SCENARI MEDITERRANEI Bruno Amoroso 1 Ringrazio i promotori e gli organizzatori per l`invito e per la fiducia accordatami assegnandomi il primo intervento di una sessione complessa che affronta il tema degli scenari, cioè del futuro visto con gli occhi del presente. Un futuro nel quale prevale l`incertezza empirica e l`angoscia esistenziale, tra un presente volgare e un futuro trascendente, con un presente che è oggi in Europa nella mani di tecnici, di individui sobri e tristi che ci ricordano l`Altezza Reale di Thomas Mann. Il compito assegnatoci, quello degli scenari, avrebbe richiesto la presenza di shamani più che di economisti, ed è per questo che io cercherò di affidarmi, più che alla logica e ai numeri, all`esperienza, all`intuito, nello sforzo di catturare i segni del tempo partendo dal nostro stato d`animo, cioè dalla “paura” e dall`”angoscia” per dirla nei termini espressi da Pietro Barcellona, per leggere nel fango nel quale siamo immersi i segni di una possibile “speranza”. È infatti dalla nostra capacità di assolvere a questo compito che saremo giudicati. Ma qual`è il legame tra le paure del presente e la speranza? In che modo i problemi di bilancio, della finanza, del debito, della produttività e delle ineguaglianze che ci assillano ogni giorno si collegano con la possibilità di ridare senso alle cose che facciamo, nella scuola, nell`economia e nel vivere quotidiano? Di rimettere il bene comune al posto degli affari di qualcuno. Le divisioni alle quali assistiamo oggi in tutti i paesi europei, e non solo, mostrano l`incomunicabilità tra due mondi. Da un lato chi affida la soluzione delle difficoltà del presente a slogan populistici come l`austerità, la crescita, l`apertura dei mercati, oppure la 2 decrescita, il locale e l`innovazione. Obiettivi che non dicono nulla sulle politiche necessarie a perseguirli e su come devono essere ripartiti i costi e svantaggi. Dall`altro chi, come noi parte dalle aspirazioni e dai bisogni, nella consapevolezza dei limiti ma anche delle opportunità esistenti per costruire un mondo migliore e più giusto. A questo punto inizia il gioco del tiro alla fune delle politiche europee e economiche. Da un lato una finanza e una grande industria che gli fa da stalliere, che pensano di promuovere la crescita mediante la spoliazione dei redditi e dei risparmi dei lavoratori, del patrimonio delle piccole e medie imprese, e la revoca dei sistemi di welfare. E con un piano di crescita industriale che mette al centro i consumi elettronici, dell`informatica, delle tecnologie che costituiscono il riciclo dei prodotti della ricerca e dell`industria militare. Dall´altro lato, rispondono e si oppongono, i cittadini e i movimenti sociali preoccupati soprattutto di proteggere condizioni di vita decenti, delle quali il prerequisito è l`occupazione insieme ai servizi pubblici, l`ambiente, l`istruzione e la possibilità di pensionamento. Queste domande, più che a nuovi prodotti, sono orientate alla possibilità di accesso a quelli esistenti, in condizioni di sicurezza per la salute, ed alla possibilità di usufruire dei servizi necessari per il trasporto, l`istruzione e il vivere quotidiano. Questo scontro tra due tendenze è presente in tutti paesi del Mediterraneo, sia nella sponda nord che sud, dove nella prima si cerca d`imporre una pax tedesca e nella seconda una pax americana. 