Numero 12 – Febbraio 2013 – Liberamente scaricabile da http://www.skylive.it SUPERNOVAE Riassunto gratuito dell’attività mensile di Skylive Telescopi Remoti MATERIA OSCURA E PRINCIPIO COSMOLOGICO ANDIAMO NEL VERSO GIUSTO? Strutture troppo grandi e nuove teorie minano le nostre ipotesi di base, proprio mentre si investe in Euclid Dall’universo Kepler: 461 nuovi pianeti? Titano tra laghi ghiacciati e età nascosta Apophis: arrivederci senza paura A caccia di esopianeti ed esocomete Il cielo di febbraio Costellazioni del mese Pianeti: visibilità e effemeridi Asteroidi e comete Sciami meteorici Le attività di Skylive nel mese di febbraio Una costellazione sopra di noi: AURIGA SKYLAUNCH: un piccolo passo sulla Luna Rassegna stampa e cielo del mese: uno sguardo al cielo di Marzo Sito Skylive http://www.skylive.it Forum Skylive http://www.skylive.it/forum05 IN QUESTO NUMERO MERAVIGLIOSO TITANO Skylive Telescopi Remoti è un servizio promosso e portato avanti da appassionati di astronomia, che mette a disposizione degli utenti la possibilità di conoscere l'astronomia e di viverla in prima persona sotto il cielo, sia tramite divulgazione teorica via web o serate on line e dal vivo, sia tramite un circuito di telescopi a disposizione del pubblico da osservare in remoto. SUPERNOVAE è una rivista di aggiornamento astronomico divulgata gratuitamente attraverso il sito Skylive. Dai laghi ghiacciati ai crateri nascosti, alcune novità riguardanti questo affascinante mondo Pagina 10 ESOPIANETI, ESOCOMETE, ESOAURORE Asteroidi e comete intorno a Vega, mentre si scoprono anche le prime esoaurore Pagina 20 UN UNIVERSO CONTROMANO Scie di stelle e pianeti in moto retrogrado, qualche spiegazione è stata trovata Pagina 26 CACCIA ALL’UNIVERSO OSCURO Presidente IVAN BELLIA Vice LUCA SCARPAROLO A cura di STEFANO CAPRETTI Grafica DANY GOZZI Contatti: [email protected] Sito web: http://www.skylive.it La NASA dà la mano a Euclid, ma nel frattempo qualcosa sembra vacillare. Pagina 38 IL GIORNO DEI PLANETARI: INFINI-TO Il Planetario di Torino si prepara all’evento con una strumentazione del tutto nuova Pagina 42 IL CIELO DI FEBBRAIO 2012 Costellazioni, visibilità dei pianeti, asteroidi, comete, sciami meteorici, effemeridi Pagina 74 In più, Aladin spiegato dal nostro amico Maurizio Zanibelli e alcune tra le migliori immagini scattate dai nostri telescopi oppure dai nostri amici iscritti a Skylive. Il cielo capovolto Q ualcosa che non abbiamo mai visto anche se è sempre stata davanti ai nostri occhi, anche se non ha mai cercato di nascondersi né di farsi scoprire. Come l’America, rimasta lì per anni e secoli fino all’arrivo dei navigatori europei. Qualcosa che è lì come è sempre stata, da miliardi di anni, e che ancora facciamo fatica a capire. Eppure inseguiamo la chimera della sua esistenza perché gli effetti li vediamo e perché in questo modo i conti ci tornano, spesso. Buffa la vita dei cosmologi: spesso vanno in accesa discussione con la religione perché non credono a cose non dimostrabili, e poi sono costretti a basare tutto l’universo su qualcosa che non riescono a vedere né a provare, donandogli quella tonalità oscura che da un lato è così affascinante e dall’altro è così deprimente perché ci lascia disarmati. Provocazione, ovviamente, perché in certi termini gli effetti si vedono quindi, indirettamente, possiamo dire che c’è. Ma non sempre gli effetti sono quelli attesi, ed ovviamente questo comporta la necessità di rivedere costanti, conti, masse, limiti. E anche principi fondamentali, a volte. Ci raccontano che l’universo a grande scala sia omogeneo e isotropo, ma poi viene scovata una struttura gigantesca che lo altera distruggendo la nostra base d’appoggio dell’intera teoria. Sposteremo i limiti ancora un po’ più in là e manterremo valido comunque il nostro principio cosmologico? In fondo se il nostro modello si basa su qualcosa che non si vede possiamo ancora dire di tutto… Ma si, materia oscura ed energia oscura esistono, è ovvio… altrimenti perché quelle stelle così esterne sono così veloci? Devono esistere per forza… a meno che questa gravitazione secondaria teorizzata e pubblicata questo mese sia valida. Certo non è facile la vita dei cosmologi: ad un certo punto potresti scoprire di aver sbagliato tutto. Ma sbagliare è scienza, ed anche l’errore avvicina alla realtà. Restiamo alla finestra, prima o poi qualcosa scopriremo. In fondo è tutto lì davanti ai nostri occhi, prima o poi lo vedremo. SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Ciao Apophis, senza paura L’asteroide che un tempo spaventò la Terra è passato e passerà ancora senza danno 4 SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della NASA hanno ricalcolato la possibilità che l'asteroide Apophis possa impattare la Terra durante il flyby del 2036, utilizzando i dati ottenuti durante il periodo 2011-2012 e i dati derivanti dal passaggio ravvicinato di gennaio 2013. Scoperto il 19 giugno 2004 da Roy A. Tucker, David Jemes Tholen e Fabrizio Bernardi, Apophis (il cui nome è 99942 Apophis dopo aver ricevuto la designazione provvisoria di 2004 MN4) è subito salito alla ribalta della cronaca dal momento che i primi calcoli orbitali indicavano una probabilità di collisione pari al 2,7% durante un flyby previsto per l’anno 2029. Alla luce dei primi risultati, Apophis fu portato al livello 1 della Scala Torino, che indica il grado di pericolosità di un corpo celeste in termini di probabilità di L’asteroide Apophis è stato scoperto il 19 giugno del 2004. Le prime stime orbitali mostravano probabilità di impatto con la Terra superiori alla media, e questo portò Apophis alla ribalta su tutti i media al punto che, anche quando la sua orbita fu perfezionata e il pericolo fu scongiurato, molti continuano ancora a credere che questa roccia arriverà a colpire la Terra. Image credit: UH/IA 5 impatto e di entità di danni provocabili in caso di collisione. con certezza che non ci sarà alcun impatto. Dopo lo spavento iniziale, i dati ottenuti dallo studio della traiettoria nel cielo di questo corpo roccioso hanno fornito ulteriori informazioni e maggior precisione al calcolo, fino a scongiurare ogni disastroso evento per il 2029. Già nel 2006, tuttavia, alla luce dei nuovi dati e quindi del miglioramento dei parametri orbitali, l’asteroide fu riportato insieme a tutti gli altri a livello zero della Scala Torino stessa. Proprio le probabilità di impatto iniziali fecero scegliere un nome di tutto rispetto per questo asteroide: Apophis è infatti dedicato al dio dell’antico Egitto Apòfi, detto il “Distruttore”. Si tratta di un asteroide del gruppo di Aten, caratterizzati da un’orbita con semiasse maggiore inferiore all’Unità Astronomica. Il periodo orbitale di Apophis è di circa 323 giorni ed il suo percorso interseca due volte quello terrestre. Ne segue un perielio più vicino di quello terrestre (0,922 UA) e un afelio invece più distante rispetto al nostro (1,099 UA). Rimaneva un leggero timore per il 2036. Questo almeno fino a questo mese, dal momento che attraverso l’elaborazione dei nuovi dati anche la possibilità che si verifichi un impatto nel 2036 è del tutto nulla. Per essere precisi è una probabilità inferiore a una su un milione, il che consente di dire Ad aprile 2029, il 13 per la precisione, il flyby dell'asteroide sarà comunque un avvicinamento da record visto che la distanza dalla Terra sarà di soli 31.300 chilometri dalla superficie SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Apophis visto da Herschel nelle tre bande di 70, 100 e 160 micron. Crediti: ESA/Herschel/PACS/MACH-11/MPE/B.Altieri (ESAC) and C. Kiss (Konkoly Observatory) terrestre. Si prevede addirittura che data la vicinanza l’asteroide potrà avere una magnitudine ampiamente negativa, tanto da essere scorto ad occhio nudo da una vasta zona della Terra che comprende Europa, Africa e Asia occidentale. Nulla, però, al confronto del passaggio di un altro asteroide meno conosciuto: 2012 DA14, una roccia di 40 metri che passerà a circa 28.000 chilometri di distanza dal nostro pianeta a metà febbraio 2013. Anche in questo caso, ovviamente, nessun rischio di collisione. Il passaggio di gennaio 2013 è servito al telescopio spaziale Herschel dell'ESA a riprendere l'asteroide da una distanza 6 minima di 14,5 milioni di km. I dati ottenuti dall'osservazione hanno permesso di stabilire che Apophis è un po' più grande di quanto in precedenza stimato, e un po' meno riflettente: il diametro è ora indicato con buona precisione attorno ai 325 metri contro i 270 metri precedentemente stimati, il che porta anche la massa ed il volume ad un valore del 75% più alto di quello finora stimato. Analizzando il calore emesso da Apophis, le osservazioni di Herschel hanno anche permesso una nuova stima dell'albedo (riflettività della radiazione solare) Il nuovo valore è 0,23 contro lo 0,33 finora stimato: quindi il 23% della luce solare che colpisce il corpo celeste viene riflessa, mentre il resto viene assorbito e contribuisce a riscaldare l'asteroide. Sembra un fatto puramente estetico, ma esiste un effetto, noto come effetto Yarkovsky, per il quale anche il riscaldamento contribuisce a variazioni orbitali nel lungo periodo. Non è un caso se proprio lo scorso anno qualcuno paventò l’ipotesi di poter deviare il percorso dell’asteroide, in caso di collisione, dipingendolo di bianco. Sembra una barzelletta, ma l’idea ha vinto il 2012 Move an Asteroid Technical Paper, una competizione annuale sponsorizzata dallo Space Generation Advisory Council delle Nazioni Unite Skylive Telescopio #1 SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Vidor (TV) Takahashi Sky90 Diametro 90mm Focale 407 mm f/4.5 Montatura NEQ6 CCD SBIG ST-8300 Filtri R-G-B-L-H-S-O-C-D 7 Gestito da Mattia Spagnol (mattia_staff) SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Pezzi di Marte sulla Terra Un meteorite proveniente da Marte e ritrovato in Marocco è diverso da tutti quelli analizzati finora: è ricco d'acqua e carbonio organico, relativamente recente e probabilmente di origine vulcanica. 8 SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE ricevute in dono da Marte? Innanzitutto ha un contenuto di acqua superiore rispetto ai cosiddetti meteoriti SNC (da Shergotty, Nakhla e Chassign, località di rinvenimento). Questa acqua, presente in 6000 parti su un milione, potrebbe derivare da sorgenti vulcaniche o da antiche falde superficiali. E’ stato trovato nella zona NordEst dell’Africa, nel deserto marocchino, quindi il suo nome prende spunto dal luogo di ritrovamento: si chiama NWA 7034 ed è un meteorite molto diverso da quelli finora ritrovati la cui provenienza è Marte. Per tutti è ormai diventatao “Black Beauty” (Bellezza Nera). Finora i campioni di roccia che il pianeta rosso ci ha spedito a casa sono 110, ma abbiamo riconosciuto il mittente perché la composizione di questa roccia è del tutto simile a quella analizzata dai rover che circolano sulla superficie di Marte. E allora dove sta questa stranezza? Lo studio è stato condotto da un team di scienziati dell’università del New Mexico guidati da Carl Agee ed i cui risultati sono pubblicati su Science: sembra proprio che questa piccola roccia provenga dalla crosta di Marte, quindi dallo strato più esterno, quello calpestabile e a contatto con l’atmosfera. In cosa si differenzia questa pietra da quelle finora 9 E’ proprio la presenza di acqua che ci consente di datare Black Beauty, segnata dall’interazione dell’acqua stessa con l’atmosfera: nostra Luna mentre su Marte risulta una novità assoluta. E’ proprio tutto questo che lascia propendere per una origine superficiale di NWA 7034, che quindi dovrebbe essere un frammento di crosta. Poi c’è il carbonio: la sua analisi ci porta a pensare che la roccia abbia subito processi secondari che hanno portato alla formazione di macromolecole di carbonio organico. In alto a sinistra, una immagine di Black Beaty, il meteorite ritrovato nel 2011 nel deserto marocchino (Credit NASA). In alto, immagine artistica di Marte. dovrebbe risalire all’epoca amazzoniana di Marte, quindi a circa 2,1 miliardi di anni fa. Non solo acqua, comunque: la sua composizione abbonda di frammenti di basalto cementati, derivanti dal rapido raffreddamento della lava in presenza di attività vulcanica. Composizione di questo tipo è classicamente rintracciabile sulla I meteoriti di tipo SNC finora ci avevano parlato del mantello di Marte e della sua abbondanza di ferro, mentre Black Beauty ci racconta la storia della crosta che già conoscevamo grazie ai lavori sul posto di Spirit e Odissey. Paradossalmente, dato il riscontro dei dati, NWA 7034 è l’unico diverso ma è anche l’unico del quale abbiamo davvero la prova della provenienza SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE I meravigliosi laghi La luna di Saturno è sempre più vicina, almeno nelle nostre fantasie, a somigliare ad un pianeta Terra in miniatura pieno di vallate, laghi e fiumi… e un’atmosfera che coprendo i crateri ne camuffa l’età 10 SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE ghiacciati di Titano … ma al posto dell’aqua, un mix di idrocarburi. 11 SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Il riflesso di un lago di idrocarburi ripreso da Cassini. Credit: NASA Un lago ghiacciato, come se ne vedono tanti in pieno inverno nei rigidi paesi posti al di sopra di determinate latitudini. La cosa particolare è che non stiamo affatto parlando della Terra ma di un satellite molto lontano da noi. Un nuovo articolo tratto dai dati della missione Cassini riporta infatti la scoperta di blocchi di idrocarburi ghiacciati che potrebbero decorare la superficie dei laghi e dei mari liquidi sulla luna di Saturno Titano. La presenza di ghiaccio potrebbe spiegare alcune delle riflettività superficiali che Cassini ogni tanto registra su Titano, come il famoso riflesso nella zona polare della luna immortalato pochi anni fa. Titano è il satellite più grande di Saturno e il secondo più grande – dopo Ganimede – di tutto il Sistema Solare: una luna dal diametro di 5.150 chilometri e con una temperatura ovviamente molto bassa, data la grande distanza dal Sole, circa dieci volte la distanza che separa noi dalla nostra stella. 