supernovae

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Numero 12 – Febbraio 2013 – Liberamente scaricabile da http://www.skylive.it
SUPERNOVAE
Riassunto gratuito dell’attività mensile di Skylive Telescopi Remoti
MATERIA OSCURA E PRINCIPIO
COSMOLOGICO
ANDIAMO NEL VERSO GIUSTO?
Strutture troppo grandi e nuove teorie minano le nostre
ipotesi di base, proprio mentre si investe in Euclid
Dall’universo




Kepler: 461 nuovi pianeti?
Titano tra laghi ghiacciati e età nascosta
Apophis: arrivederci senza paura
A caccia di esopianeti ed esocomete
Il cielo di febbraio




Costellazioni del mese
Pianeti: visibilità e effemeridi
Asteroidi e comete
Sciami meteorici
Le attività di Skylive nel mese di febbraio
 Una costellazione sopra di noi: AURIGA
 SKYLAUNCH: un piccolo passo sulla Luna
 Rassegna stampa e cielo del mese: uno sguardo al cielo di Marzo
Sito Skylive http://www.skylive.it
Forum Skylive http://www.skylive.it/forum05
IN QUESTO NUMERO
MERAVIGLIOSO TITANO
Skylive Telescopi Remoti è un
servizio promosso e portato
avanti da appassionati di
astronomia, che mette a
disposizione degli utenti la
possibilità
di
conoscere
l'astronomia e di viverla in prima
persona sotto il cielo, sia tramite
divulgazione teorica via web o
serate on line e dal vivo, sia
tramite un circuito di telescopi a
disposizione del pubblico da
osservare in remoto.
SUPERNOVAE è una rivista di
aggiornamento
astronomico
divulgata
gratuitamente
attraverso il sito Skylive.
Dai laghi ghiacciati ai crateri nascosti, alcune
novità riguardanti questo affascinante mondo
Pagina 10
ESOPIANETI, ESOCOMETE, ESOAURORE
Asteroidi e comete intorno a Vega, mentre si
scoprono anche le prime esoaurore
Pagina 20
UN UNIVERSO CONTROMANO
Scie di stelle e pianeti in moto retrogrado,
qualche spiegazione è stata trovata
Pagina 26
CACCIA ALL’UNIVERSO OSCURO
Presidente
IVAN BELLIA
Vice
LUCA SCARPAROLO
A cura di
STEFANO CAPRETTI
Grafica
DANY GOZZI
Contatti:
[email protected]
Sito web:
http://www.skylive.it
La NASA dà la mano a Euclid, ma nel
frattempo qualcosa sembra vacillare.
Pagina 38
IL GIORNO DEI PLANETARI: INFINI-TO
Il Planetario di Torino si prepara all’evento
con una strumentazione del tutto nuova
Pagina 42
IL CIELO DI FEBBRAIO 2012
Costellazioni, visibilità dei pianeti, asteroidi,
comete, sciami meteorici, effemeridi
Pagina 74
In più, Aladin spiegato dal nostro amico Maurizio Zanibelli e
alcune tra le migliori immagini scattate dai nostri telescopi
oppure dai nostri amici iscritti a Skylive.
Il cielo capovolto
Q
ualcosa che non abbiamo mai visto anche se è sempre stata
davanti ai nostri occhi, anche se non ha mai cercato di
nascondersi né di farsi scoprire. Come l’America, rimasta lì
per anni e secoli fino all’arrivo dei navigatori europei.
Qualcosa che è lì come è sempre stata, da miliardi di anni, e che
ancora facciamo fatica a capire. Eppure inseguiamo la chimera della
sua esistenza perché gli effetti li vediamo e perché in questo modo i
conti ci tornano, spesso. Buffa la vita dei cosmologi: spesso vanno in
accesa discussione con la religione perché non credono a cose non
dimostrabili, e poi sono costretti a basare tutto l’universo su qualcosa
che non riescono a vedere né a provare, donandogli quella tonalità
oscura che da un lato è così affascinante e dall’altro è così
deprimente perché ci lascia disarmati.
Provocazione, ovviamente, perché in certi termini gli effetti si vedono
quindi, indirettamente, possiamo dire che c’è. Ma non sempre gli
effetti sono quelli attesi, ed ovviamente questo comporta la necessità
di rivedere costanti, conti, masse, limiti. E anche principi
fondamentali, a volte. Ci raccontano che l’universo a grande scala sia
omogeneo e isotropo, ma poi viene scovata una struttura gigantesca
che lo altera distruggendo la nostra base d’appoggio dell’intera
teoria. Sposteremo i limiti ancora un po’ più in là e manterremo
valido comunque il nostro principio cosmologico? In fondo se il
nostro modello si basa su qualcosa che non si vede possiamo ancora
dire di tutto…
Ma si, materia oscura ed energia oscura esistono, è ovvio… altrimenti
perché quelle stelle così esterne sono così veloci? Devono esistere
per forza… a meno che questa gravitazione secondaria teorizzata e
pubblicata questo mese sia valida. Certo non è facile la vita dei
cosmologi: ad un certo punto potresti scoprire di aver sbagliato tutto.
Ma sbagliare è scienza, ed anche l’errore avvicina alla realtà.
Restiamo alla finestra, prima o poi qualcosa scopriremo. In fondo è
tutto lì davanti ai nostri occhi, prima o poi lo vedremo.
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Ciao Apophis,
senza paura
L’asteroide che un tempo spaventò la Terra è
passato e passerà ancora senza danno
4
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Gli scienziati del Jet Propulsion
Laboratory della NASA hanno
ricalcolato la possibilità che
l'asteroide
Apophis
possa
impattare la Terra durante il flyby
del 2036, utilizzando i dati ottenuti
durante il periodo 2011-2012 e i
dati derivanti dal passaggio
ravvicinato di gennaio 2013.
Scoperto il 19 giugno 2004 da Roy
A. Tucker, David Jemes Tholen e
Fabrizio Bernardi, Apophis (il cui
nome è 99942 Apophis dopo aver
ricevuto
la
designazione
provvisoria di 2004 MN4) è subito
salito alla ribalta della cronaca dal
momento che i primi calcoli
orbitali indicavano una probabilità
di collisione pari al 2,7% durante
un flyby previsto per l’anno 2029.
Alla luce dei primi risultati,
Apophis fu portato al livello 1
della Scala Torino, che indica il
grado di pericolosità di un corpo
celeste in termini di probabilità di
L’asteroide Apophis è stato
scoperto il 19 giugno del
2004. Le prime stime orbitali
mostravano probabilità di
impatto con la Terra superiori
alla media, e questo portò
Apophis alla ribalta su tutti i
media al punto che, anche
quando la sua orbita fu
perfezionata e il pericolo fu
scongiurato,
molti
continuano ancora a credere
che questa roccia arriverà a
colpire la Terra.
Image credit: UH/IA
5
impatto e di entità di danni
provocabili in caso di collisione.
con certezza che non ci sarà alcun
impatto.
Dopo lo spavento iniziale, i dati
ottenuti dallo studio della
traiettoria nel cielo di questo
corpo roccioso hanno fornito
ulteriori informazioni e maggior
precisione al calcolo, fino a
scongiurare
ogni
disastroso
evento per il 2029. Già nel 2006,
tuttavia, alla luce dei nuovi dati e
quindi del miglioramento dei
parametri orbitali, l’asteroide fu
riportato insieme a tutti gli altri a
livello zero della Scala Torino
stessa.
Proprio le probabilità di impatto
iniziali fecero scegliere un nome
di tutto rispetto per questo
asteroide: Apophis è infatti
dedicato al dio dell’antico Egitto
Apòfi, detto il “Distruttore”. Si
tratta di un asteroide del gruppo
di Aten, caratterizzati da un’orbita
con semiasse maggiore inferiore
all’Unità Astronomica. Il periodo
orbitale di Apophis è di circa 323
giorni ed il suo percorso interseca
due volte quello terrestre. Ne
segue un perielio più vicino di
quello terrestre (0,922 UA) e un
afelio invece più distante rispetto
al nostro (1,099 UA).
Rimaneva un leggero timore per il
2036. Questo almeno fino a
questo mese, dal momento che
attraverso l’elaborazione dei
nuovi dati anche la possibilità che
si verifichi un impatto nel 2036 è
del tutto nulla. Per essere precisi è
una probabilità inferiore a una su
un milione, il che consente di dire
Ad aprile 2029, il 13 per la
precisione, il flyby dell'asteroide
sarà comunque un avvicinamento
da record visto che la distanza
dalla Terra sarà di soli 31.300
chilometri
dalla
superficie
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Apophis visto da Herschel nelle tre bande di 70, 100 e 160 micron. Crediti: ESA/Herschel/PACS/MACH-11/MPE/B.Altieri (ESAC)
and C. Kiss (Konkoly Observatory)
terrestre. Si prevede addirittura
che data la vicinanza l’asteroide
potrà avere una magnitudine
ampiamente negativa, tanto da
essere scorto ad occhio nudo da
una vasta zona della Terra che
comprende Europa, Africa e Asia
occidentale. Nulla, però, al
confronto del passaggio di un
altro asteroide meno conosciuto:
2012 DA14, una roccia di 40 metri
che passerà a circa 28.000
chilometri di distanza dal nostro
pianeta a metà febbraio 2013.
Anche
in
questo
caso,
ovviamente, nessun rischio di
collisione.
Il passaggio di gennaio 2013 è
servito al telescopio spaziale
Herschel dell'ESA a riprendere
l'asteroide da una distanza
6
minima di 14,5 milioni di km. I
dati ottenuti dall'osservazione
hanno permesso di stabilire che
Apophis è un po' più grande di
quanto in precedenza stimato, e
un po' meno riflettente: il
diametro è ora indicato con
buona precisione attorno ai 325
metri contro i 270 metri
precedentemente stimati, il che
porta anche la massa ed il volume
ad un valore del 75% più alto di
quello finora stimato.
Analizzando il calore emesso da
Apophis, le osservazioni di
Herschel hanno anche permesso
una nuova stima dell'albedo
(riflettività della radiazione solare)
Il nuovo valore è 0,23 contro lo
0,33 finora stimato: quindi il 23%
della luce solare che colpisce il
corpo celeste viene riflessa,
mentre il resto viene assorbito e
contribuisce
a
riscaldare
l'asteroide. Sembra un fatto
puramente estetico, ma esiste un
effetto, noto come effetto
Yarkovsky, per il quale anche il
riscaldamento contribuisce a
variazioni orbitali nel lungo
periodo. Non è un caso se proprio
lo scorso anno qualcuno paventò
l’ipotesi di poter deviare il
percorso dell’asteroide, in caso di
collisione, dipingendolo di bianco.
Sembra una barzelletta, ma l’idea
ha vinto il 2012 Move an Asteroid
Technical
Paper,
una
competizione
annuale
sponsorizzata
dallo
Space
Generation Advisory Council delle
Nazioni Unite
Skylive Telescopio #1
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Vidor (TV)
Takahashi Sky90
Diametro 90mm
Focale 407 mm f/4.5
Montatura NEQ6
CCD SBIG ST-8300
Filtri R-G-B-L-H-S-O-C-D
7
Gestito da Mattia Spagnol (mattia_staff)
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Pezzi di Marte
sulla Terra
Un meteorite proveniente da Marte e ritrovato in Marocco è
diverso da tutti quelli analizzati finora: è ricco d'acqua e
carbonio organico, relativamente recente e probabilmente di
origine vulcanica.
8
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
ricevute in dono da Marte?
Innanzitutto ha un contenuto di
acqua superiore rispetto ai
cosiddetti meteoriti SNC (da
Shergotty, Nakhla e Chassign,
località di rinvenimento). Questa
acqua, presente in 6000 parti su
un milione, potrebbe derivare da
sorgenti vulcaniche o da antiche
falde superficiali.
E’ stato trovato nella zona NordEst dell’Africa, nel deserto
marocchino, quindi il suo nome
prende spunto dal luogo di
ritrovamento: si chiama NWA
7034 ed è un meteorite molto
diverso da quelli finora ritrovati la
cui provenienza è Marte. Per tutti
è ormai diventatao “Black Beauty”
(Bellezza Nera).
Finora i campioni di roccia che il
pianeta rosso ci ha spedito a casa
sono
110,
ma
abbiamo
riconosciuto il mittente perché la
composizione di questa roccia è
del tutto simile a quella analizzata
dai rover che circolano sulla
superficie di Marte.
E allora dove sta questa
stranezza? Lo studio è stato
condotto da un team di scienziati
dell’università del New Mexico
guidati da Carl Agee ed i cui
risultati sono pubblicati su
Science: sembra proprio che
questa piccola roccia provenga
dalla crosta di Marte, quindi dallo
strato più esterno, quello
calpestabile e a contatto con
l’atmosfera. In cosa si differenzia
questa pietra da quelle finora
9
E’ proprio la presenza di acqua
che ci consente di datare Black
Beauty, segnata dall’interazione
dell’acqua stessa con l’atmosfera:
nostra Luna mentre su Marte
risulta una novità assoluta.
E’ proprio tutto questo che lascia
propendere per una origine
superficiale di NWA 7034, che
quindi dovrebbe essere un
frammento di crosta.
Poi c’è il carbonio: la sua analisi ci
porta a pensare che la roccia
abbia subito processi secondari
che
hanno
portato
alla
formazione di macromolecole di
carbonio organico.
In alto a sinistra, una immagine di Black Beaty, il meteorite ritrovato nel
2011 nel deserto marocchino (Credit NASA). In alto, immagine artistica di
Marte.
dovrebbe
risalire
all’epoca
amazzoniana di Marte, quindi a
circa 2,1 miliardi di anni fa.
Non solo acqua, comunque: la sua
composizione
abbonda
di
frammenti di basalto cementati,
derivanti
dal
rapido
raffreddamento della lava in
presenza di attività vulcanica.
Composizione di questo tipo è
classicamente rintracciabile sulla
I meteoriti di tipo SNC finora ci
avevano parlato del mantello di
Marte e della sua abbondanza di
ferro, mentre Black Beauty ci
racconta la storia della crosta che
già conoscevamo grazie ai lavori
sul posto di Spirit e Odissey.
Paradossalmente, dato il riscontro
dei dati, NWA 7034 è l’unico
diverso ma è anche l’unico del
quale abbiamo davvero la prova
della provenienza
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
I meravigliosi laghi
La luna di Saturno è sempre più vicina, almeno nelle nostre
fantasie, a somigliare ad un pianeta Terra in miniatura pieno
di vallate, laghi e fiumi… e un’atmosfera che coprendo i
crateri ne camuffa l’età
10
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
ghiacciati di Titano
… ma al posto dell’aqua, un mix di idrocarburi.
11
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Il riflesso di un lago di idrocarburi
ripreso da Cassini. Credit: NASA
Un lago ghiacciato, come se ne
vedono tanti in pieno inverno nei
rigidi paesi posti al di sopra di
determinate latitudini. La cosa
particolare è che non stiamo
affatto parlando della Terra ma di
un satellite molto lontano da noi.
Un nuovo articolo tratto dai dati
della missione Cassini riporta
infatti la scoperta di blocchi di
idrocarburi
ghiacciati
che
potrebbero decorare la superficie
dei laghi e dei mari liquidi sulla
luna di Saturno Titano. La
presenza di ghiaccio potrebbe
spiegare alcune delle riflettività
superficiali che Cassini ogni tanto
registra su Titano, come il famoso
riflesso nella zona polare della
luna immortalato pochi anni fa.
Titano è il satellite più grande di
Saturno e il secondo più grande –
dopo Ganimede – di tutto il
Sistema Solare: una luna dal
diametro di 5.150 chilometri e
con una temperatura ovviamente
molto bassa, data la grande
distanza dal Sole, circa dieci volte
la distanza che separa noi dalla
nostra stella.
