Rapporto di previsione - Dicembre 2014

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Rapporto di Previsione 2014-2016
Sommario e Conclusioni
Dicembre 2014
Ufficio Analisi Economiche
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AfO - Rapporto di previsione
12/2014
Sommario e Conclusioni
Sommario e conclusioni
Quadro d’assieme
1. Nel quarto trimestre di quest’anno l’economia italiana dovrebbe aver smesso di recedere.
Secondo le indicazioni di questo Rapporto, redatto insieme agli Uffici Studi delle principali
banche operanti in Italia, l’inversione delle tendenze fin qui invalse dovrebbe consolidarsi nel
corso del 2015; la comunque fragile crescita media annua del prossimo anno (+0,6%, 1
decimo di punto in più rispetto a quanto prefigurato dal Governo) dovrebbe poi all’incirca
raddoppiare nel 2016 (+1,1%). Quello che è in atto oggi nel panorama macroeconomico è,
in sostanza, un miglioramento relativo del nostro Paese rispetto al complesso dell’Area euro,
miglioramento che avviene però in un contesto di non rassicurante arretramento del quadro
europeo; su tale arretramento hanno certamente influito, negli ultimi trimestri, fattori
geopolitici (Russia-Ucraina, Siria, etc.) ed un indebolimento del commercio internazionale
riconducibile alle dinamiche dei paesi emergenti; cionondimeno esso è la risultante di
un’insoddisfacente andamento della domanda interna dell’Area euro il che pone forte
all’ordine del giorno il tema dell’impostazione delle politiche economiche e del mix tra
politiche monetarie, fiscali e strutturali.
2. A “sostenere” i destini europei è oggi prevalentemente la BCE, con un’azione multi fronte
della politica monetaria; e tuttavia, come più volte sottolineato dal suo stesso Presidente, se
la politica monetaria può fare (e sta facendo) molto, essa non può fare tutto; soprattutto se la
politica fiscale non riesce ad assumere quel tono europeo che sarebbe necessario. Il risultato
delle recenti aste di rifinanziamento TLTRO, che nonostante la buona partecipazione delle
banche italiane, si è mantenuto nella fascia bassa delle aspettative della BCE, sembra indicare
come anche le azioni non convenzionali tradizionali (aste di rifinanziamento a lungo termine)
necessitino probabilmente di una ulteriore dose di non convenzionalità o tramite
l’inserimento nel programma di acquisto di ABS di condizioni più favorevoli rispetto a
quanto oggi prospettato, o tramite un quantitative easing sui titoli di Stato. Lo sforzo espansivo
della BCE sembra comunque essere stato fin qui premiato dal deprezzamento della moneta
europea verso il dollaro, deprezzamento che nel Rapporto si valuta continui lungo il triennio.
3. Sembrano però crescere le evidenze che oltre al contributo delle esportazioni nette sia
necessaria un’azione volta a colmare il vuoto di domanda interna: essa dovrebbe trovare oggi
concretizzazione in un piano per investimenti infrastrutturali - e quindi giovarsi anche nel
contributo della politica fiscale - meglio se attraverso una ricomposizione della spesa a danno
della parte corrente e a favore di quella in conto capitale – nella consapevolezza che gli
investimenti in infrastrutture garantiscono domanda nel breve periodo e offerta nel lungo
termine. Resta peraltro decisivo, per il rafforzamento del lato dell’offerta dei singoli Paesi, il
maggior contributo da parte delle riforme strutturali, riforme che nel nostro Paese sono già
inserite in un ampio piano di governo.
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Sommario e Conclusioni
4. Pur se sullo sfondo europeo resta seria la minaccia della deflazione, al punto, paradossale
di dover valutare oggi con qualche timore il recente ribasso delle quotazioni petrolifere che
in altri periodi sarebbe stato accolto con soddisfazione, questo Rapporto ritiene che i rischi
da essa rivenienti non si materializzeranno: prevediamo che sia quest’anno che il prossimo i
prezzi al consumo nell’Area dell’euro cresceranno un po’ meno del punto percentuale e che
nella media del 2016 l’inflazione potrà recuperare una crescita dell’1,5%. L’Italia registrerà
un’inflazione di 2 decimi inferiore a quella dell’Area euro. La minore crescita della nostra
economia rispetto a quella prevista nel precedente Rapporto non metterà a rischio i risultati
di finanza pubblica che si conformeranno ai valori programmati e che anzi, grazie ad una
spesa per interessi che potrebbe risultare inferiore al previsto, potrebbero fare meglio delle
attese. A questo risultato contribuisce il processo di riduzione del differenziale dei
rendimenti dei titoli pubblici a lungo termine del nostro Paese verso la media di Area e il
Bund: secondo le valutazioni del Rapporto nella media del 2015 lo spread Btp-Bund
dovrebbe collocarsi intorno all’1%, per poi scendere intorno agli 8 decimi di punto nella
media del 2016. Sono livelli insperati fino a poco tempo fa, ma al contempo ancora
incoerenti con una “Unione Monetaria”.
