1. Premessa. L`assetto delle fonti nel diritto del lavoro.

CAPITOLO I – LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
SEZIONE II
LE FONTI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA
SOMMARIO: 1. Premessa. L’assetto delle fonti nel diritto del lavoro. - 2. Il diritto
internazionale. - 3. Il diritto dell’Unione europea. Regolamenti e direttive.
- 3.1 L’Unione europea e il diritto del lavoro. - 3.2. Il mercato del lavoro. La Strategia
Europa 2020.
■ ■ ■ “FOCUS” GIURISPRUDENZIALE:
I. La disapplicazione del diritto nazionale: la sentenza “Simmenthal” (CGUE, 9
marzo 1978).
II. L’efficacia diretta delle direttive nella giurisprudenza comunitaria: i rapporti
verticali ed orizzontali (CGUE, 5 aprile 1979, in causa 148/78; CGUE, 7 giugno
2007, in causa 80/06); La particolare efficacia diretta del diritto
antidiscriminatorio nel rapporto di lavoro (CGUE, 19 gennaio 2010, in causa
555/07); Il risarcimento del danno da mancata attuazione della direttiva: la
sentenza “Francovich” (CGUE, 19 novembre 1991); Natura e criteri di
liquidazione del danno da inadempimento dello Stato all’obbligo di attuare una
direttiva (Cass., 11 novembre 2011, n. 23358).
1. Premessa. L’assetto delle fonti nel diritto del lavoro.
A) Le fonti comuni ad altre branche del diritto oggettivo.
Il diritto del lavoro è una branca del nostro ordinamento giuridico nella quale il
sistema delle fonti assume connotati particolari.
Al vertice, come in ogni altro settore, si pone la Costituzione, la quale, si è visto, ha
sposato un modello di garanzia della libertà, della dignità e della personalità del
lavoratore, incentrato su un complesso di norme imperative, non derogabili dal
contratto individuale di lavoro (disciplina eteronoma del lavoro).
Sistema attuato, innanzitutto, dalle leggi, numerose essendo quelle che, in attuazione
del disegno costituzionale, hanno disciplinato aspetti del lavoro nel senso
dell’assicurazione di tutele inderogabili ai prestatori; in tale contesto, uno ruolo
meramente residuale è affidato alle altre fonti del diritto alle quali allude l’art. 1 delle
disposizioni sulla legge in generale premesse al Codice civile, cosiddette preleggi
(regolamenti e usi), poiché lo spazio per l’attuazione e l’integrazione (proprio dei
regolamenti), o la derogabilità (campo di elezione degli usi) dei precetti legislativi è,
nel diritto del lavoro, tendenzialmente ridotto.
B) Fonti speciali: il contratto collettivo.
Un compito fondamentale è svolto, invece, dalla contrattazione collettiva. Essa
rappresenta il luogo ove l’autonomia privata incide significativamente sulla disciplina
del rapporto di lavoro (e, secondo alcuni autori, anche in termini di politica del diritto,
finendo i contratti e gli accordi collettivi per influenzare le scelte del legislatore:
GHERA). Il contratto collettivo è centrale nel sistema delle fonti del diritto; tale
centralità si spiega, ancora una volta, in considerazione dell’attenzione alla tutela del
lavoratore alla quale si ispira il diritto del lavoro; infatti, il nostro ordinamento ha
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PARTE I – IL DIRITTO DEL LAVORO
ristretto i confini dell’autonomia privata laddove essa, con il contratto individuale, si
presta ad un assetto degli interessi più esposto al gioco delle diverse forze
contrattuali, mentre ha valorizzato, per converso, l’autonomia collettiva, ove i
prestatori, contrattando insieme, bilanciano la propria posizione di debolezza.
C) Fonti sovranazionali.