12 Una delle domande più ricorrenti riguarda la possibilità di forme di vita esotiche su Titano, ed a tal proposito la formazione di blocchi di ghiaccio fornisce una opportunità in più per tracciare i confini esistenti tra stato solido e stato liquido, confine molto importante per l'origine della vita sulla Terra e quindi, probabilmente, anche su altri mondi. Titano è l'unico corpo del sistema solare, a parte la Terra, a preservare vaste quantità di liquido sulla superficie ma non si tratta di acqua come accade sul nostro pianeta, bensì di idrocarburi come etano e metano, molecole organiche che potrebbero dar vita a chimiche complesse e forse ad una vita basata sul silicio che usa gli idrocarburi come solvente. Il metano solido è più denso di quello liquido e dovrebbe affondare, quindi finora non si è mai ipotizzata la presenza di ghiaccio sui laghi ma i nuovi modelli considerano anche l'interazione tra laghi e atmosfera dando vita a diverse composizioni Visione artistica dell’oceano di idrocarburi di Titano durante un tramonto e cambiamenti di temperatura. Il risultato finale è che in inverno il ghiaccio potrebbe galleggiare sulle distese liquide nel caso in cui la temperatura fosse superiore al punto di congelamento del metano, pari a circa 90,4 Kelvin. Se da tali condizioni la temperatura cadesse di pochi gradi, il ghiaccio terminerebbe la propria esistenza a causa degli equilibri che l'azoto presenta tra lo stato liquido e lo stato solido. Temperature prossime a quelle di congelamento del metano, invece, potrebbero portare alla presenza di strati di ghiaccio in galleggiamento sugli oceani e sui laghi, dando vita a paesaggi del tutto simili, ma con colori diversi, da quelli che siamo soliti vedere sul nostro pianeta. Come se non bastasse, questo mese è stata messa anche in discussione l’età di Titano: la datazione viene calcolata in base al numero di crateri superficiali visto che più numerosi sono questi e più antico dovrebbe essere il corpo celeste. Confrontato con Ganimede, Titano ha meno crateri ma sembra proprio che la sua densa atmosfera e le piogge riescano a coprirne una buona parte. Sicuramente il sistema di Saturno, a partire da Titano ed Encelado, è uno dei luoghi che incuriosiscono maggiormente gli scienziati e quindi i futuri target di ulteriori missioni spaziali di accertamento di presenza di vita SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Botto di fine anno E' stato ripreso dalla sonda della NASA Solar Dynamics Observatory il 31 dicembre scorso un flare lungo 300.000 chilometri, venti volte il diametro del nostro pianeta. L’immagine della NASA ci mostra un flare solare, un getto di plasma lungo circa 300.000 chilometri ripreso dalla sonda Solar Dinamycs Observatory (SDO) dell'agenzia spaziale statunitense. Considerato il diametro della Terra di circa 13.000 chilometri, questo getto di plasma è oltre venti volte il nostro pianeta. Il fenomeno è durato circa quattro ore e si è verificato la mattina del 31 dicembre 2012 per gli USA, tra le 16.20 e le 20.20 italiane. Le forze magnetiche della nostra Stella spingono all'esterno questa gigantesca lingua di fuoco, ma nonostante la dimensione il flare non riesce a sfuggire alla forza gravitazionale del Sole e la maggior parte 13 del plasma ricade sulla superficie del Sole dando vita a spettacolari archi di luce. SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Luce sulla corona Cinque minuti di volo suborbitale sono bastati a fare maggiore chiarezza su uno dei misteri più fitti dell’astrofisica 14 moderna: la temperatura della corona solare SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Panoramica del Marshall Space Flight Center Uno dei temi più dibattuti in astrofisica riguarda l'atmosfera solare, la cosiddetta corona. La superficie solare ha una temperatura che si aggira intorno ai 5.800 gradi Kelvin, il che dona alla nostra stella il colore giallino con il quale siamo soliti raffigurarla. La sua atmosfera, la corona appunto, raggiunge invece il milione di gradi Kelvin, il che rappresenta un mistero fin dalla prima misurazione di questa torrida temperatura. Nel tempo si sono succedute molte teorie a spiegazione più o meno parziale di quanto possa avvenire, dal punto di vista fisico, nella corona solare si da giustificare un tale riscaldamento. Diverse sono le teorie che recentemente sono state portate maggiormente avanti. La prima risale a inizio 2011 quando si è "dimostrato" un collegamento tra questo calore e dei brevi getti di plasma riscaldato (spicole di tipo II) scoperti nel 2007. Idea nuova che comunque non fece molta breccia nel cuore della comunità scientifica, orientata 15 principalmente su altre due possibili cause: le onde di Alfvén, onde magnetiche che si propagano, e la dissipazione di energia immagazzinata nel campo magnetico attraverso riconnessione magnetica. A favore della prima teoria si è schierato un articolo del National Center for Atmosfpheric Research, secondo il quale le onde di Alfven sono centinaia di volte più intense di quanto non fosse stato stimato fino ad allora e quindi in grado, da sole, di scaldare la corona ai livelli effettivamente misurati. D'altro canto anche la teoria della riconnessione magnetica ha trovato favori grazie alla scoperta di nanobrillamenti dovuti a riconnessioni a piccola scala. Come sempre la cosa migliore è osservare, e proprio per questo il giorno 11 luglio 2012 un team guidato da J.W. Cirtain del Marshall Space Flight Center della NASA ha lanciato un razzo suborbitale in grado di ottenere immagini della corona solare con un dettaglio di 150 chilometri per pixel contro i 900 chilometri per pixel fino ad allora ottenuti. Nonostante il razzo sia stato in volo per soli 5 minuti prima di ricadere sul nostro pianeta, i dati usciti sulla rivista Nature sono di estrema importanza. L'importanza è presto spiegata: osservare un fenomeno su scala 1:900 chilometri fornisce una idea di massima, ma osservarlo in scala 1:150 chilometri riesce a fornirne dettagli di piccola scala che possono presentare fenomeni interessanti e finora sconosciuti. E' così risultato un campo magnetico molto più complesso di quanto non sia stato pensato finora ed una corona solare molto più dinamica di quanto atteso. Il rilascio per riconnessione dell'energia magnetica di queste strutture complesse può quindi essere sufficiente, di per sé, a spiegare lo strano calore della corona solare. Ovviamente si tratta di una nuova conferma, così come in passato ne sono giunte altre per altre teorie, quindi i lavori devono andare avanti visto che la parola fine non è ancora stata scritta e probabilmente i fattori che determinano questo insolito calore sono riconducibili a più meccanismi. La corona solare rappresenta lo strato più esterno del Sole, la sua atmosfera, ed è visibile soltanto durante le eclissi totali di Sole quando la Luna ci ripara dalla fotosfera SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Vesta al carbonio La presenza di materiale scuro e ricco di carbonio sulla superficie dell’asteroide visitato dalla sonda DAWN ci potrebbe parlare di storie di impatti con asteroidi minori 16 SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE In pratica l’analisi dei dati provenienti dalla sonda DAWN, che per un anno ha orbitato intorno all’asteroide Vesta, è appena iniziata quindi non meravigliamoci se per i prossimi mesi avremo costantemente a che fare con aggiornamenti continui riguardanti questo asteroide. A settembre 2012 la sonda DAWN ha ottenuto delle immagini di due enormi crateri che, oltre ad essere altamente spettacolari, hanno evidenziato la presenza di strane macchie scure. Vesta è a tutti gli effetti un protopianeta: uno dei pochi oggetti incontaminati del Sistema Solare, formatosi insieme al resto dei pianeti e degli asteroidi circa 4,5 miliardi di anni fa e mantenuto quasi intatto fino ad oggi, consentendoci quindi di studiare le prime fasi di formazione del nostro sistema planetario. Nonostante questa “purezza”, l’ultimo numero della rivista Icarus ha presentato un articolo firmato da Vishnu Reddy nel quale il team di astronomi del Max Planck Institute (Germania) da egli guidato sarebbe riuscito a dimostrare come il materiale scuro carbonaceo presente nei crateri immortalati non sia nato su Vesta ma sia stato invece “importato” da altri asteroidi. Partendo da questo concetto il team ha allargato il tiro: il carbonio è stato portato su Vesta da impatti con asteroidi minori avvenuti durante le prime fasi di formazione del Sistema Solare. Proprio da questi impatti si sono poi formati i pianeti che oggi vediamo nel Sistema Solare, e proprio questi depositi di carbonio sarebbero riusciti a portare la vita sul nostro pianeta, visto che il carbonio è proprio uno dei mattoni principali della nostra esistenza stessa. E’ vero che durante tutto questo tempo Vesta ha sicuramente subito altre collisioni, ma il team è sicuro che il materiale scuro trovato nel cratere Veneneia sia risalente ad un impatto avvenuto circa 2 o 3 miliardi di anni fa. Ma il cratere non è l’unico luogo in cui questo materiale è stato trovato: alcuni meteoriti HED provenienti da Vesta presentano la stessa composizione e tracce dello stesso materiale. Capire la provenienza di questo materiale è fondamentale, come visto, per risalire all’origine della vita nel Sistema Solare e nel nostro pianeta, ed è per questo che la sonda DAWN è stata spedita su uno dei corpi più puliti del Sistema Solare. Il prossimo aggancio sarà su Cerere, ma i dati su Vesta continueranno ad arrivare Zone più scure hanno attratto l’attenzione degli scienziati addetti all’elaborazione dei dati di DAWN. Credit: NASA 17 McLaughlin, un cratere interessante SISTEMA SOLARE SKYLIVE – SUPERNOVAE Novantadue chilometri di diametro e 1,4 di profondità che hanno permesso all’acqua di penetrare all’interno e di lasciare le proprie tracce: è il cratere McLaughlin, sul suolo di Marte, e i dati sono quelli provenienti dal Mars Reconnaissance Orbiter e che parlano di minerali di carbonato e di argilla. Non ci sono canali di afflusso di grandi dimensioni, mentre son presenti piccoli canali nei pressi di un livello che avrebbe segnato la superficie di un lago. Il tutto nei pressi della regione Arabia. Il tutto sembra far pensare ad una formazione dei carbonati e dell’argilla in un lago alimentato da acqua sotterranea all'interno dal bacino chiuso del cratere, il che esclude – ovviamente – un arrivo dall’esterno di questi composti chimici. Secondo alcuni, questo ambiente umido sarebbe stato in grado di consentire forme di vita. 18 "Il team di MRO ha compiuto uno sforzo congiunto per ottenere prodotti altamente elaborati da consegnare ai membri della comunità scientifica come il dottor Michalski per l'analisi", dice Scott Murchie della Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory a Laurel, Maryland. "Nuovi risultati come questo mostrano perché questo sforzo è così importante." Lanciato nel 2005, il Mars Reconnaissance Orbiter e i suoi sei strumenti hanno fornito più dati ad alta risoluzione per il pianeta rosso di tutti gli altri orbiter Mars. I dati sono disponibili agli scienziati di tutto il mondo per la ricerca, l'analisi e le loro conclusioni. Come avviene sulla Terra, i laghi alimentati da acque sotterranee dovrebbero svilupparsi a basse quote. Pertanto il cratere McLaughlin potrebbe essere un buon candidato per un processo avvenuto in passato e che ci può far comprendere ancora di più la storia di Marte. Rappresentazione artistica del Mars Reconnaissance Orbiter, lo strumento che più di tutti ha fornito dati riguardanti il pianeta rosso A caccia di esocomete NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE esoasteroidi e esoaurore Il nostro sistema planetario consiste non solo di pianeti e di una stella centrale, ma anche di tanti corpi minori tra i quali gli asteroidi e le comete. E perché dovrebbe trattarsi di una eccezione nell’universo? Ormai la regola generale ci vede come qualcosa di normale, quindi non stupisce che anche negli altri sistemi planetari sembrano esistere comete e asteroidi. Iniziamo dalle comete: come per i pianeti, le comete scoperte in altri sistemi planetari vengono dette esocomete e gli astronomi sono 19 convinti di averne individuate ben sei intorno a stelle giovani e lontane. Lo studio, firmato da Barry Welsh, è dovuto ad un team di astronomi dell’università di Berkeley e Clarion, USA, e verte su dieci stelle giovani che hanno mostrato la presenza di dischi di gas e polvere e di comete. Una delle stelle oggetto di studio la conosciamo molto bene perché si chiama Beta Pictoris, intorno alla quale due comete erano state già avvistate nel lontano 1987 ed un pianeta grande dieci volte Giove nel 2009. Da allora non è che le comete non siano più state trovate, ma in realtà la ricerca di esopianeti ha un po’ soppiantato l’interesse per la ricerca di esocomete, quindi il discorso è stato un po’ trascurato. Un momento relativamente semplice per trovarle si ha nell’attimo in cui vengono spinte verso l’interno, verso la stella centrale, guadagnando in brillantezza e mostrando righe spettrali di assorbimento del tutto tipiche e facilmente individuabili. Proprio con questo metodo, cinque esocomete sono state scoperte tra maggio 2010 e novembre 2012 attraverso il telescopio NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE dalle dimensioni molto maggiori della nube dalla quale hanno preso vita. Anche in questo caso, oramai, si è aperta la caccia ai pianeti che dovrebbero aver generato la separazione tra la fascia calda di asteroidi e quella fredda di nuclei cometari. Caccia ai pianeti che dovrebbe venir facilitata anche da un altro metodo che sfrutta le esoaurore: sembra che i planetologi di Leicester abbiano trovato delle aurore polari extrasolari. Rappresentazione dei due sistemi a confronto: Vega e Sistema Solare dell’osservatorio McDonald in Texas, dal diametro di 2,1 metri. A queste comete è anche stato dato un nome: 49 Ceti, 5 Vulpeculae, 2 Andromedae, HD 21620, HD 42111 e HD 110411, tutte orbitanti intorno a stelle di classe spettrale A, quindi molto giovani e calde, con una età di soli 5 milioni di anni. Se queste comete sono vere, allora intorno a queste stelle dovrebbero essere presenti anche dei pianeti. La caccia è aperta, sia alle comete sia agli esopianeti extrasolari. Vega la conosciamo tutti: è la stella più brillante della Lira, una delle più brillanti del cielo e rappresenta un angolo del Triangolo Estivo. Intorno a questa stella è stata trovata una vera e propria fascia asteroidale attraverso le osservazioni dei telescopi spaziali Herschel e Spitzer, entrambi operanti 20 nell’infrarosso. Sono state scoperte due tipologie di cinture all’interno del disco che circonda la stella: la prima cintura, più vicina alla stella, è più calda della seconda e le due sono separate da uno spazio vuoto. La seconda struttura ricorda molto la Fascia di Kuiper del nostro sistema solare. E’ stato immediato pensare che questo spazio vuoto sia occupato da pianeti, proprio come nel nostro sistema solare. La stessa situazione è stata registrata, tra l’altro, pochi mesi fa intorno alla stella Fomalhaut, la principale del Pesce Australe. Sono due stelle simili per dimensioni (due volte il Sole) e per distanza (circa 25 anni luce) . Le analisi portate avanti hanno mostrato una fascia molto più popolata rispetto alla nostra Fascia di Kuiper, il che è facilmente spiegabile con la “tenera” età delle due stelle e Nel nostro Sistema Solare non solo la Terra fornisce questi spettacoli, visto che aurore polari sono state scorte su Giove (cento volte più luminose delle nostre) e su Saturno, ad esempio, ma oltre Nettuno non ci eravamo mai spinti finora. Le aurore polari nascono dall'interazione tra le particelle elettricamente cariche della magnetosfera di un corpo celeste con gli atomi degli strati più alti di atmosfera. Questi atomi, eccitati dalle particelle cariche, emettono quindi luce visibile ma non solo: anche onde radio che viaggiano nello spazio a distanze molto ampie. Proprio queste onde radio provenienti da alcune nane ultrafredde sarebbero state captate dal gruppo di ricercatori guidato da Jonathan Nichols, che quindi ha ricondotto questa emissione alla presenza di aurore polari. Potrebbe trattarsi di un nuovo metodo per scoprire esopianeti e per avere dettagli in più sulla durata delle rivoluzioni, sui campi magnetici e sui satelliti. NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE KEPLER: ALTRI 461 NUOVI PIANETI? Il telescopio Kepler allunga notevolmente la lista dei possibili nuovi pianeti extrasolari: quattro tra essi sono in fascia abitabile. Ma quanti sono allora? 