5. Secondo il nostro esercizio di previsione nel prossimo triennio la redditività bancaria
continuerà ad essere deludente : nel complesso gli utili delle banche italiane dovrebbero
ammontare cumulativamente a 11,2 mld di euro negli anni 2014-16, il che significa 8,4 mld in
meno di quanto previsto nel Rapporto dello scorso luglio. Rispetto ad allora si segnala un
deciso rallentamento dei ricavi; si conferma inoltre la rilevanza del costo del rischio con cui
le nostre banche saranno costrette a fare i conti lungo tutto l’orizzonte previsivo: secondo le
attuali valutazioni l’ammontare del complesso delle rettifiche assorbirà l’80% del risultato
netto della gestione operativa. Si conferma centrale, in questo quadro, l’azione di controllo e
riduzione dei costi.
Ambiente macroeconomico: andamenti e prospettive
Andamenti
6. Se il tono di fondo del Rapporto è quello sin qui descritto, esso offre d’altra parte analisi
di dettaglio di andamenti e prospettive che conviene di seguito sintetizzare.
7. Per quanto riguarda gli sviluppi congiunturali, nei sei mesi che ci separano dall’ultimo
Rapporto, i maggiori previsori internazionali hanno rivisto al ribasso le attese di crescita delle
principali aree economiche mondiali (ad eccezione degli Stati Uniti). L’Italia si conferma,
purtroppo, tra i paesi dell’area dell’euro più colpiti da questa lunga fase di recessione. Il Pil è
ancora di oltre 9 punti percentuali sotto il livello pre-crisi. Il tasso di disoccupazione ha
raggiunto il 13,2% e oltre il 43% dei giovani non ha lavoro. La crisi ha inasprito i divari tra
nord e sud del paese.
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8. Gli ultimi dati di contabilità nazionale continuano dunque a non essere positivi, ma non
sono privi di schiarite. Nel terzo trimestre, il Pil ha ceduto un altro 0,6% in ragione d’anno,
dopo la perdita dello 0,9% riportata nel trimestre precedente; gli investimenti, con un calo
del 4% in ragione d’anno, hanno contribuito per 0,7 punti percentuali alla contrazione del
prodotto. Di contro, notizie promettenti arrivano dai consumi che, con una crescita pari allo
0,3% in ragione d’anno, hanno offerto un contributo positivo al Pil per circa 0,2 punti
percentuali. Inoltre, la bilancia commerciale continua a rappresentare un fattore positivo per
l’economia, con un contributo pari a circa 0,6 punti percentuali del Pil nel terzo trimestre.
9. Anche se sarà difficile trovare il sentiero di una crescita sostenuta senza un’azione
coordinata a livello europeo a supporto della domanda, la tenuta dei consumi e della bilancia
commerciale può rappresentare un primo segnale importante. Inoltre, già a partire dal 2015,
la situazione potrebbe migliorare per l’effetto di diversi fattori: i) la politica monetaria rimarrà
molto espansiva e farà ulteriore ricorso a strumenti non convenzionali; ii) la svalutazione
dell’euro, anche se in misura limitata, aggiungerà brio alle nostre esportazioni che hanno
mostrato un elevato grado di tenuta durante gli anni più difficili della crisi, sia in termini di
volumi che di prezzi; iii) la politica fiscale, che nei prossimi anni sarà meno restrittiva, agirà
positivamente sulla domanda interna. Infatti, il deficit strutturale dovrebbe attestarsi intorno
al mezzo punto di Pil invece che azzerarsi, e ciò per esplicita scelta del Governo in sede di
impostazione della Nota di Aggiornamento del DEF. Dovrebbero iniziare a manifestarsi,
inoltre, i primi effetti positivi delle riforme strutturali già approvate dal Governo e di quelle
in corso di approvazione.
