Su alcuni possibili usi del termine “antinomia” secondo la

Avv. Mario MASCIA MUTARELLI
Su alcuni possibili usi del termine “antinomia”
secondo la prassi giurisprudenziale
Delimitazione del lavoro
Ci occuperemo dell’antinomia nella particolare prospettiva della prassi giurisprudenziale; in modo
particolare, delle accezioni nelle quali la giurisprudenza più ricorrentemente fa uso del termine, con
lo scopo di enucleare un possibile concetto unitario di “antinomia”, alternativo alle impostazioni di
tipo teorico-dottrinario.
Tale alternatività non configura in alcun modo una contrapposizione fra giurisprudenza e dottrina,
posta l’incommensurabilità dei due punti di vista. A tal riguardo emerge, però, la peculiarità
dell’accezione giurisprudenziale di antinomia, rappresentata dai particolari vincoli entro i quali si
svolge il ragionamento del giudice: vincoli di tempo, vincoli dettati dalla particolarità del fatto,
vincoli dettati dalla necessità di “oscurare” le stesse fonti dottrinarie tenute presenti.
Nell'approccio teorico-generale ai problemi giuridici l’esigenza metodologica di cogliere i nessi tra
l'evoluzione del diritto positivo e quello della scienza giuridica è ritenuta “Una prospettiva
indirizzata sul confronto col diritto cosiddetto “vivente”, che aspiri all'ambizione scientifica di
1[1]
fornire strumenti proficui di orientamento e di analisi”;
una teoria generale del diritto altrimenti
resterebbe “una generica ed altezzosa perorazione di principi, rigorosamente confinata in qualche
steccato accademico prudentemente sbarrato all'ingresso, dove sopravvivere auto2[2]
alimentandosi” .
Va anche ricordato che l’attenzione al contributo della giurisprudenza si giustifica non solo perché,
3[3]
come è stato osservato , la giurisprudenza è più “fedele” alla legge della dottrina; ma anche
perché la giurisprudenza va comunque considerata, per le sue implicazioni e le sue esplicazioni4[4].
1[1] A tal proposito si ricordi che il modello post-positivista ha posto l’accento sulla necessità di un raffronto attento sul
piano epistemologico del metodo delle scienze naturali e del metodo della ricerca giuridica. V. VILLA, Teorie della
scienza giuridica e teorie delle scienze naturali, Milano 1984, p. 120.
2[2] Cfr. de GIACOMO C., Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione globale – Il contributo della
teoria generale del diritto allo studio della normativa sulla tutela dei dati personali, Giuffré 1999, passim.
Coerentemente con questo assunto, l’Autore fa costante riferimento al crogiolo forense.
3[3] V. FIORE, Reati di opinione e libertà di manifestazione del pensiero, XXX, 171. L’Autore però non estende a tutta
l’esperienza giuridica – nei vari campi - la tesi prospettata, che invece è di portata più ampia di quanto egli sembra voler
ritenere.
Sottolineiamo che è altrimenti impossibile la funzione di verifica sperimentale sul campo
dell’impatto reale delle fonti sull’ordinamento; verifica rivelatrice di contenuti e di conseguenze
altrimenti non ottenibili con sforzo meramente filosofico. L’ampia casistica consente di: a) scoprire,
per la legge dei grandi numeri, quali norme hanno dato luogo con maggiore frequenza a problemi
applicativi; b) individuare le tendenze interpretative ed i suggerimenti contenuti nella
giurisprudenza minoritaria; c) avvalersi del contributo ideativo degli operatori del diritto, la cui
interpretazione è sempre e comunque orientata dal fatto concreto.
La delimitazione temporale di questa ricerca – che privilegia la giurisprudenza della Corte
costituzionale5[5] - consente, a nostro avviso, di utilizzare una mole di dati sufficientemente ampia.
Significato ed ambiti dell’”antinomia”
Limitandoci per ora al suo significato meramente etimologico, “antinomìa”6[6] (c’è chi preferisce
“antinomìe”, al plurale), significa che norme incompatibili fra loro disciplinano uno stesso
fatto7[7]; ancora più semplicemente: si parla di “antinomia” nel caso di norme8[8] incompatibili fra
loro.
È stato ritenuto il contrasto fra una carenza della disciplina –tuttavia, considerata nel suo
complesso- e la normativa costituzionale. In tema di organo giudicante, pare degno di menzione il
caso della disciplina di un organo che non preveda requisiti essenziali alle funzioni dello stesso.9[9]
L’antinomia non è invocabile se non dipende dalla norma impugnata, ma dall'oggetto della
domanda o da sentenza riparatrice10[10]; non può privare dei diritti; ad esempio, l'antinomia fra i
diritti del giratario della polizza e quella del "charterparty" non può privare il giratario dei diritti di
riconsegna nei confronti di chi ha emesso la polizza di carico.11[11]
4[4] É particolarmente utile ad integrare la dottrina più tendenzialmente filosofica che si è occupata di “antinomia”
(dottrina che, non a caso, in proposito poco o nulla si è occupata della Corte costituzionale: v., ad es., Bobbio N., Teoria
dell’ordinamento giuridico, Giappichelli, 1960, p.117s.
5[5] È appena il caso di osservare che l’incostituzionalità di una norma è caso tipico di antinomia (fra la norma e la
Costituzione).
6[6] Dalle parole greche “antì” e “nòmos”, che possiamo tradurre in italiano, rispettivamente, come “contro”,”anti” e
“norma, legge”.
7[7] Più tecnicamente: “fattispecie”.
8[8] Di fatto, sono solitamente due; ma –solo teoricamente, si spera- potrebbero essere di più.
9[9] V. Cassazione civile, sez. un., 23 dicembre 1997, n.13016, Tamanza c. Ord. medici chirurghi e odontoiatri, Giust.
civ. Mass. 1997, 2433. Si trattava della qualità di organo giurisdizionale rivestito dalla commissione centrale per gli
esercenti le professioni sanitarie e della conseguente necessità della sua autonomia e indipendenza.
10[10] Cfr. Corte costituzionale, 14 gennaio 1986, n.7, Baratelli c. Società Plastak Machinery e altro, Giur. cost. 1986,
I,53; Giust. civ. 1986, I,946; Lavoro e prev. oggi 1986, 864; Cons. Stato 1986, I,32; Dir. lav. 1986, II,298 (nota); Foro
it. 1986, I,1785 (nota); Mass. giur. lav. 1986, 19; Orient. giur. lav. 1986, 567; T.A.R. 1986, 45; Riv. giur. lav. 1986,
III,149.
11[11] Cfr. Cassazione civile, sez. III, 11 agosto 1995, n.8830, Soc. Philippine Transmarine
Carriers Inc. c. Soc. Agip petroli, Dir. trasporti 1996, 815 nota (ZAMPONE): “… anche in presenza
di un charter-party (e la cosa avviene frequentemente nei contratti di trasporto totale o parziale
indicati dall'art.439 cod. nav. per specificare ulteriormente le modalità del trasporto e della
consegna del carico), l'eventuale antinomia fra la disciplina dei diritti del giratario della polizza
(che contenga indicazioni sufficienti secondo le disposizioni dell'art.460 già richiamato) e quella
Antinomia “apparente” e autonomia “insussistente”
In giurisprudenza si è affermato che l’antinomia non sussiste se rispetta i principi ai quali la norma
deve ispirarsi,12[12]quando una norma è chiarificatrice dell’altra13[13] o fra ambiti diversi della
normativa14[14]; lo stesso è stato affermato per le figure giuridiche distinte sotto il profilo
sostanziale e processuale.15[15] Va considerata la differenza di aspetti strutturali e
teleologici:16[16] ciò vale anche nel caso di disparità “di peso” delle “figure” previste. 17[17]
È stato, infine, deciso che l’antinomia è configurabile solo ove manchi la possibilità di una
interpretazione che renda compatibili le disposizioni considerate18[18].