3 Ma azzardiamo una previsione sul futuro, cioè sui maggiori temi che stanno influenzando e influenzeranno la vita delle nostre comunità e sistemi produttivi. Il primo è quello delle risorse naturali che, come aveva già previsto il Club di Roma nel lontano 1968 (Limiti della crescita), pongono un limite obiettivo all`estensione del sistema di vita occidentale (consumo pro capite) a una popolazione mondiale sempre crescente prevista dai quattro miliardi di allora ai sette di oggi e ai nove del 2020. Su questo tema cruciale, causa di conflitti e guerre passate e che oggi sta di nuovo incendiando i paesi della riva sud del Mediterraneo, l`economia è muta. Il co-sviluppo del processo di Barcellona si è trasformato nella co-militarizzazione delle due sponde. Quello che doveva essere l`inizio di un dialogo tra l`Europa e il Mondo Arabo, si è oggi trasformato in una guerra civile tra gruppi etnici e in una guerra di religione all`interno dell`Islam. Una guerra finanziata e sostenuta da Stati Uniti e alla quale l`Europa si affianca con l`illusione delle briciole del dividendo di riconquistate colonie. Il secondo tema è quello della finanza che i manuali di economia del “pensiero unico” descrivono come un fattore neutro al servizio dei sistemi produttivi e dei mercati, un facilitatore degli scambi, un sistema di flussi. Uno studio di Federico Caffè del 1971 segnalava i rischi della crescita di un potere finanziario a carattere predatorio che vizia il funzionamento dell`economia di mercato con misure che favoriscono interessi corporativi a danno del bene comune, come moneta di scambio per il via libera ad attività predatorie della finanza e altri gruppi di potere economico. Altrimenti non ha spiegazione, sottolinea Caffè, "l`incoerenza 4 tra i condizionamenti di ogni genere - legislativi, sindacali, sociali che vincolano l`attività produttiva "reale" nei vari settori agricolo, industriale, di intermediazione commerciale”, e la concreta "licenza di espropriare l`altrui risparmio" che esiste sui mercati finanziari." Contro queste forme di rapina non esistono soluzioni riformatrici, secondo Federico Caffè, ma il bisogno di "eliminare in toto la speculazione borsistica soprattutto nel campo dei titoli azionari". Il tema fu ripreso negli anni Novanta in un rapporto del Gruppo di Lisbona, diretto da Riccardo Petrella, che aggiornava quella denuncia e indicava l`obiettivo di “Disarmare la finanza”. Il terzo tema è quello dell`”incertezza”, messo da Keynes al centro della sua analisi, ma poi accantonato dalla cultura accademica come un incidente di percorso e ridotto a “rischi” quantificabili e contro i quali ci si può assicurare. Una banalizzazione del problema, prodotto inevitabile di teorie basate solo sulla quantificazione, per le quali il futuro che non conosciamo è ridotto a rischi prevedibili e misurabili. In questo modo l`economia parla di sostenibilità e di equilibrio ciclico, riducendo così l`instabilità e le crisi a fenomeni alieni alla vita e all`economia. Quali soluzioni alternative sono dunque auspicabili? Per i paesi della sponda nord del Mediterraneo ridurre le incertezze significa restituire sovranità ai paesi dell`Europa del sud con un ruolo autonomo dentro il sistema dell`Unione Europea. Questo consentirà a questi paesi di creare un`area di forte cooperazione che può assumere un ruolo propulsivo e di co-sviluppo sia verso i paesi della sponda sud sia verso il medio e lontano oriente. Una comunità dei paesi dell`Europa del sud, in linea con quanto esiste in Europa per i paesi nordici, consentirebbe a quest`area di 5 divenire una zona di pace e cooperazione facendo così propri quelli che erano gli obiettivi originari del processo d`integrazione europea. Una sovranità che ridia all`imprenditore la possibilità e il gusto di leggere e interpretare i bisogni e le domande delle comunità e dei mercati, e alle famiglie e ai cittadini il gusto di elaborare e realizzare i propri progetti di vita. Possibilità per gli imprenditori e gusto per i cittadini che sono oggi soffocati dalla pianificazione contabile dei sicari dell`economia globale messi alla guida dei governi nazionali e delle istituzioni europee. La ripresa di autonomia rispetto all`Unione europea significa anche rompere i vincoli di cooperazione militare con la NATO che stanno trasformando l`Italia, e il Mezzogiorno in particolare, in una base militare a sostegno delle guerre di aggressione verso il Mondo Arabo e