esisterebbero neppure. Infatti quando qualcosa esiste, in qualsiasi modo, come ha un motivo per esistere, così ha anche la forza grazie a cui esiste e non può non esistere. [...] Tertulliano (ca. 160-230), L’eccezione contro gli eretici Tertulliano rappresenta, prima di Agostino, la voce più grande e originale del cristianesimo africano, la cui prima testimonianza letteraria è la Passione dei martiri scilitani del 180. Nato a Cartagine, senza dubbio aveva una formazione giuridica e forse svolse la professione di avvocato. In età adulta si convertì al cristianesimo e più tardi venne ordinato prete. La sua vasta opera attraversa praticamente tutti i temi di attualità di allora, che vengono approfonditi per la prima volta in lingua latina, in diversi casi sperimentando un nuovo lessico: la difesa del cristianesimo contro il paganesimo e contro le eresie (in particolare il marcionismo e lo gnosticismo), la dottrina della Trinità (per la quale, contro il modalismo che identificava Padre e Figlio, per la prima volta egli usa il lessico di «una sostanza» e «tre persone»), la cristologia (dove Cristo viene denominato «sermo in carne»), l’idea di Chiesa (identificata, seguendo Paolo, con il corpo storico di Cristo). Intorno al 210 si unì ai montanisti, che predicavano l’esigenza di una perfetta purezza dei costumi e ripudiavano l’idea di penitenza, iniziando a scrivere con violenza contro la Chiesa cattolica, per poi abbandonare anche i montanisti e fondare una propria comunità. Tale vicenda renderà imbarazzante per i posteri il richiamo alla sua opera teologica, anche se in alcuni casi di fatto essa era stata l’occasione di sviluppi dottrinali poi completamente recepiti (per esempio nella dottrina dello Spirito Santo come persona, che svolgeva un ruolo importante nella setta carismatica dei montanisti). Al di là dei numerosi temi specifici da lui affrontati, l’elemento più evidente dell’opera di Tertulliano è una decisa presa di posizione contro la filosofia greca, ritenuta la matrice di tutte le possibili eresie: sia per i suoi contenuti specifici incompatibili con la fede cristiana, sia per l’invito ad una ricerca infinita che contrasta con la certezza di avere raggiunto la verità in Cristo. Un posto particolare in questa polemica è svolto dal platonismo, considerato l’origine di tutte le deviazioni del cristianesimo. Ciò non si identifica con una posizione irrazionalistica (il motto «credo quia absurdum», che peraltro non si trova così nei suoi scritti, ha valore solo nel contesto di una strategia retorica), ma con la ricerca alternativa di elementi di garanzia storici (da lui formulati in termini giuridici): ad assicurare la verità non è la dialettica, interpretata da Tertulliano nel senso sofistico di strumento onnipotente, ma piuttosto l’attendibilità e la legittimità dei testimoni. VII. Sono queste le dottrine di uomini e di demòni per le orecchie che non sanno trovar pace [1Tim. 4,3], sorte dall’ingegno della sapienza mondana. Il Signore la ha chiamata follia, e ha scelto la stoltezza del mondo per confondere anche la filosofia [1Cor. 1,27]. È la filosofia stessa la materia della sapienza mondana, temeraria interprete della natura divina e dei suoi disegni. Certamente le eresie stesse sono istigate dalla filosofia. Da qui provengono in Valentino gli Eoni e non so quali infinite forme e una trinità umana: lui era platonico. Da qui viene il dio di Marcione, migliore per la sua impassibilità: lui veniva dagli Stoici. E quando si dice che l’anima perisce, si segue Epicuro. E quando si nega la resurrezione della carne, si prende da una qualsiasi di tutte le scuole filosofiche. E dove la materia è equiparata a Dio, è l’insegnamento di Zenone. E dove si dice qualcosa di un Dio di fuoco, interviene Eraclito. Sono gli stessi temi che vengono trattati dagli eretici e dai filosofi: da dove viene il male e perché? da dove viene l’uomo e come è sorto? e ciò che ultimamente Valentino s’è chiesto: da dove viene Dio? deriva dall’Entimesi o dall’Ectroma? Disgraziato Aristotele, che hai loro insegnato la