GANESHA E PANTALONE - Teatro Stabile di Genova

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ANNO VII | NUMERO 24 | NOVEMBRE | DICEMBRE 2007
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La famiglia dell’antiquario La famiglia dell’antiquario India
Enrica Salvaneschi
Lluís Pasqual
Alberto Beniscelli
Peter Brook e l’India
Registi stranieri
Stabile in tournée
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8
India
Mara Baronti
Alfonso Santagata
Spettacoli Ospiti
Esercitazione
Il castello
Hellzapoppin
Programma
Rencontre ECUME
La famiglia dell’antiquario
Rassegna stampa
Italia e Spagna
«La famiglia dell’antiquario» e i miti dell’«India» inaugurano la produzione del Teatro Stabile di Genova
GANESHA E PANTALONE
I due spettacoli di nuova
produzione del Teatro Stabile di Genova che proponiamo al pubblico in apertura di stagione, cioè La famiglia dell’antiquario di Carlo Goldoni e India di Mara
Baronti, racchiudono in sé
entrambi una delle caratteristiche del nostro lavoro: la
scoperta del nuovo, del contemporaneo, nel classico.
Il primo spettacolo, prodotto dai Teatri Stabili di Genova e del Veneto, le due
città più legate alla vita e
al lavoro di Carlo Goldoni,
è presentato anche come
contributo alla celebrazione del trecentesimo anniversario della nascita del
drammaturgo la cui genialità creativa ha dato vita a
personaggi e caratteri che
hanno aperto in Italia la
strada del teatro moderno.
Il Teatro Stabile di Genova
presenta, con questa Famiglia dell’antiquario interpretata da attori del calibro di
Eros Pagni, Virgilio Zernitz, Anita Bartolucci, Gaia Aprea, il dodicesimo
Goldoni della sua storia,
un autore di cui negli anni
Sessanta e Settanta hanno
contribuito all’affermazione in Italia e in Europa le regie “storiche” di
Luigi Squarzina.
Questa volta, proseguendo
su una linea di lavoro in
atto da molti anni, lo Stabile ne ha affidato la regia a
un maestro della scena europea, il catalano Lluís Pasqual, nono regista straniero a collaborare con il nostro teatro. Grazie al suo intelligente e discreto intervento di attualizzazione, Pasqual ha mostrato come i
personaggi e la vicenda de
La famiglia dell’antiquario ne
facciano una divertentissima opera “nostra contemporanea”. Con questo spettacolo, oltre che in una lunga tournée italiana, il Teatro Stabile di Genova torna ad essere protagonista
anche nei grandi festival
internazionali fra cui Barcellona, Madrid e Bogotà.
Carlo Repetti
(continua a pagina 8)
ALLA CORTE, EROS PAGNI TORNA A GOLDONI
AL DUSE, NEL PAESE DEGLI DEI
India novità italiana di e con Mara Baronti, che sarà sul palcoscenico
del Duse - in prima nazionale - dal 20 novembre al 2 dicembre, racconta un popolo e la sua cultura non solo dal punto di vista della Storia
(«i cui accadimenti sono come la sabbia mossa dal vento»), ma soprattutto da quello del Mito («che rinvia alle cicliche interferenze del sovrumano nel mondo temporale»). E lo fa sintetizzando diversi livelli
di teatralità: narrazione, musica, danza, canto e immagini video.
India è uno spettacolo che nasce dall’incontro dei Teatri Stabili di
due città mediterranee, Genova e Napoli, e trova la propria anima
nelle virtù affabulatorie di Mara Baronti: attrice e autrice da sempre
innamorata conoscitrice dell’India e della sua cultura, curiosa e
instancabile lettrice dei grandi poemi di quella tradizione, dal Mahabharata al Kalika Purana, al Ramajana e molti altri ancora. Per
la regia di Alfonso Santagata - uno dei più significativi punti di riferimento del teatro italiano di ricerca - accanto a Mara Baronti sono Cristina Alioto e Patrizia Belardi (canto, movimenti, percussioni, fiati) e i
suoni live-electronic di Francesco Menconi. Scene, costumi e immagini di Beatrice Meoni e luci di Sandro Sussi. «L’India è il paese dove gli
Dei esistono ancora: concreti, reali, oggi», è stato scritto. E, mescolando la tradizione con illuminanti sguardi sulla realtà contemporanea,
la Baronti fa convivere i grandi miti classici con i racconti orali di amici indiani, sortendone un originale dialogo tra la visione alta della vita
di un popolo antico, con i colori, i suoni e i sapori della quotidianità.
Eros Pagni e Virgilio Zernitz in una scena di La famiglia dell’antiquario di Carlo Goldoni (foto di Josep Ros Ribas)
La stagione di produzione dello Stabile di
Genova s’inaugura martedì 13 novembre sul
palcoscenico del Teatro della Corte con La
famiglia dell’antiquario, protagonista Eros
Pagni. Repliche sino a domenica 25 novembre. Con questo spettacolo nato dalla rinnovata collaborazione con lo Stabile del Veneto
e presentato in anteprima - con esiti trionfali - alla Biennale di Venezia e al Festival di
Barcellona nell’ambito delle celebrazioni del
terzo centenario della nascita di Carlo
Goldoni, lo Stabile genovese torna per la dodicesima volta al teatro del drammaturgo
veneziano alla riscoperta della cui modernità
ebbe occasione di dare un grande contributo
negli anni Sessanta e Settanta con spettacoli
quali I due gemelli veneziani, Una della
ultime sere di Carnovale, I rusteghi, La
casa nova. Affidando la messa in scena di
La famiglia dell’antiquario al catalano
Lluís Pasqual, lo Stabile ha inteso proseguire
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l’abbonato può fissare il proprio posto
(fino a 24 ore prima della rappresentazione scelta) e poi ritirare il suo biglietto la
sera stessa dello spettacolo (dalle 19.30
alle 20.10 o per le pomeridiane dalle 15.00
alla 15.40) presentando l’abbonamento
alla cassa del Teatro.
lungo il percorso che lo ha già visto collaborare con alcuni tra i maggiori registi del teatro europeo, quali Terry Hands e William
Gaskill, Otomar Krejca e Benno Besson, sino
a Matthias Langhoff. Rappresentata per la
prima volta durante il carnevale del 1750, La
famiglia dell’antiquario è la sesta delle
sedici commedie nuove che Carlo Goldoni
progettò e realizzò in un solo anno, dopo il
successo della Vedova scaltra con la quale
aveva avviata la sua famosa riforma teatrale,
incentrata sulla sintesi tra Teatro e Mondo.
Accanto a Eros Pagni, nel ruolo di Pantalone,
sono Virgilio Zernitz (l’antiquario del titolo),
Anita Bartolucci (sua moglie), Gaia Aprea
(Doralice, sua nuora), Aldo Ottobrino (Giacinto, suo figlio) e Paolo Serra, Enzo Turrin,
Nunzia Greco, Piergiorgio Fasolo, Giovanni
Calò, Massimo Cagnina. Scene di Ezio Frigerio, costumi di Franca Squarciapino, musiche
di An tonio Di Pofi e luci di Sandro Sussi.
Mara Baronti con Patrizia Belardi durante le prove di India (foto di Enrico Buselli)
V I A G G I O N E L L A V I TA L I T À D E L T E AT R O I TA L I A N O
Conferme e novità negli spettacoli ospiti sui palcoscenici della Corte e del Duse
Il meglio dell’attuale scena italiana è protagonista sino a maggio del cartellone di
ospitalità dello Stabile di Genova, alla
Corte e al Duse. Autori classici (da Sofocle, Shakespeare, Molière e Goldoni a
Schiller, Dostoevskij, Cechov e Pirandello)
e contemporanei (alcuni già noti come
Ionesco o Fassbinder e altri che saranno
una rivelazione per molti). Spettacoli di
tradizione e di ricerca. Grandi interpreti e
celebri registi. Allestimenti che pongono
al centro la recitazione e altri che puntano sul fascino della scrittura scenica.
Accanto a molti spettacoli con protagonisti attori della nuova generazione teatrale - The Changeling (Gli incostanti) con la
compagnia giovani dello Stabile di
Torino, Riccardo III con Jurij Ferrini o Antigone con Nicola Pannelli, Roma ore 11
scritto per il cinema da Elio Petri, La scelta del mazziere del contemporaneo inglese Patrick Marber o Il pergolato dei tigli
dell’irlandese Conor McPherson - ci sono
poi in cartellone molti dei protagonisti
dell’odierna scena italiana: Lina Sastri è
Elettra, Paola Mannoni e Ludovica Modugno, da una parte, e Anna Bonaiuto e Frédérique Loliée, dall’altra, si fronteggiano
rispettivamente in L’una e l’altra di Strauss e in Maria Stuart di Schiller, mentre
Sebastiano Lo Monaco è Otello, Paolo Bonacelli fa rivivere la tragedia di Aldo Moro
e Maurizio Donadoni indossa il pirandelliano Enrico IV. Da parte sua, Alessandro
Gassman torna al teatro per dirigere e
interpretare La parola ai giurati; mentre
Carlo Cecchi e Valerio Binasco sono i protagonisti di Tartufo di Molière, Leo
Gullotta lascia il piccolo schermo per
essere il protagonista di L’uomo, la bestia
e la virtù, Gabriele Lavia torna all’amato
Dostoevskij con Memorie dal sottosuolo e
Stefano Accorsi ha scelto un testo contemporaneo statunitense, premio Pulitzer 2005 (Il dubbio), per valorizzare
anche a teatro il suo fascino attoriale.
Nell’arco della stagione, lo Stabile rende
omaggio al tricentenario della nascita di
Carlo Goldoni, oltre che con La famiglia
dell’antiquario, anche con Il teatro comico
interpretato da Patrizia Milani e Carlo
Simoni; ospita alcuni allestimenti teatrali di testi resi celebri dal cinema: oltre i
già citati Roma ore 11 e La parola ai giurati, ci sono La guerra dei Roses con
Zanetti e Lattuada e Le lacrime amare di
Petra von Kant con Laura Marinoni. Molto
nutrita è, ancora una volta, la presenza di
testi di autori contemporanei italiani:
Shakespea Re di Napoli di Cappuccio con
Lello Arena, L’odore assordante del bianco
di Massini, Un banale incidente con
Massimo De Rossi e Lo scavalcamontagne
con Camillo Milli.
(vedi pagina 6)
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2 l La famiglia dell’antiquario
«I due libri su’ quali ho più meditato,
«Osservate che non ho lasciato le Maschere
«Il fatto è che l’Antiquario parla anzitutto
«Un’opera leggera come il fumo e delicata come
e di cui non mi pentirò mai di essermi servito,
in libertà, ma dove ho creduto doverle introdurre,
di un disagio “familiare”,
una ragnatela. Siamo noi che osserviamo Goldoni
furono il Mondo e il Teatro».
le ho legate a parte studiata».
esistenziale ed economico insieme».
o è lui che ci guarda malizioso e sorridente?».
