A. P - Rosmini.it

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All’intersezione dei piani filosofico e
teologico del sapere: la persona in
Antonio Rosmini11
ALBERTO PERATONER
Nell’Introduzione all’Antropologia in servizio della scienza morale Rosmini delinea un’importante distinzione: «vi deve aver dunque nell’Antropologia una parte razionale, e una parte positiva, secondo i due ordini a’ quali l’uomo appartiene. Conciossiacché l’uomo appartiene all’ordine della natura, e le condizioni
morali che da quest’ordine si derivano formano la prima parte dell’opera nostra: l’uomo poi appartiene
anco, secondo il sistema cristiano, ad un ordine soprannaturale e di grazia, e le condizioni morali che da
quest’ordine più sublime all’uomo scaturiscono danno luogo alla seconda parte»2.
1. Un’antropologia a due registri
Nel brano appena citato il Roveretano prospetta un’antropologia capace di svilupparsi secondo due
registri, due angolazioni, due prospettive complementari: l’indagine critica razionale e la riflessione teologica, fondata sui dati della Rivelazione.
I due piani, o prospettive di indagine, sono giustificati da Rosmini in base all’appartenenza dell’uomo
tanto all’ordine della natura quanto all’ordine della grazia.
Ciò può destare, certo, l’impressione, agli occhi del teologo contemporaneo, di una soggiacente teologia - ritenuta oggi dai più ormai largamente superata3 - dei due ordini, concepiti in un rapporto di mera
giustapposizione; quando non addirittura in netta discontinuità, al punto da rischiar di gettare un’ombra
pregiudiziale di estrinsecismo sull’intera riflessione antropologica rosminiana e di comprometterne la
retta interpretazione.
In realtà, come avremo modo di appurare, Rosmini qui delinea due angolazioni prospettiche, due
punti di osservazione sulla medesima realtà antropologica, abbozzando le caratteristiche essenziali di
due percorsi istruibili da due prospettive diverse che guardano, però, simultaneamente, alla stessa realtà
e che finiscono perciò, quanto ai risultati, coll’entrare, con il graduale loro approfondirsi, l’una nell’altra,
in un processo di reciproca integrazione progressiva.
Possiamo immaginare questo processo come l’ingranamento di due ruote dentate, i cui rispettivi profili entrano progressivamente in relazione, scoprendosi perfettamente ritagliati l’uno per l’altro e, nel loro movimento, venire i pieni dell’una a colmare i vuoti dell’altra.
O ancora, come le indentazioni che caratterizzano il margine di contatto di alcune eteropie di facies
delle formazioni rocciose delle nostre Dolomiti, laddove i sedimenti calcarei organogeni delle scogliere
progradanti sormontano a tratti le deposizioni bacinali terrigene e queste, a loro volta, le ricoprono per
altri tratti, nella loro lenta sedimentazione, fino a dar luogo ad un profilo ad andamento alterno, perfettamente solidale nell’ammorsamento delle due parti.
Tale si scopre, dunque, in Rosmini, il rapporto tra l’indagine filosofica e teologica vertenti sull'antropologia: il dato rivelato implementa l’indagine naturale nelle sue lacune informative, mentre quella registra il fenomeno umano e ne disegna le costanti. E ancora la Rivelazione e la riflessione teologica che ne
1.
In: Studia Patavina, Anno LVI – 2009 – N. 3, Settembre-Dicembre, p. 597-616.
2.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, 8, Città Nuova, Roma 1981 (Edizione critica delle Opere edite ed inedite di Antonio Rosmini - d’ora in poi EC - vol. 24), 24.
3.
In particolare dopo i contributi, benché per alcuni aspetti divergenti, di Henri De Lubac e Karl Rahner e della sintesi prodotta da Hans Urs von Balthasar.
1
procede somministrano nuovi dati ed elementi all’indagine critica razionale che li salda alle informazioni guadagnate per via speculativa.
Ora, ai due percorsi corrispondono in certo modo, nella produzione rosminiana, le due opere Antropologia ira servizio della scienza morale (1831-32), e Antropologia soprannaturale (1832-36), che vengono così a
costituire una sorta di dittico le cui parti risultano complementari ed orientate l’una alla chiarificazione e
comprensione dell’altra. A queste due opere si aggiunga l’ampia e fittamente articolata trattazione della
più tarda Psicologia (1843-1846), considerata dall’autore stesso una «continuazione» della prima Antropologia e che sembra per certi versi tenere il medio, continuando a riferirsi alternatamente a dati tanto filosofici quanto teologici, dal punto di osservazione della natura e delle facoltà dell’anima, che della persona umana rappresenta il centro focale unificante.
Il Roveretano stesso ammette, nell’incompiuta Antropologia soprannaturale, che se il dato rivelato è
dapprima accolto per fede senza che si trovi la «ragion naturale colla quale provarle», al lungo corso dell'applicazione della riflessione critica, «procedendo innanzi le investigazioni filosofiche della natura umana e della divina, […] si vanno trovando e scoprendo altresì tali verità naturali, le quali e valgono a
ribattere le opposizioni avversarie, e sorreggono o fiancheggiano mirabilmente gli stessi dogmi rivelati,
mostrandoli di un perfetto consentimento ed accordo coll’intima natura delle cose»4. Come è evidente, le
stesse parole della pagina rosminiana confortano e legittimano le metafore da noi poc’anzi formulate, al
punto che lo stesso Roveretano non risparmia immagini e similitudini per restituire l’idea del mutuo e
convergente sostegno che la speculazione filosofica e la riflessione teologica sono in grado di darsi, reciprocamente, nel loro rispettivo sviluppo convergente rivelando, nel loro dipanarsi progressivo, una perfetta corrispondenza5, cosicché è ancora Rosmini, poco oltre, ad affermare il principio per cui «la verità
rivelata è un cotal compimento della verità naturale, e presuppone questa sotto di sé a quel modo che
una dipintura suppone sotto di sé la tela su cui è lavorata; e molte dottrine rivelate o non sono misteriose
se non perché rimangono ancora a trovarsi quelle naturali verità che formano come l’addentellato a cui
esse si continuano, o certo trovate queste cessano dall’esser difficili a credersi, […]»6.
2. Filosofia e Teologia come riflesso della congruità del rapporto di ragione e fede. Al
cuore del metodo rosminiano
Il descritto procedimento fa capo al metodo generale di Rosmini, metodo retto da una profonda convinzione: quella di una mutua implicazione di ragione e fede, di indagine speculativa e datità della Rivelazione, al punto che la Rivelazione medesima getterebbe una nuova luce sulle stesse acquisizioni della
ragione. È la stessa struttura incontraddittoria della realtà che lo garantisce, posto che è alla medesima
che guardano, pur se da angolazioni diverse, le forme del conoscere dell’indagine critica della ragione
speculativa e del sapere rivelato. È significativo, in tal senso, che proprio nell’Introduzione alla filosofia egli
affermi, retrospettivamente su quanto già ampiamente trattato e personalmente esperito nel corso della
propria riflessione, ma programmaticamente quanto all’ordine suggerito alla lettura con il porre quest'opera a cappello della sua produzione, che «le stesse verità che appartengono alla ragion naturale, en4.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, III, c. IX, art. 3; Città Nuova, Roma 1983, vol. 1 (EC 39), 480.