12
Una delle domande più ricorrenti
riguarda la possibilità di forme di
vita esotiche su Titano, ed a tal
proposito la formazione di
blocchi di ghiaccio fornisce una
opportunità in più per tracciare i
confini esistenti tra stato solido e
stato liquido, confine molto
importante per l'origine della vita
sulla
Terra
e
quindi,
probabilmente, anche su altri
mondi.
Titano è l'unico corpo del sistema
solare, a parte la Terra, a
preservare vaste quantità di
liquido sulla superficie ma non si
tratta di acqua come accade sul
nostro
pianeta,
bensì
di
idrocarburi come etano e metano,
molecole
organiche
che
potrebbero dar vita a chimiche
complesse e forse ad una vita
basata sul silicio che usa gli
idrocarburi come solvente.
Il metano solido è più denso di
quello liquido e dovrebbe
affondare, quindi finora non si è
mai ipotizzata la presenza di
ghiaccio sui laghi ma i nuovi
modelli
considerano
anche
l'interazione tra laghi e atmosfera
dando vita a diverse composizioni
Visione artistica dell’oceano di
idrocarburi di Titano durante un
tramonto
e cambiamenti di temperatura.
Il risultato finale è che in inverno il
ghiaccio potrebbe galleggiare
sulle distese liquide nel caso in cui
la temperatura fosse superiore al
punto di congelamento del
metano, pari a circa 90,4 Kelvin.
Se da tali condizioni la
temperatura cadesse di pochi
gradi, il ghiaccio terminerebbe la
propria esistenza a causa degli
equilibri che l'azoto presenta tra
lo stato liquido e lo stato solido.
Temperature prossime a quelle di
congelamento
del
metano,
invece, potrebbero portare alla
presenza di strati di ghiaccio in
galleggiamento sugli oceani e sui
laghi, dando vita a paesaggi del
tutto simili, ma con colori diversi,
da quelli che siamo soliti vedere
sul nostro pianeta.
Come se non bastasse, questo
mese è stata messa anche in
discussione l’età di Titano: la
datazione viene calcolata in base
al numero di crateri superficiali
visto che più numerosi sono
questi e più antico dovrebbe
essere
il
corpo
celeste.
Confrontato
con
Ganimede,
Titano ha meno crateri ma
sembra proprio che la sua densa
atmosfera e le piogge riescano a
coprirne una buona parte.
Sicuramente il sistema di Saturno,
a partire da Titano ed Encelado, è
uno dei luoghi che incuriosiscono
maggiormente gli scienziati e
quindi i futuri target di ulteriori
missioni spaziali di accertamento
di presenza di vita
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Botto di fine anno
E' stato ripreso dalla sonda della NASA Solar Dynamics
Observatory il 31 dicembre scorso un flare lungo 300.000
chilometri, venti volte il diametro del nostro pianeta.
L’immagine della NASA ci mostra un flare solare, un getto di plasma lungo circa 300.000 chilometri ripreso
dalla sonda Solar Dinamycs Observatory (SDO) dell'agenzia spaziale statunitense.
Considerato il diametro della Terra di circa 13.000 chilometri, questo getto di plasma è oltre venti volte il
nostro pianeta. Il fenomeno è durato circa quattro ore e si è verificato la mattina del 31 dicembre 2012
per gli USA, tra le 16.20 e le 20.20 italiane.
Le forze magnetiche della nostra Stella spingono all'esterno questa gigantesca lingua di fuoco, ma
nonostante
la dimensione il flare non riesce a sfuggire alla forza gravitazionale del Sole e la maggior parte
13
del plasma ricade sulla superficie del Sole dando vita a spettacolari archi di luce.
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Luce sulla corona
Cinque minuti di volo suborbitale sono bastati a fare
maggiore chiarezza su uno dei misteri più fitti dell’astrofisica
14
moderna: la temperatura della corona solare
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Panoramica del Marshall Space
Flight Center
Uno dei temi più dibattuti in
astrofisica riguarda l'atmosfera
solare, la cosiddetta corona. La
superficie
solare
ha
una
temperatura che si aggira intorno
ai 5.800 gradi Kelvin, il che dona
alla nostra stella il colore giallino
con il quale siamo soliti
raffigurarla. La sua atmosfera, la
corona appunto, raggiunge invece
il milione di gradi Kelvin, il che
rappresenta un mistero fin dalla
prima misurazione di questa
torrida temperatura.
Nel tempo si sono succedute
molte teorie a spiegazione più o
meno parziale di quanto possa
avvenire, dal punto di vista fisico,
nella corona solare si da
giustificare un tale riscaldamento.
Diverse sono le teorie che
recentemente sono state portate
maggiormente avanti. La prima
risale a inizio 2011 quando si è
"dimostrato" un collegamento tra
questo calore e dei brevi getti di
plasma riscaldato (spicole di tipo
II) scoperti nel 2007. Idea nuova
che comunque non fece molta
breccia nel cuore della comunità
scientifica,
orientata
15
principalmente su altre due
possibili cause: le onde di Alfvén,
onde
magnetiche
che
si
propagano, e la dissipazione di
energia immagazzinata nel campo
magnetico
attraverso
riconnessione magnetica. A favore
della prima teoria si è schierato
un articolo del National Center for
Atmosfpheric Research, secondo il
quale le onde di Alfven sono
centinaia di volte più intense di
quanto non fosse stato stimato
fino ad allora e quindi in grado, da
sole, di scaldare la corona ai livelli
effettivamente misurati. D'altro
canto anche la teoria della
riconnessione
magnetica
ha
trovato favori grazie alla scoperta
di nanobrillamenti dovuti a
riconnessioni a piccola scala.
Come sempre la cosa migliore è
osservare, e proprio per questo il
giorno 11 luglio 2012 un team
guidato da J.W. Cirtain del
Marshall Space Flight Center della
NASA ha lanciato un razzo
suborbitale in grado di ottenere
immagini della corona solare con
un dettaglio di 150 chilometri per
pixel contro i 900 chilometri per
pixel fino ad allora ottenuti.
Nonostante il razzo sia stato in
volo per soli 5 minuti prima di
ricadere sul nostro pianeta, i dati
usciti sulla rivista Nature sono di
estrema importanza. L'importanza
è presto spiegata: osservare un
fenomeno
su
scala
1:900
chilometri fornisce una idea di
massima, ma osservarlo in scala
1:150 chilometri riesce a fornirne
dettagli di piccola scala che
possono presentare fenomeni
interessanti e finora sconosciuti.
E' così risultato un campo
magnetico molto più complesso di
quanto non sia stato pensato
finora ed una corona solare molto
più dinamica di quanto atteso. Il
rilascio
per
riconnessione
dell'energia magnetica di queste
strutture complesse può quindi
essere sufficiente, di per sé, a
spiegare lo strano calore della
corona solare.
Ovviamente si tratta di una nuova
conferma, così come in passato ne
sono giunte altre per altre teorie,
quindi i lavori devono andare
avanti visto che la parola fine non
è ancora stata scritta e
probabilmente i fattori che
determinano questo insolito
calore sono riconducibili a più
meccanismi.
La corona solare
rappresenta
lo
strato più esterno
del Sole, la sua
atmosfera, ed è
visibile
soltanto
durante le eclissi
totali di Sole quando
la Luna ci ripara
dalla fotosfera
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Vesta al carbonio
La presenza di materiale scuro e ricco di carbonio sulla
superficie dell’asteroide visitato dalla sonda DAWN ci
potrebbe parlare di storie di impatti con asteroidi minori
16
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
In pratica l’analisi dei dati
provenienti dalla sonda DAWN,
che per un anno ha orbitato
intorno all’asteroide Vesta, è
appena iniziata quindi non
meravigliamoci se per i prossimi
mesi avremo costantemente a che
fare con aggiornamenti continui
riguardanti questo asteroide.
A settembre 2012 la sonda DAWN
ha ottenuto delle immagini di due
enormi crateri che, oltre ad essere
altamente spettacolari, hanno
evidenziato la presenza di strane
macchie scure. Vesta è a tutti gli
effetti un protopianeta: uno dei
pochi oggetti incontaminati del
Sistema Solare, formatosi insieme
al resto dei pianeti e degli
asteroidi circa 4,5 miliardi di anni
fa e mantenuto quasi intatto fino
ad oggi, consentendoci quindi di
studiare le prime fasi di
formazione del nostro sistema
planetario.
Nonostante questa “purezza”,
l’ultimo numero della rivista
Icarus ha presentato un articolo
firmato da Vishnu Reddy nel
quale il team di astronomi del
Max Planck Institute (Germania)
da egli guidato sarebbe riuscito a
dimostrare come il materiale
scuro carbonaceo presente nei
crateri immortalati non sia nato su
Vesta ma sia stato invece
“importato” da altri asteroidi.
Partendo da questo concetto il
team ha allargato il tiro: il
carbonio è stato portato su Vesta
da impatti con asteroidi minori
avvenuti durante le prime fasi di
formazione del Sistema Solare.
Proprio da questi impatti si sono
poi formati i pianeti che oggi
vediamo nel Sistema Solare, e
proprio questi depositi di carbonio
sarebbero riusciti a portare la vita
sul nostro pianeta, visto che il
carbonio è proprio uno dei
mattoni principali della nostra
esistenza stessa. E’ vero che
durante tutto questo tempo Vesta
ha sicuramente subito altre
collisioni, ma il team è sicuro che
il materiale scuro trovato nel
cratere Veneneia sia risalente ad
un impatto avvenuto circa 2 o 3
miliardi di anni fa. Ma il cratere
non è l’unico luogo in cui questo
materiale è stato trovato: alcuni
meteoriti HED provenienti da
Vesta presentano la stessa
composizione e tracce dello
stesso materiale.
Capire la provenienza di questo
materiale è fondamentale, come
visto, per risalire all’origine della
vita nel Sistema Solare e nel
nostro pianeta, ed è per questo
che la sonda DAWN è stata
spedita su uno dei corpi più puliti
del Sistema Solare. Il prossimo
aggancio sarà su Cerere, ma i dati
su Vesta continueranno ad
arrivare
Zone più scure hanno attratto l’attenzione degli scienziati addetti all’elaborazione dei dati di DAWN. Credit: NASA
17
McLaughlin, un cratere interessante
SISTEMA SOLARE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Novantadue
chilometri
di
diametro e 1,4 di profondità che
hanno permesso all’acqua di
penetrare all’interno e di lasciare
le proprie tracce: è il cratere
McLaughlin, sul suolo di Marte, e i
dati sono quelli provenienti dal
Mars Reconnaissance Orbiter e
che parlano di minerali di
carbonato e di argilla. Non ci sono
canali di afflusso di grandi
dimensioni, mentre son presenti
piccoli canali nei pressi di un livello
che avrebbe segnato la superficie
di un lago. Il tutto nei pressi della
regione Arabia. Il tutto sembra far
pensare ad una formazione dei
carbonati e dell’argilla in un lago
alimentato da acqua sotterranea
all'interno dal bacino chiuso del
cratere, il che esclude –
ovviamente
–
un
arrivo
dall’esterno di questi composti
chimici. Secondo alcuni, questo
ambiente umido sarebbe stato in
grado di consentire forme di vita.
18
"Il team di MRO ha compiuto uno
sforzo congiunto per ottenere
prodotti altamente elaborati da
consegnare ai membri della
comunità scientifica come il dottor
Michalski per l'analisi", dice Scott
Murchie della Johns Hopkins
University
Applied
Physics
Laboratory a Laurel, Maryland.
"Nuovi risultati come questo
mostrano perché questo sforzo è
così importante." Lanciato nel
2005, il Mars Reconnaissance
Orbiter e i suoi sei strumenti
hanno fornito più dati ad alta
risoluzione per il pianeta rosso di
tutti gli altri orbiter Mars. I dati
sono disponibili agli scienziati di
tutto il mondo per la ricerca,
l'analisi e le loro conclusioni.
Come avviene sulla Terra, i laghi
alimentati da acque sotterranee
dovrebbero svilupparsi a basse
quote. Pertanto il cratere
McLaughlin potrebbe essere un
buon candidato per un processo
avvenuto in passato e che ci può
far comprendere ancora di più la
storia di Marte.
Rappresentazione
artistica del Mars
Reconnaissance
Orbiter,
lo
strumento che più di
tutti ha fornito dati
riguardanti
il
pianeta rosso
A caccia di esocomete
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
esoasteroidi e esoaurore
Il nostro sistema planetario
consiste non solo di pianeti e di
una stella centrale, ma anche di
tanti corpi minori tra i quali gli
asteroidi e le comete. E perché
dovrebbe
trattarsi
di
una
eccezione nell’universo? Ormai la
regola generale ci vede come
qualcosa di normale, quindi non
stupisce che anche negli altri
sistemi
planetari
sembrano
esistere comete e asteroidi.
Iniziamo dalle comete: come per i
pianeti, le comete scoperte in altri
sistemi planetari vengono dette
esocomete e gli astronomi sono
19
convinti di averne individuate ben
sei intorno a stelle giovani e
lontane. Lo studio, firmato da
Barry Welsh, è dovuto ad un team
di astronomi dell’università di
Berkeley e Clarion, USA, e verte su
dieci stelle giovani che hanno
mostrato la presenza di dischi di
gas e polvere e di comete. Una
delle stelle oggetto di studio la
conosciamo molto bene perché si
chiama Beta Pictoris, intorno alla
quale due comete erano state già
avvistate nel lontano 1987 ed un
pianeta grande dieci volte Giove
nel 2009. Da allora non è che le
comete non siano più state
trovate, ma in realtà la ricerca di
esopianeti ha un po’ soppiantato
l’interesse per la ricerca di
esocomete, quindi il discorso è
stato un po’ trascurato. Un
momento relativamente semplice
per trovarle si ha nell’attimo in cui
vengono spinte verso l’interno,
verso
la
stella
centrale,
guadagnando in brillantezza e
mostrando righe spettrali di
assorbimento del tutto tipiche e
facilmente individuabili. Proprio
con questo metodo, cinque
esocomete sono state scoperte
tra maggio 2010 e novembre 2012
attraverso
il
telescopio
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
dalle dimensioni molto maggiori
della nube dalla quale hanno
preso vita. Anche in questo caso,
oramai, si è aperta la caccia ai
pianeti che dovrebbero aver
generato la separazione tra la
fascia calda di asteroidi e quella
fredda di nuclei cometari.
Caccia ai pianeti che dovrebbe
venir facilitata anche da un altro
metodo che sfrutta le esoaurore:
sembra che i planetologi di
Leicester abbiano trovato delle
aurore polari extrasolari.
Rappresentazione dei due sistemi a confronto: Vega e Sistema Solare
dell’osservatorio McDonald in
Texas, dal diametro di 2,1 metri.
A queste comete è anche stato
dato un nome: 49 Ceti, 5
Vulpeculae, 2 Andromedae, HD
21620, HD 42111 e HD 110411,
tutte orbitanti intorno a stelle di
classe spettrale A, quindi molto
giovani e calde, con una età di soli
5 milioni di anni. Se queste
comete sono vere, allora intorno a
queste stelle dovrebbero essere
presenti anche dei pianeti. La
caccia è aperta, sia alle comete sia
agli esopianeti extrasolari.
Vega la conosciamo tutti: è la
stella più brillante della Lira, una
delle più brillanti del cielo e
rappresenta un angolo del
Triangolo Estivo. Intorno a questa
stella è stata trovata una vera e
propria
fascia
asteroidale
attraverso le osservazioni dei
telescopi spaziali Herschel e
Spitzer,
entrambi
operanti
20
nell’infrarosso.
Sono
state
scoperte due tipologie di cinture
all’interno del disco che circonda
la stella: la prima cintura, più
vicina alla stella, è più calda della
seconda e le due sono separate da
uno spazio vuoto. La seconda
struttura ricorda molto la Fascia di
Kuiper del nostro sistema solare.