CARLO GOLDONI
CARLO GOLDONI
ALBERTO BENISCELLI
LLUÍS PASQUAL
Goldoni e la società che cambia
L ’ a r i s t o c r a z i a
Quando Goldoni mette in
scena al Sant’Angelo di Venezia La famiglia dell’antiquario, nel carnevale del
1750, è al secondo anno della sua «riforma» teatrale. All’interno di un percorso che
si propone di risistemare la
grande tradizione scenica
secondo una prospettiva attenta ai “caratteri” più che
alle tipizzazioni e rispettosa
dei dati della realtà che li
incornicia, la commedia segna un ulteriore avanzamento, nel senso almeno di un
esplicito richiamo alle norme
di un teatro classicamente
ristabilito. La più avvertita
critica contemporanea ha
ripensato l’assunto dell’autorevole critica di ieri, che sottolineava con forza la misura
ideologica delle opere degli
anni 1748-1750, quelle incentrate, come è anche La
famiglia dell’antiquario,
sulla figura “progressiva” del
mercante, Pantalone, rappresentativo della sanità dei
Gaia Aprea e Aldo Ottobrino
costumi veneziani e diretto
portavoce del punto di vista
autoriale. Oggi si preferisce
piuttosto insistere da un lato
sulla teatralità delle offerte e
dall’altro su una prospettiva
d’indagine sociale più problematica, raggiunta con gli
strumenti che appartengono
al teatro “teatrale” e tale da
illuminare di luce diversa le
immancabili tirate pantalo-
s i
p e r d e
nesche, di fattura moralistica. Il fatto è che l’Antiquario parla anzitutto di un
disagio “familiare”, esistenziale ed economico insieme.
Le finanze sono ormai ridotte a poca cosa per l’incuria
del Conte Anselmo, il capofamiglia, come le anticaglie
senza alcun valore che colleziona. Accanto ai protagonisti “impazziti”, nella casa si
muovono figure oblique: Brighella, che imbroglia il padrone con la complicità di
Arlecchino travestito da venditore armeno, Colombina,
che tradisce una dopo l’altra
le protettrici, come faranno i
cicisbei. Gli accadimenti si
snodano attraverso le maldicenze dei personaggi intermedi e corruttibili - Colombina, soprattutto - che alimentano le incomprensioni
tra le protagoniste, amplificando gli effetti delle provocazioni. Ma non per questo il
dato sperimentale viene meno. A proposito, il risultato
forse più significativo è evidente nei quadri conclusivi
del secondo atto, ricomponibili in una sorta di unica
sequenza. Anselmo e Pantalone sono al centro del palcoscenico, intenzionati a pacificare gli animi. Da una parte
entrano Isabella e il Dottore.
Anselmo si rivolge alla moglie, che rifiuta i suoi consigli. Nel frattempo, dall’altra
parte, arrivano Doralice e il
Cavaliere. Per la distrazione
in cui ripiomba l’Antiquario,
tocca a Pantalone chiedere
alla figlia di placarsi. Niente
da fare anche in questo caso.
Interviene infine Giacinto,
nelle vesti di figlio e sposo, e
gli viene impedito di parlare.
Il secondo atto si chiude così
con un nulla di fatto, che ridà
spazio agli alterchi e alle
impuntature. Si tratta certo
di un momento di forte resa
teatrale, realizzato attraverso un uso scaltrito degli a
parte e dei movimenti in
scena dei molti personaggi,
n e l l e
a n t i c a g l i e
novembre | dicembre 2007
Mandragola che - dopo Cesena, Trento e
Gallarate - è dal 6 al 18 novembre a
Roma, per raggiungere poi Perugia (dal
20 al 25 novembre), Fabriano (27 e 28
novembre), Ancona (dal 29 novembre al
2 dicembre), Padova (dal 4 al 9 dicembre), Bressanone (11 e 12 dicembre) e
Bolzano (dal 13 al 16 dicembre). Molto
intensa è anche la tournée di La famiglia
dell’antiquario che - giunta a Genova
dopo i calorosi successi ottenuti sui palcoscenici di Milano, Stradella, Udine e
Venezia - sarà prossimamente a Brescia
(dal 28 novembre al 2 dicembre), Mestre
(dal 5 al 9 dicembre), Padova (dall’11 al
16 dicembre), Monfalcone (il 17 e 18
dicembre) e Varese (il 20 e 21 dicem-
i l
p o t e r e
p a s s a
E r o s Pa g n i , A n i t a B a r t o l u c c i , E n z o Tu r r i n , A l d o O t t o b r i n o , Vi r g i l i o Z e r n i t z , G a i a A p r e a , Pa o l o S e r r a
che avrà un efficace prolungamento nella grande scena
sesta del terzo atto con la
moltiplicazione degli spazi
teatrali fuori vista, corrispondenti agli appartamenti delle
due dame, e il fallimento
delle trattative di pace affidate ai cavalier serventi. Ma
la conclusione del secondo
atto rappresenta bene, come
una sorta di mise en âbime,
la struttura dell’intera commedia. Anzitutto per gli spostamenti riguardanti i ruoli
principali. Nei testi che stavano approfondendo la figura e il peso del «padre di
Nunzia Greco e Anita Bar tolucci
Lo Stabile in tournée
Il Teatro Stabile di Genova sarà in tournée nel 2007 / 2008 con due spettacoli
prodotti nella scorsa stagione (Mandragola e Svet - La luce splende nelle
tenebre) e con la novità La famiglia dell’antiquario; mentre Mariangela Melato
continua con Sola me ne vo... il suo trionfale giro per l’Italia. La prima compagnia
a mettersi in viaggio è stata quella di
e
bre), per proseguire il suo giro per l’Italia
anche a gennaio - Cesena (dal 9 al 13),
Verona (dal 15 al 20) e Palermo (dal
23 al 3 febbraio) - ed essere, dopo Madrid (dal 20 al 23 dicembre), a Bogotà
dal 19 al 23 marzo. Mentre Svet tornerà
a vivere dal 15 febbraio, iniziando a
Savona una tournée che si protrarrà sino alla fine di aprile, Mariangela Melato
famiglia», Pantalone occupava come titolare l’intero spazio previsto. Qui invece Pantalone è costretto a confrontarsi da vicino con Anselmo,
personaggio non solo di
grande caratura scenica ma
anche anticipatore degli
stralunati protagonisti delle
commedie più avanzate, i
capifamiglia dei grandi testi
di «villeggiatura» che dissipano affetti e sostanze per
correre dietro a illusioni e
fantasie. A contatto con l’Antiquario, anche Pantalone
sembra essere colpito dagli
effetti della “malattia”: «Anca a mi me xe vegnù el catarro della nobiltà. Ho speso
vintimille scudi. Ma cossa
oggio fatto? Ho buttà i bezzi
in canal, e ho negà la putta».
È solo un cedimento provvisorio. Ma quando manovra
con attenzione, non riesce a
farsi ascoltare dal conte
Anselmo. Dopo essere stato
bene istruito - «che dite, mi
sono portato bene?» - quest’ultimo lo abbandona, nella
citata scena conclusiva del
secondo atto. E la voglia di
Pantalone è quella di mandare tutti al diavolo: «Voleu che
ha già iniziato da ottobre la ripresa
di Sola me ne vo... Dopo di essere stato
a Ferrara, Udine, Alessandria e Torino,
lo spettacolo è quasi tutto novembre
al Sistina di Roma (ultima replica domenica 25), per andare poi prima della
fine dell’anno (ma la tournée terminerà
solo alla metà di marzo) anche a
Poggibonsi, Firenze, Pescara e Palermo.
ve la diga? Sé una chebba de
matti. Destrighevela tra de
vualtri, e chi ha la rogna, se
la gratta». Bisognerà attendere lo zio Bernardino della
Trilogia della Villeggiatura
per vedere sulle scene goldoniane un “patriarca” che saluta e se ne va per davvero,
rifiutando senza pentimenti
l’aiuto necessario alla salvezza della famiglia. Il buon mercante dell’Antiquario deve
ancora assumere le responsabilità che gli competono:
«El lassa che vaga in desordene la ca sa, senza ab ba darghe. Ma se nol ghe bada
a
P a n t a l o n e
lu, ghe baderò mi». Nell’atto
terzo farà firmare ad
Anselmo una carta con cui si
autonomina «arbitro del
manizo e dell’economia della
casa». Nel momento in cui
scatta il meccanismo “processuale” del «giudizio», come già era accaduto nell’Uomo prudente e nel Padre di famiglia, il giudice è
lui, perché Anselmo ha abbandonato l’“aula”: sarà Pantalone a emettere la «sentenza», che condanna le protagoniste a far pace e allontana di
casa Colombina. Ma la situazione è ormai minata. Sulla
Famiglia dell’antiquario
grava l’ipoteca del finale
incrinato. La “morale” pantalonesca risuona nella lettura
del dispositivo della pena.
Ma chi la pronuncia sa che
essa avrà poco ascolto: «Orsù, vedo che xe impossibile
de far che le se abbrazza, che
le se basa, che le se pacifica». In fondo l’Antiquario non
si era sbagliato quando, manifestando una più acuta conoscenza dell’universo “femminile”, aveva contrapposto
alla proverbialità del mercante un altro motto:«Ognun
dal canto suo cura si prenda»;
e quando, nell’assecondare
l’amico - «che dite, mi sono
portato bene?» - non aveva
nascosto al pubblico l’impegno richiestogli dalla recita:
«Ho fatto una fatica terribile».
Alberto Beniscelli
Suocera e Nuora fra Tea t
In questa commedia non ho
fatto che scrivere la parte del
Brighella e dell’Arlecchino, li
quali furono da me prima
lasciati in libertà, acciocché si
sfogassero questi due personaggi, malcontenti forse di me,
siccome io non di essi, ma
delle loro maschere, non son
contento. Osservate però che
dopo il primo e secondo atto
non ho lasciato le Maschere in
libertà, ma dove ho creduto
doverle introdurre, le ho legate a parte studiata, mentre ho
veduto per esperienza che il
personaggio talora pensa più a
se medesimo che alla commedia; e pur che gli riesca di far
ridere, non esamina se quanto
dice convenga al suo carattere
e alle sue circostanze; e sovente, senza avvedersene, imbroglia la Scena e precipita la
Commedia. Circa il titolo della
Commedia, io l’ho intitolata in
due maniere, cioè: La famiglia dell’antiquario, o sia
La Suocera e la Nuora, lo
stesso trovandosi in quasi
tutte le Commedie di Molier
(sic) e in altre d’antichi Autori. I due titoli mi pare che
convengano perfettamente.