In virtù dell’adesione dell’Italia a trattati e convenzioni internazionali e alle Comunità
europee, ora Unione Europea, una posizione dominante nel sistema delle fonti del
nostro ordinamento, quindi anche del diritto del lavoro, hanno assunto le fonti
sovranazionali
Uno studio completo delle fonti del diritto, quindi, non può prescindere dall’analisi di
quelle di matrice sovranazionale, dalle quali, anzi, conviene prendere le mosse, posto
che, come rilevato in dottrina (GALANTINO), le norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute vanno equiparate alla Costituzione e che, la normativa
europea direttamente applicabile si pone su un piano superiore a quello della legge
ordinaria ed inferiore soltanto a quello dei principi supremi dell’ordinamento
costituzionale.
2. Il diritto internazionale.
Le fonti del diritto internazionale vengono introdotte nell’ordinamento interno
attraverso due distinte procedure:
- le norme di natura consuetudinaria internazionale (ad esempio: la consuetudine
pacta sunt servanda) sono applicate in via diretta ed automatica, per il tramite
dell’art. 10 Cost. (c.d. trasformatore permanente), che dispone che “l’ordinamento
giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute”;
- le norme di origine pattizia necessitano invece di un apposito atto di recepimento
(ordine di esecuzione e ratifica) per entrare in vigore nell’ordinamento interno. Si
parla pertanto di efficacia indiretta.
Nell’ambito giuslavoristico si evidenzia l’operato dell’Organizzazione Internazionale
del Lavoro (ILO), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere i diritti dei
lavoratori, incoraggiare l’occupazione in condizioni dignitose, migliorare la protezione
sociale e rafforzare il dialogo sulle problematiche del lavoro.
L’ILO si caratterizza per un’inusuale struttura tripartita: è composta, infatti, di
rappresentanti dei Governi, dei lavoratori e degli imprenditori-datori di lavoro.
Fra gli atti della medesima si annoverano convenzioni, raccomandazioni e codici di
condotta.
Le convenzioni, come noto, per divenire produttive di effetti giuridici nel sistema
normativo interno, debbono essere ratificate. Tra le più importanti convenzioni
ratificate dall’Italia si ricordano quelle sulla durata del lavoro (1919), sulla protezione
della maternità (1919), sul lavoro notturno (1919), sulle assicurazioni per vecchiaia,
invalidità e superstiti (1933).
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CAPITOLO I – LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
La Carta sociale Europea e le altre fonti internazionali convenzionali.
Tra le fonti del diritto internazionale, è opportuno altresì ricordare la Carta sociale Europea,
sottoscritta a Torino nel 1961 (e modificata nel 1996) da parte dei paesi membri del Consiglio
d’Europa, i cui principi sono stati ribaditi nel Codice Europeo di sicurezza sociale (1964); la Carta
Internazionale del Lavoro (Versailles, 1919), aggiornata dalla Dichiarazione di Filadelfia.
Da segnalare anche la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, sulla legge applicabile in materia
di obbligazioni contrattuali, tra le quali rientrano certamente quelle derivanti dal contratto di lavoro.
Tale fonte disciplina gli aspetti di diritto internazionale privato del lavoro, stabilendo, quali criteri di
collegamento da utilizzare ai fini dell’individuazione della legge applicabile in caso di presenza di
elementi di estraneità (lavoratore straniero; sede aziendale all’estero; impresa straniera):
- la legge scelta dalle parti concordemente;
- in difetto di scelta, la legge del Paese in cui il lavoratore svolge abitualmente la sua attività
lavorativa (principio di territorialità).
La preferenza accordata alla lex loci laboris, anziché alla lex loci contractus, si spiega in ragione
dell’esigenza di evitare che, imprese provenienti da stati con un basso regime di protezione dei
lavoratori, avrebbero potuto operare in Italia abbattendo il livello di garanzie dei diritti dei prestatori
ed effettuando, quindi, una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori che osservano le
leggi italiane.