Prospettive
10. Con riguardo al quadro internazionale, secondo le nostre previsioni, l’economia Usa
crescerà del 2,3% quest’anno, per poi accelerare al 2,7% nel successivo. Nell’ultimo anno di
previsione, invece, il ritmo di crescita potrebbe iniziare a registrare una flessione. La politica
monetaria inizierà un graduale rientro dall’impostazione estremamente espansiva scelta dallo
scoppio della bolla immobiliare. Nel 2015 il tasso di policy salirà di 15 punti base e nel 2016
di altri 40 punti circa, chiudendo allo 0,83% in media d’anno. In linea con l’evoluzione del
Pil, il tasso di inflazione passerà dall’1,5% del 2013 all’1,9% del 2016; tornando così vicino
all’obiettivo di medio periodo della Banca centrale. Tassi a breve in rialzo e crescita nominale
più alta spingeranno il tasso benchmark Usa dal 2,5% di quest’anno al 3,1% del 2016, livello
che rimarrà comunque molto basso se consideriamo che la crescita nominale, nello stesso
anno, sarà pari al 4,4%.
11. La crescita nell’area dell’euro si attesterà allo 0,8% nel 2014. Nel biennio 2015-16,
confidando anche in un cambio nell’impostazione di politica fiscale, la crescita dovrebbe
registrare, rispettivamente, un +1,1 e +1,4%. L’inflazione scenderà allo 0,7% nel 2014 e solo
verso la fine del 2016 tornerà vicino all’obiettivo del 2%. Questi andamenti saranno
supportati da una politica monetaria che rimarrà molto espansiva per tutto il triennio di
previsione. Il tasso di policy della BCE rimarrà al minimo storico dello 0,05% fino a metà del
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2016. Solo negli ultimi sei mesi della finestra di previsione prevediamo un lieve rialzo di
appena 10 punti base.
12. Nel nostro quadro si scontano in parte le novità in atto sul mercato del greggio: il prezzo
del petrolio scende rispetto ai massimi registrati negli ultimi anni, fino a stabilizzarsi intorno
a 88$ al barile nel 2016. Le recenti misure adottate dalla BCE e l’impegno a combattere con
estrema fermezza eventuali rischi deflazionistici, ci spingono, inoltre, a ipotizzare un tasso di
cambio che passa dall’1,33 del 2014 all’1,19 del 2016, anche in considerazione del profilo di
politica monetaria delineato per la FED.
Quadro macroeconomico interno
13. Nel 2014 l’Italia dovrebbe chiudere con una contrazione del Pil dello 0,4%. Tale
andamento è compatibile con una crescita nulla nell’ultimo trimestre dell’anno in corso. La
ripresa arriverà nel 2015, con il Pil che dovrebbe tornare a crescere (0,6%). Se l’impegno del
Governo sul fronte delle riforme sarà accompagnato anche da un cambio di impostazione a
livello europeo, la crescita potrebbe superare il punto percentuale nel 2016.
14. La ripresa sarà guidata dalla spesa privata. I consumi delle famiglie, dopo aver dimostrato
una discreta tenuta nel 2014, cresceranno dello 0,6% nel 2015 e dello 0,8% nel 2016. Tale
andamento è supportato da un recupero del reddito disponibile reale e da una stabilità della
propensione al consumo su livelli molto elevati rispetto al confronto storico. I consumi
offriranno un contributo positivo pari a 2 decimi di punto nel 2014, per poi salire a 4 e 5
decimi negli ultimi due anni di previsione.
15. Gli investimenti, dopo che nel 2014 riporteranno un’altra contrazione (-3,4%),
ricominceranno a crescere nel 2015 (0,7%) e potrebbero accelerare nel 2016 (+2%). La
componente più dinamica sarà quella riferita ad attrezzature e macchinari; mentre la ripresa
degli investimenti in costruzioni sarà più lenta, a motivo di un mercato immobiliare ancora
debole.
16. Nel nostro scenario, le esportazioni italiane torneranno a registare andamenti
incoraggianti, dopo il dato positivo ma non esaltante del 2013 (+0,6% la variazione annuale),
sostenute anche dal cambio. Le vendite all’estero dei nostri beni e servizi cresceranno del
2,3% quest’anno; per poi accelerare fino al 3,7% nel 2016. La ripresa, seppur modesta, dei
consumi interni riporterà la dinamica delle importazioni in territorio positivo; di
conseguenza, il saldo di parte corrente della bilancia dei pagamenti passerà dall’1 al 4,1% del
Pil nel periodo 2013-2016. Complessivamente, nel triennio di previsione, il contributo della
domanda estera netta passerà da 0,6 a 0,4 punti percentuali.