Si parla spesso in sentenza anche di autonomia “apparente”. Si potrà giustamente osservare che
“antinomia apparente” è espressione contraddittoria19[19]. L’antinomia o c’è o non c’è; però la
distinzione va riferita all’antinomia non ontologicamente, ossia nel suo esistere e sussistere, ma alla
possibilità della sua [erronea] valutazione come antinomia (come dire, dal punto di vista
“soggettivo”, anziché da quello “oggettivo”).
Dalla giurisprudenza esaminata si può evincere che la ragione della “apparenza” risiede appunto
nel fatto che in realtà solo una delle norme ritenute in contrasto disciplina la fattispecie considerata.
Quando si sostiene, ad esempio, che qualsiasi norma pattizia - se non sia violato un principio
supremo dell'ordinamento costituzionale- prevale sulle norme di legge ordinarie con essa in
“antinomia”,20[20] è la norma pattizia da sola a disciplinare la fattispecie: se l’interpretazione
evidenzia che la norma disciplinante il caso in realtà è una sola, dov’è l’antinomia?
del charter-party, non può risolversi nella privazione dei diritti di riconsegna che la legge
attribuisce al legittimo giratario nei confronti di chi ha emesso la polizza di carico: diversamente
verrebbe ad essere posto nel nulla il carattere probatorio della polizza di carico.”
12[12] A proposito di adempimento dell'avviso previsto dall'art.415 bis c.p.p., nel caso in cui si chieda la emissione del
decreto penale di condanna. Cassazione penale, sez. III, 7 luglio 2000, n.2696, Capretto, Ced Cassazione 2000.
13[13] Comm. trib. centr., sez. XII, 14 febbraio 2001, n.1959, Uff. imp. dir. Perugia c. E.M., Fisco (Il) 2001, 8178 nota
(MORONI)
14[14] A proposito di antinomia tra circostanze tipizzate e circostanze non tipizzate, cfr. Cassazione penale, sez. IV, 29
gennaio 1998, n.2288, Reale, Cass. pen.1999, 2368 (s.m.). A conferma, in tema di prevenzione e procedimento penale,
v. Corte costituzionale, 22 luglio 1996, n.275, Pres. Cons., Cass. pen.1997, 3.
15[15] Cfr. Cassazione penale, sez. VI, 4 settembre 1996, Puca, Riv. pen.1996, 1070.
16[16] La sentenza si è soffermata sulla differenza fra concorso di persone nel reato ed associazione per delinquere,
benché entrambi prevedano un accordo. V. Cassazione penale, sez. VI, 12 maggio 1995, n.9320, Mauriello, Giust.
pen.1996, II, 55 (s.m.).
17[17] Nel caso di specie, a proposito della figura del sindaco rispetto a quella del presidente della provincia. Cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 17 maggio 1996, n.573, Annunziata c. Min.int. e altro, Foro amm. 1996, 1543, Cons. Stato
1996, I, 852.
18[18] Cfr. T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 9 maggio 1997, n.282, Garzia e altro c. Com. Tuglie e altro, Foro amm. 1998,
207.
19[19] Un “uomo apparente” non è un uomo che è apparente, ma è l’apparenza di un uomo; quindi, l’uomo non c’è.
20[20] Corte appello Palermo, 18 luglio 2000, Frittitta e altro, in Quad. dir. pol. eccles. 2000, 966. Caso relativo alla
norma dell'art.4 dell'Accordo 18 febbraio 1984 tra Stato e Chiesa, in relazione all’art.7, comma secondo, della
Costituzione ed all’esimente ex art.51 c.p..
21[21]
Lo stesso dicasi per il criterio della valutazione comparativa di diverse esigenze:
quale che sia
la conclusione di essa, l’antinomia rimane “apparente”, perché sempre una rimane la norma da
applicare.22[22]
Si considerino, in merito di antinomia apparente, i casi che seguono.
A) La successione di norme
Quando due norme confliggenti sono poste da fonti dello stesso tipo (due leggi, due regolamenti), il
criterio applicato è quello cronologico; in base ad esso si preferisce la norma successiva a quella
precedente.23[23]
Nella successione di leggi, l’antinomia non è possibile nemmeno in caso di ultraattività della
normativa precedente, essendo esclusa l’ultraattività delle disposizioni in antinomia con i precetti o
i principi informatori della legge.24[24]
B) Il concorso di norme
Secondo giurisprudenza sussiste antinomia apparente anche in alcuni casi di concorso di
norme25[25].
A titolo esemplificativo: può verificarsi che una normativa (cosiddetta “generale”) disciplini la
generalità dei casi ed un’altra26[26],invece, casi specifici nello stesso ambito della prima;27[27]
oppure che fra norme concorrenti si verifichi il cd. “assorbimento” di una fattispecie da parte di
un’altra.28[28]
La Corte costituzionale ha affermato che non vi è antinomia quando si tratti di norme incompatibili
appartenenti ad ordinamenti diversi.29[29]
In caso di antinomia con un interesse diverso, la solenne enunciazione dell'inviolabilità della libertà
personale fatta dall'art.13 Cost. impone di riconoscere una tendenziale priorità al bene della libertà
21[21] Cfr.Cassazione civile, sez. lav., 12 giugno 2001, n.7951, D&G - Dir. e Giust. 2001, f. 26, 25. Fattispecie: esatta
determinazione del periodo feriale.
22[22] Pronuncia diversa è stata quella in tema di “norme coeve”: v. § Antinomia reale.
23[23] “Lex posterior derogat legi priori”.
24[24] Cfr. Corte Conti, sez. contr., 23 novembre 1990, n.56, Foro amm. 1991, 909, Riv. corte conti 1990, fasc.5,49.
25[25] Quanto all’antinomia reale in caso di concorso di norme, v. § Antinomia reale.
26[26] La cosiddetta “normativa speciale”, ispirandosi alla quale denominazione in questo caso si parla di “rapporto
di specialità” fra norme.
27[27] Cfr. T.A.R. Calabria Catanzaro, 5 febbraio 1999, n.139, Candia c. Reg. Calabria, Riv. giur. polizia 2000, 91,
Comuni Italia 2000, 115 (s.m.).La fattispecie riguardava l'art.13 l. 20 maggio 1970 n.300 (disciplina generale) e la
normativa specifica nel settore del pubblico impiego.
28[28] “Assorbimento” significa che chi, ad esempio, ha ferito una persona uccidendola, risponde solo di omicidio
anziché di lesioni e di omicidio. “Ubi maior, minor cessat”: l’omicidio “assorbe” gli altri reati. Palesemente, nemmeno
in questo caso può parlarsi di “antinomie”.
Per la distinzione fra “concorso”, “specialità” ed “assorbimento”, v. Cassazione penale, sez. VI, 28 gennaio 1999,
Aletto, Cass. pen.1999, 2362.
29[29] Nella fattispecie, si trattava di ordinamento statale ed ordinamento regionale. Cfr. Corte costituzionale, 29
settembre 1983, n.277, Vannucchini e altro c. Regione Abruzzo, Cons. Stato 1983, II,908. Giur. cost. 1983, fasc. 10-12.
personale;30[30] per quanto precede, il principio della gerarchia delle norme suggerisce che la
pluralità di norme confliggenti è apparente.