Sempre in punto di diritto internazionale privato del lavoro, l’art. 1 del d.l. 31 luglio 1987, n. 317,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, stabilisce l’obbligo di
iscrizione alle assicurazioni sociali nazionali anche dei lavoratori italiani impiegati all’estero.
3. Il diritto dell’Unione Europea. Regolamenti e direttive.
A) Diritto originario e diritto derivato.
Il diritto delle Comunità europee (ora dell’Unione Europea) ha acquisito
un’importanza sempre maggiore nel sistema delle fonti e tale fenomeno ha assunto
connotati peculiari nel diritto del lavoro, ove il legislatore sovranazionale ha
perseguito costantemente una politica di armonizzazione dei diritti del lavoro statali
(MAZZOTTA).
L’appartenenza dell’Italia all’Unione assume duplice valenza: da un lato, infatti, le
norme europee integrano e modificano il nostro ordinamento giuridico nazionale in
maniera diretta, in virtù della limitazione di sovranità consentita ai sensi dell’art. 11,
co. 1 Cost. ed attuata mediante adesione all’Unione stessa con la ratifica del Trattato
istitutivo (FOGLIA; SANTORO-PASSARELLI).
Secondariamente, la politica sociale e quella economica europee incidono sulle
politiche nazionali che gli ordinamenti giuridici interni traducono nella produzione
legislativa statale.
Nell’ambito del diritto europeo si è soliti distinguere tra diritto originario e diritto
derivato.
La prima categoria è costituita dalle disposizioni contenute nei Trattati istitutivi delle
Comunità (come modificate dai successivi Atto Unico Europeo, Trattato di Maastricht
sull’Unione Europea, Trattato di Amsterdam, Trattato di Nizza ed infine Trattato di
Lisbona), nonché dai principi generali del diritto.
B) I trattati.
Precisamente, quando si parla di trattati, si allude in particolare alle seguenti fonti:
- atto costitutivo della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio),
firmato a Parigi il 18 aprile 1951 e reso esecutivo in Italia con l. n. 766/1952;
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PARTE I – IL DIRITTO DEL LAVORO
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atti costitutivi della CEE e dell’EURATOM (Comunità economica europea e
Comunità europea dell’energia atomica), firmati a Roma il 25 marzo 1957 e
ratificati con l. n. 1203/1957, entrati in vigore a decorrere dall’1 gennaio 1959;
Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, reso
esecutivo con l. n. 456/1992, entrato in vigore dall’1 gennaio 1993;
Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 e ratificato con l. n. 102/2002),
entrato in vigore dall’1 gennaio 2003, il quale ha modificato l’assetto
istituzionale dell’Unione in vista dell’allargamento dell’Unione stessa fino a 25
membri (dal 2004) e poi a 27 membri (dal 2007);
Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato con l. n. 130/2008,
entrato in vigore dall’1 gennaio 2009. È la Fonte con la quale sono state
definitivamente sostituite tutte le precedenti comunità dalla sola Unione. Si
articola in due trattati:
o TUE, Trattato sull’Unione Europea, il quale coincide con il Trattato del 1992, al
quale però sono state apportate significative modifiche, tra le quali una precisa
ripartizione di competenze tra Unione e Stati membri, il riconoscimento della
Carta dei diritti dell’Unione Europea, alla quale è riconosciuto lo stesso valore
dei trattati, l’affermazione di principi fondamentali quali quelli di democrazia
partecipativa e di eguaglianza giuridica;
o TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il quale disciplina la
costituzione, le competenze e il funzionamento degli organi dell’Unione.
C) Il diritto derivato.
Costituiscono il diritto derivato dell’Unione Europea, invece, quegli atti normativi che le
istituzioni europee adottano nelle materie tassativamente attribuite alla loro competenza
dai Trattati.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 288 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
Europea, le istituzioni europee possono adottare, fra le altre tipologie di atti,
regolamenti e direttive.
Regolamenti e direttive presentano, invero, notevoli differenze sotto il profilo del loro
regime giuridico.