5.
Come osserva, in proposito, A. Staglianò, citando a sua volta G. Rizzo, «Rosmini può stabilire una profonda corrispondenza di struttura e continuità tra i due ordini di razionalità (intelligenza naturale e intelligenza soprannaturale) individuando quel principio assolutamente determinante la razionalità come tale, cioè «la riflessione, il riconoscimento (teoretico e pratico), con cui noi dobbiamo sempre rifonderci o inabissarci in una trascendenza, in una realtà trascendente, in cui
solo si chiariscono le cose e si rende possibile ogni giudizio e ogni ordine razionale» [G. RIZZO, La filosofia cristiana di Rosmini …]. L’attività umana di intelligenza, protesa verso la verità, è sempre frutto, sia nell’ordine naturale che in quello
soprannaturale, dell’illuminazione di uno stesso Maestro, che la precede, fonda, costituisce. Essa si sviluppa storicamente
come guadagno progressivo della stessa verità eterna, immutabile, formalmente già posseduta, trovando in questo possesso originario la capacità di conoscere e avanzare nella cognizione comprendendo l’ammaestramento che dagli altri uomini può venire» (A. STAGLIANÒ, La «Teologia» secondo Rosmini, Morcelliana, Brescia 1988, 341).
6.
A. ROSMINI, Antropologia .soprannaturale, III, c. IX, art. 3; ed. cit., 480.
2
trata la fede nel mondo, divennero più luminose, e talora così evidenti da divenire per noi un problema
difficile a sciogliersi, come prima o non sieno state vedute dagli uomini o abbian potuto sembrar dubbiose»7.
Trovandosi, dunque, «un primo lume interiore» tanto nella «notizia delle cose naturali» quanto delle
soprannaturali, a ciascuno dei quali corrisponde la verità che «veste varie forme», entrambi si sviluppano nelle rispettive specificità, convenendo sullo stesso oggetto, cosicché «quel primo lume si svolge e per
le proprie meditazioni e per la parola altrui; quell’altro primo lume del pari si svolge e si moltiplica o col
meditare che l’uomo faccia da sé, o ascoltando l’altrui parola: onde lo spirito di Dio come ancora la sua
legge è detta molteplice. Nell’uno e nell’altro ordine dunque si riconosce lo stesso disegno, la stessa mano, lo stesso autore, lo stesso maestro, e questo divino»8.
Tutto ciò vale in massimo grado per la realtà dell’uomo e per la sua costituzione ontologica di essere
persona, che viene ad essere perciò il luogo privilegiato di convergenza delle due vie d’indagine, o dei
due fasci di luce della ricerca filosofica e della datità rivelata che sulla verità dell’uomo si intersecano e si
trasfondono sino ad offrire la massima luminosità. La realtà stessa dell’uomo manifesta del resto in sé,
nel proprio tessuto connettivo come nella propria vitalità esperienziale, una sorta di pressione inquirente
che richiama con forza una tale convergenza: «È la natura dell’uomo quella che, non sapendolo e non
pensandoci l’umano individuo, chiede per grazia il soprannaturale come l’indigente dimanda colla sua
sola indigenza: è la ragione che, avendo un lume, questo le vale a conoscere la mancanza di qualche altro
lume che le completi quel primo … è il cuore umano che esige di possedere tanto di realità, quanto ne
concepisce»9.
A riprova del peso di questa dinamica convergente nel pensiero del Roveretano, rievochiamo la nota
affermazione da molti riconosciuta quale tratto distintivo dell’impostazione rosminiana dell’indagine filosofica nella sua calibratura fenomenologico-induttiva complementare all’impianto deduttivo della riflessione teologica: «La Scuola teologica parti dalla meditazione di Dio, io partii semplicemente dalla
meditazione dell’uomo e mi trovai nondimeno pervenuto alle conclusioni medesime»10.
3. La ragione di continuità di natura e soprannaturale, fondamento dell’antropologia rosminiana della convergenza filosofico-teologica
Accennavamo precedentemente a quanto sarebbe inadeguato riferire a Rosmini un’acritica dipendenza da una teologia dei due ordini, naturale e soprannaturale, quali piani giustapposti e distinti in modo
secco e dualistico. Basti, per dissolvere ogni possibile fraintendimento in tal senso, quanto si legge in una
delle note fissate dal medesimo in guisa di promemoria per la redazione o revisione dell’Antropologia soprannaturale: «Per la prefazione alla seconda parte dell’Antropologia conviene notare come l’ordine soprannaturale è una cotale continuazione dell’ordine naturale. Indi avviene che nell’ordine naturale vi sia
i lineamenti, e quasi l’abbozzo dell’ordine soprannaturale. Però per esprimere le dottrine che appartengono all’ordine soprannaturale, si adoperano le stesse parole che appartengono all’ordine naturale, ma
elle acquistano un significato più sublime.
Prendiamo l’esempio di due parole, conoscenza e amore. Quando Cristo dice Haec est vita aeterna ut
cognoscant te, ecc., la parola conoscere ha un significato soprannaturale, nuovo, ma ella è tolta dall’ordine
naturale. Così la parola diligere, le parole via, verità, vita, giustizia, carità, parola o verbo, ecc. Son tutti trasposti ad un senso più sublime nell’ordine soprannaturale»11.
7.
A. ROSMINI, Introduzione alla Filosofia, Città Nuova, Roma 1979 (EC 2), 73.
8.
Ivi, 155-156.
9.
Ivi, 159.
10.
A. ROSMINI, Rinnovamento della filosofia in Italia, II, 468.
11.
Archivio Storico dell’Istituto della Carità (Rosminiani) - Stresa - A2-58, 49r. Ripr. in: U. MURATORE., Introduzione a: A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, ed. cit., vol. I, 18-19, n. 36.
3
Si tratta ora di trovare la ragione di una tale continuità, per cui l’ordine soprannaturale si innesta nel e
continua il naturale, che ne rappresenterebbe «quasi l’abbozzo», secondo l’espressione del Roveretano.
Rosmini definisce la persona «un soggetto intellettivo in quanto contiene un principio attivo supremo»12, e definisce l’uomo «un soggetto animale, intellettivo e volitivo»13, dove il volitivo rappresenta propriamente il «principio supremo della definizione di persona e tien dietro all’intellettivo quale sua punta
avanzata, giacché la volontà opera dietro conoscenza, ed esprime la parte attiva, quanto l’intelletto esprime la parte passiva o, per così dire, ricettiva». Rosmini fornisce anche un’ulteriore e più articolata
definizione: «L’uomo è un soggetto animale dotato dell’intuizione dell’essere ideale-indeterminato, e
della percezione del proprio sentimento fondamentale corporeo, ed operante secondo l’animalità e l'intelligenza»14.
Quanto alla sua componente corporea, l’antropologia rosminiana offre già un riscontro incrociato elementare dei dati dell’indagine filosofica e del sapere teologico allorché osserva, nel libro IV della Psicologia, a titolo di bilancio di quanto a monte argomentato, che «l’uomo consta di due parti, l’una essenza
di lui, e l’altra condizione; queste due parti non sarebber l’anima e il corpo, ma sì l’anima razionale e il
corpo vivente. A queste due parti sembrano rispondere nelle sacre carte lo spirito e la carne; perocché la
parola carne nelle Scritture non significa la carne morta, ma la carne viva e sensata»15.