21 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE del 20% raggiungendo le 2.740 unità intorno a 2.036 stelle. I pianeti di dimensione terrestre e le superterre sono aumentati rispettivamente del 43 e del 21%. Le stelle che potrebbero accogliere più di un pianeta sono passate da 365 a 467, ad indicare che una larga parte degli esopianeti abita in sistemi planetari. Continua la ricerca di esopianeti da parte di Kepler, la missione NASA costituita da un satellite artificiale in grado di scovare pianeti dalle dimensioni terrestri al di fuori del nostro Sistema Solare. Il satellite può monitorare più di centomila stelle alla ricerca di piccole variazioni di luminosità di carattere ciclico, indice del transito di un pianeta. Il lancio del vettore Delta II che ha portato in orbita Kepler è avvenuto da Cape Canaveral il 7 marzo del 2009. Kepler percorre una orbita eliocentrica con semiasse maggiore pari a 1,013 unità astronomiche percorse in un periodo di circa 372 giorni. Kepler non è affatto nuovo a grandi notizie: il 4 gennaio del 2010 ha annunciato la scoperta di 5 esopianeti (chiamati Kepler 4b, 5b, 6b, 7b e 8b) con dimensioni comprese tra quella di Giove e quella di Nettuno. Il primo pianeta roccioso di tipo terrestre è datato invece 11 gennaio 2011, Kepler 10b, caratterizzato da un diametro pari a circa 1,4 diametri terrestri 22 ma ad una distanza dalla stella centrale di gran lunga inferiore a quella di Mercurio. Il 5 dicembre 2011 è stata la volta di Kepler 22b, pianeta roccioso in fascia abitabile. Nel mese di gennaio 2013 la missione Kepler ha annunciato la scoperta di altri 461 possibili esopianeti, tra i quail quattro hanno una dimensione pari o inferiore al doppio della Terra e si trovano in fascia abitabile, la regione planetaria che circonda una stella nella quale è possibile la presenza di acqua liquida. In base alle osservazioni condotte tra maggio 2009 e marzo 2011, le scoperte mostrano un incremento nel numero di candidate pianeti di piccole dimensioni nonché del numero di stelle che ospitano candidati in numero maggiore di uno. Non c'è modo migliore per iniziare la fase di estensione della missione Kepler: dal precedente catalogo di Kepler, risalente a febbraio 2012, il numero di possibili pianeti si è incrementato Ovviamente Kepler contribuisce non poco alla tombola che ormai da mesi occupa le pagine web che cercano di capire quanti pianeti possano esserci nella nostra Galassia. Lo riportiamo per puro sport, visto che è una di quelle notizie che lasciano il tempo che trovano: ad oggi secondo il calcolo di un gruppo di ricercatori del Caltech, solo nella nostra galassia ci sarebbero circa 100 miliardi di pianeti. Lo studio è partito dalla scoperta di altri tre pianeti, oltre ai due già noti, intorno a Kepler 32. Si tratta di pianeti tipici in orbita intorno ad una stella tipica, il che renderebbe la presenza di sistemi planetari una vera e propria regola, più che una eccezione. Ovviamente seguiranno altre stime, a breve Rappresentazione artistica della missione Kepler NOTIZIE DALL’UNIVERSO OTTICATELESCOPIO è SKYLIVE – SUPERNOVAE SPONSOR SKYLIVE 23 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Stelle che non si accendono Se non vedessimo stelle accese saremmo più propensi a pensare che non potrebbero esistere, dati i complessi meccanismi che sono richiesti per farle nascere. Ma dato che esistono, è strano trovare un luogo nel quale invece 24 non si accendono. Motivo? Rotazione troppo veloce. NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Si è detto più volte che se non avessimo la prova della formazione stellare, saremmo portati a pensare che una nube di gas deve soddisfare talmente tanti requisiti per iniziare a collassare che sarebbe più facile non farlo e che quindi sarebbe del tutto difficile far nascere stelle. Sappiamo che l'evidenza ci dice il contrario, quindi ora trovare una nube senza stelle ci sembra totalmente anomalo. Eppure nei pressi del centro galattico la nube G0.253+0.016 ci pone proprio di fronte a una situazione del genere. E' una nube che si espande per circa 30 anni luce e risulta abbastanza densa all'infrarosso, il che è evidenziato dalla tonalità scura con la quale si presenta all'osservazione: la densità infatti blocca la radiazione che dovrebbe attraversarla. La teoria ci dice che, data la densità in rapporto al Limite di Jeans (pur con tutti gli aggiustamenti del caso), dovrebbero crearsi delle zone ancora più dense dalle quali dovrebbero nascere delle stelle. un gruppo di astronomi del California Institute of Technology guidati da Jens Kauffman abbia scoperto il meccanismo che porta a questa anomalia. Come recita un articolo su Astrophysical Journal Letters, il tutto sembra legato alla rotazione della nebulosa, talmente veloce da impedire al gas di fermarsi il tempo necessario ad accendere stelle o a farle crescere. Da un lato alcuni dati, ottenuti tramite il Submillimeter Array (SMA, un gruppo di otto radiotelescopi a Mauna Kea, Hawaii), mostrano la conferma della densità della nube, data dalla presenza di ioni formati da due atomi di azoto e uno di idrogeno (ione che si genera soltanto ad altissime densità), ma dall'altro è stata notata una totale assenza di zone di maggior densità nelle quali la pressione è tale da innescare la formazione stellare. Di fronte a questo, le analisi hanno portato all'utilizzo del Combined Array for Research in Millimeter-wave Astronomy (CARMA, 23 radiotelescopi installati in California) per capire che la rotazione della nube è 10 volte maggiore rispetto al normale e che quindi la nube stessa è tenuta insieme non dalla gravità ma dalla rotazione e che potrebbe addirittura essere ciò che emerge dalla fusione di due nubi entrate in collisione. La teoria della collisione sarebbe anche avvalorata dalla presenza di monossido di silicio, tipico delle nubi nelle quali il gas si scontra con particelle di polvere. Non si è certi sul futuro di questa nube: un rallentamento idoneo a raggiungere una velocità tale da consentire la formazione stellare si raggiungerà in almeno centinaia di migliaia di anni, ma per allora la nube stessa potrebbe essere già stata distrutta dalla forza gravitazionale del centro galattico, perno della rivoluzione dell'ammasso di gas. Anche se con una densità superiore a quella della nebulosa di Orione, M42, il tasso di formazione stellare all'interno di questa nube è bassissimo, circa 45 volte inferiore al tasso atteso. Anche le stelle che si formano hanno dimensioni molto piccole rispetto a quanto atteso. Questo mistero non è recente visto che la nube è nota già da un po' di tempo, ma ora sembra che 25 Il centro della nostra galassia visto dal telescopio spaziale Spitzer. Sulla sinistra è visibile G0.253+0.016 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE L’universo contromano 26 Stelle e pianeti retrogradi: tante domande e qualche risposta NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE essere più giovani delle altre e devono seguire lo stesso senso di direzione del gas. Gli astronomi hanno così utilizzato il Visible Multi Object Spectrograph sul VLT per mappare i moti stellari in tre differenti galassie controrotanti quali NGC 3593, NGC 4550 e NGC 5719. La conferma è arrivata, visto che le stelle contromano risultano in media più giovani di circa un miliardo di anni rispetto alle altre e che la composizione chimica è differente, a testimonianza che sono nate da una nube di gas differente. La galassia a spirale controrotante NGC 5719 Crediti: A. Pizzella/Large Binocular Cameras Team Stelle che imboccano una galassia contromano? Esistono e non sono neanche poche. Si tratta di galassie apparentemente normali, ma andando a studiare il moto delle stelle che le compongono si scopre che a volte esistono due flussi stellari ben distinti: uno compie il giro nel senso rotatorio che ci si attende, mentre l'altro si muove in direzione opposta ed il numero di stelle che ne fa parte non è neanche banale, andando dal 20 al 50% della popolazione stellare della galassia in esame. Quel che a lungo è stato un enigma, e che è stato battezzato galassia controrotante, sembra oggi mostrarsi con più chiarezza 27 In alcuni casi l'acquisizione di gas dall'esterno è ancora in atto, come per NGC 5719 che sta sottraendo idrogeno neutro dalla galassia vicina NGC 5713 attraverso una sorta di ponte lungo 100 milioni di anni luce. In realtà la soluzione è realmente la prima che viene in mente: fusione tra la galassia ed uno stream di gas che ruota in senso inverso. A questo punto è chiaro che le stelle che si formano da questo stream di gas continuino a ruotare in senso inverso rispetto a quelle originarie della galassia, senza peraltro scontrarsi viste le distanze enormi tra una stella e l'altra all'interno di una galassia. La presenza di gas, stelle o entrambi in controrotazione è stata rilevata in decine di galassie di tutti i tipi. Oltre ai casi appena considerati ci sono anche i nuclei stellari controrotanti, che si sono formati al centro di alcune galassie ellittiche a seguito della cattura di una galassia satellite, o quelle galassie lenticolari in cui il gas è di origine esterna e ruota in direzione opposta alla componente stellare. Sono tutti esempi dell'importanza del ruolo giocato dai processi di interazione nel plasmare la struttura delle galassie come oggi le osserviamo. Se la teoria è giusta, allora le stelle che vanno contromano devono Ma non solo le stelle all’interno di una galassia possono andare ad un team di scienziati dell'INAF e ad altri scienziati italiani, che lo testimoniano con un articolo su Astronomy&Astrophysics. NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE contromano, visto che questo mese si è parlato anche di pianeti contromano. E' infatti il mese delle infrazioni galattiche: dopo le stelle che vanno contromano all'interno delle galassie a fine mese è apparsa la notizia per la quale alcuni pianeti orbitano la propria stella-madre in senso opposto a quanto sarebbe lecito attendersi. Non si tratta di qualcosa di nuovo visto che pianeti retrogradi erano già stati trovati, ma forse si è giunti ad una spiegazione. La scoperta è incentrata sul pianeta retrogrado noto come HAT-P-7b, in orbita intorno ad una stella distante 1.040 anni luce da noi in direzione della costellazione del Cigno. Il pianeta, scoperto nel 2008, ha destato fin da subito interesse circa l'orbita, percorsa appunto in senso inverso rispetto alla direzione della rotazione stellare. Oggi, un team di astronomi giapponesi ha scoperto una seconda stella ed un secondo pianeta nel sistema di HAT-P-7b utilizzando il telescopio Subaru alle Hawaii. Le interferenze gravitazionali di lungo periodo tra la stella appena scoperta e il pianeta alieno, che ha le dimensioni di Giove ed è chiamato HAT-P-7c, potrebbero essere responsabili per la strana orbita retrograda di HAT-P-7b. L'orbita del nuovo pianeta, c, si pone tra il pianeta retrogrado e la nuova stella. La nuova stella avrebbe spinto il pianeta più esterno verso un'orbita molto inclinata fino a che proprio questa orbita avrebbe iniziato ad avere influenza gravitazionale sul pianeta più interno, il nostro b che attualmente si muove a retromarcia, generandone proprio la retrogradazione dell'orbita. Questo domino gravitazionale potrebbe giustificare il viaggio retrogrado di molti esopianeti finora scoperti a procedere a marcia indietro. Lo studio è stato guidato da Norio narita, Yasuhiro Takahashi, Masayuki Kuzuhara e Teruyuki Hirano del National Astronomical Observatory del Giappone e dall'Università di Tokyo A sinistra, il sistema planetario intorno la stella HAT-P-7 comprende una stella compagna e due pianeti. Credit NAOJ. In alto, rappresentazione artistica del moto dei corpi intorno alla stella HATP-7 con evidenza del moto retrogrado rispetto al senso di rotazione della stella. 28 Gli archi del Cacciatore NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Archi intorno a Betelgeuse, la supergigante rossa più vicina alla Terra, ripresi in una nuova immagine dell'Osservatorio Spaziale Herschel dell'ESA. Betelgeuse si trova sulla spalla del cacciatore che rappresenta la costellazione di Orione e può essere osservata facilmente ad occhio nudo nell'emisfero boreale, durante la stagione fredda, come una stella arancione a sinistra della famosa Cintura di Orione. Con un diametro di circa 1000 volte il nostro Sole ed una brillantezza centomila volte superiore, Betelgeuse si appresta a terminare la propria vita 29 attraverso una esplosione di supernova avendo già espulso una significante frazione dei suoi strati più esterni. Le nuove immagini in infrarosso da Herschel mostrano la dinamica dei venti stellari che cozzano contro il mezzo interstellare creando un'onda d'urto legata al movimento della stella, che avviene a circa 30 km/s. Una serie di archi in direzione del moto stellare sono testimoni di una storia turbolenta di perdita di massa. Vicino alla stella stessa, un involucro più interno di materiale mostra una forma asimmetrica. Una interessante struttura lineare è anche osservata lontano dalla stella, oltre gli archi di polvere. Sebbene le moderne teorie sostengano che questa barra sia il risultato del materiale espulso durante un precedente stadio di evoluzione stellare, le analisi della nuova immagine porta a pensare che si tratti più facilmente di un filamento legato al campo magnetico galattico o il bordo di una nube interstellare vicina illuminato da Betelgeuse. Se questa barra fosse completamente separata dai gusci di Betelgeuse allora il calcolo porta ad una collisione tra gusci esterni della stella e barra tra circa 5000 anni, con la stella stessa coinvolta tra circa 12.500 anni Orione bucato da una stella NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Una nuova immagine di APEX svela un vero e proprio buco scavato dalla radiazione della stella V380 in Orione. 