Per quanto riguarda i conflitti di potere,31[31] qualsiasi atto amministrativo è suscettibile di
annullamento da parte della p.a. che l'ha emanato in virtù del potere di “autotutela” (o
“autoannullamento”); per evitare interferenze ed antinomie, l’atto rinnovato deve precedere la
pronuncia di merito giurisdizionale.32[32] Un’altra soluzione è quella di inoltrare segnalazione al
Governo della Repubblica per l’eventuale chiarimento normativo quanto alle antinomie tra l'art.2,
d.P.R. 20 dicembre 1979 n.761 ed il d.m. 30 gennaio 1982.33[33]
C) La ragionevolezza della diversa disciplina34[34]
D) Casi diversi
Poiché la giurisprudenza ha deciso sull’antinomia anche dal punto di vista dei fini perseguiti, è
possibile anche un concorso… di scopi: se l'atto amministrativo è adottato per il fine pubblico cui
esso è preordinato, non è indice di sviamento il fatto che la p.a. emanante persegua altresì ulteriori
35[35]
finalità secondarie che non siano in contrasto con quella principale.
La sentenza Corte costituzionale 13 ottobre 2000, n.419
Di particolare rilievo in questa sentenza36[36] è l’affermazione che non sempre un principio
fondamentale di civiltà giuridica ha dignità costituzionale; per la Corte è così quanto al divieto di
retroattività della legge, sicché il legislatore ordinario, salva la materia penale (art.25), può emanare
norme retroattive purché giustificate secondo ragionevolezza e non incidano arbitrariamente su
situazioni sostanziali preesistenti.37[37]
30[30] Cassazione penale, sez. un., 23 novembre 1988, Polo Castro, Cass. pen.1989, 1418 (nota).
31[31] Si allude al potere legislativo, a quello giurisdizionale ed a quello amministrativo. Come è noto, ciascuno può
operare solo nel proprio ambito; se invade quello altrui, si ha “conflitto di attribuzioni”.
32[32] Cfr. Comm.trib. prv. dstr. Livorno, sez. V, 3 maggio 1988, n.1467, Società Rimec, Bollettino trib. 1989, 682
(nota).
33[33] Consiglio Stato, sez. V, 23 maggio 1997, n.527, Ord. interreg. chimici c. Usl Valle Umbra Sud e altro, Foro
amm. 1997, 1388. Caso di dubbio sull’iscrizione agli albi degli appartenenti ai ruoli sanitari.
34[34] Ci soffermeremo su questo aspetto al § L’antinomia rispetto al principio di uguaglianza ed al carattere di
ragionevolezza.
35[35] Cfr. Consiglio Stato, sez. V, 26 gennaio 1999, n.61, Berteramo c. Usl n.10 Cerignola, Foro amm. 1999, 90
(s.m.). Il contrasto è chiaramente escluso, perché l’atto andava adottato lo stesso, anche in assenza degli scopi minori.
È forse il caso di precisare, incidentalmente, che il concorso è visto anche sotto un altro angolo visuale, per così dire,
“soggettivo”. “Concorso” in quest’altra ottica significa che un soggetto viola più volte la legge (e quindi risponde di
più violazioni); il che comporta che questo tipo di concorso di per sé non riguarda l’antinomia, ma il soggetto agente.
Può essere “formale” e “materiale”. “Concorso materiale” significa che le violazioni sono commessi con più azioni
od omissioni; il “concorso formale” consiste invece nel commettere più violazioni con una sola azione od omissione
(es.: Tizio con una sola parola ingiuria contemporaneamente più persone). V., per questa distinzione, Cassazione civile,
sez. I, 20 novembre 1998, n.11727, Pasqua c. Banca d'Italia, Giust. civ. Mass. 1998, 2398.
36[36] Cfr. Corte costituzionale, 13 ottobre 2000, n.419, Giur. cost. 2000, f. 5; Corriere giuridico 2000, 1651.
37[37] L’attribuzione di efficacia retroattiva alla norma impugnata è apparsa alla Corte “giustificata dalla esigenza di
porre rimedio ad una situazione del tutto eccezionale e tale da compromettere irreparabilmente l’equilibrio finanziario
e lo stesso processo di privatizzazione dell’ente”, sicché il sacrificio imposto ai lavoratori non è contrastante né con il
principio di ragionevolezza né con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.”
Nella stessa sentenza l’antinomia è stata esclusa anche nel senso che “l’efficacia retroattiva della
norma, con la sua conseguente incidenza sui giudizi in corso, comporti una lesione delle
prerogative del potere giudiziario e perciò la violazione degli artt. 101, 102 e 104 Cost.”;38[38]
per analoghe considerazioni va, altresì, escluso che la norma denunciata sia in contrasto con l’art.24
Cost.;39[39] lo stesso dicasi, per analoghe considerazioni, quanto all’antinomia con l’art.3
Cost..40[40]
Secondo la Corte, la garanzia del diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost. “è affidata alla
discrezionalità del legislatore quanto alla scelta dei tempi e dei modi di attuazione e non comporta
una diretta ed incondizionata tutela del posto di lavoro (sentenze n.46\2000, n.419\1993, n.152 del
1975 e ordinanza n.254 del 1997)” e va anche disattesa la censura riferita al parametro di cui
all’art.39 Cost.
Data la inattuazione delle regole costituzionali relative alla stipulazione di contratti collettivi con
efficacia erga omnes, per la Corte non può ipotizzarsi il conflitto tra l’attività sindacale e l’attività
legislativa, non essendovi alcuna riserva legislativa e contrattuale a favore dei sindacati.41[41]
Avuto riguardo alla fattispecie concreta considerata, è stata esclusa l’antinomia con l’art.41,
secondo comma, Cost., accampata sostenendo che la norma, sacrificando il diritto al posto di lavoro
Conforme anche sent. Corte Costituzionale, 11 giugno 1999, n.229, Pres. Cons. in Riv. dir. trib. 2000, II, 137, nota
(ROSA, PALOMBINI); Finanza locale 2000, 531. La sentenza riguarda l'art.28 della legge 27 dicembre 1997, n.449
(Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), anch’esso contestato in ragione della sua retroaattività. La
sentenza ha il pregio di precisare che “non è affatto decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere
effettivamente interpretativo ovvero sia una norma innovativa con efficacia retroattiva”.
Negli stessi sensi: Corte costituzionale, 23 dicembre 1997, n.432, Bartolomei c. Univ. studi Genova e altro, Giur. cost.
1997, fasc. 6, relativa all'art.1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995, n.549 (Misure di razionalizzazione della
finanza pubblica). Nella specie era stata sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 101,
102 e 104 della Costituzione, limitatamente alla parte in cui la norma stabilisce che "le disposizioni di cui all'art.7,
commi 5 e 6, del decreto-legge 19 settembre 1992, n.384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992,
n.438, prorogate per il triennio 1994-1996 dall'art.3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993, n.537, vanno
interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere
nella misura prevista per il 1992, sono comprese le borse di studio di cui all'art.6 del decreto legislativo 8 agosto 1991,
n.257".
38[38] È stato affermato, in proposito, che la funzione giurisdizionale non può dirsi violata per il solo fatto di un
intervento legislativo con efficacia retroattiva, quando il legislatore “agisca sul piano astratto delle fonti normative
senza ingerirsi nella specifica risoluzione delle concrete fattispecie in giudizio (sentenze n.229\1999, n.432\1997,
n.397\1994 e n.402\993)”.
39[39] In quanto “la modifica del modello normativo, cui la decisione giudiziale deve riferirsi, operando sul piano
sostanziale, evidentemente non incide sul diritto alla tutela giurisdizionale, a cui presidio è posta la norma
costituzionale invocata”.
40[40] Sembra potersi affermare che sulle valutazioni della Corte ha anche inciso la circostanza che “Il legislatore in
ogni caso, in relazione alla eccezionalità delle circostanze di fatto che hanno reso nella specie necessaria una deroga
alla disciplina comunque ritenuta in via generale applicabile ai dipendenti dell’ente Poste Italiane, ha contenuto
l’operatività di detta deroga entro un preciso limite temporale, e cioè dalla data di costituzione dell’ente sino al 30
giugno 1997, con ciò evitando il consolidamento di situazioni di vantaggio in favore dell’ente stesso e di correlativo
svantaggio in danno dei suoi dipendenti”, tenuto fermo, tuttavia, che “l’individuazione del termine entro il quale
contenere la deroga alla disciplina comune non può che essere rimessa alla discrezionalità del legislatore, rimanendo
il relativo esercizio sottratto - salva la manifesta irragionevolezza, non ravvisabile nella specie - al sindacato di
legittimità costituzionale”.