Ora, Rosmini afferma che la «religione soprannaturale presenta un elemento essenziale che la differenzia qualitativamente dalle naturali: si tratta di quell’azione reale che Dio stesso opera nello spirito
dell’uomo. Il perché questa religione abbraccia di più della naturale: è quell’elemento divino, che si suole
appellare col nome di grazia, è quello che corona e compisce tutta la serie degli altri elementi, e reca questo tutto, per così dire, che religione si nomina all’ultimo suo perfezionamento»16.
E necessario quindi poter descrivere precisamente il termine dell’operazione di Dio, lo spirito dell'uomo, vale a dire cogliere e concepire propriamente l’essenza dell’anima, per cui Rosmini, poco oltre
nella trattazione, afferma: «Nell’essenza dell’anima adunque, nell’io è l’operazione della grazia: in questo io che è l’identico soggetto di tutte le potenze: perché io medesimo che penso, sono quello che altresì
vuole, che ama, che patisce, che opera: diverso è l’atto del mio pensare, da quello del mio volere, diverso
è il mio patire dal mio fare; ma non diverso, ma sempre identico e unico sono io, a cui tutti questi atti
appartengono come a loro soggetto e principio. Conviene pertanto ascendere alla concezione di questo
sentimento sostanziale, radicale e comune alle potenze tutte che col nome di io si segna; e allora solo si
ha concepito quell’essenza dell’anima di cui parliamo, ove in prima si eseguisce la mirabile operazione
della divina grazia»17. È il Rosmini pensatore moderno che si esprime, qui, riflettendo sul fuoco centrale
e privilegiato d’interesse della modernità rappresentato dalla soggettività personale umana e riconcentrando l’antropologia delle facoltà nell’unità del soggetto18, sostanziata nella sua identità spirituale più
profonda, in alternativa tanto alle soluzioni riduttiviste dei sensismi materialistici del tempo quanto all'incipiente frammentazione dell’io di cui già sembra presagire gli esiti.
L’essenza dell’anima, colta così e riconosciuta nella sua centralità identitaria e unificante del soggetto
personale umano, illuminata com’è dalla concezione rivelata della realtà dell’uomo, a sua volta feconda
la comprensione filosofica stessa della costituzione antropologica: «da questa dottrina che la grazia influisca immediatamente nell’uomo in quanto egli è intellettivo, riceve nuova luce una verità filosofica di
12.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, IV, 769; ed. cit., 427.
13.
Ivi, I, 22; ed. cit., 33.
14.
Ivi, I, 23: ed. cit., ibid.
15.
ROSMINI, Psicologia, IV, c. XXII; Città Nuova, Roma 1988, vol. I (EC 9). 303.
16.
ROSMINI, Antropologia soprannaturale, I, c. IV, a. 1: ed. cit. vol. I, 75.
17.
Ivi, a. 2; ed. cit.. 76-77.
18.
Sull’unità del soggetto personale umano si veda in particolare quanto Rosmini argomenta nell’Antropologia in servizio della
scienza morale, IV, c. IV, 805ss.; ed. cit., 446ss., e nella Psicologia, II, c. V, a. 5-7; ed. cit., vol. I, 108ss.
4
nuovo valore, cioè che l’intelletto propriamente parlando meglio che una potenza si deve chiamare un elemento
dell’essenza dell’anima umana»19.
Rosmini fa poi reagire questa concezione sulla propria gnoseologia, con il risultato che possiamo così
schematizzare:
- Se l’azione della grazia si esercita sul piano intellettivo dell’anima [acquisizione della riflessione teologica, che muove dal dato rivelato],
- solo ammettendo innata l’idea dell’essere (che abilita alla «visione» / riconoscimento intellettuale
dell’ente) nell’intelletto quale elemento essenziale dell’anima [acquisizione speculativa del piano d'indagine filosofico],
- si può ritenere l’uomo suscettibile di accogliere la grazia in sé medesimo [dato teologico].
Non solo, ma la distinzione tra azione ideale e azione reale, nonché l’identificazione della grazia con
un’azione reale, permettono di comprendere l’inefficacia della Legge (relegata allo status di azione ideale) in contrasto con l’efficacia della grazia (quale azione reale)20.
Ricevuta nell’essenza dell’anima, l’azione reale della grazia vi produce un principio attivo nuovo,
«supremo, nobilissimo, potentissimo»21. Ma principio attivo supremo è precisamente, come abbiamo potuto constatare nella definizione rosminiana di persona, l’espressione con la quale Rosmini designa il tratto
della volontà, componente antropologica fondamentale della costituzione originaria dell’umano.
Ora, posto ciò. una tale azione si pone in continuità tale con la realtà antropologica del piano naturale
da saldarvisi e formare un tutt’uno: «il lume della grazia congiunto a quello della natura non forma già
due lumi, o due vite, ma un lume solo ed una vita sola: conciossiaché il lume soprannaturale è l’essere
medesimo più manifestamente veduto, veduto di più forte luce a segno di percepirne in qualche modo
la sostanza»22.
Questa prospettiva, che si attiene fedelmente a quanto la riflessione teologica è in grado di trarre dalla
Rivelazione, nondimeno va ad incontrare nel contempo la concezione rosminiana della costituzione antropologica innestandosi tanto sulla realtà del sentimento fondamentale quanto sulla presenza innata alla ragione dell’essere ideale, suo lume originario. L’azione della grazia produce, infatti, «crea nella nostra essenza, senza che noi n’abbiamo coscienza, un elemento nuovo, un sentimento fondamentale nuovo […] pel quale cominciamo a percepire Iddio come il TUTTO, l’essere sussistente per se stesso; […].
Questo sentimento creato in noi è la creazione dell’uomo soprannaturale, come il sentimento fondamentale animale-ideale è la creazione dell’uomo naturale; perché questi sentimenti sono sostanziali, cioè costi-
19.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, I, c. IV, a. 3; ed. cit., 77.
20.
«Distinta così l’azione ideale dall’azione reale, e veduta l’inefficacia di quella, e la viva efficacia di questa diciamo che
l’operazione divina della grazia, sebbene si compia nell’intelletto, tuttavia è un’azione reale. Questa differenza fra l’azione
ideale, e l’azione reale, è quella stessa che pone la Scrittura fra la legge di Mosè e la grazia di Gesù Cristo. Di nessuna cosa è
così sollecita la divina Scrittura quanto di farci notare quanto la legge di Mosè fosse inefficace per muovere la volontà
dell’uomo, e quanto efficace fosse la grazia di Cristo. La ragione di questa inefficacia è appunto questa, cioè che la legge
non faceva che presentare alla mente delle idee, la fredda cognizione dei doveri: ma la grazia di Gesù Cristo aggiunge a
queste idee una forza che elle non hanno, le infiamma, le rende veramente possenti nell’uomo. Egli è con ciò che s. Giovanni mostra quanto Gesù, il legislatore nuovo, vincesse Mosè il legislatore antico in eccellenza e quanto sia più sublime la
legge nuova sopra la legge vecchia. “La legge, dic’egli, è stata data per Mosè, ma la grazia e la verità è stata fatta per Gesù
Cristo. Tutta la lettera di s. Paolo ai Romani non è che un mirabile commentario di questa verità fondamentale
dell’Evangelio» (Ivi, c. V, a. 1; ed. cit., vol. I, 83).