30 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Una nuova immagine dal telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment) in Cile mostra una splendida vista delle nubi di polvere cosmica nella regione di Orione. Mentre queste dense nubi interstellari appaiono scure e opache nelle osservazioni in luce visibile, la camera LABOCA di APEX osserva il calore emesso dalla polvere e svela i nascondigli in cui si formano nuove stelle. Ma una di queste nubi oscure non è quel che sembra. Nello spazio, le dense nubi di gas e polvere cosmica costituiscono il luogo di nascita delle nuove stelle. In luce visibile, questa polvere è scura e opaca e nasconde le stelle dietro di sé così efficacemente che, quando l'astronomo William Herschel ne osservò una nella costellazione dello Scorpione nel 1774, pensò di aver trovato una regione senza stelle e così si dice abbia esclamato: "Qui c'è davvero un buco nel cielo!" Per meglio comprendere la formazione stellare, agli astronomi servono telescopi in grado di osservare a lunghezze d'onda maggiori, come la banda submillimetrica, in cui i grani scuri di polvere emettono invece che assorbire luce. APEX, sulla piana di Chajnantor nelle Ande cilene, è il più grande telescopio ad antenna singola per la banda submillimetrica che opera nell'emisfero australe ed è perciò ideale per gli astronomi che così studiano la nascita delle stelle. Il complesso della nube molecolare 31 di Orione, nella costellazione di Orione, a circa 1500 anni luce dalla Terra, è la regione di formazione stellare massiccia più vicina alla Terra e contiene un tesoro di nebulose brillanti, di nubi oscure e di giovani stelle. La nuova immagine mostra solo una parte di questo vasto complesso in luce visibile, a cui sono sovrapposti i dati di APEX, in brillanti toni arancio, che sembrano incendiare la nube scura. Spesso i grumi più brillanti visti da APEX corrispondono alle macchie più scure in luce visibile il segno caratteristico di una densa nube di polvere che assorbe la luce visibile ma risplende a lunghezze d'onda submillimetriche, probabilmente una zona di formazione stellare. La macchia brillante sotto al centro dell'immagine è la nebulosa NGC 1999. Questa regione - se vista in luce visibile - è quella che gli astronomi chiamano nebulosa a riflessione, in cui la debole luce bluastra delle stelle di sfondo viene riflessa dalle nubi di polvere. La nebulosa è illuminata soprattutto dalla radiazione energetica emessa dalla giovane stella V380 Orionis che si annida all'interno. Al centro della nebulosa è evidente una chiazza scura, visibile ancor più chiaramente in una famosa immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Di solito una chiazza scura come questa indica una densa nube di polvere cosmica, che oscura le stelle e la nebulosa dietro di sé. Invece vediamo in questa immagine che la chiazza rimane incredibilmente scura, anche quando si aggiungono le osservazioni di APEX. Grazie a queste osservazioni di APEX combinate con osservazioni infrarosse di altri telescopi, gli astronomi ritengono che la macchia scura sia in realtà un buco o una cavità della nebulosa, scavata dal materiale che fluisce dalla stella V380 Orionis. Per questa volta, è davvero un buco nel cielo! La regione raffigurata in questa immagine si trova circa due gradi a sud della grande e ben nota Nebulosa di Orione (Messier 42), che si vede verso il bordo superiore nella panoramica più ampia in luce visibile dalla DSS (Digitized Sky Survey). Le osservazioni APEX usate in questa immagine sono state condotte da Thomas Stanke (ESO), Tom Megeath (University of Toledo, USA), e Amy Stutz (Max Planck Institute for Astronomy, Heidelberg, Germania). APEX è una collaborazione tra il Max Planck Institute for Radio Astronomy (MPIfR), l'Onsala Space Observatory (OSO) e l'ESO. La gestione di APEX a Chajnantor è affidata all'ESO. L’articolo è tratto dal sito ESO all’indirizzo http://www.eso.org/public/italy/news/es o1304/ SKYLIVE – SUPERNOVAE Buchi neri ed evoluzione galattica NOTIZIE DALL’UNIVERSO Un nuovo studio australiano mette in crisi il modello che lega la dimensione 32 della galassia a quella del buco nero centrale. NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE come per un tasso di riduzione della massa galattica di un fattore 10, la massa del buco nero centrale diminuisce di un fattore 100. Inoltre le galassie più piccole hanno popolazioni stellari più dense nei pressi del centro galattico rispetto alle galassie maggiori. Questo potrebbe voler dire che i buchi neri centrali delle galassie più piccole crescono molto più velocemente rispetto a quelli delle galassie maggiori. Le attuali teorie sulla relazione tra la dimensione di una galassia ed il buco nero supermassivo al suo interno sarebbero sbagliate, almeno secondo quanto sostenuto da un nuovo studio condotto da astronomi australiani. Ovviamente un articolo che inizia così va sempre preso con le molle, perché per dimostrare che una teoria è sbagliata non basta una teoria che sostiene altri processi, ma occorre dimostrare che la precedente sia errata. Qui si sta soltanto facendo un’altra ipotesi, non provata ancora. La scoperta è firmata dal dr. Nicholas Scott e dal Prof. Alister Graham della Mebourne's Swinburne University of Technology: nell'articolo mostrano come quattro piccole galassie contengano quattro buchi neri molto più piccoli di quanto finora non sia stato stimato. L'articolo è pubblicato su Astrophysical Journal. I buchi neri centrali, con masse che vanno da milioni a 33 miliardi di masse solari, risiedono nel cuore di molte - se non di tutte - galassie e dovrebbero essere legati proprio alla formazione galattica oppure alla evoluzione. Questa relazione è ancora tutta da capire, comunque. Scott e Graham hanno combinato i dati provenienti dagli osservatori in Cile, alle Hawaii e quelli provenienti da Hubble Space Telescope per sviluppare un database di masse di 77 galassie e del loro buco nero supermassivo. Hanno così determinato la massa di ciascun buco nero centrale misurando la velocità di rivoluzione delle stelle intorno: le teorie attuali mostrano una relazione diretta tra massa galattica e massa del buco nero ma questo sembra essere vero per le galassie più grandi mentre per le galassie più piccole, ora osservabili grazie a nuove tecnologie, il legame viene a cadere. Nell'articolo si mostra I buchi neri crescono con le fusioni con altri buchi neri durante fenomeni di collisione galattica. Quando galassie grandi si fondono, la loro dimensione raddoppia e così fa anche la massa del buco nero centrale. ma quando galassie piccole si fondono il buco nero centrale si quadruplica a causa della maggior densità di stelle vicine. Questo potrebbe anche rispondere a qualche domanda in termini di buchi neri di massa intermedia mancanti. Per decenni gli scienziati hanno cercato qualcosa di massa compresa tra i buchi neri stellari (derivanti da esplosioni di supernovae) e quelli galattici. Se i buchi neri centrali delle galassie più piccole hanno masse inferiori a quanto pensato finora, potrebbero rappresentare proprio l'anello intermedio tra i due tipi di buco nero. La loro massa dovrebbe essere compresa tra diecimila e centomila volte la massa solare, e questi potrebbero quindi essere degli ottimi candidati. NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Scoperti e mappati da un team di ricercatori giganteschi flussi di particelle cariche che si estendono per circa 50.000 anni luce. 34 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE centrale diminuisce di un fattore 100. Inoltre le galassie più piccole hanno popolazioni stellari più dense nei pressi del centro galattico rispetto alle galassie maggiori. Questo potrebbe voler dire che i buchi neri centrali delle galassie più piccole crescono molto più velocemente rispetto a quelli delle galassie maggiori. Le attuali teorie sulla relazione tra la dimensione di una galassia ed il buco nero supermassivo al suo interno sarebbero sbagliate, almeno secondo quanto sostenuto da un nuovo studio condotto da astronomi australiani. Ovviamente un articolo che inizia così va sempre preso con le molle, perché per dimostrare che una teoria è sbagliata non basta una teoria che sostiene altri processi, ma occorre dimostrare che la precedente sia errata. Qui si sta soltanto facendo un’altra ipotesi, non provata ancora. La scoperta è firmata dal dr. Nicholas Scott e dal Prof. Alister Graham della Mebourne's Swinburne University of Technology: nell'articolo mostrano come quattro piccole galassie contengano quattro buchi neri molto più piccoli di quanto finora non sia stato stimato. L'articolo è pubblicato su Astrophysical Journal. I buchi neri centrali, con masse che vanno da milioni a miliardi di masse solari, risiedono 35 nel cuore di molte - se non di tutte - galassie e dovrebbero essere legati proprio alla formazione galattica oppure alla evoluzione. Questa relazione è ancora tutta da capire, comunque. Scott e Graham hanno combinato i dati provenienti dagli osservatori in Cile, alle Hawaii e quelli provenienti da Hubble Space Telescope per sviluppare un database di masse di 77 galassie e del loro buco nero supermassivo. Hanno così determinato la massa di ciascun buco nero centrale misurando la velocità di rivoluzione delle stelle intorno: le teorie attuali mostrano una relazione diretta tra massa galattica e massa del buco nero ma questo sembra essere vero per le galassie più grandi mentre per le galassie più piccole, ora osservabili grazie a nuove tecnologie, il legame viene a cadere. Nell'articolo si mostra come per un tasso di riduzione della massa galattica di un fattore 10, la massa del buco nero I buchi neri crescono con le fusioni con altri buchi neri durante fenomeni di collisione galattica. Quando galassie grandi si fondono, la loro dimensione raddoppia e così fa anche la massa del buco nero centrale. ma quando galassie piccole si fondono il buco nero centrale si quadruplica a causa della maggior densità di stelle vicine. Questo potrebbe anche rispondere a qualche domanda in termini di buchi neri di massa intermedia mancanti. Per decenni gli scienziati hanno cercato qualcosa di massa compresa tra i buchi neri stellari (derivanti da esplosioni di supernovae) e quelli galattici. Se i buchi neri centrali delle galassie più piccole hanno masse inferiori a quanto pensato finora, potrebbero rappresentare proprio l'anello intermedio tra i due tipi di buco nero. La loro massa dovrebbe essere compresa tra diecimila e centomila volte la massa solare, e questi potrebbero quindi essere degli ottimi candidati. Tratto da INAF http://www.media.inaf.it/2013/01/02/un -cuore-pieno-di-energia/ NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE CACCIA ALL’UNIVERSO OSCURO CON EUCLID MA SIAMO SICURI CHE ESISTA DAVVERO? E IL PRINCIPIO COSMOLOGICO E’ CORRETTO? LA NASA DECIDE DI INVESTIRE SUL PROGETTO ESA DI RICERCA DELLA MATERIA OSCURA, MENTRE SORGE UNA NUOVA TEORIA CHE, SE PROVATA, FAREBBE A MENO DI QUESTO LATO NASCOSTO DELL’UNIVERSO. E NEL FRATTEMPO VIENE TROVATA UNA STRUTTURA “TROPPO” GRANDE 36 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE quindi nel progetto ESA, piena fiducia nel modello cosmologico standard benché attualmente riusciamo a spiegare soltanto il 4% dell’universo stesso e risultando costretti quasi a “inventarci” il resto. IL “MODELLO HAIDUKOVIC” Rappresentazione artistica di Euclid Nell'ambito del programma Cosmic Vision 2015-2025 di ESA, il progetto Euclid ha il compito di esplorare l'universo "immaginato", quello del quale non si ha visione ma soltanto effetto, quello oscuro. Energia oscura e materia oscura sono quindi l'oggetto di investigazione della missione Euclid dell'ESA, che avrà il compito di studiarne distribuzione ed evoluzione in tutto l'universo tramite un telescopio da 1,2 metri e strumentazione in grado di studiare la distribuzione tridimensionale di questi due fattori oscuri del nostro cosmo attraverso l'osservazione di due miliardi di galassie in una zona di cielo che abbraccia circa un terzo dell'intera sfera celeste. Il progetto è stato benedetto proprio a giugno 2012 dall'ESA Science Programme Committee e quindi è ora proiettato verso il 37 lancio, previsto per il 2020. Due tra le nazioni che giocano un ruolo di spicco all'interno del progetto sono la Francia e l'Italia: il nostro paese è coinvolto tramite la realizzazione di strumentazione di bordo, tramite organizzazione del ground segment (le basi di terra che dovranno monitorare, comandare e ricevere telemetrie) e tramite il lavoro di circa duecento scienziati e delle università di Bologna, Roma ed altre, il tutto finanziato dall'ASI. Finora nulla di nuovo, ma ovviamente a dare prestigio e ancora maggior credibilità a questo progetto è intervenuta la NASA: NASA e ESA hanno annunciato infatti la partecipazione degli americani alla missione, a testimonianza della bontà e dell'importanza che questa potrà avere in termini di studi cosmologici. Piena fiducia Giunge quindi a ciel sereno un articolo dal titolo affascinante: "Can observations inside the Solar System reveal the gravitational properties of the quantum vacuum?". Possiamo davvero trovare nel nostro Sistema Solare le caratteristiche fondamentali che il vuoto detiene dal punto di vista gravitazionale? L'autore dell'articolo apparso su Astrophysics and Space Science a novembre scorso, di nome Dragan Haidukovic, è convinto di si, ma non si tratta soltanto di questo. Se la sua teoria fosse valida, potremmo accompagnare alla porta i modelli basati su energia oscura e su materia oscura, insieme al progetto Euclid pianificato dall'ESA e partecipato dalla NASA. Andiamo per gradi. Sappiamo dalla fisica quantistica che il vuoto cosmico in realtà non è vuoto, visto che consiste in un ribollire continuo di particelle di materia e antimateria che nel giro di un infinitesimo di secondo nascono e si annichilano a vicenda, dando vita a particelle talmente effimere in durata da essere considerate virtuali. L'ipotesi avanzata da Dragan dà NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE molta importanza a queste particelle visto che durante la loro esistenza, seppur brevissima, queste esibiscono - a suo dire cariche gravitazionali opposte, una attrattiva e l'altra repulsiva, un po' come le cariche elettriche. Secondo il "modello di Hajdukovic", se queste particelle e antiparticelle nascono