dialettica, capace di costruire e distruggere, sfuggevole nelle asserzioni, forzata nelle sue congetture, difficile nelle argomentazioni, creatrice di discussioni, molesta anche a sé stessa, che discute tutto per non concludere nulla su nessun tema. Di qui derivano quelle favole, quelle genealogie interminabili, quelle questioni oziose, quei discorsi che strisciano come un cancro. L’apostolo, scrivendo ai Colossesi, ce ne mette in guardia nominando esplicitamente la filosofia: «Guardate che non vi sia qualcuno che v’inganni con la filosofia e con una vuota seduzione, secondo la tradizione umana e contrariamente alla provvidenza dello Spirito santo» [Col. 2,8]. Egli era stato ad Atene [At. 17,15], e aveva conosciuto questa specie di sapienza umana che finge e falsifica la verità, essa stessa divisa nelle sue eresie secondo la varietà delle sette che si contrastano l’una l’altra. Che c’è dunque in comune fra Atene e Gerusalemme? che cosa fra l’Accademia e la Chiesa? che cosa fra gli eretici e i cristiani? La nostra dottrina nasce dal portico di Salomone [At. 5,12]; fu lui stesso che ci ha insegnato che Dio si deve cercare nella semplicità di cuore. Se la vedano un po’ coloro che hanno messo fuori un A I. [La filosofia è l’alimento delle eresie] La condizione del tempo presente ci spinge ad avvertire che non dobbiamo meravigliarci di queste eresie: sia del fatto che esistono, era infatti stato preannunziato che esse sarebbero sorte [Mt. 24,24]; sia del fatto che minano la fede di alcuni, perché esistono appunto perché la fede, messa alla prova, ne fosse anche confermata. Non c’è dunque ragione ed è sciocco che i più si scandalizzino perché le eresie abbiano tanta forza: se non la avessero, non 1/4 cristianesimo stoico, platonico, dialettico. Noi non abbiamo bisogno di essere curiosi dopo Gesù Cristo, né di fare ricerche dopo il Vangelo. Quando crediamo, non desideriamo credere oltre, perché prima abbiamo creduto che non c’è nient’altro da credere. presto ricevuto lo Spirito santo Paraclito che li avrebbe condotti alla verità intera [Mt. 10,5]: e lo Spirito fa proprio questo. E se gli apostoli, destinati come maestri ai pagani, dovevano essi stessi ricevere come loro maestro il Paraclito, tanto più non avrà valore per noi l’invito «cercate e troverete», in quanto la dottrina doveva arrivare a noi direttamente dagli apostoli, che a loro volta la ricevevano dallo Spirito santo. Tutte le parole del Signore sono indirizzate a tutti, e attraverso le orecchie dei Giudei sono arrivate a noi, ma nella maggior parte, dal momento che sono rivolte ai Giudei personalmente, non rappresentano per noi un ammonimento, ma solo un esempio. B VIII. [Il senso di «Cercate e troverete»] Vengo ora dunque a quel punto che invocano i nostri per giustificare la ricerca curiosa e che gli eretici inculcano per indurre gli scrupoli. Dicono dunque che è scritto: «Cercate e troverete» [Mt. 7,7]. Ma ricordiamo quando il Signore pronunziò tale frase: credo agli inizi della sua dottrina, quando ancora tutti dubitavano se egli fosse il Cristo, quando neppure Pietro lo aveva ancora dichiarato «Figlio di Dio» [Mt. 16,13ss], quando anche Giovanni non aveva ancora la certezza su di lui. E fu a buon diritto dunque che si disse: «Cercate e troverete» quando bisognava ancora cercare colui che non era ancora riconosciuto: e ciò era indirizzato ai Giudei. Si rivolgeva infatti questa parola di rimprovero a loro, che avevano dove cercare Cristo: «Hanno, egli disse, Mosè ed Elia» [Lc. 16,29]; cioè la Legge e i Profeti, annunziatori di Cristo, nel senso in cui altrove disse apertamente: «Esaminate le Sacre Scritture, dalle quali voi attendete la salvezza; sono esse che parlano di me» [Gv. 5,39]. Ecco quello che vorrà dire: «Cercate e troverete». Infatti anche quel che segue riguarda i Giudei: «Bussate e vi sarà aperto»: prima i Giudei erano stati vicini a Dio, poi, allontanati per le loro colpe, cominciarono ad esser fuori di Dio. Ma i pagani non furono mai vicini a Dio, se non come una goccia che cade in un secchio o un granello di polvere