21.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, I, c. IV, a. 4; ed. cit., vol. I, 91.
22.
Ivi. II, c. I, a. 5; ed. cit., vol. I, 305. Prosegue significativamente il Rosmini: «Ed egli è pur verosimile che volendo Iddio dare
all’uomo luce e vita gliel’abbia data in quella misura che gli bisognava; e non già partita cioè glien’abbia data prima una
porzione insufficiente, per dover poi dargliene un’altra e così soddisfare al bisogno rimasto non adempito colla prima,
quasi come chi non ha a pagare la somma intera di un tratto, che soddisfa al suo creditore pagandolo in tre rate: il che non
si può pensare di Dio» (ibid.).
5
tuenti l’IO, l’essenza specifica, la sostanza dell’anima»23.
L’operazione della grazia nell’anima è qualificata come deiforme da Rosmini, che peraltro si cimenterà,
poco oltre, a rilevare «quanto una sì fatta dottrina convenga a capello con tutto ciò che insegna un'accurata filosofia dello spirito umano, come pure con quanto io ho di sopra espresso intorno alla grazia»24.
Tale intervento va, in forza della sua vis unitiva, per così dire, a «sostanziare» l’essere ideale che sul
piano naturale è originariamente disponibile all’intelletto come suo lume, determinandolo rispetto alla
primaria in determinatezza - che pure resta lo sconfinato campo luminoso nel quale soltanto può accendersi e perciò la condizione prima del suo accoglimento -, portandolo nel contempo, secondo quanto dicevamo poc’anzi, alla sua piena efficacia nella sfera pratica. Il riscontro tra il dato rivelato e i risultati
dell’indagine filosofica sono sorprendenti: «È singolare e degno di ogni attenzione il riscontro che v’ha
fra l’ordine naturale, e l’ordine soprannaturale dell’uomo, fra il sentimento che costituisce l’uomo un essere ragionevole, e il sentimento che costituisce l’uomo un essere congiunto con Dio. Tutti due questi
sentimenti sono formati all’unione dell’ESSERE allo spirito umano: il primo è l’unione dell’essere ideale, il
secondo dell’essere reale. L’idea dell’essere data all’uomo il rende intellettivo, l’Essere stesso (Iddio), agente nell’uomo solleva quest’essere intellettivo ad una specie nuova d’intelligenza qual è il soprannaturale: la prima è una concezione, la seconda una percezione (sebbene solo incipiente in questa vita): la
prima è come una delineazione dell’essere, la seconda è il compimento, il realizzamento dell’essere
nell’uomo»25. Rosmini offre ancora una significativa sintesi di tale concezione allorché la rapporta ai sistemi alternativi platonico e scolastico, distanziandosi dal secondo per la negazione che comporterebbe
dell’esperienza diretta di Dio nella vita di grazia, ma fornendo al tempo stesso una possibile interpretazione del pensiero di Tommaso come concordante con la propria posizione: «Il terzo sistema è quello che
noi seguiamo, e che stimo conforme alla verità ed alla ecclesiastica tradizione è quello che stabilisce il
lume della ragione non esser più che una appartenenza o se si vuole anco una incoata similitudine di
Dio, ma non Dio stesso: il lume poi della fede essere la stessa divina sostanza. Quindi l’ordine naturale
esser costituito dalla partecipazione dell’essere ideale; l’ordine poi soprannaturale essere costituito dalla
partecipazione dell’essere reale: e quest’ordine essere un compimento, e perfezionamento di quello come
l’essere reale non è che un compimento e perfezionamento dell’essere ideale»26.
Torniamo, così, ad incrociare la questione dei due ordini, naturale e soprannaturale, di cui si conferma la concezione rosminiana, tutt’altro che di giustapposizione, di reale continuità, in fedeltà su questo
punto alla più pura concezione tomista che il Roveretano riesce a tenere sgombra dagli inquinamenti
23.
Ivi, I, c. V, a. 7; ed. cit., vol. I, 100.
24.
Ivi, I, c. V a. 16, § 3; ed. cit., vol. I, 114. L’argomento fa leva sul fatto che «è per una ricerca filosofica sullo spirito umano
che si trova non poter l’uomo giammai pienamente soddisfare, e quietare come in suo termine il suo appetito; se non perviene al possesso di TUTTO L’ESSERE di TUTTO IL BENE: nessuna cosa, nessun bene particolare qualunque sia può fermare, e
saziare veramente il desiderio dell’umana natura. […] La ragione di ciò […] nasce dalla natura dell’idea dell’essere, che è la
forma dell’uomo come essere intelligente» (ivi, 115). Ora, l’avvertimento, nell’esperienza spirituale, di essere in presenza
del «TUTTO, ove niente manca dell’essere» e il perfetto acquietamento del desiderio dimostra che «si sente, nell’operazione
della grazia, tutto l’essere, dunque si sente Dio stesso, dunque l’operazione è deiforme» (ivi, 116). Sulla teologia della grazia in Rosmini si veda R. BESSERO BELTI, La dottrina della grazia in Antonio Rosmini, in: Humanitas 10 (1955), 856-873; G. CRISTALDI, Grazia e fede rii Rosmini: Struttura ed evento nell’Antropologia soprannaturale, in: Rivista Rosminiana 81 (1987), 357-368;
F. SCOLARI, L’uomo santificato secondo l’antropologia soprannaturale di A. Rosmini, Sodalitas. Stresa 1990; G. COLZANI, Il compimento deiforme della creatura. L’Antropologia soprannaturale come ristorazione, della persona, in: La Scuola Cattolica 124 (1996),
111-130.
25.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, I, c. V, a. 7; ed. cit., vol. I, 100. Rosmini aggiunge in nota: «V’è anche un altro riscontro degno da farsi fra il principio dell’uomo naturale (essere ideale), e il principio dell’uomo soprannaturale (essere
reale); ed è questo. L’essere ideale è l’essere incipiente, cioè privo de’ suoi termini (v. N. Saggio ecc. vol. IV, facc. [sez. VII,
1424]) che compiscono l’essere e il rendono reale. L’essere principio dell’uomo soprannaturale, non è l’essere possibile e indeterminato, ha il suo termine e perciò è determinato e reale: ma questo termine ci è dato in questa vita in modo perfettamente indistinto (non ha che il concetto del tutto) ed è un iniziamento della percezione dell’essere reale» (Ivi, n. 119).
26.
Ivi, I, c. V, a. 16, § 5; ed. cit., vol. I, 120.
6
delle interpretazioni fuorvianti della teologia dell’età moderna:
La divina Provvidenza che ha per termine fisso il condur l’uomo alla perfezione morale, diresse nella sua sapienza le operazioni di lei a seconda degli sviluppamenti naturali dell’umanità; i quali però venivano influiti e
aiutati da queste stesse divine operazioni. Di che è ragione questa, che l’ordine soprannaturale s’innesta su
quello della natura di cui è compimento.
E poiché l’ordine della natura era guasto, però insieme colle facoltà umane dovea svilupparsi altresì il seme
di peccato giacente nella natura, e coll’aumentare le operazioni umane crescere altresì l’umana perversità.