in uno spazio già permeato da un campo gravitazionale, potrebbe avere origine un campo gravitazionale secondario che potrebbe spiegare la discrepanza tra la massa della materia ordinaria delle galassie e la loro rotazione troppo veloce nelle zone più periferiche. Ad oggi, per spiegare l'elevata velocità delle zone più esterne delle galassie si ricorre alla materia oscura, senza il cui effetto gli strati più esterni verrebbero a staccarsi dalla galassia vagando nello spazio. L'esistenza di un campo gravitazionale secondario eliminerebbe la necessità di questa materia oscura. Non basta: le cariche gravitazionali opposte spiegherebbero anche la Legge di Hubble per la quale le galassie si allontanano con velocità di espansione direttamente proporzionale alla distanza, e quindi l'accelerazione dell'universo con buona pace per l'energia oscura. La teoria è senz'altro affascinante, ma come si potrà mai provare una cosa del genere? Serve una zona abbastanza lontana da centri di massa tale da 38 Rappresentazione artistica del sistema Eris-Disnomia: questa coppia di corpi celesti che è già stata importante per smaltire il numero di pianeti potrebbe ora tornare utile per scoperte molto più pesanti. non risentire della relatività generale ma abbastanza vicina da poter effettuare misurazioni molto precise in un arco di tempo ragionevolmente breve. Impresa impossibile, a prima vista, ma lo stesso Hajdukovic ha rintracciato la zona proprio al confine del Sistema Solare. Eris è il pianeta nano che, scoperto ad ottobre del 2003, ha provocato la caduta di Plutone da pianeta a pianeta nano. Intorno ad Eris è stato scoperto un satellite nel 2003, al quale è stato dato il nome di Disnomia ed avente un diametro di circa 500 chilometri. Secondo Hujdukovic, lungo l'orbita di Eris si incontrano le condizioni ideali, a qualche miliardo di chilometri dal Sole, per verificare gli effetti della gravità quantistica. I conti sono già stati fatti e sfruttano il meccanismo di precessione che già consentì, applicato a Mercurio, di testare la Relatività Generale di Einstein: in assenza di gravità quantistica, la precessione dell'orbita di Disnomia misurerebbe 13 arcosecondi ogni secolo mentre in presenza di gravità quantistica ad alterare i calcoli newtoniani il moto di precessione diverrebbe di -190 arcosecondi ogni secolo. I calcoli ci sono, la sfida è aperta: ora occorre vedere come e con quali strumenti sia possibile effettuare la misurazione di un effetto così debole in un arco di tempo accettabile. Ma non è questa l’unica spallata al modello oggi riconosciuto come dominante visto che anche il suo presupposto, il Principio NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Cosmologico, ha trovato un intralcio nel cammino delle osservazioni. PRINCIPIO CRISI? COSMOLOGICO IN La struttura a grande scala dell'universo è qualcosa di ampiamente dibattuto in cosmologia, uno dei temi più caldi. Pochissimi mesi fa uno studio ha deposto a favore dell'omogeneità e dell'isotropia dell'universo a grande scala, eliminando quasi del tutto ogni possibilità di frattalità dell'universo stesso. La frattalità consiste nell'ipotizzare un universo sempre uguale a sé stesso ma su scale differenti, come può essere ad esempio un albero che si compone di rami tali da poter essere visti, a loro volta, come alberi in miniatura. La teoria cosmologica dominante assume invece un universo omogeneo ed isotropo: da qualsiasi luogo di osservazione (che sia la Terra o qualsiasi altro pianeta in qualsiasi altra galassia) vedremmo sempre un universo che ci appare uguale in tutte le direzioni. Ovviamente questo non ha senso su piccola scala, visto che il nostro cielo è solcato da un lato dalla Via Lattea mentre altrove è invece più "pulito". Allargando la scala presa come unità di misura, tuttavia, l'universo è dato per omogeneo e isotropo. Questo concetto è noto con il nome di Principio Cosmologico. Ma è davvero così? Non ci sono 39 prove contrarie altrimenti la teoria sarebbe caduta subito, ma una teoria è difficilmente dimostrabile come vera, quindi le prove a favore non bastano mai. Qualcosa sembra minare, oggi, questa teoria. I quasar sono i nuclei di galassie che si sono formate durante le prime fasi dell'universo e sono caratterizzate da periodi di luminosità eccezionalmente alti della durata variabile tra i 10 e i 100 milioni di anni, il che li rende visibili a distanze enormi. Sono in pratica gli oggetti più distanti che possiamo vedere. Un gruppo di astrofisici dell'Istituto Jeremia Horrocks, dell'Università del Central Lancashire, guidato da Roger Clowes ha scoperto una struttura di quasar gravitazionalmente legati tra di loro di dimensioni tali da rendere il Principio Cosmologico un po' meno affidabile di quanto forse lo si è considerato tuttora. I gruppi di quasar sono noti da circa trenta anni e vanno sotto il nome di Large Quasar Group (LQG): le loro dimensioni tipiche sono di circa 300 MegaParsec (con un Parsec pari a circa 3,2 anni luce) ma questo ha un lato che misura la bellezza di circa 1200 MegaParsec, equivalenti a qualcosa come 4 miliardi di anni luce. In termini di distanze a noi più note, questa struttura gravitazionale di quasar occupa uno spazio nell'universo pari a circa 1600 volte la distanza che ci separa dalla galassia di Andromeda, M31. Affinché il Principio Cosmologico resti valido, i calcoli dei cosmologi giungono a dire che strutture di dimensioni superiodi ai 370 MegaParsec non dovrebbero esistere, il che cozza notevolmente con i 1200 MegaParsec della struttura appena scoperta da Clowes e compagnia. A quanto pare non si tratta neanche dell'unico esempio trovato, visto che il team sembra ora impegnato ad analizzare altri dati. Resteremo alla finestra per ulteriori aggiornamenti. La notizia originale è presa da Monthly Notice of the Royal Astronomical Society. Ovviamente è tutto allo stadio di proposta e di accertamento, e i dubbi non vogliono dire che finora si è sbagliato. I dubbi servono sempre a migliorare. LQG è chiaramente visibile come una lunga catena di picchi cerchi neri. La mappa si estende per circa 29,4 per 24 gradi sul cielo. CREDIT: R. G. Clowes / UCLan FOCUS SULLE PULSAR NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE Mentre si svolgeva la cerimonia di consegna del premio Bruno Rossi 2012, si selezionavano i nuovi vincitori: Alice Harding e Roger Romani per i loro contributi alla comprensione teorica delle pulsar gamma mentre un filmato, basato su una sequenza di immagini riprese dal telescopio in raggi X Chandra, mostra che la stella di neutroni nella costellazione delle Vele subisce un movimento di precessione mentre ruota su se stessa. Infine, scoperta di un team olandese che per studiare la debole radiazione X di una pulsar ne scopre invece tratti mutevoli inaspettati 40 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE I PREMI PER GLI STUDI Mentre al meeting della American Astronomical Society di Long Beach Marco Tavani riceveva il Premio Bruno Rossi 2012 per gli straordinari risultati di Agile, che hanno portato alla scoperta della variabilità dell'emissione gamma del pulsar del Granchio, il comitato di selezione della High Energy Division della AAS assegnava il prossimo premio Bruno Rossi ad Alice Harding e Roger Romani per i loro contributi alla comprensione teorica delle pulsar gamma scoperti dal Large Area Telescope a bordo della missione Fermi. I pulsar gamma sono responsabili di poco più del 5% delle circa 1800 sorgenti gamma rivelate dal telescopio Fermi ma hanno rappresentato una continua sorpresa sia dal punta di vista individuale, sia considerati nel loro insieme. Mentre, all'inizio della missione Fermi, i pulsar con emissione gamma erano meno di 10, adesso hanno abbondantemente superato il centinaio. Ma non è solo la crescita numerica a stupire gli astrofisici, la composizione della famiglia dei pulsar gamma ha colto tutti di sorpresa. I circa 120 pulsar di Fermi sono divisi in tre gruppi di uguale consistenza numerica. Da un lato i classici pulsar con emissione radio e rivelati anche come pulsatori gamma, dall'altro i pulsar senza emissione radio (ma indistinguibili dai precedenti nel loro comportamento in gamma) 41 infine la vera sorpresa, i pulsar velocissimi che nessuno (ma proprio nessuno) si aspettava potessero emettere in gamma. Fermi si è rivelato un eccezionale cacciatore di pulsar superveloci: ne sono stati scoperti decine in corrispondenza di sorgenti Fermi senza una identificazione e una buona metà di questi campioni di velocità mostra di avere un segnale pulsato in gamma. Dare una spiegazione coerente del comportamento di questa famiglia in così rapida crescita ha richiesto un notevole lavoro di interpretazione teorica, che è stato coordinato da Alice Harding e Roger Romani. Alice e Roger si sono fronteggiati per anni propugnando teorie diametralmente opposte per spiegare l'emissione gamma delle stelle di neutroni. Alice sosteneva che i raggi gamma venissero dalle zone sopra i poli delle stelle di neutroni mentre Roger era del parere che fossero prodotti lungo le linee di campo magnetico lontano dalla stelline. I dati Fermi li hanno convinti ad unire le forze e il lavoro di squadra ha decisamente migliorato la nostra comprensione di questi affascinanti oggetti celesti. (Tratto da MEDIA INAF http://www.media.inaf.it/2013/01/12/ler a-dei-pulsar-gamma/) LA PULSAR DELLA VELA Non ci sono solo The Master, il Lincoln di Steven Spielberg e il nuovo film di Quentin Tarantino La pulsar delle Vele ripresa da Chandra. tra le nuove uscite cinematografiche di queste settimane. Dalla NASA arriva infatti (non nelle sale, ma sul web) un film con protagonista una stella di eccezione (e non è un modo di dire, per una volta). Si tratta di un breve ma straordinario video basato sui dati del telescopio a raggi X Chandra, che ha per protagonista la celebre pulsar delle Vele, una stella di neutroni posta a circa 1000 anni luce dalla Terra (visibile appunto nella costellazione delle Vele, creata dal collasso di una stella di grande massa e che ruota su se stessa ogni 89 millisecondi, proiettando attorno a sé particelle cariche. Il filmato è fatto di otto immagini, a loro volta basate sui dati in radiazione X ottenuti da Chandra dal giugno al settembre del 2010, e mostra i getti di particelle prodotte dalla rotazione della stella di neutroni. I dati mostrano che la pulsar sembra oscillare sul suo asse come una trottola (precessione è il termine tecnico) mentre ruota su se stessa. I ricercatori stimano che il periodo di precessione, appunto una rotazione completa dell'asse NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE di rotazione, sia di 120 giorni. Sarebbe la prima volta che un comportamento di questo tipo è osservato in una stella di neutroni. La causa della precessione potrebbe essere che la stella non è più di forma perfettamente sferica, per effetti della rapida rotazione e degli improvvisi aumenti della velocità causati dall'interazione tra il nucleo superfluido e la crosta. Questo film è in realtà un sequel. Nel 2003 la NASA realizzò un'altra ripresa della pulsar delle Vele. uno basato però su un numero molto minore di osservazioni, non abbastanza da evidenziare l'effetto di precessione. L'articolo con i risultati dello studio sarà pubblicato il 10 gennaio su The Astrophysical Journal. (Tratto da MEDIA INAF http://www.media.inaf.it/2013/01/08/pul sar-delle-vele-ciak-azione/) LA PULSAR CHE CAMBIA Le pulsar sono quindi stelle di enorme massa racchiusa in un diametro di circa 20 chilometri, in rotazione, in grado di emettere radiazione in classico stile-faro, dai poli magnetici. Nel momento in cui questo faro viene diretto verso la Terra riusciamo a captarne il lampo. Molte emettono radiazione in tutto lo spettro elettromagnetico anche se i processi che sono alla base della loro brillantezza sono ancora misteriosi. Si tratta di corpi celesti che possono variare il proprio stato 42 modificando l'intensità degli impulsi radio, e questo è noto da anni anche se è impossibile prevedere il momento in cui si verificano questi cambi di stato. Molte pulsar che emettono energia a onde radio possono anche essere rilevate nello spettro X, ma questo è talmente debole che è impossibile stilarne una caratterizzazione in termini di variabilità. Però questa radiazione X, sebbene debole, ha incuriosito gli astronomi ed in particolare quelli guidati da Win Hermsen dell'Istituto olandese per la ricerca spaziale e l'Università di Amsterdam che hanno quindi deciso di puntare il più potente rilevatore di raggi X, XMM Newton dell'ESA, in direzione di alcune pulsar proprio per studiarne l'eventuale variazione nello spettro X. Come strumenti di supporto da Terra sono stati utilizzati il radiotelescopio LOFAR nei Paesi Bassi e il Telescope Onda Meter (GMRT) in India. In particolare è stata studiata la pulsar PSR B0943+10, ma il campo di studio è cambiato visto che quel che gli astronomi si sono trovati davanti non era quel che cercavano. La pulsar è risultata in grado di cambiare totalmente il proprio aspetto nel giro di pochi secondi in termini di magnetosfera. La pulsar è in pratica caratterizzata da impulsi radio che cambiano per forma e intensità ogni poche ore, ma anche da cambiamenti che si verificano nel giro di un secondo. Ci si aspettava che l'emissione di raggi X cambiasse insieme alle emissioni radio, il che avviene effettivamente, ma ciò che non ci si aspettava era che nel momento in cui il segnale radio si potenzia, il raggi X diventano deboli e viceversa. In pratica, quando l'emissione radio si dimezza in termini di intensità, l'emissione X raddoppia la propria luminosità e modifica anche la propria natura, visto che nella fase di massima intensità i raggi X sembrano di natura termina e pulsano in sincronia con la rotazione stellare. Ovviamente ora si andrà alla ricerca di ulteriori pulsar in grado di emettere radiazione X NOTIZIE DALL’UNIVERSO 43 SKYLIVE – SUPERNOVAE NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE SISTEMI BINARI CON UNICA ATMOSFERA Un nuovo modello riuscirebbe a spiegare fenomeni transienti come quello di V838 Monocerotis 44 NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE espulso, sostenendo che questa espulsione debba accompagnarsi ad un outburst luminoso più potente di una stella nova. L'energia originerebbe dalla ricombinazione dell'elio nello strato in espansione, che si raffredda ma mantiene la propria luminosità proprio perché fronteggia il raffreddamento con una superficie che si espande (la luminosità dipende dalla temperatura e dal raggio). Rappresentazione artistica di un sistema binario di stelle. Ci sono molte leggende su ciò che accade nell'universo e una tra queste vede due nane bianche avvolte in uno stesso guscio. Leggenda, ma neanche tanto. Si parla di