La Suocera e la Nuora sono le
due persone che formano l’azione principale della Commedia; e l’Antiquario, capo di
casa, per ragione del suo fanatismo per le antichità, non
badando agl’interessi della famiglia, non accorgendosi de’
disordini, e non prendendosi
cura di correggere a tempo la
Moglie e la Nuora, dà adito alle
loro pazzie e alle loro dissensioni perpetue, onde e nell’una
e nell’altra maniera la Commedia può essere intitolata.
Aggiungerò soltanto aver io
rilevato che alcuni giudicano la
presente Commedia terminar
male, perché non seguendo
alcuna pacificazione fra Suo-
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La famiglia dell’antiquario l 3
C ONVERSAZIONE
CON IL CATALANO
L LUÍS PASQUAL ,
REGISTA DELLO SPETTACOLO IN SCENA ALLA
C ORTE
Lluís Pasqual con Eros Pagni e Virgilio Zernitz durante le prove dello spettacolo
Come è nato l’incontro con
La famiglia dell’antiquario?
Con Luca De Fusco e Carlo
Repetti cercavamo un testo
che andasse bene per una
compagnia nata dalla collaborazione dello Stabile del Veneto e di quello di Genova.
Quando mi è capitato di rileggere La famiglia dell’antiquario il gioco era fatto.
Qual è il tuo rapporto con
Goldoni?
Lo amo in maniera irrazionale, come amo l’Italia. Mi piace
la lingua, mi piace la storia,
mi piacciono l’arte e le persone. Sono trent’anni ormai che
vengo in Italia. Goldoni ho
iniziato a conoscerlo, come
molti altri in Europa, vedendo l’Arlecchino di Strehler, a
Barcellona. Poi, ho cominciato a leggerlo: dapprima in
spagnolo, poi in francese (i
Memoires), quindi anche in
a tro e Mondo
cera e Nuora, manca, secondo
loro, il fine della morale istruttiva, che dovrebbe essere, nel
caso nostro, d’insegnar agli
uomini a pacificare queste
due persone, per ordinario
nemiche. Ma io rispondo, che
quanto facile mi sarebbe stato
il renderle sulla scena pacificate, altrettanto sarebbe impossibile dar ad intendere agli
Uditori che fosse per essere la
loro pacificazione durevole; e
desiderando io di preferire la
verità disaggradevole ad una
deliziosa immaginazione, ho
voluto dar un esempio della
costanza femminile nell’odio.
Ciò però non sarà senza profitto di chi si trovasse nel caso.
I Capi di famiglia si specchieranno nell’Antiquario, e trovandosi disattenti alle case
loro, se non per ragione della
Galleria, per qualche altra, o
di conversazione, o di giuoco,
potranno rimediare per tempo
alle discordie domestiche, alle
pretensioni delle donne, e
soprattutto ai rapporti maligni
della servitù.
Carlo Goldoni
(L’AUTORE A CHI LEGGE)
italiano. Mi sono innamorato
di lui come ci si può innamorare di Mozart. Per me che
sono spagnolo e cresciuto in
una cultura con un forte
senso della morte, Goldoni è
apparso come il fratello che
avrei sempre voluto avere: un
autore luminoso, capace come Cechov o Shakespeare di
guardare le persone con un
sorriso, capace di andare
verso la luce, sempre capace
di parlare con leggerezza, ma
in modo profondo, del mondo. Me ne sono accorto sin
dalla mia prima messa in
scena di un’opera di Goldoni
(Una delle ultime sere di
Carnovale): i suoi testi sono
uno spartito dei sentimenti,
non richiedono tanto un regista e degli attori, quanto solo
degli interpreti: bisogna saper ascoltare il testo e sentirlo respirare, riuscire a restituire al pubblico il respiro di
Goldoni. Il segreto è tutto lì.
Cosa racconta La famiglia
dell’antiquario?
È un testo fatto di niente, che
vince la scommessa di fare
una grande commedia con un
argomento esile quale la lite
tra una suocera e una nuora.
In Goldoni, però, tutto si trasforma in una magica ragnatela che, sospesa tra Le
nozze di Figaro e Il giardino dei ciliegi, racconta con
leggerezza un mondo crepuscolare, nel quale Pantalone
si assume infine il compito di
mettere un po’ d’ordine.
L’azione si svolge a Palermo,
ma è evidente che Goldoni
pensa a Venezia.
La famiglia dell’antiquario è
una commedia in due lingue: italiano e veneziano.
Goldoni ha scelto di ambientare la sua storia a Palermo
per non far arrabbiare i suoi
concittadini, ma la commedia
resta molto veneziana, anche
se ormai già quasi tutta nell’ambito della sua celebre Riforma, e quindi capace di sintetizzare il Teatro e il Mondo.
Questa novità la si sente innanzitutto nella lingua usata
che all’inizio è il veneto per le
Maschere e l’italiano per gli
altri personaggi, ma poi, lentamente accade che questa
differenza linguistica tenda a
sparire per lasciare il posto a
un nuovo mondo teatrale
dove le Maschere della Commedia dell’Arte perdono le loro connotazioni tradizionali.
Lo spettacolo sembra voler
proprio sottolineare questa
prospettiva del testo, facendolo affacciare sempre più
sul futuro.
C’è all’interno della scrittura
e dei personaggi di Goldoni
un divenire che il nostro
spettacolo tende, pur con
discrezione, a evidenziare sul
piano visivo: con quel muro
che gira dando vita alle singole scene caratterizzate da
progressivo spostamento temporale e creando uno spazio
sempre diverso, ma in fin dei
conti sempre uguale. Dai
tempi di Goldoni, di fatto,
non mi sembra che siano
cambiate molte cose in Italia.
La nostra commedia scivola
nel tempo sino ai nostri giorni. Ma senza forzature. Non
si tratta di un’ambientazione
in diverse epoche, ma solo di
un lento scorrere degli anni
affidato essenzialmente ai
bellissimi costumi di Franca
Squarciapino.
In che modo nello spettacolo agisce lo scontro tra le
diverse classi sociali?
Ogni cosa è sempre vista nel
segno della comicità. Goldoni
non sottolinea mai nulla di
ideologico: fa tutto con legge-
rezza e semplicità. Se la popolana Colombina diventa il
capro espiatorio sia della borghesia che dell’aristocrazia, ci
sono poi i servi Brighella e
Arlecchino che quelle classi
dominanti cercano solo di
sfruttare. Il Conte Anselmo è
progioniero delle proprie ossessioni, ma Goldoni, pur criticandolo, alla fine lo giustifica:
è un uomo-bambino che non
ha mai smesso di giocare, perché non dovrebbe essere così
la vita? Alle prese con lui, il
borghese Pantalone è costretto lentamente ad acquisire il
potere: forse contro la propria
volontà, ma certo alla fine il
potere gli appartiene interamente. Qualcuno potrà forse
vedere in questo Pantalone un
nostro contemporaneo; ma io
non ho cambiato nulla, è tutto
scritto da Goldoni.
E la suocera e la nuora?
Sono due donne che appartengono a classi e a età diverse, ma che in fin dei conti
sono molto simili: credo che
invecchiando Doralice diventerà sempre più simile alla
contessa Isabella. Si capisce
che Pantalone ha mandato la
figlia a studiare nei migliori
collegi, dove ha imparato non
solo l’italiano, ma anche la
sottile arte di non far vedere i
propri sentimenti. Il padre è
un uomo che si è fatto dal
niente, anche se non privo di
una certa sensibilità culturale
(sa scegliere un regalo prezioso, ha imparato il greco, si
capisce che ha letto qualche
libro ed è andato in qualche
museo); mentre Doralice
appartiene a una generazione
già educata a esercitare soprattutto il potere. In mezzo
sta il contino Giacinto, che è
un misto tra il padre e la madre: è pigro, probabilmente
gli piace leggere, non ha mai
lavorato e mai ha pensato di
farlo, tenta di fare il marito
anche se non è nella sua natura. È un personaggio ricco
e complesso: Goldoni gli ha
dato poche battute, ma in
compenso lo ha molto ben
definito. Mi piace molto.
(a cura di Aldo Viganò)
Carlo Goldoni
UNA PROFONDA LEGGEREZZA
La famiglia dell’antiquario
PRODUZIONI 2007 I 2008
TEATRO STABILE
DEL VENETO
CARLO GOLDONI
Con il sostegno de La Biennale di Venezia
spettacolo prodotto nell’ambito delle celebrazioni del terzo centenario della nascita di
PERSONAGGI E INTERPRETI
Il Conte Anselmo Terrazzani
Brighella
La Contessa Isabella
Doralice, figlia di Pantalone
Il Conte Giacinto
Colombina
Il Dottor Anselmi
Il Cavaliere del Bosco
Arlecchino
Pantalone De’ Bisognosi
Pancrazio
Virgilio Zernitz
Piergiorgio Fasolo
Anita Bartolucci
Gaia Aprea
Aldo Ottobrino
Nunzia Greco
Enzo Turrin
Paolo Serra
Giovanni Calò
Eros Pagni
Massimo Cagnina
regia
scene
costumi
musiche
luci
Lluís Pasqual
Ezio Frigerio
Franca Squarciapino
Antonio Di Pofi
Sandro Sussi
regista assistente
assistente ai costumi
assistente volontaria alla regia
assistente volontario alle scene
suggeritrice
direttore di scena
capo elettricista
primo macchinista
fonico
attrezzista
capo sarta
sarta
parrucchiera
amministratore di compagnia
scena realizzata da
elementi scenografici
costumi
parrucche
calzature
attrezzeria
materiale elettrico
ufficio stampa
segretaria di produzione
fotografie di scena
organizzazione
Alessandro Maggi
Francesca Petrocco
Alice Bragato
Giuliano Spinelli
Sabina Tutone
Bruno Brighetti
Marco Giorcelli
Pier Carlo Mauri
Edoardo Ambrosio
Antonio Paguni
Lauretta Salvagnin
Mariangela Cerruti
Barbara Petrolati
Alessandro Vadilonga
Spazio Scenico
Delfini group
Farani Sartoria Teatrale
Audello
Pompei
Rancati
Glaux srl
Studio Systema
Cristina Carlini
Josep Ros Ribas
Vittorio Esposito
Teatro della Corte
D A
sostenitore
M A R T E D Ì
1 3
A
D O M E N I C A
2 5
N O V E M B R E
2 0 0 7
con il contributo di
Lluís Pasqual: un talento internazionale
Nato a Reus (Tarragona) nel 1951, Lluís Pasqual debutta giovanissimo nella regia teatrale al tempo in cui sta completando gli studi di
Lettere e Filosofia. Nel 1976, fonda a Barcellona il Teatre Lliure, al
quale è strettamente legata la sua prima produzione, che spazia
dalla drammaturgia novecentesca - Cechov, Genet, Beckett - ai classici: Marlowe, Büchner, Calderòn de la Barca e Goldoni. Nominato nel
1983 direttore del Centro Drammatico Nazionale-Teatro Maria
Guerrero di Madrid, s’impone definitivamente come regista di fama
internazionale con gli allestimenti di alcune opere di Federico Garcia
Lorca. Chiamato a dirigere l’Odéon a Parigi, rimane in carica sei anni
(1990-1996). Nel 1995, è nominato anche direttore della Biennale di
Teatro di Venezia. Nel 1996 è insignito della Legion d’honneur.