41[41] “La circostanza che una determinata disciplina legislativa venga recepita ed integrata in un contratto collettivo
di lavoro non preclude dunque al legislatore la possibilità di modificarla o di derogarvi, tanto più quando la deroga sia
- come nella specie - giustificata da una situazione eccezionale, a salvaguardia di un interesse generale, ed abbia
carattere di transitorietà (sentenze n.697 del 1988 e n.141 del 1980)”.
già sorto in capo ai lavoratori, detti una disciplina dell’attività economica contrastante con la dignità
umana di costoro.42[42]
Nello stessa, articolata sentenza,43[43] è stata anche ricordata l’esclusione di conflitti operata dalla
Corte di giustizia della Comunità europea,44[44] giudice che “ha statuito, proprio in riferimento
alla norma oggetto del presente giudizio di legittimità costituzionale, che una disposizione
nazionale che esoneri una sola impresa dall’obbligo di osservare la normativa di applicazione
generale riguardante i contratti di lavoro a tempo determinato non costituisce un aiuto di Stato ai
sensi dell’art.92, n.1, del Trattato CE”.
In tema di conflitto di poteri, la Corte ha sancito che seppure “non può radicalmente escludersi
l’esperibilità – da parte del potere giudiziario – del conflitto di attribuzione avverso atti aventi
forza di legge; tuttavia non vi è dubbio che il giudizio incidentale costituisca – allorché, come nella
fattispecie, sia concretamente utilizzabile – lo strumento tipico per pervenire alla declaratoria di
illegittimità costituzionale di una norma di legge della quale il giudice sia chiamato a fare
applicazione (sentenza n.457 del 1999 e ordinanze n.144 del 2000 e n.398 del 1999)”.
L’antinomia “reale”
Secondo la migliore giurisprudenza45[45] l’antinomia “reale” -dovuta a sviste del
legislatore,46[46] ma non sempre- sussiste in presenza della contemporanea disciplina della stessa
fattispecie da parte di norme in conflitto effettivo, cioè, appunto, reale.
42[42] Perché l’art.41, secondo comma, salvaguarda i diritti fondamentali della persona nello svolgimento delle attività
produttive, non la tutela del posto di lavoro.
43[43] Conseguenza dei giudizi di legittimità costituzionale dell'art.9, comma 21, ultimo periodo, del decreto-legge 1°
ottobre 1996, n.510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel
settore previdenziale), convertito nella legge 28 novembre 1996, n.608, promossi dal Tribunale di Venezia e, anche con
più ordinanze, dai Pretori di: Bologna, Camerino, Fermo, Ferrara, Gorizia, Genova, Latina, Lecco, Livorno, Macerata,
Milano, Nicosia, Padova, Parma, Pordenone, Salerno, Saluzzo, Trento e Torino.
44[44] In sede di pronuncia pregiudiziale a norma dell’art.177 del trattato CE, con sentenza del 7 maggio 1998.
45[45] V. infra quanto al perché di questa distinzione.
46[46] La piaga è ammessa ufficialmente; per il rimedio, v. Legge 23 agosto 1988, n.400 (in Suppl. ordinario alla Gazz.
Uff., 12 settembre, n.214) e successive modifiche. In particolare:
Ufficio centrale per il coordinamento dell'iniziativa legislativa e dell'attività normativa del Governo.
1. (Omissis) (1).
2. Per ciascuna legge o atto avente valore di legge e per ciascun regolamento pubblicati nella Gazzetta Ufficiale
l'Ufficio segnala al Presidente del Consiglio dei ministri, ai fini della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, le
disposizioni abrogate o direttamente modificate per effetto delle nuove disposizioni di legge o di regolamento.
3. L'Ufficio indica in rapporti periodici al Presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri interessati incongruenze e
antinomie normative relative ai diversi settori legislativi; segnala la necessità di procedere alla codificazione della
disciplina di intere materie o alla redazione di testi unici. Tali rapporti vengono inviati a cura della Presidenza del
Consiglio dei ministri, alla Presidenza della Camera dei deputati e alla Presidenza del Senato della Repubblica.
4. In relazione a testi normativi di particolare rilevanza l'Ufficio provvede a redigere il testo coordinato della legge e
del regolamento vigenti.
5. Le indicazioni fornite e i testi redatti dall'Ufficio hanno funzione esclusivamente conoscitiva e non modificano il
valore degli atti normativi che ne sono oggetto.
6. Il decreto del Presidente della Repubblica di cui al comma 1 regolamenta l'organizzazione e l'attività dell'Ufficio
prevedendo la possibilità che questo si avvalga di altri organi della pubblica amministrazione e promuova forme di
collaborazione con gli uffici delle presidenze delle giunte regionali al fine di armonizzare i testi normativi statali e
regionali.
Osserviamo che, stando alla prassi giurisprudenziale, l’antinomia si verifica nei casi di:
‰
disposizioni contenute nello stesso atto normativo.
In questo caso, è stato rilevato che una delle due norme in conflitto era a sua volta in
antinomia con un principio del diritto ovvio (nella specie,. “ad impossibilia nemo
47[47]
tenetur”), che tuttavia ha richiesto un processo per essere applicato.
Come si vede, nel caso di specie il conflitto non è, come si afferma per correntezza, fra
le due norme contenute nella stessa fonte, perché esse impongono la stessa decadenza; il
conflitto è dovuto alla impossibilità di evitare la decadenza in una delle fattispecie
disciplinate (il che già esclude il conflitto, proprio perché si tratta di fattispecie diverse),
quindi -come correttamente è stato sostenuto in sentenza- l’antinomia è fra la norma che
pretende l’impossibile ed il principio che vieta questa pretensione.
Può, a questo punto, continuare ad affermarsi che l’antinomia reale sussiste fra
disposizioni legittimate [id est, sullo stesso piano] alla disciplina della stessa fattispecie?
Pare di no, perché in questo caso il contrasto è fra norma ordinaria e norma costituente
un principio, mai come in questo caso inderogabile.
La sentenza offre lo spunto per integrare quanto affermato a proposito di inderogabilità
dal PERLINGIERI; sulla premessa che il “principio è norma che impone la massima
realizzazione di un valore”,48[48] egli afferma che “una regola che è valutata
dall'ordinamento giuridico come unica modalità di attuazione del corrispondente
principio è una norma inderogabile”.49[49] Ciò appare vero anche se è inapplicabile un
principio della Costituzione, col quale un principio generale del diritto non coincide
necessariamente.50[50]
Questa sentenza evidenzia che l’antinomia reale comporta una disapplicazione51[51] -di
portata limitata nelle fattispecie quali quella considerata52[52]- nel senso che il giudice
considera la norma antinomica soccombente “tamquam non esset” fra le sole parti in
causa.
contrasto fra legislazione ordinaria e normativa costituzionale (avuto riguardo anche
all’art.10, primo comma, della medesima53[53]); in questa ipotesi non soccorre la mera
‰
7. All'Ufficio è preposto un magistrato delle giurisdizioni superiori, ordinaria o amministrativa, ovvero un dirigente
generale dello Stato o un avvocato dello Stato o un professore universitario di ruolo di discipline giuridiche (2).
(1) Comma abrogato dall'art.12, d.lg. 30 luglio 1999, n.303
(2) Per il regolamento, vedi il d.p.r. 19 luglio 1989, n.366.
