Giovanni De Gregorio: le opere del terzo decennio

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Rossella Villani
I
l Pietrafesa inaugura il terzo decennio del XVII secolo con la Donazione della pianeta a S.
Idelfonso da Toledo, opera eseguita nel 1620 nella chiesa parrocchiale di Abriola e ritenuta, assieme alla Madonna dei Mali, un indiscusso capolavoro dell’artista lucano.
La composizione presenta un andamento innovativo: non più struttura piramidale o per registri sovrapposti, ma una sorta di
schema triangolare i cui vertici
sono costituiti da S. Idelfonso a
sinistra, dalla Madonna con Bambino a destra e dal gruppo di
Santi guidati da un puttino in
alto.
Sulla sinistra appunto S. Idelfonso, sostenuto da uno splendido angelo dalle ali multicolore è
ritratto nell’atto di stringere tra le
mani la pianeta che gli porge la
Madonna che, posta su un piano
intermedio alla destra della tela,
ruota il busto e il volto verso il
Santo. Due puttini in volo, sul
capo della Vergine, sono in procinto di recare la corona e lo scettro, mentre a sinistra sullo sfondo
di un edificio, un gruppo di
Sante, elegantemente abbigliate,
dall’alto di una nube assiste alla
Abriola (Pz). Chiesa parrocchiale, Donazione della pianeta a
scena.
S. Idelfonso da Toledo. (foto S.B.A.S. - Matera)
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Giovanni De Gregorio:
le opere del terzo decennio
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Anna Grelle aveva intravisto nel dipinto di Abriola influenze parmigianinesche e carraccesche
con suggestioni di Ferraù Fenzoni che, per lei, non potevano non essere frutto di una visione
diretta delle opere del Parmigianino o di Annibale Carracci da parte del De Gregorio, prestando fede al De Dominici secondo il quale il pittore aveva compiuto numerosi viaggi a
nord1.
Tuttavia, tenendo in considerazione che Pietrafesa risulta impegnato in opere lucane dal 1608
alla fine del secondo decennio, si propende oggi a giustificare le desunzioni neoparmensi con
l’utilizzo di stampe che sicuramente circolavano nella Napoli del Seicento.
Va sicuramente detto a proposito del dipinto in questione che l’autore è ormai completamente lontano dall’atmosfera di pietismo devozionale tipica del Santafede e del Borghese, ma è
quanto mai vicino, come evidenzia Saccone, alla maniera dei fiamminghi risalente a quella
“dolce e pastosa” di Taddeo Zuccari, e a quella internazionale di Francesco Curia che diffonde a Napoli il neo-manierismo internazionale di radice parmense2.
Successiva al 1620 è la Madonna del Rosario nella chiesa di S. Maria Assunta di Albano, prima
versione di questo soggetto eseguita dal De Gregorio.
La scena della Donazione del Rosario è inquadrata in un arco circondato dai riquadri contenenti i quindici Misteri. La composizione si svolge in verticale, per cui i personaggi si sovrappongono su piani digradanti. In basso, le figure in primo piano di S. Francesco e S. Chiara
d’Assisi, si tendono verso l’alto a ricevere la corona del Rosario dalla Vergine. Quest’ultima è
raffigurata, secondo un modulo iconografio inconsueto ed innovativo, in piedi nell’atto di
librarsi in aria e non già assisa su un trono di nubi. L’ampio e vorticoso mantello avvolge la sua
figura, i capelli ramati scendono sciolti sulle spalle, la veste di un colore rosa metallico scopre
un piede calzato con sandalo.
Ai lati della Madonna due bellissimi angeli le porgono due mazzi di rose, mentre in alto due
cherubini in volo, dal piumaggio multicolore, le pongono la corona sul capo.
La tela di Albano prende sicuramente spunto dai fiamminghi che fecero di questo tema il
motivo principale della pittura controriformata sia a Napoli che nelle province del Viceregno.
E’ in essa, infatti, un linguaggio pittorico tenero, luminoso, delicato e raffinato, in sintonia
con i dettami della pittura fiamminga.
Per Silvano Saccone anche l’ideazione di fondo rivela una riflessione sul “verticalismo rampante” di ascendenza fiamminga, in particolare sulle composizioni del Mytens e di Teodoro
D’Errico.