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Tavola A
Italia - Scenario di base: principali variabili
2013
2014
2015
2016
Crescita reale Pil (var %)
-1,9
-0,4
0,6
1,1
Deficit/Pil (in %)
-2,9
-3,1
-2,7
-1,9
Debito/Pil (in %)
131,2
127,9
131,6
132,4
Prezzi al consumo (NIC)
1,2
0,4
0,8
1,1
Prezzo del petrolio (in $)
108,7
102,5
89,3
88,0
Tasso riferim. BCE (*)
0,6
0,16
0,05
0,09
Tasso medio Btp (*)
4,3
2,9
2,2
2,6
Tasso sugli impieghi (**)
3,8
3,8
3,4
3,3
Tasso sulla raccolta (*)
2,0
1,8
1,4
1,3
Impieghi a residenti (PA e sett.privato)***
-4,2
-0,4
0,6
1,9
Sofferenze lorde (***)
24,7
18,4
11,2
5,6
Raccolta da residenti
-1,1
-0,4
0,5
1,3
Depositi da residenti (PA e sett.privato)***
2,9
2,5
2,0
2,7
Obbligazioni in euro non IFM (***)
-13,1
-10,7
-5,2
-4,8
Margine d'interesse***
1,1
-11,0
0,7
1,2
Margine d'intermediazione***
1,1
-0,7
0,8
2,2
Costi operativi***
-4,5
-2,2
-1,6
-0,8
Risultato lordo di gestione***
10,6
1,4
4,2
6,2
Costo Oper./Marg.Interm. (in %)
59,4
58,5
57,1
55,4
Utile netto (Mld)
-22,3
0,2
4,4
6,6
Utile netto (Roe)
-6,1
0,1
1,1
1,7
(*) media annua. (**) relativo alle famiglie e alle società non finanziarie.
(***) var %
Fonte: Istat, Banca d'Italia, BCE e ns. previsioni
17. Come già osservato, nel nostro scenario i rischi di deflazione non si concretizzeranno.
L’inflazione, dopo essere scesa allo 0,4% nel 2014, tornerà a crescere a tassi vicino al punto
percentuale nei successivi due anni. La componente core dovrebbe evidenziare una dinamica
anche più sostenuta. Il tasso di disoccupazione continuerà a crescere nel 2014 (12,6%) e
scenderà di due decimi nel 2016. Il tasso di occupazione passerà dal 55,6% del 2013 al 55,7%
del 2016, riportando una dinamica molto debole. Anche la forza lavoro registrerà aumenti
molto contenuti.
Finanza pubblica
18. Nel nostro scenario, i principali indicatori di finanza pubblica dovrebbero registrare
sostanziali miglioramenti nel triennio di previsione. Il deficit pubblico passerà dal -2,8% al 1,8% del Pil tra il 2013 e il 2016. In linea con la recente evoluzione dei tassi, la spesa per
interessi potrebbe ridursi di circa 6 decimi di punto, passando dal 4,8% del Pil riportato nel
2013 al 4,1% previsto per il 2016.
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19. In termini strutturali, il miglioramento del deficit pubblico sarà pari a 4 decimi di punto
(-0,9% nel 2013 vs. -0,5% nel 2016). Il saldo primario continuerà ad evidenziare andamenti
positivi. La differenza tra entrate e uscite pubbliche (al netto negli interessi sul debito)
passerà dal 2 al 2,3% del Pil nel triennio di previsione. A partire dal 2016 anche la dinamica
del debito pubblico dovrebbe diventare positiva. Dopo aver toccato un picco pari al 132,4%
nel 2015, questo rapporto dovrebbe iniziare a scendere collocandosi al 131,2% del Pil nel
2016.
Industria bancaria: andamenti e prospettive
20. Gli sviluppi dell’attività bancaria si sono prodotti in un contesto rimasto difficile e
sfidante, e che è stato caratterizzato dall’importante novità strutturale rappresentata dalla
concretizzazione dell’Unione bancaria europea e dall’esercizio di Comprehensive Assessment
(CA) propedeutico all’avvio, dal 4 novembre scorso, del Meccanismo di vigilanza unica
(MVU). Esso dà inizio ad un nuovo e più avanzato percorso che nei prossimi anni vedrà
impegnato l’intero mercato bancario europeo e che impone d’ora in poi a tutti– legislatori,
imprese, banche – di “ragionare” in termini europei. Sotto il profilo regolamentare questa
novità rende sempre stringente la necessità di un Testo unico bancario europeo. L’esercizio
consegna la fotografia di un settore bancario italiano solido. Tutte le banche italiane hanno
superato l’esame della qualità degli attivi (asset quality review, AQR). In due specifici casi si è
manifestata in relazione alla prova di stress, che ha natura del tutto ipotetica, la necessità di
intervenire con misure prontamente individuate.