Tornato in patria, guida a Barcellona il Progetto Città del Teatro
(1997-1999) e torna a dirigere (1998-2000) il Teatre Lliure. Dal 1981,
Pasqual è anche regista d’opera nei maggiori teatri europei.
REGISTI
STRANIERI ALLO STABILE
La presenza di Lluís Pasqual ultima tappa di un lungo tragitto
I rapporti internazionali
del Teatro Stabile di Genova hanno dato origine
sin dagli anni Cinquanta a
numerosi viaggi dei suoi
spettacoli: dall’America
Latina alla Russia, dagli OTOMAR KREJCA
Stati Uniti a tutti i principali paesi europei, ultimo dei quali la Spagna, dove
proprio La famiglia dell’antiquario è
stato presentato l’estate scorsa al Festival di Barcellona. Inoltre sui palcoscenici del Teatro Stabile di Genova
hanno più volte lavorato, come accade
ora con Lluís Pasqual, alcuni dei maggiori registi stranieri, a cominciare da-
gli inglesi Terry
Hands e William
Gaskill che nella
stagione 1981/82
dirigono a Genova, rispettivamente, Donne attente BENNO BESSON
alle donne di Thomas Middleton e Pericle,
principe di Tiro di William Shakespeare.
Due stagioni dopo, lo Stabile inizia la collaborazione con Otomar Krejca, dapprima
per Le tre sorelle di Anton Cechov (1983
/84), poi anche per Terra sconosciuta di
Arthur Schnitzler (1984/85) e La contessina Julie di August Strindberg (1985/86).
Del 1989 è il Tito Andronico di Shakespeare
Serreau (1993), Hamlet di
con la regia di
Shakespeare (1994), Io di
Peter Stein, preLabiche (1996), Il Tartufo
ceduto da un pridi Molière (2000), L’amore
mo rapporto con
delle tre melarance di Gozl’argentino Alfrezi / Sanguineti (2001) e Il
do Arias per Il
cerchio di gesso del Cauventaglio di Gol- MATTHIAS L ANGHOFF
doni (1988), cui fanno seguito La dame de caso di Brecht (2003). Del 2001 è la
chez Maxim di Feydeau (1997), Pene di presenza a Genova del polacco Jerzy
cuore di una gatta francese (2000) e il ditti- Stuhr per dirigere I reverendi di Mrozek,
co di Copi Il frigo e La donna seduta (2000). e nello stesso anno prende il via la colCon l’apertura del Teatro della Corte nel laborazione con Matthias Langhoff che
1991, inizia il lungo sodalizio con Benno porta alla realizzazione di L’ispettore
Besson che per lo Stabile firma la regia di generale di Gogol’ (2001), Filottete di
Mille franchi di ricompensa di Victor Hugo Heiner Müller (2003) e Lotta di negro
(1991), Tuttosà e Chebestia di Coline e cani di Jean-Marie Koltès (2003).
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4 l India
IL PATRIMONIO E LE TRADIZIONI DEL POPOLO INDIANO RIVIVONO NEI RACCONTI TEATRALI DI UNA A
Uomini e Dei secondo Mara Baronti,
È sicuramente coraggiosa un’iniziativa, che, con voluto tocco
di esotismo, porta in scena tasselli del patrimonio mitico dell’India antica, non senza echi
nel mondo moderno e nell’attualità. Non come specialista in
materia, ma quale sporadica
dilettante e frequentatrice di
alcuni testi indiani, sul superstite ricordo di scarni rudimenti
linguistico-letterari, credo di
poter affermare che l’autrice ha
operato una scelta vasta e vivace in un arco poderoso di tempo: dai Veda, che si fanno risalire, attraverso la tradizione
orale, fin circa alla metà del II
millennio a.C., si arriva fino al
«INDIA» E GLI ELEFANTI
Secondo un’antica leggenda,
un tempo gli elefanti volavano
e potevano cambiar forma a
loro piacimento, come le nuvole. Un giorno un branco di elefanti si poggiò sul ramo enorme di un albero prodigioso sotto
al quale un asceta stava
ammaestrando i suoi discepoli.
Forse anche loro volevano
ascoltarlo e istruirsi nelle cose
dello spirito. Ora gli asceti
sono quasi tutti dei sant’uomini, è vero, ma bisogna
avvicinarli con circospezione
soprattutto se sono anche dei
sacerdoti brahmani perché
spesso, a causa della dura
disciplina e delle restrizioni
che si impongono, sono
irritabilissimi e per lo stesso
motivo anche dotati di grandi
poteri. Le loro maledizioni
fanno soffrire come tizzoni o
ami torturanti conficcati in
gola. CRASH! Il ramo
su cui stavano appollaiati gli
elefanti si ruppe e cadde
uccidendo alcune persone.
Gli elefanti non si fecero alcun
male: rimasero sospesi
a mezz’aria poi presero il volo
e andarono a poggiarsi su un
altro ramo; ma l’asceta
li maledisse e non solo loro,
i colpevoli, ma l’intera razza
condannandoli a perdere
entrambi i loro poteri, quello
di volare e quello di cambiare
forma. Perciò oggi gli elefanti
sono in realtà nuvole
condannate a camminare sulla
terra. E in India sono riveriti
come esseri benedetti, portatori
di fertilità e di vita,
perché l’arrivo delle loro
cugine nuvole porta il dono
(M.Baronti)
della pioggia.
novembre | dicembre 2007
«INDIA» E IL DIVINO
È stato calcolato che in India
vengono venerati, accuditi,
pregati 3.300.000 Dei.
E non è che in quel continente
non si abbia l’idea che l’Essere
supremo assoluto è Uno.
Ma questa Immensità, questo
Grande Neutro senza alcuna
caratteristica o qualità,
è fuori dalla portata della
mente umana. Possiamo dire
solo ciò che non è, perciò
meglio definirlo come
“non due” anziché “uno”. (M.B.)
Kathasaritsagara (XI sec.) e
forse oltre, attraverso le Upanisad (prima metà del primo
millennio), i classici poemi, Mahabharata e Ramayana (di
redazione stratificata, probabilmente dall’età di Alessandro in
poi su un nucleo originario piú
antico), il patrimonio dei Purâna (dal VI sec. a.C. in poi). Si
tratta di un insieme complesso
e composito, di cui mi limito a
rilevare alcuni temi che mi
paiono significativi ad un tempo
della peculiarità indiana e del
possibile confronto con tradizioni occidentali:
il riferimento al dio Ganesha,
che provoca gli ostacoli e li
rimuove, propone un raccapricciante rito e mito metamorfico,
per cui il capo del dio bambino
verrebbe sostituito da una testa
di elefante con una zanna sola,
che diviene segno dello stato
sapienziale. (Curioso, tra squallido e prevedibile, è l’esempio di
“fervore religioso globalizzato”,
per cui le statuette di plastica
del sullodato iddio avrebbero
bevuto il latte loro offerto: come non pensare a certe italiche
madonne essudanti sangue e
sottoposte alla TAC?);
l’abbinamento tra generazione e morte, avallato dalla storia
di Ganesha, è un pensiero mitico-filosofico di estrema profondità; spontanea soccorre una
reminiscenza di Eraclito: “...e
lasciano figli a divenire destinidi-morte” (fr. 20 Diels-Kranz).
Né è questa l’unica suggestione
che dai testi indiani può richiamare il filosofo di Efeso;
la nozione di “immanenza del
divino”, finalizzata a (o confluente nel) “Grande Neutro” senza caratteristica o qualità, dove
l’uomo non può giungere con la
sua mente ed è destinato a perdersi, mi pare quanto mai suggestiva e significativa, quasi
scheggia di un pensiero mistico
a suo tempo esaminato da Rudolf Otto e confrontato con
quello della mistica tedesca;
le affinità tra il destino mitico
di Shiva e quello di Dioniso
sono anche troppo evidenti, e
comunque ben discusse dagli
storici delle religioni; è innega-
«INDIA» E L’AMORE
Una vecchia donna diceva
un giorno a Ramakrishna,
un grande santo,
di non riuscire a provare alcun
amore per Dio.
“Ma ci sarà pure nella tua vita
qualcuno che ami!”.
“Il mio nipotino” rispose
quella. “Allora dai a Dio
l’aspetto di tuo nipote
e amalo in quella forma”. (M.B.)
bile il loro impatto nel mondo
contemporaneo, cui riferirei l’efficace definizione “dal barbaro
al sublime”, data dall’autrice in
ouverture dell’opera. Si noti che
un discorso non troppo diverso
potrebbe applicarsi al rito eucaristico, come Jung insegna...;
l’evocazione di un’immagine
mitica peculiare e complessa,
come quella del sole-pupilla e
della pupilla-specchio, al cui
centro sta la morte che divora,
Mara Baronti con Cristina Alioto e Patrizia Belardi
Cristina Alioto, Patrizia B elardi e Mara B aronti durante le prove
offre plurime e suggestive possibilità di confronto: valga per
tutte il richiamo al mito gnostico della Korê kosmou, la “fanciulla/pupilla cosmica”, secondo
un’immagine che si incontra fin
dai tempi piú antichi (celebre al
proposito è il frammento empedocleo 84 Diels-Kranz); né si
può tacere di due brani del
Dante paradisiaco: la similitudine di XVII 40-42; l’ambientazione metafisica di XXI 16-18.
Vorrei concludere col richiamo
a possibili modelli o esperienze
parallele dei giorni nostri, per
scongiurare il pericolo new age
là dove si discende, e condiscende, al mondo contemporaneo (si sa che le ricerche in rete, preziose se controllate, sono
insidiosissime se avallate senza
verifica). Quale modello celeberrimo valga Tagore, molte delle
cui opere sono state recente-
«INDIA» E LA CREAZIONE
Chi sa realmente?
Chi lo proclamerà qui?
Da che fu prodotta questa creazione?
Gli dei vennero più tardi,
con la creazione
di questo universo.
Chi sa, dunque,
da dove esso è sorto?
Forse s’è formata da sé,
o forse no.
Colui che la guarda dall’alto,
nel sommo dei cieli, egli solo sa.
(M.B.)
O forse, non sa.
mente tradotte dal bengali per
iniziativa di una piccola e meritoria casa editrice (Book ed.),
grazie alla cura di P. Marino Rigon; esperienze filmiche non
mancano, se pensiamo a registiartisti come Satyajit Ray o Guru
Dutt o, nella tradizione occidentale, Peter Brook, con la riduzione e traduzione per lo schermo del suo celeberrimo spettacolo teatrale tratto dal Mahabharata; e un’opportuna occasione di confronto e di colloquio
può essere offerta da alcune vo-
ci dell’odierna letteratura anglo-indiana, come quella di Arundhati Roy, anch’essa sceneggiatrice: penso in particolare alla
sua prova narrativa The God of
Small Things (1997; trad. it.: Il
dio delle piccole cose, ed. TEA,
Milano 2001), caratterizzata da
un vivace sincretismo culturale.