47[47] Cfr. Tribunale Genova, 15 luglio 1978, Fissore c. Ist. Scannapieco, Giur. it. 1979, 418,I,2 (nota). Fattispecie in
tema di decadenza di cui all'art.487 comma 3 c.c. ed impossibilità di accettare nei termini da parte delle persone
giuridiche.
48[48] V. PERLINGIERI P. - FEMIA P., Manuale di diritto civile, ESI 1997, [I, 5], p.9s.
49[49] V. PERLINGIERI P. - FEMIA P., Manuale di diritto civile, ESI 1997, [I, 5], p.10.
50[50] Le conseguenze, però, sono più ampie: v. § L’antinomia di rilevanza costituzionale, in particolare.
51[51] Mentre l’autonomia apparente no, perché il legislatore prevede –esplicitamente o implicitamente- qual è la
norma che sola regola il caso . V. anche infra, a proposito dell’antinomia col principio “ad impossibilia nemo tenetur”.
52[52] Come è noto, la portata della disapplicazione è più ampia nel caso di dichiarazione di incostituzionalità.
53[53] “L’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”. In questo
caso la “gerarchia di norme” fra norme internazionali e norme interne trova titolo tutto suo in una esplicita
interpretazione, ma è prevista una soluzione più complessa, come vedremo al paragrafo
seguente.
‰
Una o altra di esse con la normativa CE.
Dagli art.52 e 59 del trattato CEE derivano norme immediatamente applicabili negli ordinamenti
nazionali investite di "forza e valore di legge",54[54] perciò le norme di legge, statali o regionali, in
antinomia con esse vanno disapplicate.55[55] Tuttavia, poiché la disapplicazione “risolve le
antinomie” normative senza estinguere o modificare le disposizioni, dagli Stati membri vanno
apportate le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto interno.56[56]
‰
Una o altra di esse col diritto internazionale extra CE.
In questi casi, senza scomodare la giurisprudenza, va applicato l’art. 10 della
Costituzione57[57] ove non siano in questione+-15 specifici trattati, che abbisognano di
atti normativi di recepimento nel diritto interno prima di poter essere considerati in esso
vigenti.
formulazione costituzionale. Negli altri casi, la contraddizione di trattati da parte della legislazione interna non
determinerebbe un vizio di incostituzionalità di quest’ultima senza mediazione di una norma costituzionale, perché la
vigenza in Italia di un trattato deriva dalla volontà sovrana dello Stato, espressa con atto legislativo. V., Corte
costituzionale, 29 gennaio 1996, n.15, Prov. Trieste c. Pahor Samo, Riv. dir. internaz. 1996, 504.
54[54] Corte costituzionale, 11 luglio 1989, n.389, Provincia autonoma Bolzano c. Presidente consiglio ministri, Riv.
amm. R.I. 1990, 1003 (nota). V. anche T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 30 gennaio 1998, n.79, Sicilcassa c. Cons.
Autostrada Messina Catania Siracusa e altro, Foro amm. 1998, 2561 (s.m.). V. anche supra, Corte costituzionale, 13
ottobre 2000, n.419, Giur. cost. 2000, f. 5; Corriere giuridico 2000, 1651.
Nella citata sentenza n.389\1989 si afferma esplicitamente: “Nel caso di specie, contrariamente a quanto supposto
dalla ricorrente, si è di fronte a norme, come quelle contenute negli artt. 52 e 59 del Trattato, alle quali, essendo
decorso il periodo transitorio, deve riconoscersi una diretta efficacia (v., in tal senso, Corte di giustizia C.E.E., sent. 21
giugno 1974, in causa 2/74; sent. 14 gennaio 1988, in causa 63/86) e dalle quali, pertanto, derivano attualmente diritti,
come la libertà di stabilimento e quella di prestazione dei servizi, che sono immediatamente tutelabili in giudizio da
parte dei cittadini degli Stati membri. Poiché con la sentenza precedentemente menzionata la Corte di giustizia europea
ha affermato che nei predetti diritti va ricompresa la garanzia, per tutti i cittadini dei Paesi aderenti alla Comunità che
svolgano un lavoro autonomo all'interno di altro Stato membro, di esser parificati ai cittadini di quest'ultimo Stato nel
godimento dei diritti e delle agevolazioni concernenti l'accesso alla proprietà o alla locazione degli alloggi, si deve
ritenere che le norme poste dagli artt. 52 e 59 del Trattato siano immediatamente applicabili negli ordinamenti
nazionali nell'interpretazione più lata ora ricordata.”
55[55] Il conflitto fra il diritto comunitario “direttamente applicabile e quello interno, proprio perché suppone un
contrasto di quest'ultimo con una norma prodotta da una fonte esterna avente un suo proprio regime giuridico e
abilitata a produrre diritto nell'ordinamento nazionale entro un proprio distinto ambito di competenza, non dà luogo a
ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna
incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest'ultima, seppure nei limiti di tempo e nell'ambito
materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a svolgersi”.
56[56] “Tuttavia, poiché la disapplicazione è un modo di risoluzione delle antinomie normative che, oltre a
presupporre la contemporanea vigenza delle norme reciprocamente contrastanti, non produce alcun effetto
sull'esistenza delle stesse e, pertanto, non può esser causa di qualsivoglia forma di estinzione o di modificazione delle
disposizioni che ne siano oggetto, resta ferma l'esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o
abrogazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le prevalenti
norme comunitarie. E se, sul piano dell'ordinamento nazionale, tale esigenza si collega al principio della certezza del
diritto, sul piano comunitario, invece, rappresenta una garanzia cosi essenziale al principio della prevalenza del
proprio diritto su quelli nazionali da costituire l'oggetto di un preciso obbligo per gli Stati membri (v., in tal senso,
Corte di giustizia delle Comunità europee: sent. 25 ottobre 1979, in causa 159/78; sent. 15 ottobre 1986, in causa
168/85; sent. 2 marzo 1988, in causa 104/86) .”.
57[57] “L’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
L’antinomia di rilevanza costituzionale, in particolare
La Corte costituzionale ha il “monopolio” della decisione in ordine alle antinomie di rilevanza
costituzionale.
Poiché i pur ampi poteri interpretativi della Corte58[58] non sono estensibili fino all’esplicita
attività legislativa,59[59] é sua giurisprudenza costante declinare la propria competenza quando
ravvisi uno spazio di discrezionalità rimesso al legislatore.60[60]
Proprio per non invadere la sfera dell’autonomia del potere legislativo, il giudizio costituzionale
incidentale non comporta né abrogazione, né annullamento, ma solo la perdita di efficacia della
norma dichiarata incostituzionale (e la sua inapplicabilità nel giudizio "a quo" e in tutti quelli
pendenti dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione).
Sempre per non invadere il campo del legislativo, la definizione dei rapporti esauriti spetta soltanto
al legislatore, a patto che esso rispetti il principio di uguaglianza e la ragionevolezza.61[61]
Tutto ciò sottolinea che la Corte giudica la legge, non il legislatore; solo a quest’ultimo spetta il
potere di abrogazione, che costituisce esercizio di attività legislativa. É, mutatis mutandis, lo stesso
principio che non consente al giudice ordinario di annullare l’atto amministrativo, ma solo di
disapplicarlo.
I canoni ermeneutici della Corte si spingono fino ad interpretare la norma facendo ricorso ai lavori
parlamentari, che non fanno parte della norma. Avremmo preferito di no, ma la Corte costituzionale
sembra propensa a conservare tale prassi, avvalorata quando ha fatto riferimento ai lavori
parlamentari relativi alle norme sottoposte al proprio sindacato.62[62]
Peculiarità dell’antinomia di rango costituzionale
I casi esaminati dalla giurisprudenza riguardano l’antinomia della normativa ordinaria con quella
costituzionale, ma esiste una gerarchia di norme anche all’interno della Carta costituzionale: questa
prevede di non essere modificabile solo quanto alla forma repubblicana del Governo (art.139), ma
vanno ritenuti immodificabili anche i suoi principi fondamentali, se non si vuole stravolgerla. Tutto
questo estende il discorso sull’antinomia oltre gli ambiti più usualmente considerati, perché la
modifica di norme costituzionali in realtà si articola su due fronti: 1) la revisione costituzionale; 2)
la rifondazione della carta costituzionale.