Due sono adunque gli sviluppi simultanei dell’uman genere: 1° quello delle facoltà naturali, e 2° quello del
germe vizioso che nell’uomo caduto si chiude.
E secondo questi due sviluppamenti la misericordia di Dio ordinava altresì lo sviluppo dell’ordine soprannaturale acciocché le facoltà sviluppate potessero di mano in mano tendere a Dio, e crescere altresì la virtù del
rimedio contro il peccato27.
4. L’antropologia della convergenza filosofico-teologica al punto di saldatura degli orizzonti naturale e soprannaturale. Verso una Teologia Sacramentaria
È facilmente immaginabile come una tale concezione ci proietti nell’ambito della Teologia Sacramentarla, giacché «lo sviluppo dell’ordine soprannaturale disposto dalla misericordia di Dio nell’insidere
sulla natura umana nella sua totalità, comprensiva della sensibilità corporea, va a costituire il fatto o esperienza sacramentale. Di questa è innanzitutto determinante il “carattere”, impronta indelebile generatrice della nuova condizione o elevazione soprannaturale del soggetto investito dalla grazia: Come nell'ordine della natura, l’intelligenza è data all’uomo pel dono della luce dell’essere, così è data all’uomo
una intelligenza soprannaturale pel dono della luce del Verbo che costituisce il carattere sacramentale.
Come l’aggiungersi a noi la luce dell’essere è un crearci nell’ordine della natura, così l’aggiungere a noi
pe’ Sacramenti la luce del Verbo è un crearci nell’ordine della grazia. E come tutto ciò che fa Dio per via
di creazione non lo distrugge più mai, poiché è egli solo che lo fa, senza il concorso della creatura, secondo ciò che sta scritto “Non hai odiato nulla di tutto ciò che tu hai fatto” (Sap 11,24), così né l’uomo
può più perder giammai l’intelligenza; né può perder più mai il carattere, il quale per questa ragione si
chiama indelebile. I teologi della perpetua durata del carattere adducono appunto questa ragione, che
egli è impresso in un soggetto incorruttibile, cioè nell’anima, la quale ragione ha tutta la sua forza ove si
tenga la sentenza nostra, che egli giaccia nella stessa sostanza dell’anima, la quale viene modificata o
piuttosto accresciuta con esso carattere»28.
Si comprende da tutto ciò, assimilando anche quanto rilevato sulla «creazione dell’uomo soprannaturale», come la figura rosminiana del carattere trovi fondamento, con tutta la teologia sacramentarla e della comunicazione della grazia, nella Cristologia, la cui rilevanza teoantropologica ci riserviamo di affrontare in una fase più avanzata della trattazione.
Ancora, la dottrina rosminiana del sentimento fondamentale corporeo e delle sue modificazioni in virtù
delle quali si ha esperienza sensibile e, di qui, conoscenza degli enti determinati all’incrocio con l’idea
dell’essere che permette di riconoscerli nella sua luce, offre una chiave di comprensione della realtà dei
sacramenti quali veicoli di grazia: infatti, tra i segni che manifestano l’essere nello stato naturale, alcuni
sono congiunti con un principio soprannaturale e «fanno nell’uomo un’operazione deiforme senza però
aver bisogno che l’uomo ne intenda il significato»29.
27.
«Perciò di pari passo con ambo gl’indicati sviluppamenti delle facoltà naturali, e della perversione dell’umanità procede:
1° L’incremento della rivelazione; 2° La fede de’ santi si rende sempre più esplicita; 3° Ad una fede più esplicita corrisponde nuova specie di grazia; 4° La rettitudine della volontà corrispondente alla grazia, viene negli uomini santi sempre
più dimostrandosi mediante un’intenzione più pura e spoglia di vedute terrene» (A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale,
IV, pt. II, c. VII, a. 6; ed. cit., vol. II (EC 40), 189-190).
28.
Ivi, IV, pt. I, c. VII, sez. II, a. 9, § 9, ed. cit., vol. II, 223-224.
29.
Ivi, IV, pt. I, c. I, a. 9; ed. cit., vol. II, 34.
7
5. Volontà e libertà. La costituzione antropologica e la dottrina del peccato originale alla
prova del riscontro incrociato dell’indagine filosofica e della riflessione teologica
Sulla volontà Rosmini poggia la propria riflessione filosofica intorno alla libertà umana. Questa si esprime pienamente solo nell’adesione alla verità: l’accordo tra libera volontà e propria natura conferisce
unità e perfezione all’uomo e lo rende veramente libero.
Nell’orientamento della volontà umana in rapporto all’essere in universale, Rosmini riscontra quanto
comporta la dottrina del peccato originale: «oggimai io credo, non esser difficile d’accorgersi che si possa
dare e che veramente si dia una filosofia la quale rechi molta luce nella stessa dottrina dell’original peccato, e faccia in essa dileguarsi molte di quelle nubi che l’ignoranza umana vi vedea, o piuttosto vi produceva»30.
La dottrina del peccato originale è vista da Rosmini come un nodo centrale del dogma cristiano, irrinunciabile e fondamentale nella sua architettura31. Nondimeno ne riconosce il carattere problematico,
quale dottrina spinta fino ai limiti di un’apparente assurdità32. Esso sottostà all’enigma umano ed al
complesso problema della tendenza al male che lo affetta quale irresistibile inclinazione sin dalla nascita.
Vi sottostà, giacché la sua stessa configurazione fattuale remota ne consegna la restituzione fedele alla
necessità di un sapere rivelato.
«Per due ragioni i popoli e i filosofi non potevano uscire dal labirinto della strana questione dell'origine del male: primo perché lo scioglimento di una tale quistione dipendeva dalla notizia di un fatto, di
cui i racconti tradizionali avevano col procedere de’ secoli alterate e confuse in mille maniere le circostanze; […] secondo perché quel fatto, quando pur si fosse conservato nelle tradizioni de’ popoli senza
alterazione alcuna, tuttavia egli riuscir dovea cosa oltremodo misteriosa ed oscura»33. Nondimeno un tale sottostare è solidale con la profonda ragion d’essere dello statuto ontoetico della persona umana altrimenti traducibile nei termini di quell’autentica filosofia che restituisce la verità dell’uomo, il suo ritratto fedele.
Si tratta di quella soggiacente filosofia capace, una volta portata ad esplicitazione, di «recare molta luce» nella dottrina del peccato originale, cui accennava nel luogo dell’Antropologia soprannaturale poc'anzi citato.
Propostosi di far socraticamente da levatrice a «questa filosofia, che giace occulta nelle viscere della
cristiana teologia», affinché «venga alla luce», Rosmini rileva che «tutta la dottrina della natura del pec30.
Ivi, III, c. IX, a. 3; ed. cit., vol. I, 482.
31.
Ciò è ben chiaro nel giudizio che ne dà ne Il razionalismo teologico, 14, Città Nuova, Roma 1992 (EC 43), 50. «Ed ella è cosa
pur indubitata essere il dogma del peccato fondamento di tutto il Cristianesimo. Distrutto quel dogma è resa inutile la redenzione di Gesù Cristo o certo ella cessa di essere redenzione. Quindi è tolta la cagion massima dell’Incarnazione del
Verbo». Si veda, sulla dottrina del peccato originale in Antonio Rosmini, R. SCIAMANNINI, La nozione di peccato originale in
A. Rosmini, in: Città di Vita 5 (1955), 520-532; I. SANNA, La volontarietà del peccato originale secondo Antonio Rosmini. Una rilettura, in: Credere pensando. Domande alla teologia contemporanea nell’orizzonte del pensiero di Antonio Rosmini, a cura di K. H.