E proprio una frase di questo
romanzo si offre come avvertimento e commento ad un tempo: “Cosí le antiche storie erano
banalizzate e amputate. Da classici di sei ore venivano ritagliati
PETER BROOK E LA
Una delle difficoltà che noi
incontriamo di fronte a uno
spettacolo tradizionale che viene dall’Asia è che lo ammiriamo
senza comprenderlo. Se non
possediamo tutte le chiavi di
lettura dei simboli, ne restiamo
all’esterno, certo affascinati
dall’apparenza, ma incapaci di
cogliere le realtà umane senza
le quali queste forme artistiche
complesse non esisterebbero.
Il giorno che ho visto per la prima volta una rappresentazione
di teatro Kahakali, ho sentito
una parola che non conoscevo, il
“Mahabharata”. Un danzatore
presentava una scena tratta da
questo poema. La sua prima e
improvvisa apparizione - egli
spuntava dall’apertura di una
tenda - fu uno choc indimenticabile. Il suo costume era rosso e
dorato, il suo volto rosso e
verde, il suo naso ricordava una
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India l 5
A APPASSIONATA AFFABULATRICE DEI GIORNI NOSTRI
i, tra mito e realtà
«INDIA» E LI SANTI
Una sera, durante una cena
un amico indiano raccontava
che nei suoi libri di testo alle
superiori era continuamente
citato un famoso santo italiano
di cui in quel momento
non ricordava il nome.
“San Francesco!” abbiamo
suggerito subito ma quello
scuoteva la testa. E allora
avanti a citare tutti i nomi di
santi che venivano alla mente,
italiani e no “San Domenico,
Sant’Antonio, San Gennaro”
e intanto ci chiedevamo perché
mai uno di questi dovesse
interessare tanto gli indiani...
“Leonardo da Vinci! Ora
ricordo”, intanto esclamava lui.
Tutti quanti siamo scoppiati
a ridere “Ma non è un santo!”.
“C’è poco da ridere,
una persona in cui si raccoglie
una tale quantità di energia
creativa è santo.
L’energia cosmica,nostra
madre divina, lo ha scelto.
In India abbiamo uno che vive
in uno slum di Bombay, non fa
altro che farsi canne dalla
mattina alla sera però quando
impone le mani guarisce.
(M.B.)
È santo anche lui”.
India
con la collaborazione di Istituzione per i servizi culturali Comune di La Spezia
Mara Baronti
PERSONAGGI E INTERPRETI
Narratrice
Canto, movimenti, percussioni, fiati
Mara Baronti
Cristina Alioto
Patrizia Belardi
regia
immagini, scene, costumi
supervisione musicale
design delle immagini
luci
fonico
Alfonso Santagata
Beatrice Meoni
Chiara Cipolli
Davide Ferrari
Chiara Cipolli
Davide Ferrari
Cristina Alioto
Francesco Menconi
Uovoquadrato
Sandro Sussi
Francesco Menconi
organizzazione e distribuzione
fotografie di scena
Associazione Culturale Argante
Enrico Buselli
Teatro Duse
DA MARTEDÌ 20 NOVEMBRE A DOMENICA 2 DICEMBRE 2007
sostenitore
con il contributo di
novità italiana
Mara Baronti: narratrice pura
cammei di venti minuti” (pag.
139). Il testo di India si snoda
come un centone di cammei:
confidiamo che la prova della
scena conferisca all’accattivante sequenza una necessaria motivazione strutturale.
Enrica Salvaneschi
Formatasi alla scuola dello Stabile di Genova, Mara Baronti è stata tra le prime
narratrici professioniste italiane. Attrice di prosa, ha esordito alla fine degli anni
Sessanta, interpretando poi numerosi spettacoli diretti da Luigi Squarzina,
Carlo Cecchi, Marco Sciaccaluga, Tonino Conte, Giancarlo Nanni e Gianfranco De
Bosio. In seguito, ha preferito chiamare gli spettatori - adulti e bambini attorno a un ideale camino acceso, per raccontare storie che attinge direttamente dai grandi miti e dalla tradizione favolistica di tutto il mondo. Tutta
l’Italia ha così avuto modo di conoscere le virtù “incantatrici” della sua affabulazione. Mara Baronti possiede un ricchissimo repertorio di storie che non
legge, non dice a memoria, ma racconta improvvisando. È una narratrice pura e
personalissima, sempre capace di affascinare e di commuovere con il pieno controllo della tecnica recitativa, del senso del racconto e delle sue radici culturali.
L A C R E AT I V I T À D E L L’ I N D I A
bianca palla di biliardo, le sue
unghie sembravano dei coltelli.
Al posto della barba e dei baffi,
due mezze lune bianche prolungavano le sue labbra. Le sue
sopracciglia si alzavano e si
abbassavano come bacchette di
tamburo e le sue dita tracciavano strani messaggi in codice.
Attraverso la splendida animalità dei suoi movimenti, potevo
indovinare che una storia si
stava svolgendo. Ma quale storia? Potevo solo immaginare
qualche mito lontano, proveniente da un’altra cultura e
senza rapporto con la mia vita.
Poco a poco, non senza tristezza, constatavo che il mio interesse diminuiva. Lo choc visivo svaniva. Dopo l’intervallo, il danza-
tore tornò in scena senza trucco.
Non era più un semi-dio. Era un
indiano gentile, con una camicia
e dei jeans. Egli descrisse allora
la scena che aveva recitato e ricominciò a danzare. I gesti ieratici
animavano un uomo d’oggi.
L’immagine splendida, ma impenetrabile, aveva lasciato il posto a
un’altra immagine, quotidiana,
più accessibile – che io preferivo.
[In seguito, presa la decisione di
mettere in scena il “Mahabharata”], cominciò una lunga serie
di viaggi in India ai quali parteciparono, un po’ alla volta, tutti
coloro che prendevano parte al
progetto: attori, musicisti, scenografa. L’India cessava di essere
un sogno, per diventare una
realtà, molto più ricca. Non posso
dire che ne abbiamo conosciuti tutti gli aspetti, ma ne abbiamo visto abbastanza per poter
dire che la diversità dell’India
è senza limite. Ogni giorno ci
portava una sorpresa, una scoperta. Percepivamo che nel
corso di molte migliaia di anni,
l’India era vissuta in un clima
di costante creatività. Anche
se la vita sembrava scorrere
con la maestosa lentezza di un
grande fiume, ogni atomo di
questa vasta corrente possiede una propria e inarrestabile
energia. Di ogni aspetto dell’esperienza umana, gli indiani,
infaticabili, hanno esplorato
tutte le possibilità.
(INTRODUZIONE
Conversazione con Mara Baronti e Alfonso Santagata
«India non è il viaggio in un paese
PRODUZIONI 2007 I 2008
musiche
STORIE E IMMAGINI
DALLE RADICI DELLA VITA
AL
Peter Brook
“MAHABHARATA”)
esotico, ma una rappresentazione
che invita gli spettatori a entrare
in contatto con un popolo e una
cultura antica per cercarvi cose
che anche noi in Occidente abbiamo creduto e vissuto, sperimentato, anche se poi abbandonato per
percorrere altre strade. India parla degli Dei, del loro tempo e del
loro spazio: evoca un concetto di
vita diverso dalla centralità dell’individuo intorno alla quale l’uomo
occidentale ha costruito il senso e
il valore della propria esistenza».
Impegnata negli ultimi giorni di
prova dello spettacolo da lei ideato, scritto e interpretato, Mara Baronti parla con passione dei temi
che affronta, ma anche del senso
ultimo verso cui tende questa sua
nuova rappresentazione: «La cosa
che mi interessa maggiormente
nella mia esperienza di narratrice
è di riuscire a portare lo spettatore
a dimenticare per un po’ la propria
quotidianità e a fare l’esperienza –
mi viene da dire anche fisica – di
una dimensione diversa, di un
altro tipo di vita. Entrare nell’universo sociale e culturale dell’India
significa proprio questo: un’apertura verso l’esistenza degli altri, un
superamento dell’egocentrismo,
un sentirsi minuscolo frammento
di un grande disegno universale.
La prima cosa che colpisce il viaggiatore che arriva in India è la presenza di tutti quei bambini immersi nella più estrema povertà, ma
che pur sanno ridere e giocare con
niente. È in loro che si coglie concretamente, a livello primordiale,
l’essenza della cultura indiana: la
vita come gioco, come qualcosa
che va, viene, passa e ritorna. Tutti
gli indiani sono portatori sin da
bambini del concetto della continua rinascita. Questo è per noi sconvolgente, ma a ben vedere si tratta
di un concetto che una volta apparteneva anche a noi occidentali».
In questo modo di accostarsi a
una cultura lontana immergendovisi completamente, non si corre il rischio di cedere alla tentazione di atteggiamenti “new age”?
«Il nostro spettacolo non ha proprio nulla a che fare con la “new
age”», interviene il regista Alfonso
Santagata. «India non parla di rifiuto ideologico del consumismo o
della tecnologia, di una fuga verso
il misticismo in base al principio
che una cosa va bene se fa bene a
me. Se dicesse questo, il nostro
spettacolo resterebbe ancora tutto
dentro l’individualismo occidenta-
le, mentre quello che con Mara
stiamo cercando di realizzare non
è un processo di identificazione,
ma un’esperienza con gli altri: con
altre culture e con altri mondi.
Non si tratta di mettere in scena
un’esperienza dell’Io, quanto piuttosto un passaggio, un attraversamento che porta a cambiare certe
abitudini radicate in Occidente».
Che rapporto c’è tra questa tua
esperienza registica e il percorso
teatrale che hai fatto sino ad oggi?
«Questa è la prima regia che faccio al di fuori della mia Compagnia
e mi piace gestirla essenzialmente
con un atteggiamento di ascolto, di
attenzione prevalente alla narrazione, al lavoro di Mara. Detto questo, però, credo che India sia anche un proseguimento nella direzione in cui ho sempre cercato di
muovermi: quella di andare alle
radici dei miti. Così come la volontà di capire meglio Totò e Peppino mi aveva guidato alla conoscenza di Petito e delle farse popolari, ora l’incontro con Mara e con i
miti indiani mi portano verso un’esperienza primordiale nella quale
mi piace inoltrarmi».
Per lo spettatore teatrale europeo,
una rappresentazione sull’India
non può non richiamare alla
mente il Mahabharata di Peter
Brook: c’è qualche rapporto tra la
tua regia e quel celebre modello?