Per lo studioso, inoltre, il motivo delle figure di astanti in lontananza inquadrate in basso tra
i due Santi, rimanda alla Madonna del Rosario dell’Azzolino, dipinta nel 1612 nella chiesa di
S. Maria della Sanità a Napoli.
Egli ipotizza, inoltre, che nei Misteri abbia lavorato anche un allievo del Pietrafesa, cioè
Filiberto Guma da Pignola, attivo autonomamente già dal 1618.
All’inizio del terzo decennio il Pietrafesa esegue probabilmente gli affreschi nella cappella di S.
Maria degli Angeli a Brienza e quelli nel chiostro del convento di S. Antonio a Balvano.
Nella cappella di Brienza trovano posto: l’Incontro di S. Francesco d’Assisi e S. Domenico,
l’Apparizione del Bambino a S. Antonio, un Santo Vescovo, l’Immacolata Concezione, la Nascita
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di Maria, Gioacchino e Anna
che presentano Maria fanciulla
al sacerdote, la Visita di S.
Elisabetta
e
Zaccaria,
l’Assunzione della Vergine, S.
Pietro Apostolo e S. Paolo, i profeti Isaia, Re David e Mosè,
l’Incoronazione della Vergine.
Questi affreschi, danneggiati e
ridipinti più volte, hanno evidenziato a seguito del restauro
delle cadute di tono che hanno
destato non poche perplessità
circa l’attribuzione degli stessi
al De Gregorio. Tuttavia vi
sono numerose affinità con le
opere che il pittore esegue su
tela nel secondo decennio,
soprattutto per ciò che concerne i cangiantismi, il descrittivismo, il gusto per le materie preziose e il disegno calligrafico.
Caratteri questi che riscontriamo pure negli affreschi del
chiostro del convento di
Balvano dove, accanto alle
Albano (Pz). Chiesa di Santa Maria Assunta, Madonna del
Rosario e Misteri. (foto S.B.A.S. - Matera)
immagini
affrescate
da
Pietrafesa ve ne sono altre - nelle ali est, ovest, sud- da attribuire ad un altro maestro.
Le scene eseguite dal De Gregorio sono: l’Apparizione di S. Antonio ad un condannato a morte,
S. Antonio tentato dal diavolo e salvato per intercessione della Vergine, il Miracolo della mula, S.
Antonio ridona la vista al cieco eretico, la guarigione miracolosa di una fanciulla ammalata; ad
esse vanno aggiunte le raffigurazioni dei Santi francescani nei tondi in basso e le scene vetero
e neo testamentarie della volta.
Gli affreschi di Balvano, eseguiti probabilmente nel corso degli anni Venti del Seicento, evidenziano la vena narrativa del Pietrafesa unita ad un espressività e icasticità dal sapore quotidiano tutto lucano, ereditata dai Todisco.
L’attività di frescante di Giovanni De Gregorio è tuttavia documentata con la scritta
“Petrafesanus Pingebat 1626” soltanto nella chiesa di S. Giovanni Battista a Satriano di
Lucania, suo paese natale.
Qui, sulla parete dell’arco, egli dipinge i due Santi Giovanni Battista e Luca a figura intera.
In alto, inoltre, trovano posto due angeli reggicorona, i cui colori laccati e brillanti e il dise-
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gno perfetto richiamano opere
eseguite su tela dall’artista lucano nel secondo decennio.
Nel 1627 De Gregorio firma e
data la Deposizione dalla Croce
nella chiesa del convento di S.
Sofia a Castelcivita.
L’opera su tavola si trova nella
chiesa di S. Geltrude, in origine
S. Sofia, annessa all’omonimo
monastero delle Clarisse. Essa è
citata in una visita pastorale del
1698 che descrive la chiesa e
segnala la presenza di una cona
della Pietà, posta sull’altare
Maggiore, ove si trova attualmente.