E’ stato immediato pensare che
questo spazio vuoto sia occupato
da pianeti, proprio come nel
nostro sistema solare. La stessa
situazione è stata registrata, tra
l’altro, pochi mesi fa intorno alla
stella Fomalhaut, la principale del
Pesce Australe. Sono due stelle
simili per dimensioni (due volte il
Sole) e per distanza (circa 25 anni
luce) .
Le analisi portate avanti hanno
mostrato una fascia molto più
popolata rispetto alla nostra
Fascia di Kuiper, il che è
facilmente spiegabile con la
“tenera” età delle due stelle e
Nel nostro Sistema Solare non
solo la Terra fornisce questi
spettacoli, visto che aurore polari
sono state scorte su Giove (cento
volte più luminose delle nostre) e
su Saturno, ad esempio, ma oltre
Nettuno non ci eravamo mai
spinti finora. Le aurore polari
nascono dall'interazione tra le
particelle elettricamente cariche
della magnetosfera di un corpo
celeste con gli atomi degli strati
più alti di atmosfera. Questi
atomi, eccitati dalle particelle
cariche, emettono quindi luce
visibile ma non solo: anche onde
radio che viaggiano nello spazio a
distanze molto ampie. Proprio
queste onde radio provenienti da
alcune
nane
ultrafredde
sarebbero state captate dal
gruppo di ricercatori guidato da
Jonathan Nichols, che quindi ha
ricondotto questa emissione alla
presenza di aurore polari.
Potrebbe trattarsi di un nuovo
metodo per scoprire esopianeti e
per avere dettagli in più sulla
durata delle rivoluzioni, sui campi
magnetici e sui satelliti.
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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KEPLER:
ALTRI 461 NUOVI PIANETI?
Il telescopio Kepler allunga notevolmente
la lista dei possibili nuovi pianeti
extrasolari: quattro tra essi sono in fascia
abitabile. Ma quanti sono allora?
21
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
del 20% raggiungendo le 2.740
unità intorno a 2.036 stelle.
I pianeti di dimensione terrestre e
le superterre sono aumentati
rispettivamente del 43 e del 21%.
Le
stelle
che
potrebbero
accogliere più di un pianeta sono
passate da 365 a 467, ad indicare
che una larga parte degli
esopianeti abita in sistemi
planetari.
Continua la ricerca di esopianeti
da parte di Kepler, la missione
NASA costituita da un satellite
artificiale in grado di scovare
pianeti dalle dimensioni terrestri
al di fuori del nostro Sistema
Solare. Il satellite può monitorare
più di centomila stelle alla ricerca
di piccole variazioni di luminosità
di carattere ciclico, indice del
transito di un pianeta.
Il lancio del vettore Delta II che ha
portato in orbita Kepler è
avvenuto da Cape Canaveral il 7
marzo del 2009. Kepler percorre
una orbita eliocentrica con
semiasse maggiore pari a 1,013
unità astronomiche percorse in un
periodo di circa 372 giorni.
Kepler non è affatto nuovo a
grandi notizie: il 4 gennaio del
2010 ha annunciato la scoperta di
5 esopianeti (chiamati Kepler 4b,
5b, 6b, 7b e 8b) con dimensioni
comprese tra quella di Giove e
quella di Nettuno. Il primo pianeta
roccioso di tipo terrestre è datato
invece 11 gennaio 2011, Kepler
10b, caratterizzato da un diametro
pari a circa 1,4 diametri terrestri
22
ma ad una distanza dalla stella
centrale di gran lunga inferiore a
quella di Mercurio. Il 5 dicembre
2011 è stata la volta di Kepler 22b,
pianeta
roccioso
in
fascia
abitabile.
Nel mese di gennaio 2013 la
missione Kepler ha annunciato la
scoperta di altri 461 possibili
esopianeti, tra i quail quattro
hanno una dimensione pari o
inferiore al doppio della Terra e si
trovano in fascia abitabile, la
regione planetaria che circonda
una stella nella quale è possibile la
presenza di acqua liquida.
In base alle osservazioni condotte
tra maggio 2009 e marzo 2011, le
scoperte mostrano un incremento
nel numero di candidate pianeti di
piccole dimensioni nonché del
numero di stelle che ospitano
candidati in numero maggiore di
uno.
Non c'è modo migliore per iniziare
la fase di estensione della
missione Kepler: dal precedente
catalogo di Kepler, risalente a
febbraio 2012, il numero di
possibili pianeti si è incrementato
Ovviamente Kepler contribuisce
non poco alla tombola che ormai
da mesi occupa le pagine web che
cercano di capire quanti pianeti
possano esserci nella nostra
Galassia. Lo riportiamo per puro
sport, visto che è una di quelle
notizie che lasciano il tempo che
trovano: ad oggi secondo il
calcolo di un gruppo di ricercatori
del Caltech, solo nella nostra
galassia ci sarebbero circa 100
miliardi di pianeti. Lo studio è
partito dalla scoperta di altri tre
pianeti, oltre ai due già noti,
intorno a Kepler 32. Si tratta di
pianeti tipici in orbita intorno ad
una stella tipica, il che renderebbe
la presenza di sistemi planetari
una vera e propria regola, più che
una
eccezione.
Ovviamente
seguiranno altre stime, a breve
Rappresentazione artistica della
missione Kepler
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
OTTICATELESCOPIO è
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SPONSOR SKYLIVE
23
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Stelle che non si accendono
Se non vedessimo stelle accese saremmo più propensi a pensare che non potrebbero esistere, dati i complessi
meccanismi che sono richiesti per farle nascere. Ma dato che esistono, è strano trovare un luogo nel quale invece
24
non si accendono. Motivo? Rotazione troppo veloce.
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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Si è detto più volte che se non
avessimo
la
prova
della
formazione stellare, saremmo
portati a pensare che una nube di
gas deve soddisfare talmente tanti
requisiti per iniziare a collassare
che sarebbe più facile non farlo e
che quindi sarebbe del tutto
difficile far nascere
stelle.
Sappiamo che l'evidenza ci dice il
contrario, quindi ora trovare una
nube senza stelle ci sembra
totalmente anomalo.
Eppure nei pressi del centro
galattico la nube G0.253+0.016 ci
pone proprio di fronte a una
situazione del genere. E' una nube
che si espande per circa 30 anni
luce e risulta abbastanza densa
all'infrarosso, il che è evidenziato
dalla tonalità scura con la quale si
presenta
all'osservazione:
la
densità infatti blocca la radiazione
che dovrebbe attraversarla. La
teoria ci dice che, data la densità
in rapporto al Limite di Jeans (pur
con tutti gli aggiustamenti del
caso), dovrebbero crearsi delle
zone ancora più dense dalle quali
dovrebbero nascere delle stelle.
un gruppo di astronomi del
California Institute of Technology
guidati da Jens Kauffman abbia
scoperto il meccanismo che porta
a questa anomalia. Come recita un
articolo su Astrophysical Journal
Letters, il tutto sembra legato alla
rotazione
della
nebulosa,
talmente veloce da impedire al
gas di fermarsi il tempo necessario
ad accendere stelle o a farle
crescere.
Da un lato alcuni dati, ottenuti
tramite il Submillimeter Array
(SMA, un gruppo di otto
radiotelescopi a Mauna Kea,
Hawaii), mostrano la conferma
della densità della nube, data
dalla presenza di ioni formati da
due atomi di azoto e uno di
idrogeno (ione che si genera
soltanto ad altissime densità), ma
dall'altro è stata notata una totale
assenza di zone di maggior densità
nelle quali la pressione è tale da
innescare la formazione stellare.
Di fronte a questo, le analisi
hanno portato all'utilizzo del
Combined Array for Research in
Millimeter-wave
Astronomy
(CARMA,
23
radiotelescopi
installati in California) per capire
che la rotazione della nube è 10
volte maggiore rispetto al
normale e che quindi la nube
stessa è tenuta insieme non dalla
gravità ma dalla rotazione e che
potrebbe addirittura essere ciò
che emerge dalla fusione di due
nubi entrate in collisione. La
teoria della collisione sarebbe
anche avvalorata dalla presenza di
monossido di silicio, tipico delle
nubi nelle quali il gas si scontra
con particelle di polvere.
Non si è certi sul futuro di questa
nube: un rallentamento idoneo a
raggiungere una velocità tale da
consentire la formazione stellare
si raggiungerà in almeno centinaia
di migliaia di anni, ma per allora la
nube stessa potrebbe essere già
stata distrutta dalla forza
gravitazionale
del
centro
galattico, perno della rivoluzione
dell'ammasso di gas.
Anche se con una densità
superiore a quella della nebulosa
di Orione, M42, il tasso di
formazione stellare all'interno di
questa nube è bassissimo, circa 45
volte inferiore al tasso atteso.
Anche le stelle che si formano
hanno dimensioni molto piccole
rispetto a quanto atteso.
Questo mistero non è recente
visto che la nube è nota già da un
po' di tempo, ma ora sembra che
25
Il centro della nostra galassia visto dal telescopio spaziale Spitzer. Sulla
sinistra è visibile G0.253+0.016
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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L’universo contromano
26
Stelle e pianeti retrogradi: tante domande e qualche risposta
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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essere più giovani delle altre e
devono seguire lo stesso senso di
direzione del gas. Gli astronomi
hanno così utilizzato il Visible
Multi Object Spectrograph sul VLT
per mappare i moti stellari in tre
differenti galassie controrotanti
quali NGC 3593, NGC 4550 e NGC
5719. La conferma è arrivata,
visto che le stelle contromano
risultano in media più giovani di
circa un miliardo di anni rispetto
alle altre e che la composizione
chimica
è
differente,
a
testimonianza che sono nate da
una nube di gas differente.
La galassia a spirale controrotante NGC 5719 Crediti: A. Pizzella/Large Binocular
Cameras Team
Stelle che imboccano una galassia
contromano? Esistono e non sono
neanche poche. Si tratta di
galassie apparentemente normali,
ma andando a studiare il moto
delle stelle che le compongono si
scopre che a volte esistono due
flussi stellari ben distinti: uno
compie il giro nel senso rotatorio
che ci si attende, mentre l'altro si
muove in direzione opposta ed il
numero di stelle che ne fa parte
non è neanche banale, andando
dal 20 al 50% della popolazione
stellare della galassia in esame.
Quel che a lungo è stato un
enigma, e che è stato battezzato
galassia controrotante, sembra
oggi mostrarsi con più chiarezza
27
In alcuni casi l'acquisizione di gas
dall'esterno è ancora in atto,
come per NGC 5719 che sta
sottraendo idrogeno neutro dalla
galassia
vicina
NGC
5713
attraverso una sorta di ponte
lungo 100 milioni di anni luce.
In realtà la soluzione è realmente
la prima che viene in mente:
fusione tra la galassia ed uno
stream di gas che ruota in senso
inverso. A questo punto è chiaro
che le stelle che si formano da
questo stream di gas continuino a
ruotare in senso inverso rispetto a
quelle originarie della galassia,
senza peraltro scontrarsi viste le
distanze enormi tra una stella e
l'altra all'interno di una galassia.
La presenza di gas, stelle o
entrambi in controrotazione è
stata rilevata in decine di galassie
di tutti i tipi. Oltre ai casi appena
considerati ci sono anche i nuclei
stellari controrotanti, che si sono
formati al centro di alcune
galassie ellittiche a seguito della
cattura di una galassia satellite, o
quelle galassie lenticolari in cui il
gas è di origine esterna e ruota in
direzione
opposta
alla
componente stellare. Sono tutti
esempi dell'importanza del ruolo
giocato dai processi di interazione
nel plasmare la struttura delle
galassie come oggi le osserviamo.
Se la teoria è giusta, allora le stelle
che vanno contromano devono
Ma non solo le stelle all’interno di
una galassia possono andare
ad un team di scienziati dell'INAF
e ad altri scienziati italiani, che lo
testimoniano con un articolo su
Astronomy&Astrophysics.
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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contromano, visto che questo
mese si è parlato anche di pianeti
contromano.
E' infatti il mese delle infrazioni
galattiche: dopo le stelle che
vanno contromano all'interno
delle galassie a fine mese è
apparsa la notizia per la quale
alcuni pianeti orbitano la propria
stella-madre in senso opposto a
quanto sarebbe lecito attendersi.
Non si tratta di qualcosa di nuovo
visto che pianeti retrogradi erano
già stati trovati, ma forse si è
giunti ad una spiegazione.
La scoperta è incentrata sul
pianeta retrogrado noto come
HAT-P-7b, in orbita intorno ad una
stella distante 1.040 anni luce da
noi in direzione della costellazione
del Cigno. Il pianeta, scoperto nel
2008, ha destato fin da subito
interesse circa l'orbita, percorsa
appunto in senso inverso rispetto
alla direzione della rotazione
stellare.
Oggi, un team di astronomi
giapponesi ha scoperto una
seconda stella ed un secondo
pianeta nel sistema di HAT-P-7b
utilizzando il telescopio Subaru
alle Hawaii. Le interferenze
gravitazionali di lungo periodo tra
la stella appena scoperta e il
pianeta alieno, che ha le
dimensioni di Giove ed è chiamato
HAT-P-7c, potrebbero essere
responsabili per la strana orbita
retrograda di HAT-P-7b.
L'orbita del nuovo pianeta, c, si
pone tra il pianeta retrogrado e la
nuova stella. La nuova stella
avrebbe spinto il pianeta più
esterno verso un'orbita molto
inclinata fino a che proprio questa
orbita avrebbe iniziato ad avere
influenza
gravitazionale
sul
pianeta più interno, il nostro b
che attualmente si muove a
retromarcia, generandone proprio
la retrogradazione dell'orbita.
Questo domino gravitazionale
potrebbe giustificare il viaggio
retrogrado di molti esopianeti
finora scoperti a procedere a
marcia indietro.
Lo studio è stato guidato da Norio
narita,
Yasuhiro
Takahashi,
Masayuki Kuzuhara e Teruyuki
Hirano del National Astronomical
Observatory del Giappone e
dall'Università di Tokyo
A sinistra, il sistema planetario intorno
la stella HAT-P-7 comprende una stella
compagna e due pianeti. Credit NAOJ.
In alto, rappresentazione artistica del
moto dei corpi intorno alla stella HATP-7 con evidenza del moto retrogrado
rispetto al senso di rotazione della
stella.
28
Gli archi del Cacciatore
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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Archi intorno a Betelgeuse, la
supergigante rossa più vicina alla
Terra, ripresi in una nuova
immagine
dell'Osservatorio
Spaziale Herschel dell'ESA.
Betelgeuse si trova sulla spalla del
cacciatore che rappresenta la
costellazione di Orione e può
essere osservata facilmente ad
occhio nudo nell'emisfero boreale,
durante la stagione fredda, come
una stella arancione a sinistra
della famosa Cintura di Orione.
Con un diametro di circa 1000
volte il nostro Sole ed una
brillantezza
centomila
volte
superiore, Betelgeuse si appresta
a terminare la propria vita
29
attraverso una esplosione di
supernova avendo già espulso una
significante frazione dei suoi strati
più esterni. Le nuove immagini in
infrarosso da Herschel mostrano la
dinamica dei venti stellari che
cozzano
contro
il
mezzo
interstellare creando un'onda
d'urto legata al movimento della
stella, che avviene a circa 30 km/s.
Una serie di archi in direzione del
moto stellare sono testimoni di
una storia turbolenta di perdita di
massa. Vicino alla stella stessa, un
involucro più interno di materiale
mostra una forma asimmetrica.
Una interessante struttura lineare
è anche osservata lontano dalla
stella, oltre gli archi di polvere.
Sebbene le moderne teorie
sostengano che questa barra sia il
risultato del materiale espulso
durante un precedente stadio di
evoluzione stellare, le analisi della
nuova immagine porta a pensare
che si tratti più facilmente di un
filamento legato al campo
magnetico galattico o il bordo di
una nube interstellare vicina
illuminato da Betelgeuse.