l´Asia in generale. La trasformazione della base di Sigonella, che era stata ripensata un decennio fa come una possibile università del Mediterraneo, in una base militare per i droni della NATO utilizzati per omicidi mirati in altri paesi, costituisce un evento di grande drammaticità che espone queste aree a giuste e inevitabili ritorsioni con conseguenze disastrose per tutto il Mezzogiorno. Il superamento degli effetti negativi sulle famiglie e sulle imprese delle politiche oggi adottate non può essere affidato né alla crescita né alla decrescita, ma a un patto di solidarietà tra le comunità e le imprese del Mediterraneo e alla ripresa di una “imprenditorialità” sociale e economica che ponga i giovani al centro di questi processi. Il sostegno deve venire dalle politiche economiche degli Stati mediterranei e rimesso al centro delle politiche europee, dove l`efficienza sociale e economica si coniughino tra loro. 6 La Grande Depressione degli anni Trenta si verificò in presenza del capitalismo industriale della grande fabbrica fondista, consapevole che la condizione per l`aumento dei profitti dipendeva dalla quantità di beni prodotti. Ma in quella cultura della produzione di massa era assente l`idea che la realizzazione del profitto richiedesse un consumo di massa ottenibile solo cedendo una quota del profitto ai salari. Per questo Keynes propose un`interpretazione e un`analisi teorica che consentisse una uscita dalla crisi, ma mediante il ristabilimento della piena occupazione e l`accesso dei lavoratori e delle loro famiglie a beni di consumo. Fu così che crescita economica e giustizia sociale si combinarono in modo virtuoso. L`assunzione di questa teoria nella guida delle politiche del New Deal negli Stati Uniti vide ulteriormente rafforzati i suoi effetti sociali per il tipo di investimenti e di consumi realizzati grazie alle politiche pubbliche. Non è vero che si scavarono buche per poi ricoprirle, come suggerisce una lettura volgare delle politiche keynesiane. Al contrario il New Deal si mosse su due linee di intervento: la ricostruzione del sud degli Stati Uniti sconvolto dalla guerra civile americana e rimasto indietro nelle sue infrastrutture e strutture e l`avvio di un grande programma di sicurezza sociale assente nel paese. Questo dimostra che l`essenza delle politiche del New Deal fu la "solidarietà" verso il sud del paese e i cittadini sprovvisti di ogni forma di protezione sociale. Questo è stato vero anche nel dopoguerra europeo. Le politiche pubbliche favorirono una gigantesca opera di ricostruzione degli Stati europei e il rapido diffondersi dei sistemi di welfare. Quindi, 7 ancora una volta, non la semplice crescita economica, ma politiche mirate, orientate dallo Stato e dagli investimenti pubblici, e per le quali gli effetti di consumo di massa si accompagnavano ai forti indirizzi di coesione territoriale e sociale come nel caso dell`Italia. Se quindi la solidarietà è il carattere qualificante delle politiche keynesiane questo è di piena attualità oggi nelle nuove forme di governo dei beni comuni e di spostamento del consumo verso nuovi criteri di qualità, di cooperazione tra produttori e consumatori, di riequilibrio della produzione e del consumo rispetto ai territori. Le teorie sui beni comuni della Elinor Østrom, dell`impresa sociale e cooperativa, del pensiero sociale della Chiesa, della riscoperta di criteri gestionali del settore pubblico con un ruolo di "servizio" verso i cittadini alimentano le forme attuali di un nuovo pensiero economico che ha tuttora al centro, come in Keynes, il criterio della solidarietà. La sintesi di tutto ciò fu colta da Federico Caffè nella sua definizione di una "economia degli affetti", che rifiutava l`idea di persone ridotte a individui in lotta tra loro come tanti robot. Indicazioni queste di certo utili a sottrarsi alla morsa tra un presente volgare e un futuro trascendente. 8