«A differenza di quello, stupendo,
di Peter Brook, il nostro non è un
allestimento drammaturgico che
dà vita a personaggi per raccontare una storia. India è uno spettacolo di narrazione con al centro una
grande narratrice quale è Mara. Ed
è da qui che io sono partito, costruendole intorno uno spazio fisico e sonoro, con il quale la narratrice si trova a dialogare sul tema
di miti antichi quanto l’umanità».
«La cosa divertente – interviene
Mara Baronti – è che lo spettacolo
di Peter Brook, che anche io adoro,
non è piaciuto affatto agli indiani,
ai quali probabilmente non piacerebbe neppure il nostro spettacolo.
Questo non mi scandalizza: tanto
più se ricordo la sensazione suscitata in me da quel Mahabharata
che un amico indiano mi diede da
vedere in video per farmi conoscere come doveva essere messo in
scena quel poema: una noia bestiale! Voglio dire che, pur percorso da
un amore sconfinato per l’India, il
nostro non può essere che uno spettacolo esplicitamente occidentale».
È per questo che nello spettacolo
squarci ogni tanto il velo del mito
con veloci sguardi sulla contemporaneità?
«Ne avrei voluto anche qualcuno
di più di questi riferimenti odierni,
ma vi ho rinunciato per non spezzare il ritmo del racconto. Comunque, il loro scopo credo che sia duplice: da una parte, rompere ogni
tanto la fascinazione che il narratore “deve” creare con il diretto
confronto con la realtà odierna,
per poter poi da qui far ripartire il
racconto; ma, dall’altra, anche far
vedere come questi miti apparentemente così lontani possono inserirsi nel nostro vivere quotidiano».
Nello spettacolo è presente il ricordo del teatro indiano?
«Credo che in India siano presenti molti temi tipicamente indiani,
ma non le forme di quel teatro che
essendo estremamente codificate,
risultano incomprensibili a chi non
ne possiede i codici. India è soprattutto una continuazione del mio
lavoro sull’affabulazione. Parlando
di quei miti mi interessa soprattutto far risuonare in Occidente alcuni motivi interiori che abbiamo
dentro di noi, farli risalire dalla
profondità in cui sono stati sospinti, mentre in India sono sempre
all’ordine del giorno. Agli indiani
non interessa la Storia, i fatti che
accadono e ai quali partecipano,
perché loro tendono a identificare
sempre la verità con le cose eterne, mentre considerano solo apparenza tutto ciò che cambia e muta.
A loro interessa soprattutto il mito,
perché il mito trasfigura principi
eterni e immutabili che l’uomo
porta con sé sin dalla sua origine,
dà loro forma, vita e nutrimento.
Qui sta il segreto dell’anima indiana con la quale, ha ragione Alfonso, non ci può essere per noi alcuna volontà di identificazione. Un’anima che, comunque, può guidarci
nella messa in scena dell’esperienza di una cultura che affonda le
proprie radici in quelle domande
prime (cosa sono venuto a fare al
mondo?, qual è lo scopo della mia
vita?, ecc.) che in Occidente tendiamo oggi sovente a ridicolizzare,
mentre gli indiani hanno sempre il
coraggio di porsele, e di darsi
anche delle risposte. L’India è tutto
e il contrario di tutto: il sublime e
la sporcizia, la ricchezza culturale
e l’indigenza più estrema. Per questo è necessario, credo che faccia
bene, andare ogni tanto da quelle
parti: con un viaggio, con una
buona lettura, anche con uno spettacolo come questo».
(a cura di Aldo Viganò)
PROTAGONISTI
DELL’INFORMAZIONE IN LIGURIA
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Le frequenze a Genova
98.2 - 98.7 - 103.8
novembre | dicembre 2007
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spettacoli ospiti
L’una e l’altra
di Botho Strauss
Duse 14 / 18 novembre
Regia di Cesare Lievi,
con Paola Mannoni e Ludovica Modugno
Agamennone, il comandante in capo dell’esercito
acheo a Troia è già stato ucciso dalla moglie
Clitennestra e dal suo amante Egisto. Oreste è tornato sotto mentite spoglie per vendicare la morte
del padre. Nella reggia trova Elettra che piange la
sua triste esistenza. Insieme preparano il piano del
matricidio. Messa in scena da Luca De Fusco, la tragedia è illuminata dalla forte interpretazione di
Lina Sastri nel ruolo della protagonista.
Maria Stuart
Due donne di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni della vita. Il destino si è divertito
a farle incontrare e a dividerle, per poi farle
incontrare nuovamente. Lissie ha portato via
a Insa il marito da cui questa aveva avuto
una figlia, la quale molti anni dopo incontra
(e se ne innamora) Timm, figlio di Lissie e del
comune marito. Poste di fronte alla possibilità dell’incesto, le due donne sono così
costrette a rivedersi, a fare i conti con il passato. Lo spettacolo, diretto da Cesare Lievi
con Paola Mannoni e Ludovica Modugno,
porta sul palcoscenico l’ultimo testo teatrale
scritto da Botho Strauss, il drammaturgo più
celebre dell’odierno teatro tedesco.
Elettra
di Sofocle
Corte 27 novembre / 2 dicembre
Regia di Luca De Fusco, con Lina Sastri
di Friedrich Schiller
Corte 4 / 9 dicembre
Regia di Andrea De Rosa,
con Anna Bonaiuto e Frédérique Loliée
novembre | dicembre 2007
di Carlo Goldoni. Un testo sorprendentemente
Otello
di William Shakespeare
Corte 18 / 23 dicembre
di Carlo Goldoni. Un testo sorprendentemente
moderno, che conduce lo spettatore nel backstage di un teatro del Settecento e permette a
Goldoni di esporre e difendere in modo
appassionato la propria filosofia drammaturgica sul rapporto tra Teatro e Vita, senza per
questo rinunciare alla dimensione frizzante
delle sue migliori commedie. Con Patrizia
Milani e Carlo Simoni, regia di Marco Bernardi.
Regia di Roberto Guicciardini,
con Sebastiano Lo Monaco
Già cavallo di battaglia di tanti primi attori del
teatro italiano, “il Moro di Venezia” rivive nella
recitazione di Sebastiano Lo Monaco, il quale si
avvale della esperta regia di Roberto Guicciardini. Otello è una storia di amore e gelosia
che, per spostamenti progressivi, raggiunge
ineluttabilmente l’acme orrendo dell’uxoricidio e del suicidio. È anche un dramma storico
con sullo sfondo il conflitto tra cristiani e turchi
nel Mediterraneo orientale. Ma soprattutto è la
tragedia dei sentimenti umani.
Black Comedy
di Peter Shaffer
Duse 11 / 16 dicembre
Regia di Attilio Corsini, con Viviana Toniolo,
Stefano Altieri e Debora Caprioglio
Due regine in contrasto: da una parte, Maria
Stuart, regina di Scozia, e, dall’altra, Elisabetta I Tudor, regina d’Inghilterra. Due esseri
umani profondamente diversi, ma intrecciati
dalla Storia: Maria è amore, bellezza, morte
trasfiguratrice; Elisabetta incarna la ragion di
stato, solo apparentemente trionfante, perché la vittoria appartiene infine tutta a
Maria, la quale va incontro alla morte con
suprema dignità, mentre Elisabetta paga il
successo politico rinunziando alla rispettabilità e all’amore. Un testo pre-romantico per
due grandi attrici: Anna Bonaiuto e Frédérique Loliée, qui dirette da Andrea De Rosa.
Il teatro comico
Elettra di Sofocle racconta l’ultimo sanguinoso atto della tragedia della famiglia degli Atridi.
Quando l’azione inizia a Micene, nel palazzo di
E S E R C I TA Z I O N E A L D U S E DA L L ’8 A L
dal 14 novembre al 23 dicembre
di Carlo Goldoni
Corte 11 / 16 dicembre
Regia di Marco Bernardi,
con Patrizia Milani e Carlo Simoni
La commedia manifesto della riforma teatrale
The Changeling
(Gli incostanti)
La metafora di un’umanità che annaspa, inciampa e farnetica, scritta dall’inglese Peter
Shaffer: uno dei drammaturghi più costanti
nelle hit parade di tutto il mondo (basti
ricordare i successi internazionali di Equus e
di Amadeus). Una commedia frizzante che
gioca sul contrasto tra la luce e il buio, sul filo
di un black out che lascia i personaggi senza
difese. Una farsa travolgente, orchestrata da
Attilio Corsini per la sua compagnia di Attori
& Tecnici, che in questa stagione festeggia il
trentesimo anno di attività.
di Thomas Middleton e William Rowley
Duse 18 / 23 dicembre
Regia di Karina Arutyunyan e Walter
Le Moli, con la Compagnia giovani del TST
Una commedia che proviene dalla grande
stagione del teatro inglese del Seicento e
suggerisce già nel titolo un tema molto caro
alla scena rinascimentale: la follia d’amore,
generatrice di un mondo oscuro, in cui il
manifestarsi delle passioni più sfrenate giunge a tratteggiare l’aspra e sempre attuale
metafora di quel grande manicomio che è la
vita. Due storie s’intrecciano in questo universo squilibrato, nel quale si spegne ogni
valore morale e ogni barlume d’intelletto:
una tragica e una comica. Regia a quattro
mani di Karina Arutyunyan e Walter Le Moli.
12
GENNAIO
«IL CASTELLO» (Das Schloss)
da Franz Kafka
Iniziato nel 1922 e mai terminato, Il castello è l’ultimo romanzo scritto da Franz
Kafka (1883-1924). Alla base dello spettacolo in forma di esercitazione, proposto
con la regia di Massimo Mesciulam e l’interpretazione di Maurizio Lastrico con gli
allievi dell’ultimo anno di Qualificazione della Scuola di Recitazione del Teatro
Stabile di Genova, sta la riduzione teatrale che ne fece Max Brod, amico, biografo
ed esecutore testamentale di Kafka. In questo allestimento rivolto soprattutto al
mondo della scuola, i giovani (ma anche il pubblico adulto) potranno veder rivivere sul palcoscenico l’inquietante viaggio dell’agrimensore K. nei meandri di
una mostruosa e ostile burocrazia, costituitasi intorno al castello di un mitico
Conte e composta da schiere di funzionari che, con inesorabile ordine gerarchico,
amministrano il piccolo villaggio secondo misteriose leggi che sovente offendono la ragione e la morale umana. Uno spettacolo per conoscere che cosa è
il teatro, ma anche per penetrare il mistero di un grande romanzo, sempre sospeso tra simbolismo e realtà, capace di raccontare l’universale avventura dell’uomo
che cerca un posto nella società, dal quale poter tentare la scalata all’Assoluto.
regia Massimo Mesciulam riduzione teatrale Max Brod adattamento Massimo Mesciulam e Ilaria Amadasi personaggi e interpreti (in ordine di apparizione) K, uno straniero Maurizio Lastrico Ostessa dell’“Osteria al ponte” Ernesta Argira Contadino Marco Pieralisi
Schwarzer, figlio di un sottocustode del Castello Diego Savastano Arturo e Geremia, i due aiutanti Vincenzo Zampa, Michele Di Siena Barnaba, messaggero del Castello Alessandro
Marini Olga, sorella di Barnaba Margherita Romeo Padrona della “Locanda dei signori”
Miriam Guerra Frieda, cameriera della “Locanda dei signori” Ilaria Amadasi Sindaco
Marco Pieralisi Mizzi, moglie del sindaco Miriam Guerra Maestro, segretario del villaggio
Diego Savastano Amalia, sorella di Barnaba Miriam Guerra Genitori di Barnaba Marco
Pieralisi, Ernesta Argira Burgel, sottosegretario del Castello Vincenzo Zampa Guardiano
del portone della Giustizia Michele Di Siena assistente alla regia Ilaria Amadasi elementi scenici Massimo Mesciulam consulenza musicale Giovanni Dagnino
TEATRO DUSE da martedì 8 a sabato 12 gennaio INGRESSO LIBERO
Rappresentazioni di mattina (ore 11) per le Scuole di tutti gli ordini e gradi,
previ accordi con l’Ufficio Rapporti con il Pubblico
Rappresentazioni alla sera (ore 20.30) per tutto il pubblico.