Se
questa
barra
fosse
completamente separata dai gusci
di Betelgeuse allora il calcolo
porta ad una collisione tra gusci
esterni della stella e barra tra
circa 5000 anni, con la stella
stessa coinvolta tra circa 12.500
anni
Orione bucato da una stella
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Una nuova immagine di APEX svela un vero e proprio
buco scavato dalla radiazione della stella V380 in Orione.
30
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Una
nuova
immagine
dal
telescopio
APEX
(Atacama
Pathfinder Experiment) in Cile
mostra una splendida vista delle
nubi di polvere cosmica nella
regione di Orione. Mentre queste
dense nubi interstellari appaiono
scure e opache nelle osservazioni
in luce visibile, la camera LABOCA
di APEX osserva il calore emesso
dalla polvere e svela i nascondigli
in cui si formano nuove stelle. Ma
una di queste nubi oscure non è
quel che sembra.
Nello spazio, le dense nubi di gas e
polvere cosmica costituiscono il
luogo di nascita delle nuove stelle.
In luce visibile, questa polvere è
scura e opaca e nasconde le stelle
dietro di sé così efficacemente
che, quando l'astronomo William
Herschel ne osservò una nella
costellazione dello Scorpione nel
1774, pensò di aver trovato una
regione senza stelle e così si dice
abbia esclamato: "Qui c'è davvero
un buco nel cielo!"
Per meglio comprendere la
formazione stellare, agli astronomi
servono telescopi in grado di
osservare a lunghezze d'onda
maggiori,
come
la
banda
submillimetrica, in cui i grani scuri
di polvere emettono invece che
assorbire luce. APEX, sulla piana
di Chajnantor nelle Ande cilene, è
il più grande telescopio ad
antenna singola per la banda
submillimetrica
che
opera
nell'emisfero australe ed è perciò
ideale per gli astronomi che così
studiano la nascita delle stelle. Il
complesso della nube molecolare
31
di Orione, nella costellazione di
Orione, a circa 1500 anni luce
dalla Terra, è la regione di
formazione stellare massiccia più
vicina alla Terra e contiene un
tesoro di nebulose brillanti, di
nubi oscure e di giovani stelle. La
nuova immagine mostra solo una
parte di questo vasto complesso
in luce visibile, a cui sono
sovrapposti i dati di APEX, in
brillanti
toni
arancio,
che
sembrano incendiare la nube
scura. Spesso i grumi più brillanti
visti da APEX corrispondono alle
macchie più scure in luce visibile il segno caratteristico di una densa
nube di polvere che assorbe la
luce visibile ma risplende a
lunghezze
d'onda
submillimetriche, probabilmente
una zona di formazione stellare.
La macchia brillante sotto al
centro
dell'immagine
è
la
nebulosa NGC 1999. Questa
regione - se vista in luce visibile - è
quella che gli astronomi chiamano
nebulosa a riflessione, in cui la
debole luce bluastra delle stelle di
sfondo viene riflessa dalle nubi di
polvere. La nebulosa è illuminata
soprattutto
dalla
radiazione
energetica emessa dalla giovane
stella V380 Orionis che si annida
all'interno. Al centro della
nebulosa è evidente una chiazza
scura,
visibile
ancor
più
chiaramente in una famosa
immagine del telescopio spaziale
Hubble della NASA/ESA.
Di solito una chiazza scura come
questa indica una densa nube di
polvere cosmica, che oscura le
stelle e la nebulosa dietro di sé.
Invece vediamo in questa
immagine che la chiazza rimane
incredibilmente scura, anche
quando
si
aggiungono
le
osservazioni di APEX. Grazie a
queste osservazioni di APEX
combinate
con
osservazioni
infrarosse di altri telescopi, gli
astronomi ritengono che la
macchia scura sia in realtà un
buco o una cavità della nebulosa,
scavata dal materiale che fluisce
dalla stella V380 Orionis. Per
questa volta, è davvero un buco
nel cielo!
La regione raffigurata in questa
immagine si trova circa due gradi
a sud della grande e ben nota
Nebulosa di Orione (Messier 42),
che si vede verso il bordo
superiore nella panoramica più
ampia in luce visibile dalla DSS
(Digitized Sky Survey).
Le osservazioni APEX usate in
questa immagine sono state
condotte da Thomas Stanke
(ESO), Tom Megeath (University
of Toledo, USA), e Amy Stutz (Max
Planck Institute for Astronomy,
Heidelberg, Germania). APEX è
una collaborazione tra il Max
Planck
Institute
for
Radio
Astronomy
(MPIfR), l'Onsala
Space Observatory (OSO) e l'ESO.
La gestione di APEX a Chajnantor
è affidata all'ESO.
L’articolo è tratto dal sito ESO all’indirizzo
http://www.eso.org/public/italy/news/es
o1304/
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Buchi neri ed evoluzione
galattica
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
Un nuovo
studio australiano mette in crisi il modello che lega la dimensione
32
della galassia a quella del buco nero centrale.
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
come per un tasso di riduzione
della massa galattica di un fattore
10, la massa del buco nero
centrale diminuisce di un fattore
100. Inoltre le galassie più piccole
hanno popolazioni stellari più
dense nei pressi del centro
galattico rispetto alle galassie
maggiori. Questo potrebbe voler
dire che i buchi neri centrali delle
galassie più piccole crescono
molto più velocemente rispetto a
quelli delle galassie maggiori.
Le attuali teorie sulla relazione tra
la dimensione di una galassia ed il
buco nero supermassivo al suo
interno
sarebbero
sbagliate,
almeno secondo quanto sostenuto
da un nuovo studio condotto da
astronomi australiani. Ovviamente
un articolo che inizia così va
sempre preso con le molle, perché
per dimostrare che una teoria è
sbagliata non basta una teoria che
sostiene altri processi, ma occorre
dimostrare che la precedente sia
errata. Qui si sta soltanto facendo
un’altra ipotesi, non provata
ancora.
La scoperta è firmata dal dr.
Nicholas Scott e dal Prof. Alister
Graham
della
Mebourne's
Swinburne
University
of
Technology: nell'articolo mostrano
come quattro piccole galassie
contengano quattro buchi neri
molto più piccoli di quanto finora
non sia stato stimato. L'articolo è
pubblicato
su
Astrophysical
Journal. I buchi neri centrali, con
masse che vanno da milioni a
33
miliardi di masse solari, risiedono
nel cuore di molte - se non di tutte
- galassie e dovrebbero essere
legati proprio alla formazione
galattica oppure alla evoluzione.
Questa relazione è ancora tutta da
capire, comunque.
Scott e Graham hanno combinato
i dati provenienti dagli osservatori
in Cile, alle Hawaii e quelli
provenienti da Hubble Space
Telescope per sviluppare un
database di masse di 77 galassie e
del loro buco nero supermassivo.
Hanno così determinato la massa
di ciascun buco nero centrale
misurando
la
velocità
di
rivoluzione delle stelle intorno: le
teorie attuali mostrano una
relazione diretta tra massa
galattica e massa del buco nero
ma questo sembra essere vero per
le galassie più grandi mentre per
le galassie più piccole, ora
osservabili grazie a nuove
tecnologie, il legame viene a
cadere. Nell'articolo si mostra
I buchi neri crescono con le
fusioni con altri buchi neri
durante fenomeni di collisione
galattica. Quando galassie grandi
si fondono, la loro dimensione
raddoppia e così fa anche la
massa del buco nero centrale. ma
quando galassie piccole si
fondono il buco nero centrale si
quadruplica a causa della maggior
densità di stelle vicine.
Questo
potrebbe
anche
rispondere a qualche domanda in
termini di buchi neri di massa
intermedia mancanti. Per decenni
gli scienziati hanno cercato
qualcosa di massa compresa tra i
buchi neri stellari (derivanti da
esplosioni di supernovae) e quelli
galattici. Se i buchi neri centrali
delle galassie più piccole hanno
masse inferiori a quanto pensato
finora, potrebbero rappresentare
proprio l'anello intermedio tra i
due tipi di buco nero. La loro
massa dovrebbe essere compresa
tra diecimila e centomila volte la
massa solare, e questi potrebbero
quindi essere degli ottimi
candidati.
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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Scoperti e mappati da un team di ricercatori
giganteschi flussi di particelle cariche che si
estendono per circa 50.000 anni luce.
34
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
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centrale diminuisce di un fattore
100. Inoltre le galassie più piccole
hanno popolazioni stellari più
dense nei pressi del centro
galattico rispetto alle galassie
maggiori. Questo potrebbe voler
dire che i buchi neri centrali delle
galassie più piccole crescono
molto più velocemente rispetto a
quelli delle galassie maggiori.
Le attuali teorie sulla relazione tra
la dimensione di una galassia ed il
buco nero supermassivo al suo
interno
sarebbero
sbagliate,
almeno secondo quanto sostenuto
da un nuovo studio condotto da
astronomi australiani. Ovviamente
un articolo che inizia così va
sempre preso con le molle, perché
per dimostrare che una teoria è
sbagliata non basta una teoria che
sostiene altri processi, ma occorre
dimostrare che la precedente sia
errata. Qui si sta soltanto facendo
un’altra ipotesi, non provata
ancora.
La scoperta è firmata dal dr.
Nicholas Scott e dal Prof. Alister
Graham
della
Mebourne's
Swinburne
University
of
Technology: nell'articolo mostrano
come quattro piccole galassie
contengano quattro buchi neri
molto più piccoli di quanto finora
non sia stato stimato. L'articolo è
pubblicato
su
Astrophysical
Journal. I buchi neri centrali, con
masse che vanno da milioni a
miliardi di masse solari, risiedono
35
nel cuore di molte - se non di tutte
- galassie e dovrebbero essere
legati proprio alla formazione
galattica oppure alla evoluzione.
Questa relazione è ancora tutta da
capire, comunque. Scott e
Graham hanno combinato i dati
provenienti dagli osservatori in
Cile, alle Hawaii e quelli
provenienti da Hubble Space
Telescope per sviluppare un
database di masse di 77 galassie e
del loro buco nero supermassivo.
Hanno così determinato la massa
di ciascun buco nero centrale
misurando
la
velocità
di
rivoluzione delle stelle intorno: le
teorie attuali mostrano una
relazione diretta tra massa
galattica e massa del buco nero
ma questo sembra essere vero per
le galassie più grandi mentre per
le galassie più piccole, ora
osservabili grazie a nuove
tecnologie, il legame viene a
cadere. Nell'articolo si mostra
come per un tasso di riduzione
della massa galattica di un fattore
10, la massa del buco nero
I buchi neri crescono con le
fusioni con altri buchi neri
durante fenomeni di collisione
galattica. Quando galassie grandi
si fondono, la loro dimensione
raddoppia e così fa anche la
massa del buco nero centrale. ma
quando galassie piccole si
fondono il buco nero centrale si
quadruplica a causa della maggior
densità di stelle vicine.
Questo
potrebbe
anche
rispondere a qualche domanda in
termini di buchi neri di massa
intermedia mancanti. Per decenni
gli scienziati hanno cercato
qualcosa di massa compresa tra i
buchi neri stellari (derivanti da
esplosioni di supernovae) e quelli
galattici. Se i buchi neri centrali
delle galassie più piccole hanno
masse inferiori a quanto pensato
finora, potrebbero rappresentare
proprio l'anello intermedio tra i
due tipi di buco nero. La loro
massa dovrebbe essere compresa
tra diecimila e centomila volte la
massa solare, e questi potrebbero
quindi essere degli ottimi
candidati.
Tratto
da
INAF
http://www.media.inaf.it/2013/01/02/un
-cuore-pieno-di-energia/
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
CACCIA ALL’UNIVERSO
OSCURO CON EUCLID
MA SIAMO SICURI CHE ESISTA DAVVERO?
E IL PRINCIPIO COSMOLOGICO E’ CORRETTO?
LA NASA DECIDE DI INVESTIRE SUL PROGETTO ESA DI RICERCA DELLA
MATERIA OSCURA, MENTRE SORGE UNA NUOVA TEORIA CHE, SE
PROVATA, FAREBBE A MENO DI QUESTO LATO NASCOSTO
DELL’UNIVERSO. E NEL FRATTEMPO VIENE TROVATA UNA STRUTTURA
“TROPPO” GRANDE
36
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
quindi nel progetto ESA, piena
fiducia nel modello cosmologico
standard benché attualmente
riusciamo a spiegare soltanto il
4%
dell’universo stesso
e
risultando costretti quasi a
“inventarci” il resto.
IL “MODELLO HAIDUKOVIC”
Rappresentazione artistica di Euclid
Nell'ambito
del
programma
Cosmic Vision 2015-2025 di ESA, il
progetto Euclid ha il compito di
esplorare l'universo "immaginato",
quello del quale non si ha visione
ma soltanto effetto, quello oscuro.
Energia oscura e materia oscura
sono
quindi
l'oggetto
di
investigazione della missione
Euclid dell'ESA, che avrà il compito
di studiarne distribuzione ed
evoluzione in tutto l'universo
tramite un telescopio da 1,2 metri
e strumentazione in grado di
studiare
la
distribuzione
tridimensionale di questi due
fattori oscuri del nostro cosmo
attraverso l'osservazione di due
miliardi di galassie in una zona di
cielo che abbraccia circa un terzo
dell'intera sfera celeste.
Il progetto è stato benedetto
proprio a giugno 2012 dall'ESA
Science Programme Committee e
quindi è ora proiettato verso il
37
lancio, previsto per il 2020.
Due tra le nazioni che giocano un
ruolo di spicco all'interno del
progetto sono la Francia e l'Italia:
il nostro paese è coinvolto tramite
la realizzazione di strumentazione
di bordo, tramite organizzazione
del ground segment (le basi di
terra che dovranno monitorare,
comandare e ricevere telemetrie)
e tramite il lavoro di circa
duecento scienziati e delle
università di Bologna, Roma ed
altre, il tutto finanziato dall'ASI.
Finora nulla di nuovo, ma
ovviamente a dare prestigio e
ancora maggior credibilità a
questo progetto è intervenuta la
NASA: NASA e ESA hanno
annunciato
infatti
la
partecipazione degli americani alla
missione, a testimonianza della
bontà e dell'importanza che
questa potrà avere in termini di
studi cosmologici. Piena fiducia
Giunge quindi a ciel sereno un
articolo dal titolo affascinante:
"Can observations inside the Solar
System reveal the gravitational
properties of the quantum
vacuum?". Possiamo davvero
trovare nel nostro Sistema Solare
le caratteristiche fondamentali
che il vuoto detiene dal punto di
vista gravitazionale? L'autore
dell'articolo
apparso
su
Astrophysics and Space Science a
novembre scorso, di nome
Dragan Haidukovic, è convinto di
si, ma non si tratta soltanto di
questo. Se la sua teoria fosse
valida, potremmo accompagnare
alla porta i modelli basati su
energia oscura e su materia
oscura, insieme al progetto Euclid
pianificato dall'ESA e partecipato
dalla NASA.
Andiamo per gradi.
Sappiamo dalla fisica quantistica
che il vuoto cosmico in realtà non
è vuoto, visto che consiste in un
ribollire continuo di particelle di
materia e antimateria che nel giro
di un infinitesimo di secondo
nascono e si annichilano a
vicenda, dando vita a particelle
talmente effimere in durata da
essere
considerate
virtuali.
L'ipotesi avanzata da Dragan dà
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
molta importanza a queste
particelle visto che durante la loro
esistenza, seppur brevissima,
queste esibiscono - a suo dire cariche gravitazionali opposte, una
attrattiva e l'altra repulsiva, un po'
come le cariche elettriche.