Menke e A. Staglianò, Morcelliana, Brescia 1997, 293-340; P. GOMARASCA, Antonio Rosmini (1797-1855), in: Il peccato originale
nel pensiero moderno, a cura di G. Riconda - M. Ravera - C. Ciancio – G. L. Cuozzo, Morcelliana, Brescia 2009, 753-769.
32.
«Esso [il dogma del peccato originale] è annunziato nelle divine Scritture come un fatto, né si pone cura ad accompagnarlo
di alcuna ragione. Egli anzi alla ragione umana di prima giunta si presenta siccome il più mostruoso assurdo, o certo come
un impenetrabile mistero» (A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, III, c. IX, a. 3; ed. cit., vol. I, 481). Rileviamo in questo
punto la singolare tangenza dell’argomentazione rosminiana con il ruolo esplicativo del paradosso della natura umana
che il peccato originale riveste nell’apologetica di Pascal: «Il peccato originale è una follia per gli uomini, ma lo si dà per
tale. Non potete dunque rimproverarmi l’irragionevolezza di questa dottrina, perché appunto la presento come irragionevole. Ma questa follia è più saggia di tutta la saggezza degli uomini, sapientius est hominibus. Perché, senza di essa, cosa si
potrebbe dire dell’uomo? Tutta la sua condizione dipende da questo punto impercettibile. E come potrebbe capirla con la
sua ragione, dal momento che è una cosa irragionevole e che la sua ragione, lungi dall’inventarla con i suoi mezzi, se ne
allontana quando gliela si presenta?» (B. PASCAL, Pensées, XXV/695 ed. Lafuma (445 ed. Brunschvicg: 448 ed. Chevalier).
33.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, III, c. IV; ed. cit., vol. I, 379.
8
cato originale riceve chiarissima luce da due verità filosofiche le quali noi abbiam provato con ragioni
naturali, e che costituiscono per così dire la teoria filosofica dell’uomo»34.
Le due verità di ragione guadagnate in sede filosofica sono: 1) la distinzione reale tra la presenza
nell’anima di una data idea o sentimento e l’avvertimento cosciente della medesima; 2) «che l’uomo fino
dal primo istante del suo esistere ha un sentimento fondamentale e l’idea dell’essere universale, dei quali però egli non ha ancora avvertenza, dei quali due elementi succede poi tutto lo sviluppo umano». Rosmini può allora affermare che, «ben provate queste due verità, tutto ciò che ha di più oscuro la natura
del peccato originale si chiarifica. Perocché non è più un assurdo apparente ma anzi una verità chiarissima il dire, che nel fanciullo appena nato v’abbia una volontà verso l’essere in universale, la quale sia
piegata e tirata dalla violenza del sentimento animale: sebbene questa volontà non sia libera»35. La distinzione permette a questo punto a Rosmini di penetrare sin nel cuore del problema, ed offrirne, se non
la soluzione, almeno la condizione di non impossibilità, vale a dire, in ultima istanza, di non contraddittorietà, andando ad incontrare la distinzione di peccato e colpa. Egli, infatti, può trarre il seguente bilancio concettuale: «Ed or ciò posto una immoralità si trova nell’uomo fino dalla prima sua esistenza la quale ha ragion di peccato, sebbene non abbia ragione di colpa, perocché a formar il peccato abbiam detto
bastare la volontà, a formare poi la colpa esigersi altresì la libertà»36. A riprova dell’operazione speculativa il Roveretano avoca a sé la testimonianza di Vincenzo Palmieri, che propriamente di contraddizione
accusava l’eventuale ridursi del pensiero cristiano alla negazione dell’innatismo, confortandone la posizione con la propria teoria sull’origine delle idee, laddove il Palmieri non poteva disporre di «un sistema
delle idee innate che potesse al tutto reggersi e sostenersi contro gli avversarj», e aggiunge: «Il peccato
originale non accennava se non la necessità di un sistema filosofico che ammettesse qualche cosa d'innato, ma non dicea che solo una diligente e fedele investigazione della natura della mente umana dovea
poi trovare che cosa fosse questo che d’innato; e questa ricerca da noi affrontata ci condusse alla teoria
della naturale percezione dell’essere in universale»37.
Nella sua essenzialità il peccato originale è definito da Rosmini «una volontà che è suprema e che è
inclinata al male, ma che non è libera»38.
Nella nozione adunque di peccato in genere, che ci dà la Scrittura e la Chiesa, non entra l’elemento della libertà. Dee bensì entrarci quello della volontà, perocché senza questa, saremmo ridotti ad un mal fisico, non
mai ad un male morale. Di più, sebbene questo peccato d’origine non sia l’effetto della libertà nostra, ma di
quella del primo padre, tuttavia tira dietro a sé la dannazione. Questa dannazione non viene a noi per colpa
nostra personale, ma per essere l’uomo tutto intero, fino nel suo più elevato principio, guasto e perduto in
conseguenza della colpa del primo padre39.
Il procedimento di Rosmini di portare a convergenza la ragione critica con il dato rivelato mostra qui
un significativo risvolto apologetico, giacché il sopraggiungere in un tempo avanzato della storia della
riflessione umana del riscontro speculativo di quanto ab origine affermato dalla Rivelazione cristiana e
fermamente ed imperturbabilmente sostenuto dalla Chiesa, permette di riferirne la genesi a Chi veramente poteva soltanto aver presente il quadro completo della condizione umana: «Quel maestro che lo
insegnò il primo non dovea esser pure qualche gran cosa, se confidò agli uomini un risultamento che
non potea dare se non una dottrina che non sarebbe stata nota, se non quando il mondo fosse ben vecchio?»40.
Sotto questo rispetto, il metodo del Roveretano in quella che abbiamo definito l’intersezione dei piani
34.
Ivi, III, c. IX, a. 3; ed. cit., vol. I, 482.
35.
Ivi, 482-483.
36.
Ivi, 483.
37.
Ivi, 484.
38.
A. ROSMINI, Trattalo della coscienza morale, 107.
39.
Ivi, 108.
40.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, III c. IX, a. 3; ed. cit., vol. I, 484.
9
filosofico e teologico del sapere non è altro che la presa d’atto o la registrazione ammirata di quello che
potremmo chiamare il «metodo della realtà» nel suo sviluppo storico, dove il dato rivelato illuminante la
verità dell’uomo precede la speculazione filosofica e ne attende, per secoli se necessario, il positivo riscontro. Tale procedimento di convergenza è finalmente sintetizzabile in quanto Rosmini stesso esprime
portandosi ormai verso la conclusione del Libro III dell’Antropologia Soprannaturale:
A me pare di veder ben chiaro l’impronta di un magisterio divino in questa maniera di enunziare le più sublimi verità e apparentemente contrarie alla ragione, come altrettanti fatti indubitabili senza fornirle di loro ragioni e spiegazioni: il ciò farsi per molti secoli: e il venir solo in ultimo col progresso delle scienze trovate
quelle ragioni che rendono quei misteri chiari o certo che li dimostrano anziché contraria alla ragione ad essa
medesima necessari e d’essa nobile finimento41.