21. E’ importante sottolineare alcuni elementi, anche tecnici, per capire lo snodo
fondamentale di fronte al quale siamo: 1) in termini generali, che l’esercizio ha avuto natura
prudenziale e non contabile; 2) in secondo luogo che, come viene documentato nel
Rapporto attraverso un capitolo monografico dedicato agli stress test, le banche italiane sono
state penalizzate da situazioni di partenza che scontano, da un lato, l’assenza di
ricapitalizzazioni pubbliche (cosa che è avvenuta in termini massicci in altri Paesi) e,
dall’altro, uno scenario macroeconomico che sull’arco 2008-2016 (includendo quindi le
ipotesi sullo scenario avverso) vede una caduta del Pil di 12 punti percentuali, come non
accaduto nemmeno nella prima fase della seconda guerra mondiale.
22. Per quel che riguarda l’AQR, va sottolineato come riclassificazioni ed aggiustamenti di
valore siano stati ricavati anche in base a tecniche inferenziali (63 punti base in termini di
RWA per le banche italiane, 31 per il complesso delle banche dell’MVU, secondo Banca
d’Italia) e quindi in base a indicatori finanziari di difficoltà delle imprese affidate “possibili”
piuttosto che effettive. Qui c’è un punto ricco di implicazioni potenziali e da cui devono
dunque essere tratti insegnamenti: a) da un lato bisogna lavorare perché nel nuovo mondo
regolamentare la soft information e i rapporti di prossimità vengano valorizzati e non
sottomessi a schemi di fredda modellistica; b) dall’altro le imprese, con il contributo delle
banche, devono convergere ancora di più sull’’idea di fare il possibile per eliminare ogni
forma di possibile incompletezza delle informazioni di bilancio, su cui poi si basano
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valutazioni anche di natura prospettica (forward looking). A tal riguardo, rileverà sempre più in
prospettiva la capacità delle nostre PMI di rimuovere elementi di debolezza legate
soprattutto a bassa redditività, elevato indebitamento e scarsa patrimonializzazione.
Andamenti
23. Per quanto riguarda gli sviluppi congiunturali, è continuata anche nel secondo semestre
del 2014 la ripresa di dinamica del credito all’economia, anche se i tassi di crescita annuali
permangono negativi: a ottobre gli impieghi a famiglie e imprese si riducevano ad un tasso
annuo del 2,4%, in recupero di quasi 2 punti percentuali rispetto al dato di inizio anno; si
consideri peraltro che la variazione semestrale continua a collocarsi al di sopra del dato
annuale, ad indicare un orientamento molto positivo. In particolare l’analisi congiunturale
rende evidente come, da un lato, la crescita degli impieghi alle famiglie consumatrici stia
oscillando intorno allo zero e, dall’altro, che i crediti al settore produttivo presentino un forte
recupero di dinamica. Tale recupero di crescita tra l’altro potrebbe consentire alle banche
italiane di ottenere un notevole ammontare di risorse nelle prossime aste di TLTRO.
Considerata la significativa partecipazione alle aste del 18 settembre e dell’11 dicembre 2014,
sulla base delle nostre stime, le banche italiane dopo aver ottenuto 57 mld di euro (76% del
potenziale e oltre un quarto del totale), già a marzo del 2015 potrebbero potenzialmente
richiedere ulteriori 120 mld, per aumentare di ulteriori 80 mld di euro fino al giugno del
2016.
24. Questa riserva potenziale di risorse può far dunque pensare che per spiegare la riduzione
della raccolta bancaria in atto negli ultimi mesi si possa far riferimento oltre che a fattori di
domanda anche a dinamiche dell’offerta. Da un’analisi per operatori risulta che nei dodici
mesi terminanti a giugno il flusso netto di nuova raccolta è risultato negativo per 56 mld di
euro (contro una riduzione di 6 mld di un anno prima). Il trend di riduzione nell’ultimo anno
sembra guidato dal calo degli acquisti netti di raccolta bancaria da parte delle famiglie e
imprese, in un contesto in cui sono rimasti stabilmente negativi gli acquisti dall’estero, con gli
“altri residenti” che mostrano acquisti in buona ripresa. Inoltre famiglie e imprese sembrano
concentrare i propri acquisti sui depositi, mentre le obbligazioni vengono trattate solo sul
mercato dell’ingrosso. Altro parametro che potrebbe risentire della potenziale disponibilità di
risorse da parte della BCE è il funding gap. Per ora il gap di risorse tra impieghi e raccolta ha
continuato a ridursi, toccando a ottobre il valore del 9,8%, inferiore di 2,5 punti percentuali
rispetto al dato di un anno prima.
