richiesta per vari incontri e conferenzestampa, in particolar modo ad opera della “Città del Libro di Campi Salentina”. Dio, Dio e niente piu`! Non vi curate di cercare altro. Cercate il fondamento delle virtu` sode e abbandonatevi sempre nelle mani di Dio. E non ci sia in voi se non il solo mio Amante Bello. Vi voglio innamorati di Dio con amore vero. San Pompilio