in un’aia, ma in ogni caso fuori. Colui che è stato sempre fuori come potrà bussare là dove non è mai stato? quale porta potrà conoscere nella quale non è stato mai accolto e dalla quale non è stato mai cacciato? O piuttosto colui che sa di essere stato dentro e poi di essere stato allontanato, busserà conoscendo la porta? Così anche «domandate e riceverete» riguarda colui che sapeva a chi bisognasse domandare, da chi era stata fatta una promessa, cioè dal Dio di Abramo, d’Isacco, di Giacobbe, che i pagani conoscevano tanto poco quanto le sue promesse. Ed era per questo che parlava ad Israele: «Io non sono stato inviato che alle pecore smarrite della casa di Israele» [Mt. 15,24]. Egli non gettava ancora ai cani il pane dei suoi figli [Mt. 15,26], ancora non aveva ordinato di percorrere la via delle nazioni. Solo comandò che andassero ad istruire e a battezzare i pagani coloro che avrebbero IX. Ora di mia spontanea volontà mi allontano da questa posizione. Ammettiamo che sia detto a tutti «Cercate e troverete»; tuttavia anche in questo caso è necessario trovare una corretta interpretazione. Nessuna espressione divina è così vaga e imprecisa da dover essere difesa solo nelle sue parole e non accertata nel suo significato. In primo luogo dunque io pongo questo: che Cristo ha stabilito un fondamento unico e certo, cui i pagani debbono in ogni modo prestar fede, e quindi cercare come possono, per potervi credere una volta trovatolo. Di questo principio unico e certo dunque non può esserci una ricerca infinita. Bisogna che tu cerchi finché trovi e che credi quando hai trovato, e poi non faccia nulla più che custodire quanto hai creduto, credendo anche che non ci sia nient’altro da credere, e quindi da cercare, quando hai trovato e creduto il principio che è stato stabilito da colui che non ti ordina di cercare nient’altro se non quello che lui ha stabilito. Se qualcuno dubita di ciò, sarà chiaro che ciò che Cristo ha stabilito si trova presso di noi. E io, fiducioso in questo ragionamento, mi faccio avanti esortando certuni a non pensare che bisogna cercare oltre ciò che hanno creduto, cioè oltre ciò hanno dovuto cercare, e non diano quindi all’espressione «cercate e troverete» una interpretazione irrazionale. [...] C XV. [Bisogna impedire le discussioni sulla Scrittura] Giungiamo dunque a quanto ci proponevamo: qua noi tendevamo, e per questo abbiamo premesso la trattazione preliminare, per affrontare da qui gli avversari su quel tema sul quale provocano. Essi esibiscono le Scritture, e con questa loro audacia subito colpiscono qualcuno. E nella battaglia i forti li affaticano, i deboli li catturano, quelli intermedi li 2/4 lasciano nella perplessità. Dunque noi precludiamo loro soprattutto questa strada, impedendo loro qualunque discussione sulle Scritture. Se esse costituiscono la loro forza, perché essi le possano usare è necessario prima esaminare a chi spetti il possesso delle Scritture, in modo che non ne possa usufruire colui che non ne ha assolutamente diritto. che anche loro dicano che noi portiamo alterazioni delle Scritture e falsi argomenti, dato che anche loro rivendicano per sé la verità. D XIX. [Chi ha il diritto di usare la Scrittura?] Non tiriamo dunque in causa le Scritture e non sosteniamo discussioni in un campo in cui non c’è vittoria, o poco certa, o del tutto incerta. Infatti, anche se questa discussione delle Scritture non facesse uscire entrambe le parti alla pari, l’ordine delle cose richiede che si stabilisca prima questo punto, che è l’unico che qui bisogna discutere: a chi spetta la fede stessa? a chi appartengono le Scritture? la disciplina, per la quale sorgono i fedeli in Cristo, da chi è stata data, tramite chi, quando, a chi? Dove infatti apparirà essere la verità della disciplina e della fede cristiana, là dunque ci sarà la verità delle Scritture e della loro interpretazione e di tutte le tradizioni cristiane. XVI. Sarei stato spinto qui dal timore o dal desiderio di deviare la discussione su un campo diverso, se non ci fossero buoni motivi, in primo luogo