58[58] Si allude qui ai vari tipi di sentenze della Corte costituzionale, ai quali si rimanda.
59[59] Cfr. Corte costituzionale, 6 febbraio 1986, n.30, Contribuenti vari c. Presidente consiglio ministri, Giur. cost.
1986, I,157. La Corte ha escluso di poter istituire un nuovo regime fiscale.
60[60] Cfr., ad esempio ex plurimis: Corte costituzionale, 14 aprile 1986, n.87, Bollettino trib. 1986, 845; Giur. imp.
1986, 283; Rass. trib. 1986, I,461 (nota); Comm. trib. centr. 1986, II,284; Cons. Stato 1986, II,477; Foro amm. 1986,
fasc. 12; Giur. cost. 1986, I,485.
61[61] Corte costituzionale, 9 gennaio 1996, n.3, Soc. Zambon group c. Soc. Bracco ind. chimica, Cons. Stato 1996, II,
5; Dir. industriale 1996, 179 nota (FLORIDIA).
62[62] Cfr. Corte costituzionale, 30 luglio 1984, n.238, Maggia e altro c. Presidente consiglio ministri, Bollettino trib.
1984, 1456 (ord.); Cons. Stato 1984, II,907; Giust. civ. 1984, I,2920; Rass. trib. 1984, II,631; Giur. cost. 1984, I,1710.
La revisione di norme costituzionali modificabili costituisce successione di norme, quindi non
dovrebbe parlarsi di antinomia.63[63]
La modifica di norme che, per i motivi appena esposti, non sono suscettibili di revisione è anch’essa
possibile, ma fuori dell’ambito dell’attuale Costituzione: nuovi “Padri fondatori” si sostituiscono
ai vecchi; ma neanche in questo caso può parlarsi di antinomia, perché rimane una sola normativa:
la nuova carta costituzionale.]
L’antinomia rispetto al principio di eguaglianza ed il criterio di
ragionevolezza
Il principio di eguaglianza -affermato nell’art.3, 1° comma, della Costituzione- implica un giudizio
di relazione (identica disciplina per situazioni eguali e discipline differenziate per situazioni
differenti) e postula una valutazione di ragionevolezza -ritenuta un canone generale
dell’ordinamento giuridico positivo italiano64[64]- delle scelte operate dal legislatore
nell'”omologare” o nel distinguere le varie ipotesi,65[65] in modo da identificare i casi di
incostituzionalità (id est, di antinomia con l’art.3, comma 1°).
63[63] Resta aperto il problema dell’eventuale conflitto con le norme non sostituite, ma ciò esula dai limiti di questa
ricerca, ancorata alla prassi giurisprudenziale.
64[64] Cfr. Corte costituzionale, 21 gennaio 2000, n.18, Soc. Emme Emme e altro, Giur. cost. 2000, 128 nota
(FAZZALARI), Giust. civ. 2000, I, 637, Bollettino trib. 2000, 311 nota (AIUDI), Corriere giuridico 2000, 541, Finanza
locale 2000, 871, Fisco (Il) 2000, 1718 nota (DE LUCA), Rass. trib. 2000, 557 nota (RUSSO), Giur. it. 2000, 1075,
Riv. dir. trib. 2000, II, 327 nota (MURCIANO), Giur. imp. 2000, 775. La Corte, richiamando ex multis la sentenza
n.253 del 1994, la ha escluso che il divieto di prova testimoniale, essendo formulato in termini generali ed astratti, possa
collidere con il principio di "parità delle armi"; ad uguali conclusioni perviene –richiamando la propria sentenza n.82
del 1996- quanto alla comparazione con altri sistemi processuali: “non esiste affatto un principio (costituzionalmente
rilevante) di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo … i diversi ordinamenti
processuali ben possono differenziarsi "sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di
configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio (...), anche in relazione all’epoca della
disciplina e alle tradizioni storiche di ciascun procedimento ...".
Con la sentenza 31 ottobre 2000, n.450, Giur. cost. 2000, f. 5; L’art.6 del d.P.R. 16 maggio 1960, n.570 (Testo unico
delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), è stato –tenuto conto dei
cambiamenti del contesto normativo- dichiarato costituzionalmente illegittima, restando assorbito ogni altro profilo,
nella parte in cui stabilisce una causa di ineleggibilità, anziché di incompatibilità, rispetto alla carica di sindaco.
V., per altri esempi di valutazione: Corte costituzionale, 24 luglio 2000, n.335, Inps c. Di Corato, Giur. cost. 2000,
2474; Corte costituzionale, 16 marzo 2001, n.66, ,Reg. Sicilia, Giur. cost. 2001, f. 2; Corte costituzionale, 1 dicembre
1999, n.446, Rizzo c. Fall. soc. Itin, Giur. cost. 1999, f. 6. Nel § Antinomia “apparente” e antinomia “insussistente”.si
è avuto modo di esaminare ampiamente e plurimis la sentenza Corte costituzionale 13 ottobre 2000, n.419, Luciani e
altro c. Ente poste it., Riv. giur. lav. 2001, II, 33 Foro it. 2001, I,1087; Lavoro nella giur. (Il) 2001, 33 nota
(CASADIO).
65[65] Corte costituzionale, 19 giugno 1998, n.227, Direzione reg. entrate Liguria c. Fondaz. Gaslini e altro, Cons.
Stato 1998, II, 794: “… il principio di eguaglianza, implicando un giudizio di relazione in virtù del quale a situazioni
eguali deve corrispondere l’identica disciplina e, all’inverso, discipline diverse andranno a coniugarsi a situazioni
differenziate, postula una valutazione di ragionevolezza delle scelte operate dal legislatore nell’omologare ovvero nel
distinguere le varie situazioni”.
Con la sentenza N.454\1997 -Com. Varese c. Bonomi e altro, Cons. Stato 1997, II,2012- relativa all'art.14, secondo
comma, della legge 27 dicembre 1985, n.816, tale disposizione non è stata ritenuta illegittima, “ove si consideri, da un
canto, la già ricordata discrezionalità del legislatore e ove si tenga conto, dall'altro, della funzione di semplice ristoro
forfettario, e non di completa reintegrazione delle perdite economiche, che le indennità assolvono, sicché non appare
arbitraria o irragionevole una disciplina che prescinde dalle situazioni in cui concretamente versano gli interessati,
essendo, oltretutto, difficile, se non addirittura irrealizzabile, l'accertamento della diversa entità del pregiudizio
economico che, in via di fatto, ciascun cittadino subisce a causa dell'assunzione di cariche pubbliche, in relazione alle
peculiari fonti del suo reddito.”
Il giudizio sulla ragionevolezza comporta la disamina della conformità di una norma al principio di
eguaglianza tenendo conto della variabilità delle situazioni che si possono verificare storicamente e
verificando "perché" una determinata disciplina operi quella specifica distinzione;66[66] questa
disamina, ispirata al rispetto del principio generale di conservazione dei valori giuridici: e di quello
dei confini del sindacato di legittimità, non consente apprezzamenti nel merito delle opzioni
legislative, pena lo sconfinamento del controllo di legittimità in una verifica di opportunità.67[67]
La Corte costituzionale ha anche sottolineato l’importanza del principio di proporzionalità, a sua
volta alla base della razionalità informante il principio di eguaglianza68[68].