25. Fondamentale per l’equilibrio delle risorse sarà comunque l’intensità della ripresa del
credito all’economia e per tale motivo risulta importante valutare le tendenze della qualità
della domanda di credito da parte delle imprese, settore che più di altri ha risentito della
difficile congiuntura. Secondo gli ultimi dati disponibili, per le imprese si assiste ad
andamenti parzialmente divergenti a seconda della definizione di tasso di decadimento:
quello basato sugli importi conferma il processo di riduzione in atto dall’inizio di quest’anno;
quello basato sui numeri continua, invece, a mantenere un profilo di crescita.
AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
26. Per comprendere il messaggio che tale andamento divergente ci consegna, viene
proposto nel Rapporto un esercizio di scomposizione del tasso di decadimento importi tra la
componente “probabilità di default” e quella relativa “all’esposizione al default”. I risultati
spingerebbero a ritenere che la riduzione della rischiosità recente è dovuta ad un “effetto
prezzo” (probabile miglioramento su operazioni di importo più elevato) mentre la rischiosità
media delle imprese affidate starebbe ancora peggiorando. E’ peraltro promettente
constatare che nell’analisi storica i movimenti degli importi in genere anticipano quelli della
probabilità di default.
Prospettive
27. Per quanto riguarda le prospettive, i tassi d’interesse a breve termine dovrebbero
rimanere su livelli molto bassi per tutto il triennio di previsione, con un leggerissimo
aumento a partire dalla seconda metà del 2016. Il tasso Eurepo a 3 mesi rimarrà allo 0,1%
nel 2015 e solo nel 2016 aumenterà di un decimo di punto. Il tasso Euribor a 3 mesi, invece,
rimarrà fermo allo 0,2% per l’intero triennio di previsione. Di conseguenza, il differenziale
tra questi due tassi si ridurrà a un decimo di punto. Nel quadro ipotizzato, i tassi di interesse
sul debito pubblico rimarranno su livelli molto bassi. Il tasso sui Bot scenderà allo 0,3% nel
primo anno di previsione, per poi stabilizzarsi introno allo 0,4% nei successivi due anni. Il
tasso sui BTP riporterà una significativa riduzione nell’anno in corso, pari a circa 140 punti
base rispetto al 2013. Nel 2015 questo tasso continuerà a scendere di altri 70 punti base. Solo
nell’ultimo anno di previsione crediamo si possa registrare un lieve incremento del tasso sui
BTP in linea con l’evoluzione della struttura dei tassi nell’area dell’euro. Tali andamenti sono
compatibili con una sostanziale riduzione del differenziale tra il BTP e il benchmark europeo
a fine periodo. Il differenziale rispetto al Bund passerà da 300 a 80 punti base nel periodo
2013-2016.
28. Passando ai tassi bancari, il costo della raccolta dovrebbe continuare a ridursi, grazie
anche al processo di normalizzazione, ormai in atto da tempo, delle condizioni finanziarie
italiane. Da una parte, il tasso sui depositi passerà dall’1,1 del 2013 allo 0,7% del 2016 e,
dall’altra, il tasso sulle obbligazioni nello stesso periodo scenderà dal 3,4 al 2,6%. Nel
complesso il costo della raccolta scenderà dal 2 all’1,3%, grazie anche ad una forte
ricomposizione della raccolta a favore degli strumenti meno onerosi. Il tasso medio sugli
impieghi, di conseguenza, dovrebbe registrare anch’esso una riduzione. In particolare, il tasso
sugli impieghi alle famiglie scenderà di un decimo nel primo anno di previsione, per poi
scendere ulteriormente al 3,5% nel 2016. Il tasso alle imprese passerà dal 3,6% al 3,2% nel
periodo 2013-2016. Alla luce di queste evoluzioni, nel nostro scenario lo spread sui tassi
bancari aumenterà di 2 decimi di punto, passando da 1,8 a 2 punti percentuali. Nel triennio
di previsione, il mark-up passerà da 3,6 a 3,1 punti percentuali. Da notare che,
coerentemente alla riduzione del tasso sulla raccolta, nel nostro scenario il mark-down, anche
se in miglioramento, rimarrà comunque negativo (-0,5 punti percentuali nel 2016). Di
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Sommario e Conclusioni
conseguenza le banche resteranno nell’impossibilità di prezzare, come sarebbe normale, i
servizi di liquidità offerti.
29. In un quadro di progressivo rasserenamento delle condizioni finanziarie, interne ed
esterne, lo sviluppo dell’attività bancaria rimarrà contenuto e inferiore al previsto tasso di
crescita dell’economia. All’impulso positivo rinveniente dall’azione di finanziamento da parte
della BCE, si contrapporranno i vincoli regolamentari, ma anche la gestione del rischio
bancario che seppur in moderato allentamento per quanto riguarda i flussi di nuova attività,
lascerà comunque una pesante eredità da gestire. In ogni caso nel triennio di previsione il
flusso di credito all’economia tornerà a crescere.