La ragione segue, dunque, il dato di fede e lo chiarifica con la propria indagine, in quanto quello si
pone necessariamente come un originario, un depositum che il cristiano accoglie nell’esperienza e nella
vita di fede. Non dimeno, la ragione precede, in quanto il porsi dell’intelletto umano in presa sulla realtà,
e in ultima istanza il lume della ragione costituito dall’essere ideale è a sua volta un originario rispetto al
quale non è dato retrocedere ad orizzonte alcuno di ulteriorità, un originario che ha luogo nella stessa
Ratio del Fondamento assoluto dell’essere, per cui è nel Logos divino che si ritrova la scaturigine di quella philosophia perennis che innerva la storia ed è destinata perciò a venire, col tempo, alla luce, a portarsi
in vista dell’intelletto finito dell’uomo. Tali implicazioni - che dovremmo chiamare apologetiche, se questo termine non avesse assunto nel nostro tempo un’immeritata tournure peggiorativa -, risultanti dalla
riflessione teoantropologica convergente di filosofia e teologia sul nodo del peccato originale (nel venire
assunto dal versante teologico) o dello statuto ontoetico della persona umana (nell’essere osservato dal
versante filosofico), Rosmini le aveva così anticipate, nel medesimo articolo dell’Antropologia soprannaturale sul quale ci siamo negli ultimi paragrafi soffermati, ravvisando in tale convergenza «una manifestissima prova della verità della divina rivelazione. Perocché non può esser l’opera degli uomini una dottrina che gli uomini, che per molti secoli l’hanno insegnata confessano inesplicabile e di cui non danno altra prova che la divina rivelazione: una dottrina che tuttavia col correre de’ secoli acquista sempre più
luce: una dottrina che per quantunque nuove verità naturali si scoprano, ella non si trova mai in contraddizione con alcuna: una dottrina che anzi si mostra in mirabile accordo colla filosofia più che questa
si approfondisce, e che perciò mostra supporre sotto di sé la più profonda filosofia quasi un suo preliminare: quindi una dottrina che non poté essere annunziata se non da un Essere che fosse già in possesso
precedentemente di una tale filosofia che ad essa dottrina forma quasi direi un sotterraneo e tutto occulto fondamento»42.
Si perviene così alla descrizione rosminiana della ragione tracciata programmaticamente nell’Introduzione alla filosofia come di ciò che precede, accompagna, e segue la fede, e si chiarifica il senso del reciproco
ingranare e sovrapporsi alterno e incessante dei due versanti dell’indagine: «l’intelligenza nell’uomo cattolico precede, accompagna, e sussegue la fede, di maniera che la fede cattolica non va giammai scompagnata dalla luce dell’intelligenza, quando, se più addentro è dato di penetrare, la fede stessa è una
parte, la parte migliore di questa luce »43.
6. Il compimento dell’intersezione dei piani filosofico e teologico del sapere. Lo sbocco
dell’antropoteologia rosminiana nella Cristologia
Se l’azione della grazia nell’anima dell’uomo, e segnatamente nella componente antropologica attiva
del suo principio attivo supremo, è, come abbiamo potuto vedere, designata da Rosmini come «operazione deiforme»44, la sua massima espressione e realizzazione sarà rappresentata evidentemente dall'In41.
Ivi, 485.
42.
Ivi, 480-481.
43.
A. ROSMINI, Introduzione alla Filosofia - Degli studi dell’autore, II, 1, 30; ed. cit., 61.
44.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, IV, c. V, a. 2, § 2; ed. cit., vol. II, 34.
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carnazione di Cristo, in quanto farsi uomo di Dio, operazione deiforme in sommo grado nella sua valenza
in-formante l’umanità dell’essere di Dio stesso, al punto da essere paragonata, sin dall’età apostolica, ad
una nuova creazione45 e venendo ora, in Rosmini supportata, sul versante filosofico, dalla sua nozione di
causa formale oggettiva46. Del resto, guardando in prospettiva unitaria all’intero arco vetero - neotestamentario, nel processo di graduale liberazione tracciato dalla grazia nella Storia della Salvezza, con il progressivo chiarificarsi della Rivelazione il Verbo perviene alla pienezza del suo manifestarsi in Gesù Cristo.
Così si esprime in proposito il Roveretano: «La reale e piena manifestazione e comunicazione che Iddio fece di sé agli uomini fu solo nella incarnazione. Prima di Cristo adunque v’aveano bensì delle operazioni divine nelle anime degli uomini, degli effetti e doni di Dio, ma Dio stesso non era ancora sostanzialmente e pienamente comunicato all’umanità»47. E ancora, si noti, la grazia nell’accezione fondamentale di operazione divina che si esercita quale suo termine nell’anima dell’uomo ad essere in questione.
Ora, la grazia si comunica all’uomo precisamente mediante l’umanità di Cristo.
Nel Della costituzione dell’universo Rosmini riformula così la definizione di persona: «il principio
dell’atto dell’essere in un individuo intelligente», e precisa: «non si dice “in una natura intelligente”, perché le nature possono essere più, come nel Nostro Signore la divina e l’umana, ma si dice in un individuo.
Si dice il principio dell’atto e non lo stesso individuo intelligente, perché la persona del nostro Signore Gesù Cristo era divina. Il principio, cioè, onde sussisteva questo individuo intelligente, che si chiama Gesù
Cristo, era Dio. L’individuo stesso all’incontro era Dio-e-uomo. Si dice il principio dell’atto e non l’io, poiché questo può esistere senza essere principio dell’atto, come io umano in Gesù Cristo»48.
L’antropologia raggiunge così la Cristologia, e ne risulta inverata e autenticata, e non solo quanto al
potenziale esplicativo che è in grado di esprimere il mistero dell’Incarnazione sulla verità dell’uomo, ma
in virtù dell’incorporazione stessa dell’uomo in Cristo, che ne consolida una volta per tutte lo statuto ontologico, saldandolo in Dio stesso: «in questa solenne parola, in Christo, - scrive Rosmini ne L’Introduzione
del Vangelo secondo Giovanni commentata - si contiene compendiato tutto il Cristianesimo, perché esprime
la reale mistica unione dell’uomo con Cristo, nella quale unione e incorporazione consiste il Cristianesimo in atto»49. Così, grazie a quest’ultimo innesto e sbocco, vediamo l’antropologia elevarsi al vertice del
sapere teologico, nel cuore della Teologia Trinitaria.
7. Elevazione ai sommi vertici del sapere filosofico e teologico: l’antropologia filosoficoteologica rosminiana nel rispecchiamento reciproco di Teologia Trinitaria e ontologia
triadica delle forme dell’essere
Nel procedere, nell’Antropologia soprannaturale, con la riflessione sull’operazione della grazia che aveva designato per deiforme, Rosmini afferma la medesima essere, ancor più precisamente, triniforme. Tale
qualità egli riferisce innanzitutto all’azione divina in generale - «l’operazione di Dio è una, ma il modo
della medesima è trino»50 -, dopodiché lo riferisce in particolare alla creazione, ragione per cui è possibile
45.