questo: che la nostra fede deve obbedire all’Apostolo, il quale proibisce di entrare in dispute [1Tim. 6,4], di prestare ascolto a nuove voci, e di incontrare l’eretico dopo un solo tentativo di correggerlo, e non dopo una disputa [Tit. 3,10]. Fino a tal punto ha proibito la disputa, indicando come «correzione» la causa per avvicinare l’eretico! E per di più una volta sola, giacché non è cristiano, affinché non paia che vada rimproverato una e due volte, e con due o tre testimoni [Mt. 18,15s], perché va rimproverato proprio perché con lui non bisogna disputare. Del resto questa disputa sulle Scritture non giova a nulla, se non per qualcuno a mettere sottosopra lo stomaco, o il cervello. XX. Gesù Cristo, Signore nostro (mi sia permessa per ora l’espressione), chiunque egli sia, Figlio di Dio, chiunque egli sia, Dio e uomo, qualunque ne sia la materia, maestro di una fede, qualunque essa sia, che promise una ricompensa, qualunque essa sia, durante la sua vita sulla terra manifestò che cosa fosse, che cosa fosse stato, quale volontà del Padre seguisse, che cosa l’uomo dovesse fare: o apertamente al popolo, o ai suoi discepoli in disparte. Egli ne aveva prescelti dodici e li teneva sempre presso di sé, destinati ad essere maestri delle nazioni. Uno di essi venne allontanato, ma agli altri undici, nel ritornare al Padre suo dopo la resurrezione, comandò di andare e istruire le nazioni battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo [Mt. 28,19s]. E subito gli apostoli (questo termine significa «inviati»), in luogo di Giuda elessero a sorte Mattia come dodicesimo [At. 1,26], secondo l’autorità della profezia che si trova nel salmo di David [Sal. 109,8]. Ricevuta la promessa forza dello Spirito santo per i miracoli e la predicazione [At. 1,8], dapprima in Giudea, affermata la fede in Gesù Cristo e stabilite le Chiese, poi sparsi nel mondo annunciarono alle nazioni la stessa dottrina della stessa fede. E fondarono Chiese in ciascuna città, dalle quali trassero e continuano a trarre il germe della fede e i semi della dottrina tutte le altre Chiese, per essere appunto Chiese. E per questo anch’esse vengono denominate «apostoliche», come figlie dirette delle Chiese apostoliche. Ogni genere di cose deve portare l’impronta dell’origine. Dunque tante e così grandi XVII. Questa eresia non riconosce alcune Scritture, e quelle che riconosce, non le riconosce integre, ma le stravolge con aggiunte o sottrazioni secondo le proprie finalità; e se in qualche misura le ammette integre, tuttavia muta il senso con diverse interpretazioni. Un senso alterato offende la verità tanto quanto una penna corruttrice: le vane pretese necessariamente non vogliono riconoscere ciò che le smentisce, e su di esse si fondano i passi composti falsamente e quelli che si prestano ad ambiguità. A che cosa arriverai, tu espertissimo nella Scrittura, dal momento che se [discutendo con gli eretici] difenderai qualcosa, sarà negato, e se lo negherai sarà difeso? Perderai solo il fiato nella disputa, e non otterrai nulla se non un travaso di bile per le bestemmie. XVIII. E se entrerai in una disputa sulle Scritture per rafforzare qualcuno che dubita, questi si orienterà verso la verità o non più ancora verso le eresie? Spinto proprio dal fatto che ti vedrà senza alcun vantaggio, perché ogni parte avrà negato e affermato nella stessa misura, con un risultato certamente pari, si allontanerà dalla discussione più incerto di prima, non sapendo quale delle due parti giudicare eretica. Certamente gli eretici possono ritorcere contro di noi gli stessi nostri argomenti: è necessario infatti 3/4 Chiese sono una sola, quella fondata dagli apostoli, dalla quale derivano tutte. Tutte sono prime dunque, tutte apostoliche, essendo tutte una sola. Provano questa unità la comunicazione della pace, il linguaggio della fraternità e lo scambio dell’ospitalità. E questi diritti non sono retti da altro criterio che l’unica tradizione dello stesso sacramento. demenza di prima cambiano idea e dicono che gli apostoli hanno conosciuto sì tutto, ma non