Secondo
il
"modello
di
Hajdukovic", se queste particelle e
antiparticelle nascono in uno
spazio già permeato da un campo
gravitazionale, potrebbe avere
origine un campo gravitazionale
secondario che potrebbe spiegare
la discrepanza tra la massa della
materia ordinaria delle galassie e
la loro rotazione troppo veloce
nelle zone più periferiche. Ad oggi,
per spiegare l'elevata velocità
delle zone più esterne delle
galassie si ricorre alla materia
oscura, senza il cui effetto gli strati
più esterni verrebbero a staccarsi
dalla galassia vagando nello
spazio. L'esistenza di un campo
gravitazionale
secondario
eliminerebbe la necessità di
questa materia oscura.
Non basta: le cariche gravitazionali
opposte spiegherebbero anche la
Legge di Hubble per la quale le
galassie si allontanano con
velocità
di
espansione
direttamente proporzionale alla
distanza, e quindi l'accelerazione
dell'universo con buona pace per
l'energia oscura.
La teoria è senz'altro affascinante,
ma come si potrà mai provare una
cosa del genere?
Serve una zona abbastanza
lontana da centri di massa tale da
38
Rappresentazione artistica del sistema Eris-Disnomia: questa coppia di corpi
celesti che è già stata importante per smaltire il numero di pianeti potrebbe
ora tornare utile per scoperte molto più pesanti.
non risentire della relatività
generale ma abbastanza vicina da
poter effettuare misurazioni molto
precise in un arco di tempo
ragionevolmente breve. Impresa
impossibile, a prima vista, ma lo
stesso Hajdukovic ha rintracciato
la zona proprio al confine del
Sistema Solare.
Eris è il pianeta nano che,
scoperto ad ottobre del 2003, ha
provocato la caduta di Plutone da
pianeta a pianeta nano. Intorno ad
Eris è stato scoperto un satellite
nel 2003, al quale è stato dato il
nome di Disnomia ed avente un
diametro di circa 500 chilometri.
Secondo Hujdukovic, lungo l'orbita
di Eris si incontrano le condizioni
ideali, a qualche miliardo di
chilometri dal Sole, per verificare
gli effetti della gravità quantistica.
I conti sono già stati fatti e
sfruttano il meccanismo di
precessione che già consentì,
applicato a Mercurio, di testare la
Relatività Generale di Einstein: in
assenza di gravità quantistica, la
precessione
dell'orbita
di
Disnomia
misurerebbe
13
arcosecondi ogni secolo mentre in
presenza di gravità quantistica ad
alterare i calcoli newtoniani il
moto di precessione diverrebbe di
-190 arcosecondi ogni secolo.
I calcoli ci sono, la sfida è aperta:
ora occorre vedere come e con
quali strumenti sia possibile
effettuare la misurazione di un
effetto così debole in un arco di
tempo accettabile.
Ma non è questa l’unica spallata
al modello oggi riconosciuto come
dominante visto che anche il suo
presupposto,
il
Principio
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Cosmologico, ha trovato un
intralcio nel cammino delle
osservazioni.
PRINCIPIO
CRISI?
COSMOLOGICO
IN
La struttura a grande scala
dell'universo è qualcosa di
ampiamente
dibattuto
in
cosmologia, uno dei temi più caldi.
Pochissimi mesi fa uno studio ha
deposto a favore dell'omogeneità
e dell'isotropia dell'universo a
grande scala, eliminando quasi del
tutto ogni possibilità di frattalità
dell'universo stesso.
La frattalità consiste nell'ipotizzare
un universo sempre uguale a sé
stesso ma su scale differenti, come
può essere ad esempio un albero
che si compone di rami tali da
poter essere visti, a loro volta,
come alberi in miniatura.
La teoria cosmologica dominante
assume invece un universo
omogeneo ed isotropo: da
qualsiasi luogo di osservazione
(che sia la Terra o qualsiasi altro
pianeta in qualsiasi altra galassia)
vedremmo sempre un universo
che ci appare uguale in tutte le
direzioni. Ovviamente questo non
ha senso su piccola scala, visto che
il nostro cielo è solcato da un lato
dalla Via Lattea mentre altrove è
invece più "pulito". Allargando la
scala presa come unità di misura,
tuttavia, l'universo è dato per
omogeneo e isotropo. Questo
concetto è noto con il nome di
Principio Cosmologico.
Ma è davvero così? Non ci sono
39
prove contrarie altrimenti la teoria
sarebbe caduta subito, ma una
teoria è difficilmente dimostrabile
come vera, quindi le prove a
favore non bastano mai. Qualcosa
sembra minare, oggi, questa
teoria.
I quasar sono i nuclei di galassie
che si sono formate durante le
prime fasi dell'universo e sono
caratterizzate da periodi di
luminosità eccezionalmente alti
della durata variabile tra i 10 e i
100 milioni di anni, il che li rende
visibili a distanze enormi. Sono in
pratica gli oggetti più distanti che
possiamo vedere.
Un
gruppo
di
astrofisici
dell'Istituto Jeremia Horrocks,
dell'Università
del
Central
Lancashire, guidato da Roger
Clowes ha scoperto una struttura
di quasar gravitazionalmente
legati tra di loro di dimensioni tali
da
rendere
il
Principio
Cosmologico un po' meno
affidabile di quanto forse lo si è
considerato tuttora. I gruppi di
quasar sono noti da circa trenta
anni e vanno sotto il nome di
Large Quasar Group (LQG): le loro
dimensioni tipiche sono di circa
300 MegaParsec (con un Parsec
pari a circa 3,2 anni luce) ma
questo ha un lato che misura la
bellezza di circa 1200 MegaParsec,
equivalenti a qualcosa come 4
miliardi di anni luce. In termini di
distanze a noi più note, questa
struttura gravitazionale di quasar
occupa uno spazio nell'universo
pari a circa 1600 volte la distanza
che ci separa dalla galassia di
Andromeda, M31.
Affinché il Principio Cosmologico
resti valido, i calcoli dei cosmologi
giungono a dire che strutture di
dimensioni superiodi ai 370
MegaParsec non dovrebbero
esistere,
il
che
cozza
notevolmente
con
i
1200
MegaParsec
della
struttura
appena scoperta da Clowes e
compagnia.
A quanto pare non si tratta
neanche
dell'unico
esempio
trovato, visto che il team sembra
ora impegnato ad analizzare altri
dati. Resteremo alla finestra per
ulteriori aggiornamenti.
La notizia originale è presa da
Monthly Notice of the Royal
Astronomical Society.
Ovviamente è tutto allo stadio di
proposta e di accertamento, e i
dubbi non vogliono dire che finora
si è sbagliato. I dubbi servono
sempre a migliorare.
LQG è chiaramente visibile come una
lunga catena di picchi cerchi neri. La
mappa si estende per circa 29,4 per
24 gradi sul cielo. CREDIT: R. G.
Clowes / UCLan
FOCUS SULLE PULSAR
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Mentre si svolgeva la cerimonia di consegna del premio Bruno Rossi 2012, si selezionavano i nuovi
vincitori: Alice Harding e Roger Romani per i loro contributi alla comprensione teorica delle pulsar
gamma mentre un filmato, basato su una sequenza di immagini riprese dal telescopio in raggi X
Chandra, mostra che la stella di neutroni nella costellazione delle Vele subisce un movimento di
precessione mentre ruota su se stessa. Infine, scoperta di un team olandese che per studiare la
debole radiazione X di una pulsar ne scopre invece tratti mutevoli inaspettati
40
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
I PREMI PER GLI STUDI
Mentre al meeting della American
Astronomical Society di Long
Beach Marco Tavani riceveva il
Premio Bruno Rossi 2012 per gli
straordinari risultati di Agile, che
hanno portato alla scoperta della
variabilità dell'emissione gamma
del pulsar del Granchio, il
comitato di selezione della High
Energy
Division
della
AAS
assegnava il prossimo premio
Bruno Rossi ad Alice Harding e
Roger Romani per i loro contributi
alla comprensione teorica delle
pulsar gamma scoperti dal Large
Area Telescope a bordo della
missione Fermi.
I pulsar gamma sono responsabili
di poco più del 5% delle circa 1800
sorgenti gamma rivelate dal
telescopio Fermi ma hanno
rappresentato
una
continua
sorpresa sia dal punta di vista
individuale, sia considerati nel loro
insieme. Mentre, all'inizio della
missione Fermi, i pulsar con
emissione gamma erano meno di
10,
adesso
hanno
abbondantemente superato il
centinaio. Ma non è solo la
crescita numerica a stupire gli
astrofisici, la composizione della
famiglia dei pulsar gamma ha colto
tutti di sorpresa. I circa 120 pulsar
di Fermi sono divisi in tre gruppi di
uguale consistenza numerica. Da
un lato i classici pulsar con
emissione radio e rivelati anche
come pulsatori gamma, dall'altro i
pulsar senza emissione radio (ma
indistinguibili dai precedenti nel
loro comportamento in gamma)
41
infine la vera sorpresa, i pulsar
velocissimi che nessuno (ma
proprio nessuno) si aspettava
potessero emettere in gamma.
Fermi si è rivelato un eccezionale
cacciatore di pulsar superveloci:
ne sono stati scoperti decine in
corrispondenza di sorgenti Fermi
senza una identificazione e una
buona metà di questi campioni di
velocità mostra di avere un
segnale pulsato in gamma.
Dare una spiegazione coerente del
comportamento di questa famiglia
in così rapida crescita ha richiesto
un
notevole
lavoro
di
interpretazione teorica, che è
stato coordinato da Alice Harding
e Roger Romani.
Alice e Roger si sono fronteggiati
per anni propugnando teorie
diametralmente opposte per
spiegare l'emissione gamma delle
stelle di neutroni. Alice sosteneva
che i raggi gamma venissero dalle
zone sopra i poli delle stelle di
neutroni mentre Roger era del
parere che fossero prodotti lungo
le linee di campo magnetico
lontano dalla stelline. I dati Fermi
li hanno convinti ad unire le forze
e il lavoro di squadra ha
decisamente migliorato la nostra
comprensione
di
questi
affascinanti oggetti celesti.
(Tratto
da
MEDIA
INAF
http://www.media.inaf.it/2013/01/12/ler
a-dei-pulsar-gamma/)
LA PULSAR DELLA VELA
Non ci sono solo The Master, il
Lincoln di Steven Spielberg e il
nuovo film di Quentin Tarantino
La pulsar delle Vele ripresa da
Chandra.
tra
le
nuove
uscite
cinematografiche
di
queste
settimane. Dalla NASA arriva
infatti (non nelle sale, ma sul web)
un film con protagonista una
stella di eccezione (e non è un
modo di dire, per una volta). Si
tratta
di
un
breve
ma
straordinario video basato sui dati
del telescopio a raggi X Chandra,
che ha per protagonista la celebre
pulsar delle Vele, una stella di
neutroni posta a circa 1000 anni
luce dalla Terra (visibile appunto
nella costellazione delle Vele,
creata dal collasso di una stella di
grande massa e che ruota su se
stessa ogni 89 millisecondi,
proiettando attorno a sé particelle
cariche. Il filmato è fatto di otto
immagini, a loro volta basate sui
dati in radiazione X ottenuti da
Chandra dal giugno al settembre
del 2010, e mostra i getti di
particelle prodotte dalla rotazione
della stella di neutroni. I dati
mostrano che la pulsar sembra
oscillare sul suo asse come una
trottola (precessione è il termine
tecnico) mentre ruota su se
stessa. I ricercatori stimano che il
periodo di precessione, appunto
una rotazione completa dell'asse
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
di rotazione, sia di 120 giorni.
Sarebbe la prima volta che un
comportamento di questo tipo è
osservato in una stella di neutroni.
La causa della precessione
potrebbe essere che la stella non è
più di forma perfettamente
sferica, per effetti della rapida
rotazione e degli improvvisi
aumenti della velocità causati
dall'interazione tra il nucleo
superfluido e la crosta. Questo
film è in realtà un sequel. Nel 2003
la NASA realizzò un'altra ripresa
della pulsar delle Vele. uno basato
però su un numero molto minore
di osservazioni, non abbastanza da
evidenziare
l'effetto
di
precessione. L'articolo con i
risultati
dello
studio
sarà
pubblicato il 10 gennaio su The
Astrophysical Journal.
(Tratto
da
MEDIA
INAF
http://www.media.inaf.it/2013/01/08/pul
sar-delle-vele-ciak-azione/)
LA PULSAR CHE CAMBIA
Le pulsar sono quindi stelle di
enorme massa racchiusa in un
diametro di circa 20 chilometri, in
rotazione, in grado di emettere
radiazione in classico stile-faro, dai
poli magnetici. Nel momento in
cui questo faro viene diretto verso
la Terra riusciamo a captarne il
lampo.
Molte
emettono
radiazione in tutto lo spettro
elettromagnetico anche se i
processi che sono alla base della
loro brillantezza sono ancora
misteriosi.
Si tratta di corpi celesti che
possono variare il proprio stato
42
modificando
l'intensità
degli
impulsi radio, e questo è noto da
anni anche se è impossibile
prevedere il momento in cui si
verificano questi cambi di stato.
Molte pulsar che emettono
energia a onde radio possono
anche essere rilevate nello spettro
X, ma questo è talmente debole
che è impossibile stilarne una
caratterizzazione in termini di
variabilità. Però questa radiazione
X, sebbene debole, ha incuriosito
gli astronomi ed in particolare
quelli guidati da Win Hermsen
dell'Istituto olandese per la ricerca
spaziale
e
l'Università
di
Amsterdam che hanno quindi
deciso di puntare il più potente
rilevatore di raggi X, XMM
Newton dell'ESA, in direzione di
alcune
pulsar
proprio
per
studiarne l'eventuale variazione
nello spettro X. Come strumenti di
supporto da Terra sono stati
utilizzati il radiotelescopio LOFAR
nei Paesi Bassi e il Telescope Onda
Meter (GMRT) in India.
In particolare è stata studiata la
pulsar PSR B0943+10, ma il campo
di studio è cambiato visto che quel
che gli astronomi si sono trovati
davanti non era quel che
cercavano. La pulsar è risultata in
grado di cambiare totalmente il
proprio aspetto nel giro di pochi
secondi
in
termini
di
magnetosfera. La pulsar è in
pratica caratterizzata da impulsi
radio che cambiano per forma e
intensità ogni poche ore, ma
anche da cambiamenti che si
verificano nel giro di un secondo.
Ci si aspettava che l'emissione di
raggi X cambiasse insieme alle
emissioni radio, il che avviene
effettivamente, ma ciò che non ci
si aspettava era che nel momento
in cui il segnale radio si potenzia,
il raggi X diventano deboli e
viceversa.
In pratica, quando l'emissione
radio si dimezza in termini di
intensità, l'emissione X raddoppia
la propria luminosità e modifica
anche la propria natura, visto che
nella fase di massima intensità i
raggi X sembrano di natura
termina e pulsano in sincronia con
la rotazione stellare.
Ovviamente ora si andrà alla
ricerca di ulteriori pulsar in grado
di emettere radiazione X
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
43
SKYLIVE – SUPERNOVAE
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
SISTEMI BINARI CON UNICA ATMOSFERA
Un nuovo modello riuscirebbe a spiegare fenomeni
transienti come quello di V838 Monocerotis
44
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
espulso, sostenendo che questa
espulsione debba accompagnarsi
ad un outburst luminoso più
potente di una stella nova.
L'energia
originerebbe
dalla
ricombinazione dell'elio nello
strato in espansione, che si
raffredda ma mantiene la propria
luminosità
proprio
perché
fronteggia il raffreddamento con
una superficie che si espande (la
luminosità
dipende
dalla
temperatura e dal raggio).
Rappresentazione artistica di un sistema binario di stelle.
Ci sono molte leggende su ciò che
accade nell'universo e una tra
queste vede due nane bianche
avvolte in uno stesso guscio.
Leggenda, ma neanche tanto.
Si parla di Common Envelope
Event (CEE). Un sistema stellare
binario può divenire instabile per
diversi fattori, primo tra tutti un
fattore mareale.