Nate come lavoro “aperto al pubblico” della Scuola di Recitazione, le “esercitazioni” su
testi classici hanno progressivamente assunto un’esplicita valenza laboratoriale, sino a
diventare una componente significativa del lavoro produttivo dello Stabile di Genova.
La finalità didattica si coniuga in queste “esercitazioni” con la sperimentazione di ipotesi di messa in scena, concorrendo sia a evidenziare il lavoro teatrale nel suo farsi e la
complessità dei rapporti che in ogni allestimento scenico si stabilisce tra il testo e gli
attori chiamati a interpretarlo, sia a proporre una riflessione sui problemi connessi con
il passaggio dalla comprensione del testo alla sua vita autonoma sul palcoscenico.
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Nel foyer del Teatro della Corte, in collaborazione con le associazioni culturali genovesi
I POMERIGGI DI HELLZAPOPPIN
Con l’avvio della nuova Stagione,
sono ripresi nel foyer del Teatro
della Corte gli appuntamenti di
Hellzapoppin che, nel corso di
sette anni di vita sono entrati ormai a far parte integrante delle
attività culturali del Teatro Stabile di Genova. Nato nel 2000 con
l’intento di far vivere il foyer della
Corte anche nelle ore pomeridiane, quando in sala non c’è spettacolo, il progetto Hellzapoppin ha
visto crescere stagione dopo stagione la partecipazione del pubblico, degli artisti e delle associazioni culturali coinvolte, conquistando l’attenzione di molte migliaia di persone: ora incuriosite
da una performance artistica, ora
attratte da una proiezione video,
ora interessate a una conferenza
o a un’intervista pubblica, ora
coinvolte in un laboratorio multimediale. Anche quest’anno, il
Teatro Stabile di Genova ha programmato una lunga serie di incontri, di performances e di manifestazioni capaci di rispondere
alle aspettative di un pubblico
tradizionalmente molto differenziato per età, per aspettative culturali, per predilezioni artistiche.
I partner sono ancora una volta
alcune Associazioni culturali cittadine, con in primo piano gli
amici dell’Associazione per il
Teatro Stabile di Genova, i quali
curano quest’anno le Conversazioni con i protagonisti di
alcuni tra gli spettacoli presenti
in cartellone alla Corte e al Duse,
sia nel foyer, sia al C-dream di
Piccapietra. Prosegue intanto anche il ciclo Teatro e Università,
organizzato in collaborazione con
la SSIS (Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario) dell’Università di Genova.
Condotti da Marco Salotti, questi
incontri nascono intorno ad alcuni spettacoli prodotti dallo Stabile (La famiglia dell’antiquario, India, L’agente segreto, Polvere alla polvere), proponendo
una riflessione interdisciplinare
sui temi d’interesse storico e culturale da questi affrontati.
Mentre da gennaio prendono il
via gli appuntamenti sul teatro
ligure del Novecento organizzati
in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro in occasione
del 25° anno dalla sua nascita, a
dicembre parte una nuova iniziativa promossa dall’Associazione
culturale L’incantevole aprile. Si
tratta di Il viaggio: partenza, ritorno, nostalgia: ciclo di appuntamenti che propongono il racconto
letterario come momento di condivisione, riflessione, approfondimento e partecipazione emotiva. Il
programma, accompagnato da proiezioni e da letture, prende il via
con un pomeriggio dedicato rispettivamente al tema della partenza (E. De Amicis e altri, 14 dicembre). Come di consueto, poi, il
foyer della Corte ospita presentazioni di libri, laboratori di studio
(il 28 novembre è in programma
quello promosso dal Cidi sul tema
“Teatro e migrazione”) e altri avvenimenti. Tutti a ingresso libero.
Calendario
Mercoledì 14 novembre – 17
Intorno a «La famiglia dell’antiquario» di Carlo Goldoni
intervengono Quinto Marini e Silvana Rocca
introduce Marco Salotti
in collaborazione con la SSIS dell’Università di Genova
Venerdì 16 novembre – ore 17.30
“Conversazioni con i protagonisti”
Incontro con Eros Pagni
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
Mercoledì 21 novembre – 17
Intorno a «India» di Mara Baronti
intervengono Mara Baronti, Alfonso Santagata e Enrica Salvaneschi
introduce Marco Salotti
in collaborazione con la SSIS dell’Università di Genova
Venerdì 23 novembre – ore 17.30
“Conversazioni con i protagonisti”
Incontro con Mara Baronti
a cura di Umberto Basevi
in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova
Mercoledì 28 novembre – ore 15 I 18
Teatro e migrazione convegno a cura del CIDI
U n i n c o n t r o n e l f o y e r d e l Te a t r o d e l l a C o r t e
UN LIBRO PER BESSON
Il viaggio in Italia di Benno Besson è il titolo
del libro che Alessandro Tinterri e Philippe
Macasdar hanno dedicato agli spettacoli realizzati in Italia dal regista svizzero recentemente scomparso, molti dei quali (da Mille
franchi di ricompensa a Il cerchio di gesso
del Caucaso) messi in scena allo Stabile di
Genova. Lunedì 10 dicembre, questo libro
(Morlacchi Editore Perugia 2007), sarà presentato nel foyer della Corte, alla presenza degli autori e per iniziativa del Consolato Generale di Svizzera. Il programma prevede, alle ore
16, la proiezione integrale del video Benno
Besson, l’ami étranger realizzato da Macasdar
e allegato al libro (durata ore 1,40), alla quale
farà seguito una conversazione sul volume
e sull’opera di Besson, con la partecipazione
di Eugenio Buonaccorsi, Tinterri e Macasdar.
SITO WEB DELLO STABILE
All’indirizzo www.teatrostabilegenova.it,
è aperto anche quest’anno il sito web del
Teatro Stabile, realizzato grazie alla collaborazione di Datasiel.net. Semplice nella struttura e facilmente consultabile, il sito fornisce ampie informazioni sugli spettacoli in
cartellone, sul funzionamento della biglietteria e della Scuola di Recitazione. A richiesta,
l’utente può iscriversi alla newsletter e ricevere direttamente sul proprio computer le
notizie relative a tutte le iniziative del teatro.
Per quanto riguarda le ricerche, è a disposizione gratuita l’archivio storico del Teatro
Stabile con tutti gli spettacoli prodotti dal
1951 a oggi. Entrando nel sito, inoltre, si possono con molta facilità e grande risparmio di
tempo prenotare e acquistare direttamente
i biglietti per le singole rappresentazioni.
Venerdì 30 novembre – 17.30
Presentazione del libro edito da De Ferrari
«Sem Benelli, vita di un poeta»
di Sandro Antonini
intervengono Claudio Bertieri, Elisabetta Tonizzi e Silvana Zanovello
Mercoledì 5 dicembre – ore 17.30
Presentazione del libro edito da Le Mani
«Sofia Coppola»
di Francesca Maria Genovese
con l’Autrice interviene Claudio G. Fava
Lunedì 10 dicembre – 16
Presentazione del libro/video su Benno Besson
di Alessandro Tinterri e Philippe Macasdar
interviene Eugenio Buonaccorsi
Venerdì 14 dicembre – 17
«Dagli Appennini alle Ande»
letture da Edmondo De Amicis e altri
a cura dell’Associazione Culturale “L’incantevole aprile”
Dal 3 all’8 dicembre Scuole internazionali di recitazione a confronto
STUDIARE TEATRO NEL MEDITERRANEO
A L LO S TA B I L E , C O N F E R E N Z E , AT E L I E R S E S P E T TAC O L I , N E L L A
Per una settimana - dal 3 all’8 dicembre - Genova ospiterà gli insegnanti e
gli allievi delle Scuole di Teatro delle
nazioni che si affacciano sul Medi terraneo. Lo Stabile ha infatti accolto
la richiesta dell’ECUME (Echanges Culturels en Méditerranée) di organizzare
nella nostra città la «6ème Rencontre
des Ecoles d’Art Dra ma tique de la
Méditerranée» e come già accaduto a
Damasco (2000), Tunisi (2001),
Marsiglia (2002), Algeri (2004) e
Atene (2005), dove l’Italia è sempre
sta ta rappresentata dalla Scuola di
Recitazione del Teatro Stabile di Genova, sono invitate Francia, Spagna,
Grecia, Tunisia, Algeria, Marocco, Siria,
Libano, Albania, Egitto, Turchia, oltre
Nelle foto due scene di Ivona, principessa di Borgogna
« 6°
RENCONTRE ECUME»
alla Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”. Saranno cinque giorni densi di conferenze, ateliers
e spettacoli, che si susseguiranno da
mattina a sera in vari luoghi: nella biblioteca dello Stabile per le conferenze, nei locali della Scuola di Recitazione per gli “ateliers”, al Teatro Duse
per gli spettacoli: questi ultimi, a ingresso libero, saranno aperti al pubblico cittadino. Nell’ambito della rassegna degli spettacoli, le scuole ospiti
presen teranno ciascuna un proprio
saggio esemplificativo del lavoro che
in essa si svolge; la Scuola di Genova,
da parte sua, sarà presente con Ivona,
princi pessa di Borgogna di Witold
Gom browicz, per la regia della di rettrice Anna Laura Messeri e l’interpretazione di tutti gli allievi dell’ultimo anno con la partecipazione di
attori già diplomati. Sarà l’occasione
per Genova di fare conoscenza delle
forze teatrali del futuro; per gli ospiti
di visitare la città e in particolare per i
giovani allievi pro ve nienti da
diverse formazioni professionali, di
vedere quanto stanno facendo i loro
colleghi, di discuterne i risultati e
di con fron tare negli “ate liers” le
metodologie di lavoro. Il tutto mentre i loro insegnanti analizzeranno le
rispettive esperienze attraverso una
serie di conferenze, alle quali si è
vo luto questa volta indicare come
tema orientativo “La révolte”.