30. Per quanto riguarda il contributo delle TLTROs allo sviluppo dell’attività bancaria, esso
non sarà probabilmente così determinante come fu quello delle LTROs, disegnate,
d’altronde, in una fase di acuta crisi: secondo le nostre stime se da quest’ultime le banche
avevano tratto risorse per 60 mld all’anno per il triennio 2011-2013, delle nuove aste a lungo
termine le banche ricaveranno per il prossimo triennio risorse nette per poco più di 10 mld
all’anno.
31. Nel nostro quadro previsionale la raccolta presso residenti dovrebbe crescere a ritmi
moderati e inferiori sia alla crescita del prodotto che a quella degli impieghi: l’incidenza della
raccolta sul Pil scenderebbe di 3 punti percentuali nel prossimo triennio. Fortemente
differenziato il cammino delle sue componenti, con i depositi presso residenti che
aumenterebbero al tasso medio del 2,4% e le obbligazioni, sempre presso residenti, che
diminuirebbero al tasso medio del 6,9%. In ogni caso tali andamenti avranno ridotte
conseguenze sull’equilibrio tra offerta di credito e raccolta da residenti: nel 2014 il funding
gap si confermerà al 9,6% del totale degli impieghi; nei due anni successivi poi la ripresa degli
impieghi e la disponibilità di risorse della BCE dovrebbero determinare un lieve
ampliamento per 6 decimi di punto del gap di risorse che quindi tornerebbe a pesare per il
10,2% del totale degli impieghi, livello comunque più che soddisfacente nel confronto
storico
32. Parte di questo andamento è, come detto, determinato dalla nostra previsione di ripresa
del credito all’economia: quest’anno la crescita degli impieghi a residenti dovrebbe risultare
nulla (dopo il -4% nel 2013) e poi presentare un discreto recupero soprattutto nel 2016,
quando aumenterebbero del 2%. A guidare la ripresa nel prossimo biennio dovrebbe essere
soprattutto il credito verso le imprese che crescerebbe al ritmo medio dell’1,5%, anche in
relazione alla prevista ripresa della domanda di investimenti; simile la dinamica anche se su
tassi di crescita inferiori per gli altri finanziamenti alle famiglie, che in gran parte contengono
il credito alle famiglie produttrici. La domanda di mutui da parte delle famiglie, dopo essere
stata la componente più dinamica nel 2014, in seguito tenderebbe a crescere a ritmi medi
dell’1,2%, mentre il credito al consumo crescerebbe nel biennio 2015-2016 ad un ritmo
medio inferiore allo 0,5% annuo anche perché il recupero dei consumi sarebbe
accompagnata da una ripresa del reddito disponibile.
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12/2014
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33. A limitare il flusso di credito rimarrebbe un livello di rischiosità dell’attività di prestito
che seppur in riduzione risulterebbe sempre su livelli elevati nel confronto storico.
Quest’anno il tasso di decadimento basato sui numeri dovrebbe stabilizzarsi su livelli del
2013 e poi iniziare una discesa che lo porterebbe a contrarsi di 2 decimi di punto al 2016. Il
profilo discendente dei tassi di default risulterebbe più accentuato nel settore produttivo, le
famiglie consumatrici registrerebbero un miglioramento più contenuto anche perché più
contenuto era stato il rialzo della loro rischiosità negli anni precedenti. Il miglioramento della
rischiosità in termini di flussi avrà un importante impatto in termini di stock: il tasso di
incremento delle sofferenze lorde passerà dal 25% del 2013 al 5,6% del 2016, una
decelerazione che non sarà sufficiente ad arrestare la crescita del rapporto
sofferenze/impieghi (11% nel 2016, nuovo massimo storico e +2 punti percentuali rispetto
al dato del 2013).
34. Purtroppo anche in questo rapporto di previsione dobbiamo registrare una riduzione
delle già basse prospettive di redditività del settore: quest’anno gli utili netti dovrebbero
risultare pressoché nulli e nella media del triennio di previsione il Roe dovrebbe risultare
inferiore all’1%, un dato molto distante dai livelli pre-crisi, peggiore degli stessi bassi valori
del primo triennio di crisi e, naturalmente, nettamente al di sotto del costo del capitale. La
deludente prospettiva di redditività è determinata principalmente da un perdurante peso del
costo del rischio, che dovrebbe assorbire l’80% del risultato di gestione, ma anche da un
bassa dinamica dei ricavi, che non riescono neppure a tenere il passo lento della crescita della
nostra economia. A supporto della redditività va invece citato un notevole sforzo di
efficientamento sia con riguardo alle spese del personale che agli oneri di struttura.