hanno trasmesso tutto a tutti; in entrambi i casi gettano biasimo su Cristo, il quale avrebbe inviato gli apostoli o poco istruiti, o poco schietti. Ma chi con una mente retta può credere che ignoravano qualcosa coloro che il Signore diede come maestri, avendoli tutti come compagni, come discepoli, come commensali, ai quali in disparte spiegava ogni cosa oscura, dicendo che a loro era dato conoscere i misteri che al popolo non era lecito comprendere? [Lc. 8,10]. Qualcosa sarà rimasto nascosto a Pietro, detto pietra di quella Chiesa da costruire, che aveva avuto le chiavi del Regno dei cieli e il potere di legare e di sciogliere sulla terra e nei cieli [Mt. 16,18s]? E qualcosa sarà rimasto nascosto a Giovanni, il più amato dal Signore, al quale solo, mentre posava la testa sul suo petto [Gv. 16,23], il Signore indicò Giuda come traditore, che affidò a Maria [Gv. 19,26s] in luogo del figlio suo? Che cosa volle che ignorassero coloro ai quali egli manifestò anche la sua gloria, e Mosè ed Elia e la voce stessa del Padre dal cielo [Mc. 9,3-6]? Non perché avesse gli altri in minore considerazione, ma perché ogni parola deve stare salda sulla testimonianza di tre [Mt. 18,16]. Allora ignorarono qualche cosa anche quelli ai quali, dopo che fu resuscitato, si degnò lungo la strada di spiegare tutte le Scritture [Lc. 24,13ss]. Certo aveva detto il Signore una volta: «Ho molte cose ancora da dirvi, ma voi ora non siete in grado di sostenerle» [Gv. 16,12]; aggiungendo tuttavia: «quando verrà quello Spirito di verità, lui vi condurrà alla verità intera» mostrò che non ignoravano nulla coloro ai quali aveva promesso che avrebbero raggiunto la verità intera grazie allo Spirito di verità. E mantenne la promessa e gli Atti degli Apostoli provano la discesa dello Spirito santo [At. 2,1-4]. Coloro che non riconoscono questa Scrittura non possono essere dello Spirito santo, perché non possono riconoscere lo Spirito santo inviato ai discepoli. Ma non possono neppure difendere la propria chiesa, dal momento che essi non sanno provare quando e da quali principi sia stato istituito questo corpo. Ma per gli eretici è preferibile non avere le prove di quello che essi sostengono, affinché non debbano allo stesso tempo ammettere le confutazioni delle loro falsità. XXI. È da qui che noi solleviamo la nostra eccezione (praescriptio). Se il Signore Gesù Cristo ha inviato gli apostoli a predicare [At. 2,4], non bisogna accettare altri predicatori all’infuori di quelli che Cristo istituì, perché nessuno può conoscere il Padre se non il Figlio e coloro a cui il Figlio lo rivelò [Mt. 11,27], e sembra che a nessun altro il Figlio abbia rivelato, se non agli apostoli, che inviò a predicare ciò che aveva loro manifestato. Ciò che essi, dunque, predicano è quello che Cristo rivelò loro, e qui eccepirò che non si deve condurre una prova se non tramite le stesse Chiese che gli stessi apostoli fondarono, predicando sia a viva voce, sia dopo con lettere. Se le cose stanno così, risulta che ogni dottrina che si accordi con quelle Chiese apostoliche, matrici e originali della fede, si deve riconoscere come veritiera e contenente in sé, senza dubbio, ciò che le Chiese ricevettero dagli apostoli, gli apostoli da Cristo, Cristo da Dio. Ma va denunciata come falsa ogni dottrina che si schieri contro la verità delle Chiese e degli apostoli, di Cristo e di Dio. Ci resta da dimostrare questo: che questa nostra dottrina, di cui prima abbiamo dato la regola, vada annoverata nella tradizione degli apostoli e per ciò stesso tutte le altre dottrine vengano dalla menzogna. Noi siamo in comunione con le Chiese apostoliche, perché nessuna dottrina è diversa: questa è la testimonianza della verità. E XXII. [Gli apostoli conoscevano tutta la verità] Ma poiché la prova è così facile che, appena sia esposta, non c’è più nulla da discutere, come se non fosse già esposta, diamo spazio alla parte avversaria, se pensano che si possa avanzare un’obiezione contro questa eccezione. Sogliono dire: gli apostoli non hanno conosciuto tutto; ma con la stessa 4/4