Più frequente è il caso in cui una
delle due stelle sottrae materiale
alla compagna ad un tasso
talmente alto da acquisire più
materia di quanta in effetti riesca
ad assorbire.
Il materiale in eccesso tende
quindi a distribuirsi intorno
all'intero
sistema
binario,
avvolgendo entrambe le stelle in
un unico guscio e creando quindi
una sorta di atmosfera condivisa.
Proprio questa atmosfera crea un
45
attrito in più nel sistema binario
che può portare le stelle a urtarsi
e fondersi oppure può portare il
guscio all'espulsione lasciando due
stelle ancora distinte anche se più
vicine.
Non ci sono prove a favore di
queste teorie alla base dei CEE,
tuttavia gran parte dei sistemi
binari attraversa una fase – che va
da qualche mese a qualche anno –
in cui c'è condivisione di gas e
polveri sottoforma di un unico
guscio.
Meccanismi e conseguenze sono
ancora alla fase di ipotesi, e di
recente se ne è aggiunta un'altra
abbastanza affascinante a cura di
Natalia Ivanova dell'università
canadese dell'Alberta, pubblicato
su Science.
L'articolo prende spunto dalla
possibilità che il guscio venga
La curva di luce, che deriva dalla
somma dei due effetti, resta in
pareggio in un effetto noto come
plateau. Il fatto che la curva di
luce resti alta per un periodo
abbastanza lungo faciliterebbe
l'osservazione di questo tipo di
fenomeno.
Ovviamente la luminosità dipende
dalla massa emessa: se le stelle si
fondono soltanto una piccola
parte di guscio sarà espulsa e
quindi la luminosità sarà minore
rispetto al caso di espulsione
dell'intero guscio.
Sta di fatto che il modello sembra
spiegare bene quattro eventi
transienti che si sono verificati nel
cielo, tra i quali la stella V838
Monocerotis.
Ovviamente sono pochi casi,
quindi le attuali survey avranno
anche questo compito in più:
analizzare fenomeni transienti
anche in virtù di questa nuova
possibilità
NOTIZIE DALL’UNIVERSO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
PILLOLE DI UNIVERSO
UN GRB DENTRO UN ALBERO
Gli anelli visibili nelle sezioni degli alberi non ci dicono soltanto la loro età, a quanto pare, ma anche quali sostanze
chimiche erano presenti ad ogni stadio di vita oltre a qualche evento particolare. Capita così che un ricercatore
giapponese di nome Fuda Miyake scopre, nel 2012, un eccesso di Carbonio 14 e di Berillio 10 risalente all'ottavo secolo
dopo Cristo. Secondo astrofisici tedeschi guidati da Valeri Hambaryan e Ralph Neuhauser dell'università di Jena, la
causa di queste abbondanze è da collegare ad un GRB, un gamma ray burst derivante dalla fusione di oggetti
estremamente densi come le stelle di neutroni, i buchi neri o le nane bianche. Questi eventi causano una violenta
esplosione che emette una parte della sua energia nella lunghezza d'onda dei raggi gamma. L'anno era il 775 e la
datazione è abbastanza precisa proprio per la conoscenza che abbiamo di questi due isotopi in eccesso, che si formano
nel momento in cui radiazione altamente energetica si scontra con atomi di azoto della nostra atmosfera. Si tratta di
isotopi radioattivi, quindi con il passare degli anni decadono così come le tracce lasciate negli anelli di un albero.
Ovviamente un evento di questo tipo, in grado di modificare temporaneamente la presenza di isotopi in atmosfera, non
può essere limitata ai soli alberi del Giappone e quindi si sono cercate conferme altrove, in America ed in Europa. La
conferma è arrivata, anche se non si è riusciti a identificare precisamente l'anno, ma è stato sufficiente vedere che il
periodo era più o meno quello indicato dal Giappone.
UNA SUPERNOVA “PULITA”
Durante l'American Astronomical Society Meeting a Long Beach, David Rubin del Berkeley National Laboratory ha
presentato la scoperta di un oggetto astronomico particolare, una supernova di tipo Ia con redshift 1,71 che lo fa risalire
a 10 miliardi di anni fa. Chiamato SN SCP-0401, l'oggetto presenta sorprendenti dettagli spettrali e misurazioni di colore,
senza precedenti. Si tratta della supernova più distante mai scoperta. Con questa supernova abbiamo il primo esempio di
una candela ben misurata abbastanza lontana per poter studiare la storia dell'espansione dell'universo fino a circa 10
miliardi di anni fa. I dati della supernova appaiono sull’uscita di Astrophysical Journal del 30 gennaio. Questa supernova
è stata la prima scovata nell'ambito di una survay condottaq dal Supernova Cosmology Project utilizzando Hubble Space
Telescope nel 2004. Lo scopo non era tanto scoprire le supernovae quanto per separarle dalle loro galassie di
appartenenza nella speranza di ottenerne uno spettro pulito. Ciò non era stato possibile con le iniziali dotazioni di
Hubble, ma con le nuove camere si sono ottenuti dati sempre migliori e quindi si è riusciti a separare lo spettro della
supernova da quello della galassia.
LA COMETA VENERE
I PIANETI DI TW HYDRAE
AURORE SU IO
La sonda Venus Express dell'ESA ha
restituito interessanti dati circa il
comportamento della ionosfera di
Venere nel caso di riduzione della
pressione solare: la ionosfera si
dispone a formare una coda dalla
parte non illuminata del pianeta,
del tutto simile ad una cometa.
Nuove
e
accurate
misure
nell'infrarosso
ottenute
dal
telescopio
spaziale
Herschel
dell'ESA hanno permesso di stimare
con maggiore precisione la massa
sistema protoplanetario più vicino
alla Terra oggi noto, TW Hydrae.
Le eruzioni vulcaniche della luna
gioviana determinano l'andamento
dell'attività aurorale del pianeta
gigante. Dopo le esoaurore, quindi,
appaiono anche delle aurore polari
su una delle lune più interessanti
dell’intero Sistema Solare.
46
La galassia più lunga
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
NGC 6872
NGC 6872 e la sua piccolo compagna. Credit: NASA's Goddard Space Flight Center/ESO/JPL-Caltech/DSS
La spettacolare galassia a spirale
barrata NGC 6872 è il sistema
stellare più grande mai osservato.
Un team di astronomi statunitensi,
cileni e brasiliani ha trovato ora il
motivo di questa vastità stellare,
che spiega la spirale più grande
mai vista prima. Lo strumento è
stato dato dai dati di GALEX
(Galaxy Evolution Explorer) della
NASA. NGC 6872 abbraccia
un'area di più di 522.000 anni luce
di diametro, il che la rende cinque
volte più massiva rispetto alla
nostra Via Lattea. Senza la
possibilità di GALEX di osservare in
luce ultravioletta le stelle più
giovani e calde non saremmo mai
stati in grado di capire la reale
estensione di questo intrigante
sistema. L'atipica dimensione e la
sua apparenza derivano dalla
interazione con una galassia più
piccola chiamata IC 4970, che
47
invece ha una massa pari a circa
un quinto della massa di NGC
6872. La coppia si trova a 212
milioni di anni luce da noi, nella
costellazione australe del Pavone.
Gli astronomi ritengono che le
galassie maggiori, compresa la
nostra, crescano attraverso fusioni
ed acquisizioni di sistemi minori in
miliardi di anni. Le interazioni
gravitazionali di NGC 6872 e di IC
4970 possono invece aver fatto
l'opposto, dando vita a ciò che
stiamo vedendo come una nuova
piccola galassia. Il braccio a nordest è il più disturbato e ricco di
formazione stellare ma verso la
sua fine, visibile solo in
ultravioletto, c'è un oggetto che
sembra una galassia nana simile a
quelle viste spesso in altri sistemi
interagenti. Questa nana brilla
nell'ultravioletto
molto
più
rispetto ad altre regioni galattiche,
il che è un segno di potente
radiazione proveniente dalle
stelle giovani, con età di circa 200
milioni di anni luce.
Il team di scienziati ha anche
scoperto
un
percorso
di
“invecchiamento stellare” lungo i
due bracci di spirale maggiori. Le
stelle più giovani appaiono dalla
parte più lontana del braccio a
nord-est, dove è la galassia nana,
mentre
le
stelle
stesse
invecchiano man mano che ci si
sposta verso il centro galattico. Il
braccio a sud-ovest mostra lo
stesso
percorso
evolutivo,
connesso
alle
onde
della
formazione stellare innescate
dall'incontro galattico. Secondo i
modelli, IC 4970 dovrebbe aver
avuto il più vicino incontro con la
galassia maggiore circa 130
milioni di anni fa
47 Tucanae agli occhi ESO
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Questa nuova immagine infrarossa del telescopio VISTA dell'ESO mostra l'ammasso globulare 47 Tucanae con un
dettaglio sorprendente. Questo ammasso contiene milioni di stelle e molte tra quelle annidate al suo interno ci
appaiono esotiche e mostrano proprietà insolite. Gli ammassi globulari sono grandi nubi sferiche di stelle vecchie
legate dalla gravità reciproca. 47 Tucanae, noto anche come NGC 104, è un ammasso globulare enorme e antico,
a circa 15 000 anni luce da noi, e contiene molte stelle e sistemi stellari bizzarri e interessanti.
La sua dimensione di circa 120 anni luce è così ampia che, nonostante la distanza, ci appare grande quasi come la
Luna piena; contiene milioni di stelle ed è tra i più brillanti e massicci ammassi globulari noti ed è visibile a occhio
nudo.
Tra la massa vorticosa di stelle al centro si trovano molti sistemi interessanti, tra cui sorgenti di raggi X, stelle
variabili, stelle vampiro, stelle "normali" inaspettatamente brillanti note come "vagabonde blu" (o "blue
stragglers") e piccoli oggetti noti come "pulsar al millisecondo", stelle morte che ruotano molto rapidamente.
Le giganti rosse, stelle che hanno esaurito il combustibile nel nucleo e si sono quindi gonfiate, sono distribuite
ovunque in questa immagine di VISTA e sono facili da individuare, poichè risplendono di un colore ambra scuro
che si staglia sullo sfondo bianco-giallo delle stelle. Il nucleo densamente affollato fa da contrasto alle regioni più
esterne dell'ammasso meno dense, mentre sullo sfondo sono visibili molte stelle della Piccola Nube di Magellano.
Questa immagine è stata ottenuta con il telescopio dell'ESO VISTA durante la survey delle Nubi di Magellano.
48
L’IC 342 di NuSTAR
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
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NuSTAR, il Nuclear Spectroscopic Telescope Array della NASA, ha posato il suo occhio X su una galassia a spirale
catturandone il bagliore proveniente da due buchi neri al suo interno (in color magenta). Lanciato lo scorso
giugno, NuSTAR è il primo telescopio orbitante la cui abilità consente di focalizzare la luce X ad alta energia,
riuscendo a scoprire in grande dettaglio cose che finora erano sfuggite. L'immagine rappresenta la galassia IC342,
anche nota come Caldwell 5, posta a 7 milioni di anni luce nella costellazione della Giraffa. Precedenti
osservazioni a raggi X provenienti da Chandra hanno rilevato la presenza di due buchi neri, chiamati
Ultraluminous
49 X-ray sources (ULCs). Ancora non sono noti i fattori che rendono questi oggetti così brillanti.
Potrebbero essere buchi neri di massa intermedia, oppure buchi neri di piccola massa in una atipica fase di
luminosità.
Una nana alla corte di M101
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
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La costellazione dell'Orsa Maggiore è la casa di Messier 101, la galassia Pinwheel, una delle spirali più grandi e
brillandi del cielo notturno. Come la Via Lattea, Messier 101 non è sola ma ha delle galassie nane nei suoi
dintorni. NGC 5477, una di queste galassie nane del gruppo di M101, è il soggetto di questa immagine del
telescopio spaziale Hubble. Senza una struttura riconoscibile, ma con evidenti segni di formazione stellare, NGC
5477 sembra una tipica galassia irregolare nana. La nebulosità brillante che si estende oltre la galassia è data da
nybi di idrogeno
nelle quali si stanno formando nuove stelle. Questo bagliore appare rosato nella vita reale
50
sebbene i filtri ce lo mostrino come bianco. Oltre a NGC 5477 l'imagine include numerose galassie di sfondo,
comprese alcune visibili in alto. L'immagine è una combinazione di esposizioni prese in filtro verde e infrarosso
tramite Hubble. Il campo è di 3,3 per 3,3 arcominuti.
LUPUS 3: ECCEZIONALE
CHIAROSCURO DELL’ESO
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Il telescopio ESO da 2,2 metri di La Silla in Cile riprende una zona di
formazione stellare chiamata Lupus 3, nello Scorpione,
caratterizzata da uno spettacolare chiaroscuro tra nube e stelle
51
nascenti
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
LA NEBULOSA QUADRATA
MWC 922, immortalata dal Keck-2 alle Hawaii e dal Telescopio Hale
di Palomar, sarebbe una esplosione di supernova simile a 1987A ma
vista 52da un'altra ottica
IL GRANDE ATTRATTORE
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
DI HUBBLE
Il telescopio spaziale ESA-NASA immortala la zona tra Triangolo
Australe e Norme che esercita la maggiore attrazione gravitazionale
dei nostri paraggi.
53
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
UNA NASCITA NASCOSTA
Immagine dettagliata della stella IRAS20126+414, ancora nascosta
nel suo bozzolo di nascita ma evidente grazie a due getti molto
potenti
54
NGC 411: l’ammasso
aperto travestito da
globulare
CLOSE-UP SUI CORPI CELESTI
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Sembra un ammasso globulare, ma non lo è. NGC 411 è classificato come un ammasso aperto
situato nella Piccola Nube di Magellano, una piccola galassia vicino alla nostra. E’
relativamente giovane, avendo non più cento milioni di anni. Lungi dall'essere una reliquia dei
55
primi anni
dell'universo, le stelle in NGC 411 sono in realtà ben più giovani del nostro Sole.
SOFTWARE ASTRONOMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
SOFTWARE
ASTRONOMICI
Di Maurizio Zanibelli
Terza e ultima puntata dedicata al software ALADIN.
Questa volta vedremo come fare foto a colori.
56
SOFTWARE ASTRONOMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
È’ arrivato il momento di vedere le
nostre foto a colori.
Abbiamo scaricato le foto nei vari
filtri R rosso, G verde, B blu e L
luminanza, le abbiamo sommate
filtro per filtro con il metodo
descritto nell’ultimo numero
(Supernovae n°11 Gennaio 2013),
abbiamo salvato il nostro risultato
ora completiamo.
Carichiamo in ALADIN le nostre
foto, sempre aprendo la visione
multipla, clicchiamo sull’icona
“RGB“ a destra dello schermo,
selezioniamo le fotografie relative
ai vari filtri, occorre selezionare la
foto di riferimento, sulla quale
ALADIN ricampionerà le altre due
immagini, diamo l’ok e ALADIN
restituirà la foto a colori, che potrà
essere poi regolata con il relativo
comando.
Ecco fatto; è un gioco da ragazzi…
ma come già detto ALADIN non è
un programma di elaborazione
fotografica, ma un potente atlante
stellare, quindi se le nostre foto
sono ben calibrate fra di loro va
tutto bene, ma se non lo sono,
(come purtroppo succede nella
maggioranza dei casi) al comando
ok succede di tutto… tipo ottenere
una foto “mosaico”, cioè con le
stelle triplicate nei vari filtri. A
questo punto possiamo provare a
cambiare la foto di riferimento, a
volte funziona, altrimenti alla fine
occorre arrendersi all’evidenza
bisogna iniziare tutto da capo.
alcune varianti .
Avendo già fatto le somme nei vari
filtri, (seguendo il metodo esposto
la volta precedente) la cosa più
semplice da fare parrebbe
ricalibrare le nostre somme con il
cielo reale, ma purtroppo, avendo
a suo tempo creato delle
coordinate fittizie, ALADIN non è
più in grado di ricalibrare tali
immagini. Occorre rifare tutto.