Common Envelope Event (CEE). Un sistema stellare binario può divenire instabile per diversi fattori, primo tra tutti un fattore mareale. Più frequente è il caso in cui una delle due stelle sottrae materiale alla compagna ad un tasso talmente alto da acquisire più materia di quanta in effetti riesca ad assorbire. Il materiale in eccesso tende quindi a distribuirsi intorno all'intero sistema binario, avvolgendo entrambe le stelle in un unico guscio e creando quindi una sorta di atmosfera condivisa. Proprio questa atmosfera crea un 45 attrito in più nel sistema binario che può portare le stelle a urtarsi e fondersi oppure può portare il guscio all'espulsione lasciando due stelle ancora distinte anche se più vicine. Non ci sono prove a favore di queste teorie alla base dei CEE, tuttavia gran parte dei sistemi binari attraversa una fase – che va da qualche mese a qualche anno – in cui c'è condivisione di gas e polveri sottoforma di un unico guscio. Meccanismi e conseguenze sono ancora alla fase di ipotesi, e di recente se ne è aggiunta un'altra abbastanza affascinante a cura di Natalia Ivanova dell'università canadese dell'Alberta, pubblicato su Science. L'articolo prende spunto dalla possibilità che il guscio venga La curva di luce, che deriva dalla somma dei due effetti, resta in pareggio in un effetto noto come plateau. Il fatto che la curva di luce resti alta per un periodo abbastanza lungo faciliterebbe l'osservazione di questo tipo di fenomeno. Ovviamente la luminosità dipende dalla massa emessa: se le stelle si fondono soltanto una piccola parte di guscio sarà espulsa e quindi la luminosità sarà minore rispetto al caso di espulsione dell'intero guscio. Sta di fatto che il modello sembra spiegare bene quattro eventi transienti che si sono verificati nel cielo, tra i quali la stella V838 Monocerotis. Ovviamente sono pochi casi, quindi le attuali survey avranno anche questo compito in più: analizzare fenomeni transienti anche in virtù di questa nuova possibilità NOTIZIE DALL’UNIVERSO SKYLIVE – SUPERNOVAE PILLOLE DI UNIVERSO UN GRB DENTRO UN ALBERO Gli anelli visibili nelle sezioni degli alberi non ci dicono soltanto la loro età, a quanto pare, ma anche quali sostanze chimiche erano presenti ad ogni stadio di vita oltre a qualche evento particolare. Capita così che un ricercatore giapponese di nome Fuda Miyake scopre, nel 2012, un eccesso di Carbonio 14 e di Berillio 10 risalente all'ottavo secolo dopo Cristo. Secondo astrofisici tedeschi guidati da Valeri Hambaryan e Ralph Neuhauser dell'università di Jena, la causa di queste abbondanze è da collegare ad un GRB, un gamma ray burst derivante dalla fusione di oggetti estremamente densi come le stelle di neutroni, i buchi neri o le nane bianche. Questi eventi causano una violenta esplosione che emette una parte della sua energia nella lunghezza d'onda dei raggi gamma. L'anno era il 775 e la datazione è abbastanza precisa proprio per la conoscenza che abbiamo di questi due isotopi in eccesso, che si formano nel momento in cui radiazione altamente energetica si scontra con atomi di azoto della nostra atmosfera. Si tratta di isotopi radioattivi, quindi con il passare degli anni decadono così come le tracce lasciate negli anelli di un albero. Ovviamente un evento di questo tipo, in grado di modificare temporaneamente la presenza di isotopi in atmosfera, non può essere limitata ai soli alberi del Giappone e quindi si sono cercate conferme altrove, in America ed in Europa. La conferma è arrivata, anche se non si è riusciti a identificare precisamente l'anno, ma è stato sufficiente vedere che il periodo era più o meno quello indicato dal Giappone. UNA SUPERNOVA “PULITA” Durante l'American Astronomical Society Meeting a Long Beach, David Rubin del Berkeley National Laboratory ha presentato la scoperta di un oggetto astronomico particolare, una supernova di tipo Ia con redshift 1,71 che lo fa risalire a 10 miliardi di anni fa. Chiamato SN SCP-0401, l'oggetto presenta sorprendenti dettagli spettrali e misurazioni di colore, senza precedenti. Si tratta della supernova più distante mai scoperta. Con questa supernova abbiamo il primo esempio di una candela ben misurata abbastanza lontana per poter studiare la storia dell'espansione dell'universo fino a circa 10 miliardi di anni fa. I dati della supernova appaiono sull’uscita di Astrophysical Journal del 30 gennaio. Questa supernova è stata la prima scovata nell'ambito di una survay condottaq dal Supernova Cosmology Project utilizzando Hubble Space Telescope nel 2004. Lo scopo non era tanto scoprire le supernovae quanto per separarle dalle loro galassie di appartenenza nella speranza di ottenerne uno spettro pulito. Ciò non era stato possibile con le iniziali dotazioni di Hubble, ma con le nuove camere si sono ottenuti dati sempre migliori e quindi si è riusciti a separare lo spettro della supernova da quello della galassia. LA COMETA VENERE I PIANETI DI TW HYDRAE AURORE SU IO La sonda Venus Express dell'ESA ha restituito interessanti dati circa il comportamento della ionosfera di Venere nel caso di riduzione della pressione solare: la ionosfera si dispone a formare una coda dalla parte non illuminata del pianeta, del tutto simile ad una cometa. Nuove e accurate misure nell'infrarosso ottenute dal telescopio spaziale Herschel dell'ESA hanno permesso di stimare con maggiore precisione la massa sistema protoplanetario più vicino alla Terra oggi noto, TW Hydrae. Le eruzioni vulcaniche della luna gioviana determinano l'andamento dell'attività aurorale del pianeta gigante. Dopo le esoaurore, quindi, appaiono anche delle aurore polari su una delle lune più interessanti dell’intero Sistema Solare. 46 La galassia più lunga CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE NGC 6872 NGC 6872 e la sua piccolo compagna. Credit: NASA's Goddard Space Flight Center/ESO/JPL-Caltech/DSS La spettacolare galassia a spirale barrata NGC 6872 è il sistema stellare più grande mai osservato. Un team di astronomi statunitensi, cileni e brasiliani ha trovato ora il motivo di questa vastità stellare, che spiega la spirale più grande mai vista prima. Lo strumento è stato dato dai dati di GALEX (Galaxy Evolution Explorer) della NASA. NGC 6872 abbraccia un'area di più di 522.000 anni luce di diametro, il che la rende cinque volte più massiva rispetto alla nostra Via Lattea. Senza la possibilità di GALEX di osservare in luce ultravioletta le stelle più giovani e calde non saremmo mai stati in grado di capire la reale estensione di questo intrigante sistema. L'atipica dimensione e la sua apparenza derivano dalla interazione con una galassia più piccola chiamata IC 4970, che 47 invece ha una massa pari a circa un quinto della massa di NGC 6872. La coppia si trova a 212 milioni di anni luce da noi, nella costellazione australe del Pavone. Gli astronomi ritengono che le galassie maggiori, compresa la nostra, crescano attraverso fusioni ed acquisizioni di sistemi minori in miliardi di anni. Le interazioni gravitazionali di NGC 6872 e di IC 4970 possono invece aver fatto l'opposto, dando vita a ciò che stiamo vedendo come una nuova piccola galassia. Il braccio a nordest è il più disturbato e ricco di formazione stellare ma verso la sua fine, visibile solo in ultravioletto, c'è un oggetto che sembra una galassia nana simile a quelle viste spesso in altri sistemi interagenti. Questa nana brilla nell'ultravioletto molto più rispetto ad altre regioni galattiche, il che è un segno di potente radiazione proveniente dalle stelle giovani, con età di circa 200 milioni di anni luce. Il team di scienziati ha anche scoperto un percorso di “invecchiamento stellare” lungo i due bracci di spirale maggiori. Le stelle più giovani appaiono dalla parte più lontana del braccio a nord-est, dove è la galassia nana, mentre le stelle stesse invecchiano man mano che ci si sposta verso il centro galattico. Il braccio a sud-ovest mostra lo stesso percorso evolutivo, connesso alle onde della formazione stellare innescate dall'incontro galattico. Secondo i modelli, IC 4970 dovrebbe aver avuto il più vicino incontro con la galassia maggiore circa 130 milioni di anni fa 47 Tucanae agli occhi ESO CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE Questa nuova immagine infrarossa del telescopio VISTA dell'ESO mostra l'ammasso globulare 47 Tucanae con un dettaglio sorprendente. Questo ammasso contiene milioni di stelle e molte tra quelle annidate al suo interno ci appaiono esotiche e mostrano proprietà insolite. Gli ammassi globulari sono grandi nubi sferiche di stelle vecchie legate dalla gravità reciproca. 47 Tucanae, noto anche come NGC 104, è un ammasso globulare enorme e antico, a circa 15 000 anni luce da noi, e contiene molte stelle e sistemi stellari bizzarri e interessanti. La sua dimensione di circa 120 anni luce è così ampia che, nonostante la distanza, ci appare grande quasi come la Luna piena; contiene milioni di stelle ed è tra i più brillanti e massicci ammassi globulari noti ed è visibile a occhio nudo. Tra la massa vorticosa di stelle al centro si trovano molti sistemi interessanti, tra cui sorgenti di raggi X, stelle variabili, stelle vampiro, stelle "normali" inaspettatamente brillanti note come "vagabonde blu" (o "blue stragglers") e piccoli oggetti noti come "pulsar al millisecondo", stelle morte che ruotano molto rapidamente. Le giganti rosse, stelle che hanno esaurito il combustibile nel nucleo e si sono quindi gonfiate, sono distribuite ovunque in questa immagine di VISTA e sono facili da individuare, poichè risplendono di un colore ambra scuro che si staglia sullo sfondo bianco-giallo delle stelle. Il nucleo densamente affollato fa da contrasto alle regioni più esterne dell'ammasso meno dense, mentre sullo sfondo sono visibili molte stelle della Piccola Nube di Magellano. Questa immagine è stata ottenuta con il telescopio dell'ESO VISTA durante la survey delle Nubi di Magellano. 48 L’IC 342 di NuSTAR CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE NuSTAR, il Nuclear Spectroscopic Telescope Array della NASA, ha posato il suo occhio X su una galassia a spirale catturandone il bagliore proveniente da due buchi neri al suo interno (in color magenta). Lanciato lo scorso giugno, NuSTAR è il primo telescopio orbitante la cui abilità consente di focalizzare la luce X ad alta energia, riuscendo a scoprire in grande dettaglio cose che finora erano sfuggite. L'immagine rappresenta la galassia IC342, anche nota come Caldwell 5, posta a 7 milioni di anni luce nella costellazione della Giraffa. Precedenti osservazioni a raggi X provenienti da Chandra hanno rilevato la presenza di due buchi neri, chiamati Ultraluminous 49 X-ray sources (ULCs). Ancora non sono noti i fattori che rendono questi oggetti così brillanti. Potrebbero essere buchi neri di massa intermedia, oppure buchi neri di piccola massa in una atipica fase di luminosità. Una nana alla corte di M101 CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE La costellazione dell'Orsa Maggiore è la casa di Messier 101, la galassia Pinwheel, una delle spirali più grandi e brillandi del cielo notturno. Come la Via Lattea, Messier 101 non è sola ma ha delle galassie nane nei suoi dintorni. NGC 5477, una di queste galassie nane del gruppo di M101, è il soggetto di questa immagine del telescopio spaziale Hubble. Senza una struttura riconoscibile, ma con evidenti segni di formazione stellare, NGC 5477 sembra una tipica galassia irregolare nana. La nebulosità brillante che si estende oltre la galassia è data da nybi di idrogeno nelle quali si stanno formando nuove stelle. Questo bagliore appare rosato nella vita reale 50 sebbene i filtri ce lo mostrino come bianco. Oltre a NGC 5477 l'imagine include numerose galassie di sfondo, comprese alcune visibili in alto. L'immagine è una combinazione di esposizioni prese in filtro verde e infrarosso tramite Hubble. Il campo è di 3,3 per 3,3 arcominuti. LUPUS 3: ECCEZIONALE CHIAROSCURO DELL’ESO CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE Il telescopio ESO da 2,2 metri di La Silla in Cile riprende una zona di formazione stellare chiamata Lupus 3, nello Scorpione, caratterizzata da uno spettacolare chiaroscuro tra nube e stelle 51 nascenti CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE LA NEBULOSA QUADRATA MWC 922, immortalata dal Keck-2 alle Hawaii e dal Telescopio Hale di Palomar, sarebbe una esplosione di supernova simile a 1987A ma vista 52da un'altra ottica IL GRANDE ATTRATTORE CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE DI HUBBLE Il telescopio spaziale ESA-NASA immortala la zona tra Triangolo Australe e Norme che esercita la maggiore attrazione gravitazionale dei nostri paraggi. 53 CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE UNA NASCITA NASCOSTA Immagine dettagliata della stella IRAS20126+414, ancora nascosta nel suo bozzolo di nascita ma evidente grazie a due getti molto potenti 54 NGC 411: l’ammasso aperto travestito da globulare CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI SKYLIVE – SUPERNOVAE Sembra un ammasso globulare, ma non lo è. NGC 411 è classificato come un ammasso aperto situato nella Piccola Nube di Magellano, una piccola galassia vicino alla nostra. E’ relativamente giovane, avendo non più cento milioni di anni. Lungi dall'essere una reliquia dei 55 primi anni dell'universo, le stelle in NGC 411 sono in realtà ben più giovani del nostro Sole. SOFTWARE ASTRONOMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE SOFTWARE ASTRONOMICI Di Maurizio Zanibelli Terza e ultima puntata dedicata al software ALADIN. Questa volta vedremo come fare foto a colori. 