Sullo sfondo di una vallata che
accoglie una città dalle mura e
dagli edifici turriti, si sviluppa
la composizione che fa perno
attorno all’asse verticale costituito dalla croce. A destra di
questa, la Madonna, accompagnata da altre due donne, adagia Gesù su un candido lenzuoCastelcivita. Chiesa del convento di S. Gertrude (già S. Sofia),
lo; a sinistra, nel mentre un gioDeposizione. (foto S.B.A.S. - Matera)
vane sale su una scala a pioli per
prelevare dalla croce la tunica di Cristo, in basso davanti a due personaggi che commentano
l’accaduto, la Maddalena si accovaccia ai piedi del deposto, mentre un apostolo piange la
morte di Gesù.
Ha l’aria manierista il dipinto che, nella sagoma ignuda di Cristo soprattutto, si ispira alla pittura fiamminga. Il volto e il corpo di Gesù, infatti, sono attraversati da fitte ombreggiature che
ne evidenziano il pallore, la cadavericità, la sensazione di estraneamento.
Invero la tavola presenta l’amalgama di diverse componenti stilistiche, dalla fiamminga alla
realistico-espressivo, eppure il De Gregorio non abbandona mai quello che è il suo sottofondo stilistico e culturale, vale a dire il pietismo devozionale alla Borghese e alla Santafede, misto
in questo dipinto ad un afflato dal sapore popolano.
Nel 1629 Giovanni De Gregorio data e firma l’Incoronazione della Vergine nel convento di S.
Antonio a Tito.
La tela mostra al centro la Madonna, con le mani incrociate sul petto, nell’atto di essere inco-
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Cancellara (Pz). Chiesa dell’Annunziata, affreschi. (foto S.B.A.S. - Matera)
ronata da Gesù, a sinistra, e dall’Eterno Padre, a destra, alla presenza di una coroncina di testine alate sul fondo e di giocosi puttini contorsionisti in basso.
L’immagine di Maria richiama nella postura quella dell’Immacolata di Castelcivita, ma riprende ancor di più modelli di pittura devota desunti dal Santafede e dal Borghese, anche se negli
angioletti del registro inferiore, intenti a compiere bizzarre acrobazie aeree, vedrei un chiaro
riferimento alla maniera decorativa internazionale di stampo fiammingo, di piniana memoria.
A queste opere si aggiungono gli affreschi eseguiti da Pietrafesa nella chiesa della SS.
Annunziata di Cancellara.
Essi si dispongono all’interno di due grandi arcate sulla parete destra della chiesa. La prima
arcata contiene, nella lunetta superiore, la Trinità, e nelle nicchie laterali in basso le SS. Chiara
e Lucia; la seconda arcata racchiude la lunetta con i tre Santi Lorenzo, Stefano e Leonardo
accompagnata dalle SS. Sofia e Maddalena.
Altri tre dipinti non datati, probabilmente eseguiti nel corso del terzo decennio, vengono
attribuiti a Giovanni De Gregorio da Silvano Saccone3. Essi sono tutti d’ambito campano:
l’Assunzione della Vergine nella chiesa dell’Ospedale di Eboli, l’Immacolata Concezione nella
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chiesa dell’ex convento
di S. Antonio a Castelcivita e l’Apparizione
della Vergine a S. Felice
da Cantalice nella chiesa
di S. Antonio sempre a
Castelcivita.
Dei tre solo l’Immacolata apparterrebbe al
Pietrafesa per Anna
Grelle, la quale definisce lavori di bottega
l’Assunzione della Vergine di Eboli e l’Apparizione della Vergine a S.
Felice da Cantalice4.
La tela con l’Assunzione
della Vergine di Eboli è
quasi interamente occupata dalla figura mariana che, in piedi, ascende
Castelcivita. Chiesa di S. Antonio, Apparizione della Vergine a S. Felice da
in cielo circondata da
Cantalice. (foto S.B.A.S. - Matera)
una corona di angeli
musici frammisti a puttini. Nel registro sottotante gli Apostoli, con fare concitato, constatano
l’assenza della Vergine dal sepolcro e alzano gli occhi al cielo ad ammirare il prodigio.