Rispetto al tema generale delle antinomie acquista particolare rilievo la considerazione relativa alle
normative speciali;69[69] infatti, le normative speciali richiedono la ponderazione delle scelte
operate fra principi costituzionali;70[70] valutazione che va operata anche in caso di
bilanciamento71[71] fra diritti costituzionalmente garantiti72[72] (ma, ci chiediamo, esistono diritti
Per altre occasioni che hanno indotto portato la Corte a negare la comparabilità fra situazioni diverse concernenti i
redditi, v. anche ordinanza n.368 del 1987 e le sentenze nn.123 e 143 del 1982 e 107 del 1971; sull’ampia
discrezionalità del legislatore “nella previsione della deducibilità degli oneri ai fini della imposizione sui redditi,
secondo criteri volti a conciliare - sulla base di valutazioni politico-economiche - le esigenze finanziarie dello Stato con
quelle del cittadino, chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva; esigenze non meno importanti di quelle
della vita individuale (sentenze nn.21 del 1996, 574 del 1988, 108 del 1983, 143 e 134 del 1982 e ordinanze nn.26 del
1989, 52 del 1988 e 556 del 1987)”.
66[66] Cfr. Corte costituzionale, 28 marzo 1996, n.89, Sarlo, Cons. Stato 1996, II, 430; Dir. penale e processo 1996,
546.
67[67] Si legge nella stessa sentenza: “Il giudizio di eguaglianza … è in sé un giudizio di ragionevolezza, vale a dire un
apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la "causa" normativa che la deve assistere: ove la disciplina
positiva si discosti dalla funzione che la stessa è chiamata a svolgere nel sistema e ometta, quindi, di operare il
doveroso bilanciamento dei valori che in concreto risultano coinvolti, sarà la stessa "ragione" della norma a venir
meno, introducendo una selezione di regime giuridico priva di causa giustificativa e, dunque, fondata su scelte
arbitrarie che ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza. Ogni tessuto normativo presenta, quindi, e deve
anzi presentare, una "motivazione" obiettivata nel sistema, che si manifesta come entità tipizzante del tutto avulsa dai
"motivi", storicamente contingenti, che possono avere indotto il legislatore a formulare una specifica opzione: se
dall'analisi di tale motivazione scaturirà la verifica di una carenza di "causa" o "ragione" della disciplina introdotta,
allora e soltanto allora potrà dirsi realizzato un vizio di legittimità costituzionale della norma, proprio perché fondato
sulla "irragionevole" e per ciò stesso arbitraria scelta di introdurre un regime che necessariamente finisce per
omologare fra loro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe.”
68[68] “La giurisprudenza di questa Corte ritiene necessario che le sanzioni destitutive, sia nel campo del pubblico
impiego che in quello delle professioni inquadrate in ordini o collegi professionali, non siano disposte in modo
automatico dalla legge, ma siano irrogate solo a seguito di un procedimento disciplinare che consenta di adeguare la
sanzione al caso concreto secondo il principio di proporzione”. Cfr. Corte costituzionale, 21 gennaio 1999, n.2
Colombari c. Consiglio naz. ragionieri periti comm., Cons. Stato 1999, II, 5, Giur. cost. 1999, 13 nota (SANDULLI),
Riv. amm. R. It. 1999, 457, ed ampia giurisprudenza costituzionale ivi citata.
69[69] Sulla differenza fra le norme “generali”, “speciali” ed “eccezionali” Perlingieri, Manuale di
diritto civile, CSI Napoli 1997, p. 8ss.
70[70] A proposito della disciplina giuridica dei diritti delle minoranze, v. Corte costituzionale, 29 ottobre 1999, n.406,
Sancin, Cons. Stato 1999, II,1478, Giur. cost. 1999, 3143 nota (PALICI, PRAT): “Ove si abbia a che fare
necessariamente con norme speciali - come per definizione è in ogni caso la disciplina giuridica di diritti di minoranze
- all'astratto richiamo del principio di uguaglianza deve sostituirsi la valutazione della ragionevolezza (anzi: dal punto
di vista dei poteri di annullamento delle leggi che a questa Corte spettano, la valutazione della non manifesta
irragionevolezza) delle scelte del legislatore, rispetto all'insieme dei principi contenuti nella Costituzione che vengono
in considerazione.”
71[71] Quanto al bilanciamento dei principi, considerati in concorso anziché in conflitto, v., estesamente, il Perlingieri
(PERLINGIERI P. - FEMIA P., Manuale di diritto civile, ESI 1997, [I, 6], p.15ss).
72[72] In tema di restrizioni del diritto di difesa, previsto dall’art.24 cost., v.Corte costituzionale, 23 novembre 1993,
n.407, Schiaffi c. Pres. Cons., Giur. cost. 1993, fasc. 6; Cons. Stato 1993, II,1872 (s.m.): “Se… in generale non può
non garantiti in qualche modo dalla Costituzione?). Quanto al principio della parità delle armi in
campo processuale, ad esempio, il divieto assoluto della prova testimoniale è stato ritenuto lesivo
del principio di eguaglianza e del generale canone di ragionevolezza.
Si considerino gli esempi che seguono:
‰
È stato ritenuto ragionevole che il lavoratore italiano all'estero acceda al sistema
previdenziale italiano -consideratine il fondamento assicurativo ed il carattere territoriale -solo
in caso di rapporto di lavoro assoggettato o assoggettabile a contribuzione in Italia.73[73].
L’ambito del principio di uguaglianza è stato circoscritto ai soggetti, non anche agli organi
giurisdizionali, che hanno poteri determinati solo dal legislatore e sindacabili solo sotto il
profilo della ragionevolezza.74[74]
‰
È stato espressamente deciso che i diritti inviolabili dell’uomo non tollerano discriminazioni
fra l’italiano e lo straniero, ma ci sono comprensibili eccezioni, perché occorre considerare la
fattispecie concreta: l'ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale comporta la ponderazione
di interessi pubblici secondo un'ampia discrezionalità, vincolata solo alla ragionevolezza.75[75]
‰
La ragionevole tutela solo di alcuni interessi fra tutti quelli ragionevolmente tutelabili, non
comporta antinomia.76[76]
‰
Fra i casi di antinomia apparente sopravvenuta, la più frequente, è stato ritenuto che non
costituisce antinomia il trattamento differenziato in momenti diversi nel tempo:
‰
ritenersi che la previsione di limiti alla prova (intesa in senso ampio e quindi comprensiva anche della prova dei
presupposti di fatto che rilevano ai fini de lla procedibilità dell'azione penale) sia incompatibile con la necessaria
tutela del diritto di difesa (art.24 Cost.), ove questa debba contemperarsi con l'esigenza di tutela di altri diritti
costituzionalmente garantiti, occorre pur sempre verificare la ragionevolezza di eventuali adattamenti o restrizioni
conseguenti al bilanciamento operato dal legislatore”. V. anche Sent. Corte costituzionale n.18 del 2000, supra citata.
73[73] Riguardo al principio di eguaglianza sostanziale, la minore disponibilità di mezzi del cittadino italiano "non
assicurato" in Italia ma in altro Paese CE è stata ritenuta solo una conseguenza di fatto. Cfr. Corte costituzionale, 18
dicembre 1995, n.509, Zandonà c. Inps, Giur. cost. 1995, fasc. 6.
74[74] Cfr. ordinanza Corte costituzionale, 20 luglio 1994, n.324, Pannuti c. Pres. Cons., Giur. cost. 1994, 2723. La
Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art.310,
comma 3, del codice di procedura penale, osseervando, tra l’altro, che “…va rilevato che tra organi giurisdizionali non
sono configurabili problemi di disparità di trattamento costituzionalmente rilevanti perchè l'art.3 della Costituzione
concerne l'eguaglianza fra soggetti, un aspetto cioè non apprezzabile nel confronto tra organi giurisdizionali i cui
poteri sono determinati dalle scelte del legislatore, sindacabili in riferimento all'art.3 della Costituzione solo sotto il
profilo della ragionevolezza”.