Sappiamo come procedere e
abbiamo ormai capito che è più
difficile da dire che non da fare.
Coraggio!
Per calibrare, apriamo la nostra
prima immagine, (in quale filtro
non ha importanza) controlliamo
nei dati della “fit” le coordinate di
centro della nostra immagine,
poniamo la visione dello schermo
a due immagini, chiediamo ad
ALADIN di aprire nella nuova
finestra l’immagine di archivio
relativa alle coordinate centrali
della nostra foto, troviamo delle
stelle di riferimento meglio se in
centro alla foto e procediamo alla
calibrazione
della
nostra
immagine (Immagine 1).
Cancelliamo la catasta,( tasto dx
del mouse sulla catasta, cancella
tutti i piani,.) riapriamo la nostra
prima immagine calibrata e
ingrandiamo la zona delle nostre
stelle di riferimento, apriamo una
nuova finestra dove carichiamo la
foto successiva e per evitare
sgradevoli sorprese
pure qui
ingrandiamo la zona delle stelle di
riferimento allo scopo di essere il
più precisi possibili sui pixel delle
stelle da selezionare, calibriamo e
salviamo la nostra foto, ripetiamo
il medesimo procediamo con
tutte le successive.
Bene ,siamo a metà del percorso!
Puliamo la nostra catasta,
riapriamo in visione multipla le
nostre foto calibrate, filtro per
filtro, ricampioniamo la prima con
la seconda, eseguiamo la somma
tra
queste
due
foto,
ricampioniamo la somma (add…)
con la terza foto e le sommiamo
tra loro, e così fino alla
fine della seq relativa al
filtro in elaborazione,
salviamo la somma
finale (Immagine 3).
Puliamo la catasta e
ripetiamo lo stesso
procedimento per tutti i
filtri.
Il metodo è sempre quello,
calibrare, ricampionare, sommare.
Però
questa volta operiamo
Immagine 1
57
Salviamo la nostra immagine
calibrata, che verrà usata quale
riferimento per tutte le immagini,
nei vari filtri della nostra sequenza
(Immagine 2).
Abbiamo finalmente le
nostre somme nei vari
filtri
perfettamente
SOFTWARE ASTRONOMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
usatela al posto di un filtro, e
vedrete che risultato! Nella
seguente foto(il campo è sempre
precedente) ho usato in R una
foto da 240 sec in H, ovviamente
calibrata (Immagine 6).
Un ultima cosa prima di chiudere
con ALADIN!
Immagine 2
calibrate nel cielo reale le
riapriamo in visione multipla,
clicchiamo
sull’icona
RGB
selezioniamo i vari file(da notare
come le coordinate relative alle
singole somme sono abbastanza
precise, l’ideale sarebbe che
fossero tutte e tre uguali) e se
abbiamo fatto le cose bene
stavolta il risultato è garantito
(Immagine 4).
Regoliamo i colori della nostra
immagine,
purtroppo
non
possiamo aggiungere alla nostra
RGB la luminanza L oppure una
foto in H, in quanto ALADIN non
esegue più nessuna aggiunta ad
una immagine in RGB (Immagine
5).
Però come tutti sanno il computer
è una macchina ”stupida”,
obbedisce e basta (per fortuna)
quindi provate a caricare
la
vostra luminanza o la vostra H e
Immagine 3
58
Ho sempre detto che il
programma è un atlante stellare
ma non ho mai detto come si usa.
Una volta aperta e calibrata la
nostra immagine nel cielo reale,
possiamo
premere
l’icona
“simbab” oppure ned”, ALADIN
aprirà un nuovo piano sulla nostra
foto con tutti i dati relativi e
catalogati delle stelle e degli
oggetti ripresi dalla nostra ccd
(Immagine 7).
Se passiamo il mouse sulle stelle
compariranno le informazioni. Se
creiamo
una
selezione
rettangolare sulla nostra foto,
tutte le stelle nella selezione, se
catalogate, vengono evidenziate
nella finestra in basso con tutte le
SOFTWARE ASTRONOMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Immagine 4
Immagine 5
relative informazioni: cosa sono,
la loro magnitudine ecc.. e, se
vogliamo
saperne
di
più
selezioniamo la riga che ci
esistano altri procedimenti più o
meno semplici del mio e che
qualcuno già conosce, ( io ne ho
provati tanti, e magari solo per
qualche errore mio non hanno
funzionato) i metodi di base per
una elaborazione fotografica sono
sempre gli stessi, somma delle
immagini, sottrare i dark…ecc…
occorre trovare il modo di
applicarli nei vari programmi,
provando e riprovando usando
l’inventiva e a volte non solo per
un risultato finale, ma per il gusto
di capire come funziona una cosa
e come aggirare alcuni ostacoli,
per il gusto delle ricerca, con la
pazienza
e
tenacia
che
contraddistingue ogni astrofilo. In
fin dei conti….”fatti non foste per
viver come bruti, ma per seguir
virtute e conoscenza” (Dante)
Immagine 6
interessa clicchiamo; ALADIN ci
rimanda ad una pagina internet
dove avremo tutto un “mondo”
da scoprire…. Provate e buon
lavoro!
Una
precisazione
finale
è
doverosa, io non posseggo la
verità in tasca sul programma e
sui prossimi che andrò ad
analizzare, questo è il metodo con
la quale io ho ottenuto un
risultato valido, nulla vieta che
Immagine 7
59
SPAZIO AMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
A TORINO UN
PLANETARIO
TUTTO NUOVO
60
SPAZIO AMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
INAUGURAZIONE DEL NUOVO
PLANETARIO DIGITALE
Domenica 17 Marzo 2013
In occasione della Giornata Nazionale dei Planetari
Domenica 17 Marzo 2013, in occasione della "Giornata Nazionale dei planetari", verrà inaugurato il nuovo
PLANETARIO con la proiezione di uno SPETTACOLO INEDITO che includerà contenuti originali e nuovi effetti
tridimensionali che permetteranno un viaggio sempre più immersivo.
Grazie alla nuova tecnologia sarà possibile scoprire nuovi mondi, sorvolare pianeti osservando da vicino spettacolari
dettagli 3D del terreno, seguire satelliti e sonde spaziali a “spasso” per il cosmo e ammirare un cielo notturno
sempre più realistico.
61
SPAZIO AMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
LA NUOVA TECNOLOGIA – DIGISTAR 5 – EVANS & SUTHERLAND
Il Planetario è un simulatore del cielo, ciò che si vede non è reale ma ricostruito. È costituito da due
componenti fondamentali: un sistema di proiezione (ottico-meccanico o digitale), predisposto per
rappresentare il cielo e i moti celesti, e uno schermo semisferico. Quello che si trova all'interno del Museo di
INFINI.TO è un sistema di proiezione che utilizza grafica digitale computerizzata tecnologicamente
d'avanguardia (Digistar 5 della Evans & Sutherland) unita alla realizzazione grafica 3D, allo storyboarding e
alla colonna sonora spesso creati dallo Staff di Infini.to. Senza muoversi dalla poltrona è possibile vedere il
cielo a una certa ora in un determinato luogo, oppure grazie all'innovativo sistema digitale, compiere un
vero e proprio viaggio alla scoperta dei più affascinanti oggetti che popolano l'Universo.
GIORNATA NAZIONALE DEI PLANETARI
Dal 1991 si organizza la "Giornata dei planetari". La manifestazione ha luogo in contemporanea nei principali
planetari italiani.
La "Giornata" si svolge nella domenica precedente o seguente all'equinozio di primavera.
La "Giornata dei Planetari" è promossa dall'Associazione dei planetari italiani che ha coinvolto anche i
planetari di altri Paesi europei. La manifestazione si è svolta infatti anche in Belgio, Bulgaria, Danimarca,
Francia, Gran Bretagna, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Slovacchia e nell'Ucraina.
62
SPAZIO AMICI
SKYLIVE – SUPERNOVAE
PROGRAMMA, ORARI e COSTI DELLA GIORNATA
www.planetarioditorino.it, sezione Eventi
Ufficio Stampa
Via Osservatorio 30, 10025 Pino Torinese (TO)
Responsabile: Simona Rachetto
cel. 3463062632
tel. 0118118737
fax 0118118652
[email protected]
63
SKYLIVE – SUPERNOVAE
The best of…
IMMAGINI DA SKYLIVE
…gli iscritti Skylive
64
Utente Roby53 : Nebulosa “zampa di gatto”, NGC 6334 nella costellazione dello
Scorpione, distante 5.500 anni luce.
Utente Roby53 : NGC700 (Nord Ameerica) e IC 5070 (Nebulosa Pellicano)
IMMAGINI DA SKYLIVE
65
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Utente
Ricky:
Omega) – 16 frame da 5 minuti a 800 ISO
SKYLIVE – SUPERNOVAE
IMMAGINI
DA M17
SKYLIVE(Nebulosa
Celestron 9,25 – Neq6 pro
66
Utente Terry26 (foto) Montiniv (elaborazione) – IC59 e IC63
IMMAGINI DA SKYLIVE
67
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Utente Acer35:
Cometa C/2012 K5 – Telescopio 2 Skylive
SKYLIVE – SUPERNOVAE
IMMAGINI DA SKYLIVE
68
SKYLIVE
– SUPERNOVAE
IMMAGINI
DA SKYLIVE
Utente
Forum
Gianluk:
Pleiadi
69
(M45) nel Toro
IMMAGINI DA SKYLIVE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Utente Forum Stellairama: Testa di Cavallo e Nebulosa
Fiamma intorno a Alnitak, in Orione.
70
Utente Spaziale3000: Nebulosa Rosetta (NGC 2244) – 1
2 Skylive
SKYLIVE –filtro
SUPERNOVAE
IMMAGINI
DA SKYLIVE
posa da
250 secondi,
H – Telescopio
71
ATTIVITA’ DI SKYLIVE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
SERATE PUBBLICHE A FEBBRAIO
1 febbraio 2013 ore 21.30
Una costellazione sopra di
noi
Il telescopio 2 di Skylive-UAI ci porta tra le stelle della
costellazione dell’Auriga di Capella.
A cura di: Giorgio Bianciardi
Relatore (per sostituzione): Stefano Capretti
14 febbraio 2013 ore 21.30
Skylaunch: Un passo sulla
Luna
Seconda serata del nuovo ciclo Skylaunch: rivivremo le
missioni lunari principali dell’era spaziale
Relatore: Stefano Capretti
28 febbraio 2013 ore 21.30
Rassegna stampa e cielo di
Marzo
Appuntamento con le principali notizie divulgate a
febbraio e introduzione al cielo di marzo
Relatore: Stefano Capretti
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CIELO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
CIELO DEL MESE
a cura di Stefano Capretti
73
CIELO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Sfera Celeste
15 febbraio 2013 ore 23.00
Baricentro d’Italia
74
CIELO DEL MESE
75
SKYLIVE – SUPERNOVAE
CIELO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Il cielo astronomico di febbraio di
prima serata è caratterizzato
essenzialmente dal suo lato di sudovest, laddove transitano le
costellazioni principali del periodo
e forse di tutto l’anno, e da quello
est,
laddove
sorgono
le
costellazioni primaverili.
In prima serata il cielo del lato sud
ha già ampiamente visto il
passaggio delle costellazioni più
brillanti del periodo invernale,
quindi ad ovest iniziano ad
abbassarsi
decisamente
le
costellazioni del Toro e di Orione,
mentre i Gemelli – da poco
transitati in meridiano – sono
ancora alti e Sirio è visibile nel lato
basso dell’orizzonte sud, con
Procione quasi in meridiano in
primissima serata.Nell’orizzonte
est invece il Leone è già ad una
buona altezza. Come sempre,
tuttavia, procediamo per gradi
partendo dall’orizzonte Nord e
spostandoci poi verso le altre
bellezze del cielo di febbraio.
Partiamo dal NORD
La cosa più facile è, come sempre,
partire dall’orizzonte Nord, dal
momento che il cielo notturno, in
quella direzione, mostra sempre le
stesse costellazioni, in ogni
periodo dell’anno.
Il cielo dell’orizzonte Nord è
caratterizzato ovviamente dalla
presenza della stella Polare e delle
costellazioni che le ruotano
intorno come conseguenza della
rotazione della Terra sul proprio
asse.
Orizzonte nord ore 23 del 15/02. In basso l’Orsa Maggiore per come appare.
Se non sappiamo trovare la stella
Polare può venirci incontro una
bussola, ma il modo migliore per
conoscere il cielo è trovare ad
occhio la stella che indica il Nord.
A tale scopo, ci serviamo di una
costellazione sempre visibile in
ogni periodo dell’anno e molto
brillante, tanto da essere scorta
anche nei cieli cittadini: l’Orsa
Maggiore. La sua forma è ben
nota e somiglia ad un mestolo.
Ormai conosciamo benissimo la
maggior parte dei nomi delle
stelle dell’Orsa Maggiore e
sappiamo altrettanto bene che
possiamo utilizzare il sistema
binario di Mizar e Alcor per
mettere alla prova la nostra vista.
Si trovano nel “manico” del
mestolo e possono essere
rintracciate
nella
curvatura
maggiore che presenta il manico
stesso. Se non avete problemi di
vista non fate alcuna fatica a
separare visualmente queste due
stelle, senza l’aiuto di alcuno
strumento ottico ingrandente!
In questo mese, in prima serata,
76
l’Orsa Maggiore ci appare sulla
propria “coda”, poggiata sulla
stella più bassa del manico
chiamata Alkaid.
Laddove finisce il “manico” ed
inizia il “mestolo”, invece, c’è la
stella Megrez, anche nota come
Delta Uma.
Prolungando di tre volte circa il
segmento formato dalle stelle
Merak (beta Uma) e Dubhe (alfa
Uma) si arriva alla Stella Polare. Si
trova ad una altezza che
corrisponde alla latitudine del
CIELO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
vostro luogo di osservazione,
quindi se vi trovate a Roma la
stella Polare si troverà a 42° di
altezza nel cielo.
Una volta trovata l’Orsa Maggiore
e la Stella Polare, siamo già a buon
punto perché abbiamo già
individuato un punto cardinale e
possiamo iniziare a riconoscere le
costellazioni principali del lato
nord del cielo. In questo periodo
dell’anno, l’Orsa Maggiore in
prima serata risale lungo il lato di
nord-est, guadagnando in altezza
e disponendosi sulla sua “coda”, in
verticale, pronta a “sdraiarsi” di
schiena.
Come prima cosa, si può
prolungare il segmento che ci ha
consentito di trovare la Polare fino
alla prossima stella brillante che si
incontra. Si tratta di Alrai, nella
costellazione del Cefeo. Sarà a
questo punto semplice individuare
tutta la costellazione del Cefeo,
dal
momento
che
Alrai
rappresenta la punta del tetto
della casetta raffigurata dalla
costellazione, che in questo
periodo dell’anno ci appare
“sdraiata” verso sinistra. Come
seconda cosa, trovata l’Orsa
Maggiore si può partire dal suo
centro e cercare la sua
dirimpettaia rispetto alla Polare,
Cassiopea, per una semplice
ragione: in ogni momento
dell’anno può essere trovata
sempre
dalla
parte
diametralmente opposta all’Orsa
Maggiore rispetto alla Stella
Polare.
Trovare Polare e Cefeo a partire dall’Orsa Maggiore
In questo periodo dell’anno, dal
momento che l’Orsa Maggiore sta
salendo verso nord-est, Cassiopea
inizia la discesa verso nord-ovest.
Le costellazioni danno vita ad una
rincorsa
infinita
ma
non
tramonteranno mai alle nostre
latitudini
trattandosi
di
costellazioni circumpolari. In
prima serata Cassiopea sarà a
metà cielo ma durante la nottata
tenderà ad abbassarsi sempre di
più per ritrovarsi bassa prima
dell’alba, a fronte di una Orsa
Maggiore che avrà guadagnato la
zona alta del cielo al centro della
notte e che tornerà a calare nel
lato di Nord-Ovest prima dell’alba.