Mentre la scena dell’Assunzione risponde ai canoni manieristici di pietismo devozionale -evidente soprattutto nel volto di Maria- desunti da Borghese, il brano sottostante con gli Apostoli
sembra essere, a mio avviso, più interessante. Vi è in esso un sapore caravaggesco, dato dai forti
bagliori di luce che rischiarano a tratti le figure, oscurandone buona parte, ma anche dalla
drammaticità e quotidianità della scena. Gli Apostoli, lungi dall’essere raffigurati quali personaggi composti e azzimati, nel realismo del loro profilo fisionomico assumono quasi le sembianze di popolani in rivolta.
L’Immacolata nella chiesa dell’ex convento di S. Antonio a Castelcivita, non datata ma probabilmente risalente intorno agli anni Trenta del Seicento, presenta un modulo compositivo che
il pittore riproporrà, con leggerissime varianti, nel polittico di Piaggine del 1633.
Al centro della tela, la figura della Vergine, poggiante sulla mezza luna su un’astratto fondale
luminoso, sul quale corre il nastro con la scritta e la colomba dello Spirito Santo, è circondata da una miriade di puttini in volo recanti gli attributi mariani ed è accompagnata, in basso,
da tre angeli musici. Questi ultimi, gemelli di quelli proposti dal pittore nell’Incoronazione della
Vergine di Anzi, traggono sicuramente ispirazione dall’Immacolata con i SS. Gregorio e Francesco
di Borghese, ora nel Seminario Arcivescovile di Napoli.
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Il secondo è il decennio in cui si intensifica l’influenza naturalistica del Borghese, come abbiamo visto in altre opere dello stesso periodo.
La tavola con l’Apparizione della Vergine a S. Felice da Cantalice, di modeste proporzioni, si
trova nella sagrestia dell’ex convento dei cappuccini di Castelcivita.
Silvano Saccone, dati i caratteri stilistici del dipinto, lo ha inserito nel corpus del Pietrafesa
con una datazione attorno al 1630.
Felice da Cantalice, laico cappuccino del convento di S. Nicola in Roma, visse dal 1515 al
1545 e fu beatificato, per l’assistenza ai poveri, nel 1625.
Ligio all’iconografia tradizionale, Pietrafesa raffigura il Santo caro ai cappuccini, inginocchiato in terra accanto alla sua bisaccia da questuante, nell’atto di accogliere tra le sue braccia Gesù
Bambino, sotto lo sguardo vigile di Maria. Quest’ultima, seduta in trono, indossa abiti dimessi e mostra un sembiante da umile popolana che mette in risalto la semplice naturalezza dei
suoi gesti.
Condotto con pennellate rapide e sintetiche, il dipinto si impone per la fedeltà al dato descrittivo e per l’efficacia narrativa della scena, improntata ad un momento di vita quotidiana più
che ad una sacra apparizione.
NOTE:
1
A. GRELLE IUSCO, Arte in Basilicata. Catalogo della Mostra, 1981, p. 113.
S. SACCONE, Petrafisianus Pingebat. Opere di Giovanni De Gregorio 1608-1653, Catalogo
della mostra di Matera, 1993, p. 54.
3
Cfr. S. SACCONE, 1993, pp. 60-65.
4
A. GRELLE IUSCO, Arte in Basilicata. Catalogo della Mostra. Aggiornamenti all’edizione
del 1981, 2001, p. 306.
2
BIBLIOGRAFIA:
A. GRELLE IUSCO, Arte in Basilicata. Catalogo della Mostra, 1981, p. 113;
N. BARBONE PUGLIESE, Giovanni De Gregorio, detto il Pietrafesa, in AA.VV., Opere d’arte restaurate a Matera 1982/83, Catalogo della Mostra, Matera, 1985, pp. 24-34;
S. SACCONE, in AA.VV. Il Cilento ritrovato. La produzione artistica nell’antica diocesi di
Capaccio. Catalogo della Mostra di Padula, 1990, pp. 147-149 e 152-155;
P. L. DE CASTRIS, La pittura del Cinquecento a Napoli 1573-1606, Napoli, 1991;
S. SACCONE, Petrafisianus pingebat. Opere di Giovanni de Gregorio, 1608-1653. Catalogo
della Mostra di Maratea, 1993;
A. GRELLE IUSCO, Arte in Basilicata. Catalogo della Mostra. Aggiornamenti all’edizione del
1981, 2001, pp. 303-306.
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