56 SOFTWARE ASTRONOMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE È’ arrivato il momento di vedere le nostre foto a colori. Abbiamo scaricato le foto nei vari filtri R rosso, G verde, B blu e L luminanza, le abbiamo sommate filtro per filtro con il metodo descritto nell’ultimo numero (Supernovae n°11 Gennaio 2013), abbiamo salvato il nostro risultato ora completiamo. Carichiamo in ALADIN le nostre foto, sempre aprendo la visione multipla, clicchiamo sull’icona “RGB“ a destra dello schermo, selezioniamo le fotografie relative ai vari filtri, occorre selezionare la foto di riferimento, sulla quale ALADIN ricampionerà le altre due immagini, diamo l’ok e ALADIN restituirà la foto a colori, che potrà essere poi regolata con il relativo comando. Ecco fatto; è un gioco da ragazzi… ma come già detto ALADIN non è un programma di elaborazione fotografica, ma un potente atlante stellare, quindi se le nostre foto sono ben calibrate fra di loro va tutto bene, ma se non lo sono, (come purtroppo succede nella maggioranza dei casi) al comando ok succede di tutto… tipo ottenere una foto “mosaico”, cioè con le stelle triplicate nei vari filtri. A questo punto possiamo provare a cambiare la foto di riferimento, a volte funziona, altrimenti alla fine occorre arrendersi all’evidenza bisogna iniziare tutto da capo. alcune varianti . Avendo già fatto le somme nei vari filtri, (seguendo il metodo esposto la volta precedente) la cosa più semplice da fare parrebbe ricalibrare le nostre somme con il cielo reale, ma purtroppo, avendo a suo tempo creato delle coordinate fittizie, ALADIN non è più in grado di ricalibrare tali immagini. Occorre rifare tutto. Sappiamo come procedere e abbiamo ormai capito che è più difficile da dire che non da fare. Coraggio! Per calibrare, apriamo la nostra prima immagine, (in quale filtro non ha importanza) controlliamo nei dati della “fit” le coordinate di centro della nostra immagine, poniamo la visione dello schermo a due immagini, chiediamo ad ALADIN di aprire nella nuova finestra l’immagine di archivio relativa alle coordinate centrali della nostra foto, troviamo delle stelle di riferimento meglio se in centro alla foto e procediamo alla calibrazione della nostra immagine (Immagine 1). Cancelliamo la catasta,( tasto dx del mouse sulla catasta, cancella tutti i piani,.) riapriamo la nostra prima immagine calibrata e ingrandiamo la zona delle nostre stelle di riferimento, apriamo una nuova finestra dove carichiamo la foto successiva e per evitare sgradevoli sorprese pure qui ingrandiamo la zona delle stelle di riferimento allo scopo di essere il più precisi possibili sui pixel delle stelle da selezionare, calibriamo e salviamo la nostra foto, ripetiamo il medesimo procediamo con tutte le successive. Bene ,siamo a metà del percorso! Puliamo la nostra catasta, riapriamo in visione multipla le nostre foto calibrate, filtro per filtro, ricampioniamo la prima con la seconda, eseguiamo la somma tra queste due foto, ricampioniamo la somma (add…) con la terza foto e le sommiamo tra loro, e così fino alla fine della seq relativa al filtro in elaborazione, salviamo la somma finale (Immagine 3). Puliamo la catasta e ripetiamo lo stesso procedimento per tutti i filtri. Il metodo è sempre quello, calibrare, ricampionare, sommare. Però questa volta operiamo Immagine 1 57 Salviamo la nostra immagine calibrata, che verrà usata quale riferimento per tutte le immagini, nei vari filtri della nostra sequenza (Immagine 2). Abbiamo finalmente le nostre somme nei vari filtri perfettamente SOFTWARE ASTRONOMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE usatela al posto di un filtro, e vedrete che risultato! Nella seguente foto(il campo è sempre precedente) ho usato in R una foto da 240 sec in H, ovviamente calibrata (Immagine 6). Un ultima cosa prima di chiudere con ALADIN! Immagine 2 calibrate nel cielo reale le riapriamo in visione multipla, clicchiamo sull’icona RGB selezioniamo i vari file(da notare come le coordinate relative alle singole somme sono abbastanza precise, l’ideale sarebbe che fossero tutte e tre uguali) e se abbiamo fatto le cose bene stavolta il risultato è garantito (Immagine 4). Regoliamo i colori della nostra immagine, purtroppo non possiamo aggiungere alla nostra RGB la luminanza L oppure una foto in H, in quanto ALADIN non esegue più nessuna aggiunta ad una immagine in RGB (Immagine 5). Però come tutti sanno il computer è una macchina ”stupida”, obbedisce e basta (per fortuna) quindi provate a caricare la vostra luminanza o la vostra H e Immagine 3 58 Ho sempre detto che il programma è un atlante stellare ma non ho mai detto come si usa. Una volta aperta e calibrata la nostra immagine nel cielo reale, possiamo premere l’icona “simbab” oppure ned”, ALADIN aprirà un nuovo piano sulla nostra foto con tutti i dati relativi e catalogati delle stelle e degli oggetti ripresi dalla nostra ccd (Immagine 7). Se passiamo il mouse sulle stelle compariranno le informazioni. Se creiamo una selezione rettangolare sulla nostra foto, tutte le stelle nella selezione, se catalogate, vengono evidenziate nella finestra in basso con tutte le SOFTWARE ASTRONOMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE Immagine 4 Immagine 5 relative informazioni: cosa sono, la loro magnitudine ecc.. e, se vogliamo saperne di più selezioniamo la riga che ci esistano altri procedimenti più o meno semplici del mio e che qualcuno già conosce, ( io ne ho provati tanti, e magari solo per qualche errore mio non hanno funzionato) i metodi di base per una elaborazione fotografica sono sempre gli stessi, somma delle immagini, sottrare i dark…ecc… occorre trovare il modo di applicarli nei vari programmi, provando e riprovando usando l’inventiva e a volte non solo per un risultato finale, ma per il gusto di capire come funziona una cosa e come aggirare alcuni ostacoli, per il gusto delle ricerca, con la pazienza e tenacia che contraddistingue ogni astrofilo. In fin dei conti….”fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” (Dante) Immagine 6 interessa clicchiamo; ALADIN ci rimanda ad una pagina internet dove avremo tutto un “mondo” da scoprire…. Provate e buon lavoro! Una precisazione finale è doverosa, io non posseggo la verità in tasca sul programma e sui prossimi che andrò ad analizzare, questo è il metodo con la quale io ho ottenuto un risultato valido, nulla vieta che Immagine 7 59 SPAZIO AMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE A TORINO UN PLANETARIO TUTTO NUOVO 60 SPAZIO AMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE INAUGURAZIONE DEL NUOVO PLANETARIO DIGITALE Domenica 17 Marzo 2013 In occasione della Giornata Nazionale dei Planetari Domenica 17 Marzo 2013, in occasione della "Giornata Nazionale dei planetari", verrà inaugurato il nuovo PLANETARIO con la proiezione di uno SPETTACOLO INEDITO che includerà contenuti originali e nuovi effetti tridimensionali che permetteranno un viaggio sempre più immersivo. Grazie alla nuova tecnologia sarà possibile scoprire nuovi mondi, sorvolare pianeti osservando da vicino spettacolari dettagli 3D del terreno, seguire satelliti e sonde spaziali a “spasso” per il cosmo e ammirare un cielo notturno sempre più realistico. 61 SPAZIO AMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE LA NUOVA TECNOLOGIA – DIGISTAR 5 – EVANS & SUTHERLAND Il Planetario è un simulatore del cielo, ciò che si vede non è reale ma ricostruito. È costituito da due componenti fondamentali: un sistema di proiezione (ottico-meccanico o digitale), predisposto per rappresentare il cielo e i moti celesti, e uno schermo semisferico. Quello che si trova all'interno del Museo di INFINI.TO è un sistema di proiezione che utilizza grafica digitale computerizzata tecnologicamente d'avanguardia (Digistar 5 della Evans & Sutherland) unita alla realizzazione grafica 3D, allo storyboarding e alla colonna sonora spesso creati dallo Staff di Infini.to. Senza muoversi dalla poltrona è possibile vedere il cielo a una certa ora in un determinato luogo, oppure grazie all'innovativo sistema digitale, compiere un vero e proprio viaggio alla scoperta dei più affascinanti oggetti che popolano l'Universo. GIORNATA NAZIONALE DEI PLANETARI Dal 1991 si organizza la "Giornata dei planetari". La manifestazione ha luogo in contemporanea nei principali planetari italiani. La "Giornata" si svolge nella domenica precedente o seguente all'equinozio di primavera. La "Giornata dei Planetari" è promossa dall'Associazione dei planetari italiani che ha coinvolto anche i planetari di altri Paesi europei. La manifestazione si è svolta infatti anche in Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Slovacchia e nell'Ucraina. 62 SPAZIO AMICI SKYLIVE – SUPERNOVAE PROGRAMMA, ORARI e COSTI DELLA GIORNATA www.planetarioditorino.it, sezione Eventi Ufficio Stampa Via Osservatorio 30, 10025 Pino Torinese (TO) Responsabile: Simona Rachetto cel. 3463062632 tel. 0118118737 fax 0118118652 [email protected] 63 SKYLIVE – SUPERNOVAE The best of… IMMAGINI DA SKYLIVE …gli iscritti Skylive 64 Utente Roby53 : Nebulosa “zampa di gatto”, NGC 6334 nella costellazione dello Scorpione, distante 5.500 anni luce. Utente Roby53 : NGC700 (Nord Ameerica) e IC 5070 (Nebulosa Pellicano) IMMAGINI DA SKYLIVE 65 SKYLIVE – SUPERNOVAE Utente Ricky: Omega) – 16 frame da 5 minuti a 800 ISO SKYLIVE – SUPERNOVAE IMMAGINI DA M17 SKYLIVE(Nebulosa Celestron 9,25 – Neq6 pro 66 Utente Terry26 (foto) Montiniv (elaborazione) – IC59 e IC63 IMMAGINI DA SKYLIVE 67 SKYLIVE – SUPERNOVAE Utente Acer35: Cometa C/2012 K5 – Telescopio 2 Skylive SKYLIVE – SUPERNOVAE IMMAGINI DA SKYLIVE 68 SKYLIVE – SUPERNOVAE IMMAGINI DA SKYLIVE Utente Forum Gianluk: Pleiadi 69 (M45) nel Toro IMMAGINI DA SKYLIVE SKYLIVE – SUPERNOVAE Utente Forum Stellairama: Testa di Cavallo e Nebulosa Fiamma intorno a Alnitak, in Orione. 70 Utente Spaziale3000: Nebulosa Rosetta (NGC 2244) – 1 2 Skylive SKYLIVE –filtro SUPERNOVAE IMMAGINI DA SKYLIVE posa da 250 secondi, H – Telescopio 71 ATTIVITA’ DI SKYLIVE SKYLIVE – SUPERNOVAE SERATE PUBBLICHE A FEBBRAIO 1 febbraio 2013 ore 21.30 Una costellazione sopra di noi Il telescopio 2 di Skylive-UAI ci porta tra le stelle della costellazione dell’Auriga di Capella. A cura di: Giorgio Bianciardi Relatore (per sostituzione): Stefano Capretti 14 febbraio 2013 ore 21.30 Skylaunch: Un passo sulla Luna Seconda serata del nuovo ciclo Skylaunch: rivivremo le missioni lunari principali dell’era spaziale Relatore: Stefano Capretti 28 febbraio 2013 ore 21.30 Rassegna stampa e cielo di Marzo Appuntamento con le principali notizie divulgate a febbraio e introduzione al cielo di marzo Relatore: Stefano Capretti 72 CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE a cura di Stefano Capretti 73 CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE Sfera Celeste 15 febbraio 2013 ore 23.00 Baricentro d’Italia 74 CIELO DEL MESE 75 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE Il cielo astronomico di febbraio di prima serata è caratterizzato essenzialmente dal suo lato di sudovest, laddove transitano le costellazioni principali del periodo e forse di tutto l’anno, e da quello est, laddove sorgono le costellazioni primaverili. In prima serata il cielo del lato sud ha già ampiamente visto il passaggio delle costellazioni più brillanti del periodo invernale, quindi ad ovest iniziano ad abbassarsi decisamente le costellazioni del Toro e di Orione, mentre i Gemelli – da poco transitati in meridiano – sono ancora alti e Sirio è visibile nel lato basso dell’orizzonte sud, con Procione quasi in meridiano in primissima serata.Nell’orizzonte est invece il Leone è già ad una buona altezza. Come sempre, tuttavia, procediamo per gradi partendo dall’orizzonte Nord e spostandoci poi verso le altre bellezze del cielo di febbraio. Partiamo dal NORD La cosa più facile è, come sempre, partire dall’orizzonte Nord, dal momento che il cielo notturno, in quella direzione, mostra sempre le stesse costellazioni, in ogni periodo dell’anno. Il cielo dell’orizzonte Nord è caratterizzato ovviamente dalla presenza della stella Polare e delle costellazioni che le ruotano intorno come conseguenza della rotazione della Terra sul proprio asse. Orizzonte nord ore 23 del 15/02. In basso l’Orsa Maggiore per come appare. Se non sappiamo trovare la stella Polare può venirci incontro una bussola, ma il modo migliore per conoscere il cielo è trovare ad occhio la stella che indica il Nord. A tale scopo, ci serviamo di una costellazione sempre visibile in ogni periodo dell’anno e molto brillante, tanto da essere scorta anche nei cieli cittadini: l’Orsa Maggiore. La sua forma è ben nota e somiglia ad un mestolo. Ormai conosciamo benissimo la maggior parte dei nomi delle stelle dell’Orsa Maggiore e sappiamo altrettanto bene che possiamo utilizzare il sistema binario di Mizar e Alcor per mettere alla prova la nostra vista. Si trovano nel “manico” del mestolo e possono essere rintracciate nella curvatura maggiore che presenta il manico stesso. Se non avete problemi di vista non fate alcuna fatica a separare visualmente queste due stelle, senza l’aiuto di alcuno strumento ottico ingrandente! In questo mese, in prima serata, 76 l’Orsa Maggiore ci appare sulla propria “coda”, poggiata sulla stella più bassa del manico chiamata Alkaid. Laddove finisce il “manico” ed inizia il “mestolo”, invece, c’è la stella Megrez, anche nota come Delta Uma. Prolungando di tre volte circa il segmento formato dalle stelle Merak (beta Uma) e Dubhe (alfa Uma) si arriva alla Stella Polare. Si trova ad una altezza che corrisponde alla latitudine del CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE vostro luogo di osservazione, quindi se vi trovate a Roma la stella Polare si troverà a 42° di altezza nel cielo. Una volta trovata l’Orsa Maggiore e la Stella Polare, siamo già a buon punto perché abbiamo già individuato un punto cardinale e possiamo iniziare a riconoscere le costellazioni principali del lato nord del cielo. In questo periodo dell’anno, l’Orsa Maggiore in prima serata risale lungo il lato di nord-est, guadagnando in altezza e disponendosi sulla sua “coda”, in verticale, pronta a “sdraiarsi” di schiena. Come prima cosa, si può prolungare il segmento che ci ha consentito di trovare la Polare fino alla prossima stella brillante che si incontra. Si tratta di Alrai, nella costellazione del Cefeo. Sarà a questo punto semplice individuare tutta la costellazione del Cefeo, dal momento che Alrai rappresenta la punta del tetto della casetta raffigurata dalla costellazione, che in questo periodo dell’anno ci appare “sdraiata” verso sinistra. Come seconda cosa, trovata l’Orsa Maggiore si può partire dal suo centro e cercare la sua dirimpettaia rispetto alla Polare, Cassiopea, per una semplice ragione: in ogni momento dell’anno può essere trovata sempre dalla parte diametralmente opposta all’Orsa Maggiore rispetto alla Stella Polare. Trovare Polare e Cefeo a partire dall’Orsa Maggiore In questo periodo dell’anno, dal momento che l’Orsa Maggiore sta salendo verso nord-est, Cassiopea inizia la discesa verso nord-ovest. Le costellazioni danno vita ad una rincorsa infinita ma non tramonteranno mai alle nostre latitudini trattandosi di costellazioni circumpolari. In prima serata Cassiopea sarà a metà cielo ma durante la nottata tenderà ad abbassarsi sempre di più per ritrovarsi bassa prima dell’alba, a fronte di una Orsa Maggiore che avrà guadagnato la zona alta del cielo al centro della notte e che tornerà a calare nel lato di Nord-Ovest prima dell’alba. Per trovare Cassiopea dall’Orsa, si può unire con un segmento la stella Alioth (Epsilon UMa) alla Polare e proseguire il segmento fino alla prossima stella brillante, posta ad altrettanta distanza. Questa stella è la centrale della “doppiavvù” di Cassiopea, e si chiama Gamma Cas. Questo mese l’attrazione maggiore, tuttavia, è a sud, quindi rivolgiamo il nostro sguardo verso Sud. Trovare Polare e Cefeo a partire dall’Orsa Maggiore 