75[75] Cfr. Corte costituzionale, 24 febbraio 1994, n.62, Hakimi e altro, Riv. dir. internaz. 1994, 1054: “…la diversa
posizione dello straniero, caratterizzata dall'assoggettamento, in via di principio, a discipline legislative e
amministrative, che possono comportare, in casi predeterminati, anche l'espulsione dallo Stato, ha una ragione nel
rilievo, sottolineato dall'Avvocatura erariale, secondo il quale la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello
straniero nel territorio nazionale é collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la
sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di
immigrazione. E tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia
un'ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte
non risultino manifestamente irragionevoli (v. sentt. nn.144 del 1970 e 104 del 1969)”.
76[76] Giurisprudenza costante. Cfr. Corte costituzionale, 17 dicembre 1987, n.530, Cavaliere e altro, Giur. cost. 1987,
fasc. 12.
‰
Lo scorrere del tempo è un elemento diversificatore, perciò non contrasta col principio di
uguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti in tempi
diversi77[77]
Ancora più articolato è il caso –anch’esso ritenuto incensurabile sotto il profilo
dell’uguaglianza- di un trattamento differenziato applicato a situazioni prima omogenee,
successivamente diversificate da dati legislativi e sociologici sopravvenuti.78[78]
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Quanto al Giudice di pace – quando decide "ratione valoris" secondo equità79[79] - nulla è
stato osservato in tema di antinomia. È stato ritenuto che anche a seguito della novellazione
escludente il vincolo dei "principi regolatori della materia", impone pur sempre il rispetto
delle norme della Costituzione e delle regole di diritto, ed obbliga ad individuare quelle
applicabili alla fattispecie anche se il Giudice può motivatamente discostarsene.
L'attenuazione della rigida applicazione delle regole di diritto opera solo nel senso di ridurre
la persuasività degli elementi addotti per motivare l'accoglimento della domanda Questa
interpretazione è conforme alla "ratio" della novella e rispettosa dei principi costituzionali
invocati.80[80]
Conclusioni: quando e perché è possibile
parlare di antinomia
Va innanzitutto sgombrato il campo dai casi nei quali è stato ritenuto “antinomia” ciò che tale non
è: abbiamo già visto che non sussiste antinomia quando il conflitto non c’è, “per la contraddizion
che nol consente”, come si diceva in antico.
Nel tentare una possibile rappresentazione organica di quanto evidenziato fino ad ora nelle disperse
e frammentate “ragioni” della giurisprudenza, proviamo ad articolare un possibile elenco dei casi
in cui il conflitto non ricorre.
Il conflitto non c’è nelle seguenti ipotesi:
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In sede interpretativa, le disposizioni considerate risultano compatibili.
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Ordinamenti diversi;
77[77] Giurisprudenza costante. V. Ordinanza Corte costituzionale, 26 luglio 1989, n.441, Graziadio, Cons. Stato 1989,
II,1043 (s.m.); Riv. giur. lav. 1989, III,161. La Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell'art.11, primo comma, del decreto-legge 3 maggio 1988, n.140 (Misure urgenti per il
personale della scuola), convertito, con modificazioni, nella legge 4 luglio 1988, n.246, osservando di avere “statuito
che non contrasta col principio di uguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti
in momenti diversi nel tempo, “perchè lo stesso fluire di questo costituisce di per sè un elemento diversificatore
(sentenze n.57 del 1973; 92 del 1975; 138 del 1977; 65 del 1979; 138 del 1979; 122 del 1980; 618 del 1987)”.
78[78] Cfr. ordinanza Corte costituzionale, 31 ottobre 1991, n.396, Casadei e altro c. Ministero interno e altro, Giur. it.
1992, I,1,11. La Corte ha ricordato di avere “già esaminato in più occasioni questioni concernenti la norma impugnata
(sentenza n.I90 del 1990; ordinanze n.415 del 1990 e n.557 del 1990) dichiarandone l'infondatezza per essere del tutto
ragionevole e non contrastante con il principio d'eguaglianza un trattamento differenziato applicato a situazioni in
precedenza omogenee, ma successivamente diversificatesi in ragione di sopravvenuti dati legislativi e sociologici
modificativi del quadro normativo e del contesto dell'intervento legislativo.”
79[79] Art.113, comma 2, c.p.c.
80[80] Cassazione civile, sez. I, 24 agosto 1998, n.8397, Cola c. Cons. Cerenova, Giust. civ. Mass. 1998, 1758. Caso
nel quale è stato ritenuto che la prova del quantum potesse essere basata sulla sola relazione contabile del liquidatore.
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Successione di norme;
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Ultraattività della normativa precedente;
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Rapporto gerarchico fra norme;
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Rapporto di specialità;
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“Assorbimento”;
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Disparità giustificate dal fluire del tempo.
Rimangono, a questo punto, i casi di antinomia effettiva, secondo quanto abbiamo analizzato della
giurisprudenza (costituzionale ed ordinaria).
Casi e di antinomia sono stati rilevati nelle fattispecie di:
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Fra norme contemplate all’interno della stessa fonte81[81] (una sorta di “antinomia
originaria”, quando le norme in conflitto sono realmente quelle coeve82[82]);
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Per conflitto con un principio generale del diritto (e di logica elementare): “ad impossibilia
nemo tenetur”;83[83]
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Per incostituzionalità, ad esempio nelle frequenti ipotesi nelle quali può parlarsi di
ingiustificata differenza di disciplina;
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Per mancato rispetto della -o mancato adeguamento alla- normativa internazionale, quando
cogente per l’ordinamento italiano84[84];
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Sorprendentemente, si è ravvisata“antinomia” anche fuori dell’ambito normativo, tradendo
in tal modo l’etimologia del termine ed il suo uso corrente in dottrina, per esempio in tema di
dichiarazioni di testimoni, di indagini peritali e fra rimessione e giudicato.
Per quanto suggerisce l’esame delle pronunce considerate, nell’ambito squisitamente -e
correttamente- normativo può aversi antinomia reale nell’ambito del mero diritto interno (per
“errore tecnico del legislatore”) o nell’ambito del interno riguardo al diritto internazionale (inerzia
del legislatore, per mancato dovuto adeguamento al diritto interno).
Nel diritto interno, l’antinomia è reale quando impone una disapplicazione di norma: perché in
conflitto con quella espressa in un principio fondamentale di diritto oppure perché contrastata da
una norma costituzionale.
Nel caso del principio giuridico, esso non è necessariamente ritenuto di rango costituzionale, come
abbiamo visto a proposito di irretroattività della legge; oppure è un principio come quello “ad
impossibilia nemo tenetur”, che abbiamo visto applicato a proposito di norme coeve incompatibili,
per cui l’interprete è costretto ad applicare quella suggerita dallo spirito della normativa considerata.
81[81] Ma abbiamo visto che nella fattispecie considerata in realtà non è così.
82[82] Il caso è possibile, ma in casi diversi da quello esaminato.
83[83] In qualsivoglia ipotizzabile fonte, una norma può riuscire ad essere assurda anche senza scomodarne quelle
“coeve” (ed, eventualmente, anche senza scomodare l’impossibilità, ma questo è un altro discorso).
84[84] V. Art.10 Costituzione.
Una ultima considerazione sembra essere suggerita, più o meno per implicito, da quanto abbiamo
visto: un principio giuridico ermeneutico ha cittadinanza nel diritto perché evidentemente ne ha
titolo -espresso o tacito che si voglia- e questo titolo deve pur essere previsto in qualche dove
dell’ordinamento, taciuto, benché utilizzato, nelle pronunce fin qui esaminate.