Cfr. 2Cor 5,17; Gal 6,15. Cfr, Epistola di Barnaba, VI, 11.13-14: «Dopo averci rinnovati col perdono dei peccati, ci ha plasmati
con un’altra forma, come se avessimo l’anima dei fanciulli, e ci ha di nuovo creati. […] Negli ultimi tempi fece una seconda creazione. Dice il Signore: “Ecco, io faccio le ultime cose come le prime”. […] Dunque, noi fummo creati una seconda
volta, […]».
46.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, I, c. V a 16, § 6; ed. cit., vol. I, 124ss.
47.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, IV, c. VII, a. 10, § 9, vol. II, 165-166.
48.
A. ROSMINI, Della costituzione dell’Universo, CI, in: G. FERRARESE, Ricerche sulle riflessioni teologiche di A. Rosmini negli anni
1819-28, Marzorati, Milano 1967, 207.
49.
A. ROSMINI, L’introduzione del Vangelo secondo Giovanni commentata, a cura di R. Bessero Belti, Cedam, Padova 1966, 153.
50.
A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, I, c. V, a. 17, § 1, <C>; ed. cit., vol. I, 139. «Egli è principio costante de’ maestri della
cristiana dottrina che l’operazione di Dio non si distingue da Dio stesso: quindi come Iddio è uno e trino, così la divina operazione dee essere una e trina; come Iddio è uno nella sostanza e trino nel modo in che sussiste questa sostanza, così
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riconoscere nell’universo «il vestigio della santissima Trinità»51, rappresentato al massimo grado dalla
strutturazione dell’essere creato, quale è osservabile «sotto tutte le sue forme e modi possibili», ultimativamente riconducibili a «tre forme primitive e originali, inconfusibili fra di loro, che riconobbi - afferma
il Rosmini - esser le tre forme, di cui era informato l’universo, ossia i tre modi dell’essere creato. Queste tre
forme o modi dell’essere sono: 1° l’essere reale; 2° l’essere ideale; 3° l’essere morale»52. Il percorso filosofico -teologico, sospinto sino al vertice del sistema dall’onda lunga della riflessione antropologica, si salda, qui, al nucleo solido centrale dell’ontologia metafisica rosminiana, che finisce a questo punto per rispecchiarsi nella Teologia Trinitaria la quale, dal canto suo, rappresenta il nucleo centrale della Teologia
cristiana. Vi si rispecchia «inverandola» dal suo punto d’osservazione, come sin qui abbiamo visto muovere il procedimento convergente del Roveretano.
Allo stesso tempo, è ancora l’antropologia ad affacciarsi, giacché è in essa che vi ha riscontro quanto è
esperibile della realtà di un essere personale connesso alla nozione di sostanza, ed è rispetto a questo che
sporge, portando la conoscenza della struttura dell’essere oltre quanto semplicemente disponibile all'indagine filosofica, il dato di rivelazione di una sostanza tripersonale: «nell’uomo, che è l’unico essere personale di cui abbiamo esperienza non v’è che una persona la qual si regge dalla sostanza sebbene abbia
la sua base e la sua qualità dalla forma intellettuale-morale di cui è informata quella sostanza. All'incontro il misterio della santa Trinità che propone da credere la cattolica fede consta di una sostanza nella
quale sono tre personali sussistenze, cioè tre distinte persone»53.
Sporge, dunque, e come inderivabile dalla sola ragione54, quel mistero senza il quale del resto la realtà
intera non si spiegherebbe così a fondo quanto illuminata dalla conoscenza della causa, valendo ancora
una volta il principio del mutuo sostegno e della feconda illuminazione reciproca tra il dato offerto dalla
Rivelazione e quanto guadagnato dalla speculazione filosofica, cosicché «ove non si ammetta il mistero
della Trinità cristiana nulla si spiega, tutto l’universo è un enigma impenetrabile. Che perciò? Avrebbe
per questo la ragione sola trovata la soluzione di questo enigma? No certamente; perché per ricorrere al
mistero della santissima Trinità, se si vuol anco come ad una ipotesi, per ispiegare sufficientemente l'esistenza del mondo bisognava poter concepire questo mistero, perché non si ricorre mai ad una ipotesi se
questa ipotesi non si concepisce. Ora la ragione non potea e non può concepire il mistero della santa Trinità; e la sola fede lo ha proposto a credere. Era dunque impossibile che la ragion naturale ricorresse da
sé a questo mistero per ispiegare il mondo; perché non avrebbe giammai potuto pensare che una sostanza in tre persone fosse possibile: a quello stesso modo come il cieco nato non può pensare la possibilità
de’ colori senza che gli vengano da altri che veggano in qualche modo notificati»55.
In rapporto alla Trinità ritroviamo infine la costituzione antropologica, tale e quale è stata delineata
da Rosmini in sede di indagine filosofica, giacché è la complementarietà ricettivo-attiva del binomio costitutivo di intelletto e volontà, afferenti all’essenza dell’anima che della persona, come si è potuto vedere, è il centro unificatore, ad accogliere distintamente l’operazione propria delle divine persone del Verbo e dello Spirito: «Lo Spirito Santo è la santità stessa, la carità originaria che informa l’anima nostra.
Dunque esso opera nella volontà. Né meno opera per questo nell’essenza dell’anima come il Verbo, perocché anche la volontà si radica nell’essenza dell’anima: l’essenza dell’anima intellettiva è ad un tempo
passiva ed attiva; in quanto è passiva riceve le specie delle cose, il che costituisce l’intelletto; in quanto è
l’operazione stessa dee essere una, ma trino il modo della medesima» (ivi, 140).
51.
Ivi, <D>, ed. cit., vol. I, 141.
52.
Ivi, <E>, ed. cit., ibid.
53.
Ivi, <H>, ed. cit., vol. I, 147.
54.
In ciò Rosmini si attiene dichiaratamente alla linea di Tommaso: «Sebbene d’una trina forma sia impresso l’universo, e risplenda ovunque luminosamente il carattere di una causa trina e di una trina operazione che lo produsse; tuttavia l’uomo,
come dice l’Aquinate, senza la divina rivelazione non avrebbe avuto un sufficiente argomento nelle creature da indurne il
conoscimento del misterio della santissima Trinità» (Ivi; ed. cit., vol. I, 146).
55.
Ivi, ed. cit., vol. I, 147-148.
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attiva riconosce le cose che vuole, le ama, il che costituisce la volontà. All’incontro il Verbo che è l'intelligibilità dell’essere risiede nell’intelletto e ivi opera, ivi si manifesta»56.
Tale l’azione reale della grazia triniforme, che finalmente involge e porta a sé la persona umana, nella
sua completezza, nella sua tridimensionalità di sentimento fondamentale, intelletto e volontà, saturando
da ultimo quell’apertura trascendentale infinita che invano si cercherebbe di colmare volgendosi al finito, il cui potenziale di appagamento non sa in ultima istanza rendere ragione della verità dell’uomo.
ALBERTO PERATONER
docente di Filosofia Teoretica
Studium Generale Marcianum – Venezia
e di Antropologia filosofica
Facoltà teologica del Triveneto - Padova
56.
Ivi, I, c. V. a. 18, § 16: ed. cit,, vol. I, 184-185.
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