77 CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE LE STELLE CHE TRAMONTANO In prima serata, all’orizzonte ovest, nessuno si strapperà i capelli nel veder tramontare le deboli costellazioni di Pesci e Balena, mentre un po’ di dispiacere si potrà nutrire vedendo abbassarsi e sparire il Quadrato di Pegaso e di conseguenza la costellazione di Andromeda, verso Nord Ovest. Quasi persa è la costellazione dell’Ariete, che di per sé non lascerebbe rimpianti se non fosse per il gioiello del Sistema Solare, Giove, presente al suo interno, proprio al confine con la costellazione dei Pesci e che tramonta oramai ben presto. Perseo invece è ancora abbastanza alto e ben osservabile, con la sua stella Algol ad accendersi e spegnersi a ritmi regolari di due giorni e mezzo e con il suo Doppio Ammasso, al confine con Cassiopea, a segnare uno degli oggetti più belli del cielo. Stiamo comunque per perdere costellazioni molto più significative, dal momento che il Toro inizia ad abbassarsi parecchio già in prima serata sul versante ovest seguito da Orione e dal suo seguito, che alti in cielo non lo sono mai stati vista la declinazione parzialmente australe e che quindi perdono molto presto visibilità in termini di altezza sull’orizzonte. ANCORA INVERNO IN TRANSITO A PRIMA SERATA Dopo 78 che a Dicembre sono Le costellazioni a sud-ovest, ancora un po’ di inverno transitate al meridiano le costellazioni di Toro e l’Auriga e che nel mese di Gennaio è spettato ad Orione ed al suo seguito di costellazioni, il mese di Febbraio ha già visto passare un po’ tutto il seguito del Cacciatore in prima serata. Si tratta comunque di una zona molto importante e riconoscibile del cielo, quindi spendiamo ancora un po’ di tempo per cercarla e riconoscerla. La zona sud è senza dubbio la più luminosa di tutto il cielo e di tutte le stagioni, ed anche la più riconoscibile grazie alla presenza in cielo della costellazione di Orione, gigante e lucente. Come riconoscere Orione? Dalla sua forma inconfondibile e brillantissima, e soprattutto da tre stelle allineate che vanno sotto il nome di Cintura di Orione. Le tre stelle che formano la cintura sono allineate dall’alto al basso nella immagine, sul lato destro appena sotto il centro della foto. Sono tutte stelle azzurrine, caldissime, ed il loro nome, dall’alto in basso, è Mintaka, Alnilam (la centrale) e Alnitak. All’interno del quadrilatero a destra dell’immagine, delineato dalla Cintura, da Rigel e da Saiph, ci sono tre stelline allineate. All’altezza della seconda stellina c’è la nebulosa più famosa del cielo, nota come M42, la Grande Nebulosa di Orione. Di tutto lo splendore presente sul versante orientale, il punto cardine di tutto il cielo è rappresentato dalla costellazione di Orione, che ci consente di trovare tutte le altre costellazioni limitrofe, che vengono chiamate il “seguito di Orione”. La costellazione di Orione CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE Prolunghiamo il segmento creato dalle tre stelle della Cintura di Orione, sia verso l’alto sia verso il basso. Verso l’alto giungiamo a due corpi celesti che abbiamo già visto: il primo è la stella Aldebaran, nel Toro, che brilla di colore arancione ed il secondo, più in alto, è dato dall’ammasso aperto delle Pleiadi. Sempre li in alto, verso est rispetto alle Pleiadi, brilla una stella davvero lucente, con un colore bianco-giallo, di nome Capella, nella costellazione dell’Auriga. Ora vediamo il prolungamento basso della Cintura: non si può sbagliare neanche stavolta, visto che la stella più brillante del cielo sarà lì in basso. Si tratta di Sirio, la stella più brillante perché una delle più vicine, nella costellazione del Cane Maggiore. Il Cane Maggiore somiglia davvero ad un cane, messo in piedi, con Sirio ad indicarne il brillante collare. Chi ha un cielo inquinato dal punto di vista luminoso potrà vederne soltanto il corpo, mentre la testa è composta da stelle più deboli. Ora, anziché partire dalla Cintura di Orione, muoviamoci lungo il segmento che unisce Rigel a Betelgeuse e prolunghiamolo verso est fino a giungere ad una coppia di stelle posta più o meno alla stessa altezza di Orione stesso. Si tratta di Castore e Polluce, le due stelle più brillanti della costellazione dei Gemelli. In ultima istanza, tracciamo una linea che unisce la brillantissima 79 Muoversi nel cielo partendo da Orione Sirio a Polluce nei Gemelli, e noteremo senza dubbio che verso la metà è presenta una stelle molto brillante: si tratta di Procione, nella costellazione del Cane Minore. Tutte queste costellazioni rappresentano il cosiddetto “Seguito di Orione” perché mitologicamente fanno parte della stessa scena di caccia: Orione è il cacciatore, che utilizza i due cani, uno maggiore e l’altro minore, per andare a caccia. A caccia di cosa? Di una lepre. Ed infatti ai piedi del cacciatore c’è proprio la costellazione della Lepre. La grande scena di caccia rappresentata sulla sfera celeste intorno a Orione, con Toro, Lepre e Cani, maggiore e minore, come aiutanti. CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE MIGLIORI OGGETTI ALMERIDIANO La costellazione più visibile del seguito di Orione è quella dei Gemelli, riconoscibile alla sinistra e in alto rispetto al Cacciatore dalla presenza di due stelle molto brillanti note come Castore e Polluce, i gemelli appunto. La leggenda di Castore e Polluce narra la storia di due gemelli inseparabili, che combatterono contro Ida e Linceo, figli di Afareo re dei Messeni. Durante il combattimento, Ida uccise Castore e Polluce vendicò il gemello uccidendo Linceo. Ida fu fulminata da Giove. I due gemelli sarebbero stati quindi separati per sempre, dal momento che Polluce era immortale. Le costellazioni al meridiano 45s, nella Gemelli. costellazione dei Rinunciò tuttavia alla sua immortalità, pregando Giove di consentirgli di raggiungere il fratello. Giove, quindi, innalzò i due gemelli in cielo, come costellazione. A parte le stelle, che vedono alfa e beta invertite in termini di luminosità, uno degli oggetti più affascinanti è senza dubbio la nebulosa NGC 2392. Non è l’unico oggetto, visto che il più famoso è l’ammasso aperto M35, ma questa nebulosa va conosciuta! LA ESKIMO NEBULA, NGC 2392 Si tratta di una nebulosa planetaria, ciò che resta di una stella di massa medio-piccola, presente a Ascensione Retta 07°29’09’’ e Declinazione 20h 54m 80 La sua curiosità è senza dubbio la forma, visto che i due anelli concentrici danno vita ad un oggetto che ricorda un clown. Ovviamente la foto è di Hubble, quindi non aspettatevi di vederla così nel vostro telescopio! IL PRESEPE A FEBBRAIO Febbraio è anche il periodo migliore per vedere un altro oggetto rilevante del nostro cielo, un ammasso aperto nella costellazione del Cancro noto come M44 oppure ammasso del Presepe. Alla distanza di circa 590 anni luce, ad Ascensione Retta 08°40’00’’ e Declinazione 19h 40m 00s esiste un ammasso stellare decisamente bello e colorato, che proprio per queste caratteristiche è chiamato Presepe. Occupa la 44° posizione nel catalogo di Messier, quindi è noto come M44. Si trova proprio al centro della costellazione, tra Gamma e Delta Cancri. Alcuni lo chiamano anche “Mangiatoia”, ed in tal caso le stelle del Cancro sarebbero rispettivamente l’asinello ed il bue. Conta circa 500 stelle anche se ne sono visibili una cinquantina. CIELO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE PRIMAVERA AD EST In fondo febbraio è il mese prima della primavera, ed il cielo dell’orizzonte Est è già pronto o quasi con le costellazioni del periodo. In prima serata ad est ci sarà un anticipo di cielo primaverile, con il Leone già bello alto, seguito dalla Chioma di Berenice e addirittura dal Contadino di Arturo, con la brillantissima stella arancione già sorta prima delle 23. Durante la notte queste costellazioni diverranno ben più alte e passeranno in meridiano molto prima dell’alba. VISIBILITA’ DEI PIANETI Mercurio: sarà in elongazione est, quindi risulta visibile al tramonto fino al giorno 26 quando si immergerà nelle luci crepuscolari in vista della prossima congiunzione eliaca. Venere è ancora visibile all'alba, ancora in elongazione verso ovest, fino al giorno 8 quando la sua distanza dal Sole sarà ormai Il cielo ad est nel mese di febbraio ridotta al minimo e il pianeta diventerà quasi inosservabile. Marte: il pianeta rosso a febbraio 2013 sarà visibile con grande difficoltà al tramonto, muovendosi tra le stelle dell'Acquario. Giove: Giove è ancora visibile per gran parte della nottata nella costellazione del Toro, risultando l'astro più brillante del cielo. inizia ad essere visibile a metà nottata, muovendosi tra le stelle della Bilancia. Urano: si rende visibile, pur con tutte le difficoltà del caso, tra le stelle dei Pesci in prima serata, appena dopo il tramonto. Nettuno: non sarà osservabile per tutto il mese di febbraio.. Saturno: Il pianeta degli anelli La posizione dei pianeti Mercurio e Venere a febbraio 2013 nel momento in cui il Sole è all’orizzonte 81 CIELO DEL MESE 82 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 83 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 84 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 85 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 86 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 87 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 88 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 89 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 90 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 91 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 92 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 93 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 94 SKYLIVE – SUPERNOVAE ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE CIELO DEL MESE 95 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 96 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 97 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 98 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 99 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 100 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 101 SKYLIVE – SUPERNOVAE COMETE VISIBILI CIELO DEL MESE 102 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 103 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 104 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 105 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 106 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 107 SKYLIVE – SUPERNOVAE SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE Cometa SERA Mag Alt Cometa NOTTE Mag Alt Cometa MATTINA Mag Alt C/2012 T5 (Bressi) 10 2 C/2012 K5 (LINEAR) 12 8 273P/2012 V4 (PonsGambart) 9 57 C/2012 K5 (LINEAR) C/2012 L2 (LINEAR) C/2009 P1 (Garradd) 262P/2012 K7 (McNaughtRussell) C/2010 S1 (LINEAR) 12 12 13 13 43 62 30 44 C/2012 L2 (LINEAR) C/2006 S3 (LONEOS) C/2009 P1 (Garradd) 29P/SchwassmannWachmann 1 12 13 13 13 16 3 45 10 C/2011 R1 (McNaught) C/2006 S3 (LONEOS) C/2009 P1 (Garradd) 246P/2010 V2 (NEAT) 12 13 13 13 35 38 1 17 13 8 C/2010 S1 (LINEAR) 29P/SchwassmannWachmann 1 13 13 21 32 SCIAMI METEORICI SCIAME PICCO ZHR RADIANTE DELTA VELIDI 5 1 A.R. 08h 44 – Decl. -52° ALPHA CENTAURIDI 7 6 A.R. 14h 00 – Decl. -59° OMICRON CENTAURIDI 11 2 A.R. 11h 48m – Decl. -56° LEONIDI - 5 A.R. 11h 00 – Decl. +6° DELTA LEONIDI 24 2 A.R. 11h 12 – Decl. +16° 108 EVENTI CELESTI DEL MESE CIELO DEL MESE 109 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 110 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 111 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 112 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 113 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 114 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 115 SKYLIVE – SUPERNOVAE CIELO DEL MESE 116 SKYLIVE – SUPERNOVAE EVENTO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE Il 15 febbraio un sassolino di 50 metri passerà vicinissimo alla Terra: ottima occasione per osservarlo passare! 117 EVENTO DEL MESE SKYLIVE – SUPERNOVAE 2012 DA14 è un asteroide di tipo NEA (Near Earth Asteroid) con diametro di circa 45 metri scoperto il 23 febbraio 2012 dall'osservatorio OAM a La Sagra, in Spagna, dopo soli sette giorni dal passaggio radente con la Terra avvenuto il 16 febbraio 2012 ad una distanza di 0,0174 UA. Il passaggio del 2013, il giorno 15 febbraio, avviene a circa 34.100 chilometri dal centro della Terra (0,000228 UA), quindi entro la fascia orbitale dei satelliti geostazionari. Ovviamente non si tratterà di un fenomeno spettacolare dal punto di vista mediatico visto che sarà visibile soltanto a chi è dotato di una certa strumentazione oppure tramite le dirette che vengono portate avanti su internet, ma il 15 febbraio, come accennato, questo asteroide di 50 metri e con una massa di circa 130 mila tonnellate si avvicinerà in maniera notevole al nostro pianeta, “sfiorandolo” ad una velocità di circa 8 chilometri al secondo. L’orbita di 2012 DA14 in confronto all’orbita terrestre chiamato in causa in tema di distruzione terrestre e di fine del mondo, ma è altrettanto ovvio che nulla accadrà in seguito al suo fly-by visto che le orbite, per fortuna, sono ben prevedibili e che nessun rischio di impatto è presente. Il passaggio dell’asteroide sarà visibile nel cielo a partire dalle 20:26 (ora italiana – 19:26 UTC). Non a occhio nudo, ma dovrebbe bastare un binocolo. Per gli italiani l’appuntamento è verso le 23. Il transito sarà controllato dagli osservatori radar, per studiarne la forma, le misure e la traiettoria. La distanza, come detto, sarà di 34.100 chilometri dal centro della Terra, il che equivale a dire che 2012 DA14 passerà a circa 27.680 chilometri dalla superficie terrestre, ben al di sotto dell’orbita nella quale vengono inseriti i satelliti geostazionari che utilizziamo per le telecomunicazioni, posti a circa 36.000 chilometri dal suolo del nostro pianeta. Ovviamente questo asteroide fu 118 Il percorso celeste di 2012 DA14 che tuttavia, vista la vicinanza, sarà molto diversa in base al luogo di osservazione SKYLIVE – SUPERNOVAE Gli articoli sono tratti dalle principali fonti di divulgazione astronomica quali: NASA http://www.nasa.org ESA http://www.esa.int/ESA ESO http://www.eso.org MEDIA INAF http://www.media.inaf.it RAS http://www.ras.org.uk I software planetari utilizzati per le simulazioni sono: PERSEUS Lev.III di Elitalia STELLARIUM I dati delle effemeridi sono tratti dal sito http://www.skylive.it Il presente documento è soltanto un riassunto di quanto proposto quotidianamente da Skylive Telescopi Remoti durante il corso del mese. Sul sito Skylive Telescopi Remoti troverete tutto il materiale necessario alla comprensione e all’approfondimento di quanto trattato. Lo staff di Skylive Telescopi Remoti 119