Mondo del rugby in lutto: addio a Jonah Lomu

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Mondo del rugby in
addio a Jonah Lomu
lutto:
Auckland, 19 novembre 2015 – Il mondo del
rugby è in lutto per la scomparsa di uno dei
suoi più grandi campioni: Jonah Lomu è morto
mercoledì
18
novembre,
all’età
di
quarant’anni, a causa di una grave malattia
che gli fu diagnosticata da giovanissimo, nel
1996, e che inizialmente non si manifestò in
tutti i suoi effetti.
Ha giocato per i mitici All Blacks, la
nazionale neozelandese di rugby, dal 1994 al
2002, collezionando un totale di 63 presenze (caps, nel rugby)
e 37 mete, nel ruolo di trequarti ala: alto 196cm per 119kg di
peso, il suo impatto sul rugby -che solo nel 1995 si accingeva
a convertirsi al professionismo- fu devastante. Si può dire
che le sue prestazioni, in particolare nel corso della Coppa
del mondo del 1995, abbiano marcato lo spartiacque tra il
rugby di una volta, amatoriale e cadenzato da fasi più
statiche, e il rugby moderno, più fisico, veloce, dinamico,
che oggi conosciamo: mai infatti si era visto un giocatore
tanto potente nel suo ruolo, in cui di solito giocano i fisici
più asciutti e longilinei; un vero e proprio gigante in grado
di correre i 100m in dieci secondi e otto decimi che seminava
il panico nella difesa avversaria, al punto da demotivarla
fino all’impotenza.
La storia di questo ragazzone inizia nei degradati sobborghi
di Auckland, in una famiglia di immigrati tongani; un destino
forse segnato dalla criminalità e dall’emarginazione.
Praticamente da bambino assistette all’uccisione di suo zio
con un machete.
Al college però l’incontro col rugby gli dà un’opportunità
preziosa: Jonah si mette in mostra, brucia le tappe e a 19
anni debutta in nazionale, il più giovane di sempre ad aver
vestito fin ad allora la mitica maglia nera. Nel 1995,
l’attesissima Coppa del mondo in Sud Africa: le nazionali di
mezzo mondo si trovano di fronte un gigante che nessuno sa
come fermare, Lomu passa letteralmente sopra ai più che
tentano di placcarlo: l’inglese Mike Catt -non esattamente
l’ultimo arrivato, vincerà il mondiale otto anni dopo con la
sua nazionale- finirà la partita segnato dai tacchetti del
neozelandese. A neutralizzarlo riusciranno solo i padroni di
casa, i fortissimi Springboks di Nelson Mandela, che nella
finale di Johannesburg piegheranno gli All Blacks per 15-12:
ogni placcaggio dei possenti afrikaners su Lomu veniva
salutato dall’ovazione di un pubblico impaurito.
Nonostante l’amara delusione, Lomu è il miglior giocatore del
torneo anche grazie alle sue sette mete, i media lo
soprannominano “big Jonah”, tanti sponsor si offrono di
abbinare il proprio marchio all’ancora giovane campione, la
federazione di rugby neozelandese deposita il suo nome come
marchio registrato, mettendolo sotto contratto per sottrarlo
ai corteggiamenti delle grandi squadre del football americano
in NFL: il rugby non sarà mai più come prima.
Galles, 1999: un’altra Coppa del mondo, un’altra grande
occasione per gli All Blacks, che non vincono il titolo dal
1987, ma che partono come sempre da favoriti. Le prime cinque
partite sono poco più che allenamenti, con vittorie rotonde
perfino contro avversari come l’Inghilterra e la consueta
forza distruttiva di Lomu, che farà male anche ai nostri
Azzurri.
Arriva la semifinale, a Twickenham, contro una Francia
coraggiosa ma ritenuta alla portata: Lomu segna due mete, una
delle quali incredibile, resistendo per metri alle cariche dei
giocatori francesi più massicci, che gli si gettavano
letteralmente contro. Una Francia che appariva scoraggiata e
ormai sconfitta però riuscì a rimontare e ad affermarsi per
43-31, realizzando uno dei più grandi upset della storia del
rugby.