Per trovare Cassiopea dall’Orsa, si
può unire con un segmento la
stella Alioth (Epsilon UMa) alla
Polare e proseguire il segmento
fino alla prossima stella brillante,
posta ad altrettanta distanza.
Questa stella è la centrale della
“doppiavvù” di Cassiopea, e si
chiama Gamma Cas.
Questo
mese
l’attrazione
maggiore, tuttavia, è a sud, quindi
rivolgiamo il nostro sguardo verso
Sud.
Trovare Polare e Cefeo a partire dall’Orsa Maggiore
77
CIELO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
LE STELLE CHE TRAMONTANO
In prima serata, all’orizzonte
ovest, nessuno si strapperà i
capelli nel veder tramontare le
deboli costellazioni di Pesci e
Balena, mentre un po’ di
dispiacere si potrà nutrire
vedendo abbassarsi e sparire il
Quadrato di Pegaso e di
conseguenza la costellazione di
Andromeda, verso Nord Ovest.
Quasi persa è la costellazione
dell’Ariete, che di per sé non
lascerebbe rimpianti se non fosse
per il gioiello del Sistema Solare,
Giove, presente al suo interno,
proprio al confine con la
costellazione dei Pesci e che
tramonta oramai ben presto.
Perseo
invece
è
ancora
abbastanza alto e ben osservabile,
con la sua stella Algol ad
accendersi e spegnersi a ritmi
regolari di due giorni e mezzo e
con il suo Doppio Ammasso, al
confine con Cassiopea, a segnare
uno degli oggetti più belli del cielo.
Stiamo comunque per perdere
costellazioni
molto
più
significative, dal momento che il
Toro inizia ad abbassarsi parecchio
già in prima serata sul versante
ovest seguito da Orione e dal suo
seguito, che alti in cielo non lo
sono mai stati vista la declinazione
parzialmente australe e che quindi
perdono molto presto visibilità in
termini di altezza sull’orizzonte.
ANCORA INVERNO IN
TRANSITO A PRIMA SERATA
Dopo
78
che
a
Dicembre
sono
Le costellazioni a sud-ovest, ancora un po’ di inverno
transitate
al
meridiano
le
costellazioni di Toro e l’Auriga e
che nel mese di Gennaio è
spettato ad Orione ed al suo
seguito di costellazioni, il mese di
Febbraio ha già visto passare un
po’ tutto il seguito del Cacciatore
in prima serata.
Si tratta comunque di una zona
molto importante e riconoscibile
del cielo, quindi spendiamo
ancora un po’ di tempo per
cercarla e riconoscerla. La zona
sud è senza dubbio la più
luminosa di tutto il cielo e di tutte
le stagioni, ed anche la più
riconoscibile grazie alla presenza
in cielo della costellazione di
Orione, gigante e lucente. Come
riconoscere Orione? Dalla sua
forma
inconfondibile
e
brillantissima, e soprattutto da tre
stelle allineate che vanno sotto il
nome di Cintura di Orione. Le tre
stelle che formano la cintura sono
allineate dall’alto al basso nella
immagine, sul lato destro appena
sotto il centro della foto. Sono
tutte stelle azzurrine, caldissime,
ed il loro nome, dall’alto in basso,
è Mintaka, Alnilam (la centrale) e
Alnitak.
All’interno
del
quadrilatero
a
destra
dell’immagine, delineato dalla
Cintura, da Rigel e da Saiph, ci
sono tre stelline allineate.
All’altezza della seconda stellina
c’è la nebulosa più famosa del
cielo, nota come M42, la Grande
Nebulosa di Orione. Di tutto lo
splendore presente sul versante
orientale, il punto cardine di tutto
il cielo è rappresentato dalla
costellazione di Orione, che ci
consente di trovare tutte le altre
costellazioni
limitrofe,
che
vengono chiamate il “seguito di
Orione”.
La costellazione di Orione
CIELO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Prolunghiamo il segmento creato
dalle tre stelle della Cintura di
Orione, sia verso l’alto sia verso il
basso. Verso l’alto giungiamo a
due corpi celesti che abbiamo già
visto: il primo è la stella
Aldebaran, nel Toro, che brilla di
colore arancione ed il secondo, più
in alto, è dato dall’ammasso
aperto delle Pleiadi. Sempre li in
alto, verso est rispetto alle Pleiadi,
brilla una stella davvero lucente,
con un colore bianco-giallo, di
nome Capella, nella costellazione
dell’Auriga.
Ora vediamo il prolungamento
basso della Cintura: non si può
sbagliare neanche stavolta, visto
che la stella più brillante del cielo
sarà lì in basso. Si tratta di Sirio, la
stella più brillante perché una
delle più vicine, nella costellazione
del Cane Maggiore. Il Cane
Maggiore somiglia davvero ad un
cane, messo in piedi, con Sirio ad
indicarne il brillante collare. Chi ha
un cielo inquinato dal punto di
vista luminoso potrà vederne
soltanto il corpo, mentre la testa è
composta da stelle più deboli.
Ora, anziché partire dalla Cintura
di Orione, muoviamoci lungo il
segmento che unisce Rigel a
Betelgeuse e prolunghiamolo
verso est fino a giungere ad una
coppia di stelle posta più o meno
alla stessa altezza di Orione stesso.
Si tratta di Castore e Polluce, le
due stelle più brillanti della
costellazione dei Gemelli.
In ultima istanza, tracciamo una
linea che unisce la brillantissima
79
Muoversi nel cielo partendo da Orione
Sirio a Polluce nei Gemelli, e
noteremo senza dubbio che verso
la metà è presenta una stelle
molto brillante: si tratta di
Procione, nella costellazione del
Cane Minore.
Tutte
queste
costellazioni
rappresentano
il
cosiddetto
“Seguito di Orione” perché
mitologicamente fanno parte
della stessa scena di caccia:
Orione è il cacciatore, che utilizza
i due cani, uno maggiore e l’altro
minore, per andare a caccia. A
caccia di cosa? Di una lepre. Ed
infatti ai piedi del cacciatore c’è
proprio la costellazione della
Lepre.
La grande scena di
caccia
rappresentata sulla
sfera celeste intorno
a Orione, con Toro,
Lepre e Cani,
maggiore e minore,
come aiutanti.
CIELO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
MIGLIORI OGGETTI ALMERIDIANO
La costellazione più visibile del
seguito di Orione è quella dei
Gemelli, riconoscibile alla sinistra
e in alto rispetto al Cacciatore
dalla presenza di due stelle molto
brillanti note come Castore e
Polluce, i gemelli appunto. La
leggenda di Castore e Polluce
narra la storia di due gemelli
inseparabili, che combatterono
contro Ida e Linceo, figli di Afareo
re dei Messeni.
Durante il combattimento, Ida
uccise Castore e Polluce vendicò il
gemello uccidendo Linceo. Ida fu
fulminata da Giove. I due gemelli
sarebbero stati quindi separati per
sempre, dal momento che Polluce
era immortale.
Le costellazioni al meridiano
45s, nella
Gemelli.
costellazione
dei
Rinunciò
tuttavia
alla
sua
immortalità, pregando Giove di
consentirgli di raggiungere il
fratello. Giove, quindi, innalzò i
due gemelli in cielo, come
costellazione.
A parte le stelle, che vedono alfa e
beta invertite in termini di
luminosità, uno degli oggetti più
affascinanti è senza dubbio la
nebulosa NGC 2392. Non è l’unico
oggetto, visto che il più famoso è
l’ammasso aperto M35, ma questa
nebulosa va conosciuta!
LA ESKIMO NEBULA, NGC 2392
Si tratta di una nebulosa
planetaria, ciò che resta di una
stella di massa medio-piccola,
presente a Ascensione Retta
07°29’09’’ e Declinazione 20h 54m
80
La sua curiosità è senza dubbio la
forma, visto che i due anelli
concentrici danno vita ad un
oggetto che ricorda un clown.
Ovviamente la foto è di Hubble,
quindi non aspettatevi di vederla
così nel vostro telescopio!
IL PRESEPE A FEBBRAIO
Febbraio è anche il periodo
migliore per vedere un altro
oggetto rilevante del nostro cielo,
un
ammasso
aperto
nella
costellazione del Cancro noto
come M44 oppure ammasso del
Presepe. Alla distanza di circa 590
anni luce, ad Ascensione Retta
08°40’00’’ e Declinazione 19h
40m 00s esiste un ammasso
stellare decisamente bello e
colorato, che proprio per queste
caratteristiche
è
chiamato
Presepe. Occupa la 44° posizione
nel catalogo di Messier, quindi è
noto come M44.
Si trova proprio al centro della
costellazione, tra Gamma e Delta
Cancri. Alcuni lo chiamano anche
“Mangiatoia”, ed in tal caso le
stelle del Cancro sarebbero
rispettivamente l’asinello ed il
bue. Conta circa 500 stelle anche
se
ne
sono
visibili
una
cinquantina.
CIELO DEL MESE
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PRIMAVERA AD EST
In fondo febbraio è il mese prima
della primavera, ed il cielo
dell’orizzonte Est è già pronto o
quasi con le costellazioni del
periodo. In prima serata ad est ci
sarà un anticipo di cielo
primaverile, con il Leone già bello
alto, seguito dalla Chioma di
Berenice
e addirittura dal
Contadino di Arturo, con la
brillantissima stella arancione già
sorta prima delle 23. Durante la
notte
queste
costellazioni
diverranno ben più alte e
passeranno in meridiano molto
prima dell’alba.
VISIBILITA’ DEI PIANETI
Mercurio: sarà in elongazione est,
quindi risulta visibile al tramonto
fino al giorno 26 quando si
immergerà nelle luci crepuscolari
in
vista
della
prossima
congiunzione eliaca.
Venere è ancora visibile all'alba,
ancora in elongazione verso ovest,
fino al giorno 8 quando la sua
distanza dal Sole sarà ormai
Il cielo ad est nel mese di febbraio
ridotta al minimo e il pianeta
diventerà quasi inosservabile.
Marte: il pianeta rosso a febbraio
2013 sarà visibile con grande
difficoltà
al
tramonto,
muovendosi
tra
le
stelle
dell'Acquario.
Giove: Giove è ancora visibile per
gran parte della nottata nella
costellazione del Toro, risultando
l'astro più brillante del cielo.
inizia ad essere visibile a metà
nottata, muovendosi tra le stelle
della Bilancia.
Urano: si rende visibile, pur con
tutte le difficoltà del caso, tra le
stelle dei Pesci in prima serata,
appena dopo il tramonto.
Nettuno: non sarà osservabile per
tutto il mese di febbraio..
Saturno: Il pianeta degli anelli
La posizione dei pianeti Mercurio e Venere a febbraio 2013 nel momento in cui il Sole è all’orizzonte
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ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
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COMETE VISIBILI
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Cometa SERA
Mag Alt Cometa NOTTE
Mag Alt Cometa MATTINA
Mag Alt
C/2012 T5 (Bressi)
10
2
C/2012 K5 (LINEAR)
12
8
273P/2012 V4 (PonsGambart)
9
57
C/2012 K5 (LINEAR)
C/2012 L2 (LINEAR)
C/2009 P1 (Garradd)
262P/2012 K7 (McNaughtRussell)
C/2010 S1 (LINEAR)
12
12
13
13
43
62
30
44
C/2012 L2 (LINEAR)
C/2006 S3 (LONEOS)
C/2009 P1 (Garradd)
29P/SchwassmannWachmann 1
12
13
13
13
16
3
45
10
C/2011 R1 (McNaught)
C/2006 S3 (LONEOS)
C/2009 P1 (Garradd)
246P/2010 V2 (NEAT)
12
13
13
13
35
38
1
17
13
8
C/2010 S1 (LINEAR)
29P/SchwassmannWachmann 1
13
13
21
32
SCIAMI METEORICI
SCIAME
PICCO
ZHR
RADIANTE
DELTA VELIDI
5
1
A.R. 08h 44 – Decl. -52°
ALPHA CENTAURIDI
7
6
A.R. 14h 00 – Decl. -59°
OMICRON CENTAURIDI
11
2
A.R. 11h 48m – Decl. -56°
LEONIDI
-
5
A.R. 11h 00 – Decl. +6°
DELTA LEONIDI
24
2
A.R. 11h 12 – Decl. +16°
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EVENTI CELESTI DEL MESE
CIELO DEL MESE
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EVENTO DEL MESE
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Il 15 febbraio un sassolino di 50 metri
passerà vicinissimo alla Terra: ottima
occasione per osservarlo passare!
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EVENTO DEL MESE
SKYLIVE – SUPERNOVAE
2012 DA14 è un asteroide di tipo
NEA (Near Earth Asteroid) con
diametro di circa 45 metri
scoperto il 23 febbraio 2012
dall'osservatorio OAM a La Sagra,
in Spagna, dopo soli sette giorni
dal passaggio radente con la Terra
avvenuto il 16 febbraio 2012 ad
una distanza di 0,0174 UA. Il
passaggio del 2013, il giorno 15
febbraio, avviene a circa 34.100
chilometri dal centro della Terra
(0,000228 UA), quindi entro la
fascia
orbitale
dei satelliti
geostazionari.
Ovviamente non si tratterà di un
fenomeno spettacolare dal punto
di vista mediatico visto che sarà
visibile soltanto a chi è dotato di
una certa strumentazione oppure
tramite le dirette che vengono
portate avanti su internet, ma il 15
febbraio, come accennato, questo
asteroide di 50 metri e con una
massa di circa 130 mila tonnellate
si avvicinerà in maniera notevole
al nostro pianeta, “sfiorandolo” ad
una velocità di circa 8 chilometri al
secondo.
L’orbita di 2012 DA14 in confronto all’orbita terrestre
chiamato in causa in tema di
distruzione terrestre e di fine del
mondo, ma è altrettanto ovvio
che nulla accadrà in seguito al suo
fly-by visto che le orbite, per
fortuna, sono ben prevedibili e
che nessun rischio di impatto è
presente.
Il passaggio dell’asteroide sarà
visibile nel cielo a partire dalle
20:26 (ora italiana – 19:26 UTC).
Non a occhio nudo, ma dovrebbe
bastare un binocolo. Per gli
italiani l’appuntamento è verso le
23. Il transito sarà controllato
dagli osservatori radar, per
studiarne la forma, le misure e la
traiettoria.
La distanza, come detto, sarà di
34.100 chilometri dal centro della
Terra, il che equivale a dire che
2012 DA14 passerà a circa 27.680
chilometri
dalla
superficie
terrestre, ben al di sotto
dell’orbita nella quale vengono
inseriti i satelliti geostazionari che
utilizziamo
per
le
telecomunicazioni, posti a circa
36.000 chilometri dal suolo del
nostro pianeta.
Ovviamente questo asteroide fu
118
Il percorso celeste di 2012 DA14 che tuttavia, vista la vicinanza, sarà molto diversa in
base al luogo di osservazione
SKYLIVE – SUPERNOVAE
Gli articoli sono tratti dalle principali fonti di divulgazione astronomica quali:
NASA
http://www.nasa.org
ESA
http://www.esa.int/ESA
ESO
http://www.eso.org
MEDIA INAF
http://www.media.inaf.it
RAS
http://www.ras.org.uk
I software planetari utilizzati per le simulazioni sono:
PERSEUS
Lev.III di Elitalia
STELLARIUM
I dati delle effemeridi sono tratti dal sito http://www.skylive.it
Il presente documento è soltanto un riassunto di quanto proposto quotidianamente da Skylive Telescopi
Remoti durante il corso del mese. Sul sito Skylive Telescopi Remoti troverete tutto il materiale necessario
alla comprensione e all’approfondimento di quanto trattato.
Lo staff di Skylive Telescopi Remoti
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