Sintetizzando:
 I regolamenti hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e
direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Da ciò consegue,
secondo consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale:
1. che la loro efficacia negli ordinamenti nazionali non è subordinata ad alcun
intervento di ratifica o riproduzione normativa;
2. che, in ipotesi di antinomia con norme interne, il regolamento prevale sulla
disciplina nazionale in conflitto, mediante un meccanismo di semplice ed
immediata disapplicazione della norma interna.
I. GIURISPRUDENZA La disapplicazione del diritto nazionale: la sentenza “Simmenthal”
Nella celebre sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 9 marzo 1978, in causa 106/77
(nota anche come sentenza “Simmenthal”) si statuisce che “in forza della preminenza del diritto
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CAPITOLO I – LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
comunitario, il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le
disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando
all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza
doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro
procedimento costituzionale”.
 Le direttive, invece, vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto
riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi
nazionali in merito alla forma e ai mezzi di attuazione. Mediante lo strumento
della direttiva le istituzioni dell’Unione Europea individuano gli obiettivi da
raggiungere, rimettendo agli Stati membri la scelta in ordine allo strumento e
alle modalità di perseguimento dei detti obiettivi. Ne deriva, in caso di mancata
adozione di atti interni volti a dare attuazione alla direttiva, che la stessa non
può produrre effetti giuridici in capo ai singoli individui.
Efficacia diretta delle direttive?
Tuttavia il rigore di questa conclusione è stato nel tempo temperato da un’accorta giurisprudenza
comunitaria, la quale ha individuato ipotesi di direttive dotate di efficacia diretta (direttive self –
executing), il cui contenuto è sufficientemente chiaro, preciso ed incondizionato. In tali casi il
giudice nazionale è chiamato ad applicare direttamente la normativa di matrice sovranazionale,
disapplicando quella interna, anche legislativa, eventualmente difforme. Una particolare
declinazione di questo aspetto si ravvisa, quanto al lavoro, nell’ambito della disciplina
antidiscriminatoria, nel quale le direttive in materia sono state equiparate, dalla Corte di
Giustizia (sentenza 19 gennaio 2010, 555/07, sentenza Kukudveveci) ai Trattati.
La stessa giurisprudenza, poi, ha precisato che occorra distinguere:
1. i rapporti c.d. verticali, ove il contenuto della direttiva dettagliata viene fatto
valere contro un’amministrazione pubblica. In questo caso la direttiva produce
effetti diretti (ad esempio attribuire un diritto al privato), non potendo lo Stato
membro giovarsi di un proprio inadempimento (la mancata attuazione della
direttiva) per sottrarsi agli obblighi in questa contenuti;
2. i rapporti c.d. orizzontali, ove la direttiva concerne la materia del contendere fra
privati. In siffatta ipotesi, esclusa l’efficacia diretta della direttiva, consolidata
giurisprudenza comunitaria ritiene che l’autorità giudiziaria nazionale debba
procedere alla c.d. interpretazione conforme, ovverosia ad una lettura della
normativa interna il più fedele possibile al contenuto della direttiva inattuata
(salvi taluni limiti, quali il principio di irretroattività della legge, il divieto di
aggravamento della responsabilità penale per effetto della direttiva, la necessità
della certezza del diritto). Inoltre, a fronte della mancata attuazione di una
direttiva, la medesima giurisprudenza riconosce al privato il diritto al
risarcimento del danno, a carico dello Stato inadempiente.
La problematica del danno “comunitario” nel diritto del lavoro. Il caso del contratto a tempo
determinato nella scuola.
Il caso più frequente nel quale la giurisprudenza ha ammesso il risarcimento del danno da mancata
attuazione di direttiva comunitaria è quello della stipula di contratti a tempo determinato nel settore
del pubblico impiego e, in particolare, della scuola. Come si vedrà diffusamente nel Capitolo XVII,
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