Per la Nuova zelanda è un’altra delusione, per Lomu sarà
l’ultima Coppa del mondo: nel 2003, a pochi mesi dall’inizio
del mondiale australiano, la sua malattia, una sindrome
nefrosica, si aggrava ed è costretto alla dialisi. I medici
più esperti gli prospettano un futuro che potrebbe vederlo
costretto per sempre su una sedia a rotelle: il mondo si
commuove, il gigante sembra adesso improvvisamente tornato
umano, fermato solo dai suoi problemi di salute.
Grazie alla generosità di un amico, lo speaker radiofonico
Grant Kereama, nel 2004 a Lomu viene trapiantato il rene da
questi donatogli: improvvisamente torna la speranza, e l’exAll Black riesce addirittura a tornare a giocare a buoni
livelli, con i Cardiff Blues in Galles e in seguito con North
Harbour in Nuova Zelanda. Il fisico non è più lo stesso, ma la
sua storia, tanto intensa quanto sfortunata, continua a far
sognare migliaia di bambini che si avvicinano alla palla
ovale. Il suo ritorno al rugby avvenne proprio in Italia,
nella piccola Calvisano, teatro della sfida tra la squadra
locale e i Blues di Lomu nel 2005.
Dopo anni non facili, scanditi anche da infortuni, nel 2009
arriva il ritiro definitivo dal rugby giocato, ma il
neozelandese è destinato a rimanere un simbolo, parte della
Rugby Hall of Fame e della Hall of Fame di World Rugby pur non
avendo mai vinto un mondiale, detentore -da quest’anno insieme
al sudafricano Bryan Habana- del record di mete segnate in
Coppa del mondo, ben quindici in sole due edizioni. Il samoano
Isaac Feau’nati interpreterà il suo ruolo nel film Invictus,
ambientato proprio nel corso di quel mondiale sudafricano che
lo vide tra i protagonisti nella storica finale che riconciliò
il Sud Africa del dopo-apartheid.
Oggi Jonah Lomu è considerato uno dei simboli dei più alti
valori del rugby e dello sport: il sacrificio, l’impegno per i
compagni, lo spirito di squadra, l’umiltà e la voglia di
andare oltre, carica dopo carica. Oltre anche alla malattia e
a un destino che sembra accanito.
Lo sport non dimenticherà mai ciò che quest’uomo ha
significato per tantissimi sportivi: il bulldozer che tanto
dolore fisico ha causato ai suoi avversari sui campo di tutto
il mondo, nella vita di ogni giorno era un gigante buono,
impegnato nel sociale e nelle cause umanitarie, premuroso con
i suoi figli.
Il rugby gli sarà sempre debitore: uno sport ritenuto
tradizionalmente legato a pochi adepti, praticato ad alti
livelli solo in Paesi anglosassoni, spesso tramandato di
generazione in generazione all’interno di una famiglia, è
divenuto anche grazie a Lomu un fenomeno di massa, capace di
coinvolgere milioni di appassionati e catalizzare l’attenzione
di miliardi di persone in occasione della Coppa del mondo,
oggi il terzo evento sportivo per importanza dopo olimpiadi e
mondiali di calcio. Dopotutto, chi di noi, a prescindere dalla
più o meno forte passione per la palla ovale, non ha visto
almeno una volta una delle sue sgroppate, in tv o su Youtube?
Chi di noi non si è lasciato suggestionare da questo gigante
spiritato durante l’esecuzione della haka, la danza di guerra
maori eseguita dagli All Blacks prima di ogni partita?
Una vita di corsa, lungo la fascia sinistra, col numero 11
sulle spalle, quella di Jonah Lomu. Contro il pregiudizio di
un quartiere difficile, contro gli avversari delle nazionali
più forti, contro una malattia infame che l’ha colpito da
giovanissimo. Mercoledì Jonah, nella sua Auckland, ha ricevuto
il placcato più difficile da evitare, quello del destino. Ma
il suo ricordo resterà immortale in tutti noi appassionati di
questo sport: non è stato fermato, ha solo passato la palla.
di Andrea Di Nino
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