Diretta da Daniel Omar Belli, l’ECUME ha sede ufficiale a Marsiglia.
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Trionfa il Goldoni dello Stabile
Dalla Biennale a Barcellona, «La famiglia dell ’antiquario» entusiasma pubblico e critic a
(continua da pagina 1)
Folgorante vitalità
Alto livello
Al servizio degli interpreti Goldoni puerta hacia el futuro del Teatro
Un piccolo gioiello, uno spettacolo brioso, inventivo e sorretto da
un’intelligente lettura registica
che da un lato fotografa l’eterna
stupidità dell’animo umano, dall’altro la crisi di una società nella
quale una nobiltà catafratta nei
suoi cerimoniali e nei suoi ordinamenti viene sconfitta da una borghesia solida e di “buon senso”
che, però, già alla seconda generazione mostra di aver fatto suoi i
formalismi stantii dell’etichetta
di casta e la spocchia dei giovani
“nuovi ricchi” si avvia ad attraversare con la sua grevità i secoli.
(...) In una compagnia di bravi
attori, l’ottimo Eros Pagni è un
Pantalone lucido borghese che
porta argomenti concreti da
opporre allo snobismo di donne
smaniose di apparire come la consuocera contessa cui la brava
Anita Bartolucci dà toni di superbia altera e sconfitta, o la figlia
che l’altrettanto brava Gaia Aprea
disegna con le tinte dell’isteria da
rampante di malanimo. Ottimo
anche Virgilio Zernitz, un antiquario ridicolo per ignoranza e credulità. Pur movendosi nell’alveo
della tradizione, la felice regia di
Lluís Pasqual non rinchiude l’opera di Goldoni in un museo ma ne
illumina la folgorante vitalità. Uno
spettacolo da non perdere.
Un lucido teorema sorretto da
un’esecuzione di alto livello, con
Eros Pagni su tutti, e Virgilio Zernitz, Gaia Aprea, Anita Bartolucci.
Il regista catalano, pur non
disdegnando di ricorrere all’inventiva attualizzando il testo con
il mutamento degli abiti, fino a
giungere ai giorni nostri (non
manca il cellulare), rimane nel
solco della tradizione. Si mette
correttamente al servizio di Goldoni e degli interpreti.
Interpreti di talento che sono
però messi in condizione di palesare il proprio talento (la qual
cosa, ahinoi!, non sempre accade): da Eros Pagni, un eccellente
Pantalone a Virgilio Zernitz, lo
sciocco antiquario, paradigma
della vacuità e inutilità della
nobiltà. Da Anita Bartolucci, una
suocera traboccante di boria a
tutti gli altri: Gaia Aprea, Aldo
Ottobrino, Nunzia Greco, Enzo
Turrin, Paolo Serra, Giovanni
Calò, Massimo Cagnina.
Apprezzate la funzionale scena
di Ezio Frigerio e i bei costumi di
Franca Squarciapino. Da vedere.
MAGDA POLI / CORRIERE DELLA SERA
LUCA VIDO / IL GIORNO
RENATO PALAZZI / IL SOLE-24 ORE
Goldoni alla catalana
Sentire recitare così è un piacere,
tutti sono eccellenti, e ancora più
degli altri se possibile Virgilio
Zernitz come l’antiquario, Gaia
Aprea come la di lui determinata
nuora, Anita Bartolucci come la
contessa, e l’applauditissimo Eros
Pagni come il mercante Pantalone che alla fine impone dall’alto una sorta di ordine militare.
MASOLINO D’AMICO / LA STAMPA
LUIGI PISTILLO / IL DOMENICALE
BEGOÑA BARRERA / EL PAIS
Spettacolo brioso
Nell’allestimento di Lluís Pasqual
i pregi del testo sono equamente
illuminati dalla bravura di tutti
gli interpreti e da una regia di
felici intuizioni ritmiche e figurative, che confeziona uno spettacolo convincente, brioso, in cui coglie sia la comicità insita nella situazione sia il senso delle tensioni sociali, familiari, psicologiche e
rappresenta lo svolgersi della
trama attraverso i secoli, così da
sottolinearne l’atemporalità.
FR. COR. / LA PROVINCIA
Interpretación excelente
La commedia è agile, divertente, e l’interpretazione è eccellente. (...)
La famiglia dell’antiquario è uno spettacolo intelligente, scorrevole,
divertente, ben interpretato e brillante.
MARIA JOSÉ RAGUÉ / EL MUNDO S. XXI
Una commedia che sembra scritta oggi
Un Goldoni come non si era mai visto, tutto da vedere. Il catalano Lluís
Pasqual prende una delle commedie meno note, tra le centinaia del
grande veneziano di cui si celebra il tricentenario della nascita e, come
in un viaggio nel tempo, la fa sembrare scritta oggi, o quasi. Senza cambiarne nemmeno una virgola.
Sublims salts en el temps Lezione di teatro
Gli interpreti, provenienti dai teatri Stabili di Genova e del Veneto,
fanno un lavoro molto raffinato.
Restituiscono i loro personaggi e
li completano con molte variazioni legate al trascorrere del tempo.
Così tutto scorre con fluidità
coinvolgendo anche gli spettatori
che colgono immediatamente
ogni gag. Evviva. Complimenti.
Mentre gli abiti dei personaggi virano dai tempi dell’autore gradualmente verso i nostri, il testo
distilla la sua suprema cattiveria,
la bellezza della sua costruzione, e
dei tempi che portano ineluttabilmente alla risata. Una buona
lezione per conoscere lo scrittore.
GIANFRANCO CAPITTA / IL MANIFESTO
JORDÌ BORDES / EL PUNT
Nel segno di Goldoni
Un grandissimo divertimento, con una splendida compagnia di attori
italiani. (...) Pasqual ricrea il ritmo interiore dell’opera originale e
risolve con efficacia gli interni della casa del Conte. E gli stessi attori
(eccezionale Eros Pagni) portano via gli oggetti di arredamento al
ritmo di stili musicali ogni volta differenti. La scenografia di Ezio
Frigerio e i costumi colorati di Franca Squarciapino sono elementi fondamentali di un allestimento coerente in tutti i suoi dettagli. Una grande notte di teatro.
Con lo spettacolo, i due teatri
produttori rendono omaggio alla
propria tradizione: lo Stabile del
Veneto lasciando che un occhio
esterno riscopra le sue radici, lo
Stabile di Genova riallacciandosi a un’esperienza di collaborazioni con registi stranieri che
aveva dato i suoi risultati più interessanti con Krejca, Langhoff
e Besson.
PONZALO PEREZ DE OLAGUER / EL PERIODICO DE CATALUNYA
SILVANA ZANOVELLO / IL SECOLO XIX
Un gran “divertimento”
novembre | dicembre 2007
Con la regia di Pasqual, questa operina deliziosa e apparentemente
futile scopre una nuova grandezza. (...) Tutti gli interpreti sono stupendi, con una particolare segnalazione per Eros Pagni nel ruolo di
Pantalone e di Virgilio Zernitz in quello dell’Antiquario: insieme danno
vita a una divertita scena degna della migliore coppia di clowns.
Attori perfetti
Un prodigiós “crescendo”
Uno spettacolo emblematico. Pasqual rappresenta Goldoni parola
per parola ma imprime alla rappresentazione scenica un forte
segno di rinnovamento. Costruito
su di una perfetta direzione degli
attori fra i quali spicca un superlativo Eros Pagni - ma sono da
lodare tutti gli interpreti.
Il testo propone scontri generazionali e di classe sociale. E mentre Arlecchino e Brighella moderano i loro istrionismi, convertendo i loro stracci nella livrea del
maggiordomo, Pantalone, un magnifico Eros Pagni (il re della
serata) dà saggezza e generosità
al mercante che concilia la parsimonia con lo sperpero. Il crescendo di scontri tra suocera e nuora
fa scintille con Anita Bartolucci e
Gaia Aprea, ma tutta la compagnia attoriale è spettacolosa.
MARIA GRAZIA GREGORI / L’UNITÀ
Successo alla Biennale
Il risultato più alto della prima
settimana del Festival lo raggiunge Lluís Pasqual con La famiglia
dell’antiquario, coprodotto con
gli Stabili del Veneto e di Genova.
(...) Bravissimo Eros Pagni.
FRANCO QUADRI / LA REPUBBLICA
Un soberbio Goldoni
L’attualizzazione splendida e raccomandabile senza riserve diventa il centro della messa in scena e
amplia il carattere dei personaggi
sia nel linguaggio che nel gesto,
ma senza mai disumanizzarli.
JOAN-ANTON BENACH / LA VANGUARDIA
Il secondo spettacolo, proposto a distanza di una settimana al Duse, è anch’esso uno sguardo contemporaneo su una grande, affascinante cultura classica,
quella indiana. India si intitola infatti questo nuovo
viaggio, scritto e interpretato da Mara Baronti, attraverso i miti, gli Dei e gli
uomini della letteratura
laica e religiosa fiorita per
secoli sulle rive del Gange.
Anche qui a produrre questa novità italiana due
Teatri Stabili, quello di
Genova e quello di Napoli,
espressioni culturali di
due città che nella loro storia hanno avuto i viaggi
per mare come strumento
primo dei rapporti internazionali e della loro sete
di conoscenza. E se il desiderio di conoscere il nuovo, il diverso da sé, è uno
dei gesti più significativi
dell’intelligenza dell’uomo, è motivo credo di gioia per un teatro e per il
suo pubblico diventare ogni sera strumenti e protagonisti partecipi di questo
desiderio di conoscere.
Carlo Repetti
palcoscenico
e foyer
Ministero Beni e Attività Culturali
soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
FRANCESC MASSIP / AVUI
REGIONE LIGURIA
Brillantissima edizione
sostenitore
Lo spagnolo Lluís Pasqual ha realizzato una brillantissima edizione
de La famiglia dell’antiquario, modernizzandone con estrema finezza la storia.(...) Sul palcoscenico del
Teatro Goldoni, nella scenografia
di Ezio Frigerio e coi costumi, tra ieri e oggi, di Franca Squarciapino, a
farsi applaudire era Eros Pagni,
cioè un Pantalone quale raramente ci è stato concesso di conoscere,
accanto a Virgilio Zernitz, straordinario conte delle antichità.
CARLO MARIA PENSA / LIBERO
con il contributo di
numero 24 • novembre | dicembre 2007
Edizioni Teatro Stabile di Genova
piazza Borgo Pila, 42 • 16129 Genova
www. teatrostabilegenova.it
Presidente Prof. Eugenio Pallestrini
Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga
Direttore responsabile Aldo Viganò
Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione del Tribunale di Genova
n° 34 del 17/11/2000
Progetto grafico:
art: Bruna Arena, Genova (26107)
Stampa: Scuola Tipografica Sorriso Francescano s.r.l., Ge