35. Il reddito netto da interessi riuscirebbe a fornire un modesto impulso positivo alla
redditività bancaria: nel complesso del triennio di previsione dal margine denaro dovrebbero
venire risorse per 1 mld di euro. Fondamentale per tale risultato la forte ricomposizione della
raccolta a favore dei depositi e a scapito della più onerosa componente delle obbligazioni.
Nonostante la riduzione delle tensioni finanziarie gli altri ricavi non dovrebbero presentare
una dinamica favorevole: nel triennio di previsione i ricavi diversi dagli interessi dovrebbero
aumentare per 700 mln di euro, come risultato di una brutta chiusura per quest’anno, quando
dovrebbero ridursi di 800 mln di euro e di una ripresa nell’ultimo anno di previsione. A
condizionare l’andamento degli altri ricavi si deve registrare un arretramento dei ricavi da
negoziazione mentre decisamente più positivo l’andamento dei ricavi da servizi che
crescerebbero ad un ritmo medio dell’1,6% portando in dote 1,1 mld di maggiori ricavi.
36. La somma delle due componenti determinerebbe una crescita dei ricavi complessivi per
appena 1,7 mld di euro nel triennio; in questo modo il rapporto tra i ricavi bancari e il Pil
presenterà un leggero trend discendente: al 2016 tale incidenza risulterà di 10 centesimi
inferiore al dato del 2013 e di 6 decimi rispetto al valore medio pre-crisi. All’interno di
questo andamento aggregato va comunque colto il fatto che nel complesso del triennio in
esame mentre le componenti “core” dell’attività bancaria (margine di interesse e ricavi da
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servizi) cresceranno del 3,8%, quelle più prossime ai mercati finanziari diminuiranno
dell’1,9%.
37. Per cercare di preservare dei margini di redditività e garantirsi la possibilità di competere
in uno scenario sempre più sfidante, le banche oltre ad investire su nuove fonti di ricavo e
prospettive di business, dovranno affidarsi ad una attenta politica di controllo e riduzione dei
costi: nel nostro scenario il volume dei costi è atteso contrarsi per 2 mld di euro nel triennio
di previsione, ad un ritmo medio annuo dell’1,5%. Il cost-income ratio dopo la fase di forte
crescita negli anni della crisi dovrebbe imboccare un sentiero di significativa riduzione,
toccando nel 2016 il livello del 55,4%, di nuovo prossimo ai valori di inizio millennio. La
riduzione è tratto comune alle due componenti dei costi, anche se, secondo le nostre stime, i
recuperi maggiori avverrebbero dal lato delle spese diverse dal personale, indicando
chiaramente un cambio di strategia in termini di presenza sul territorio e di canali distributivi.
In base a tale ipotesi prevediamo che le spese diverse dal personale diminuiranno al ritmo
medio annuo del 2,2%, liberando risorse per 1,4 mld nel triennio. Anche le spese del
personale sono previste in diminuzione: se il numero dei dipendenti dovrebbe continuare a
contrarsi per 1,5 punti percentuali per ciascuno dei tre anni di previsione la crescita dei
redditi unitari dovrebbe risultare pari allo 0,6% medio annuo; di conseguenze il costo del
personale dovrebbe ridursi ad un ritmo medio dello 0,9% all’anno, determinando un
risparmio di risorse per quasi 600 mln di euro.
38. Per quanto riguarda il costo del rischio bancario se da un lato confermiamo la nostra
previsione di riduzione delle rettifiche sia sui crediti che sulle altre attività, dall’altro, anche
alla luce degli esiti del recente AQR, riduciamo marginalmente tale ritmo di decremento.
Secondo le nostre stime il flusso di rettifiche su crediti diminuirà di 12 mld nel triennio di
previsione, scontando anche un rilevante effetto di scalino per quest’anno. Nonostante tale
riduzione, nel prossimo triennio l’incidenza delle rettifiche sugli impieghi risulterà pari al
doppio di quanto verificato nei periodi pre-crisi. Questo è il fardello che mette piombo sulle
ali della redditività bancaria. Considerando anche le rettifiche e gli accantonamenti sulle altre
attività, nel complesso del periodo di previsione si arriva ad una distruzione di risorse per
quasi 78 mld di euro nell’insieme del triennio, pari al 79% del risultato di gestione dell’attività
bancaria.
39. In questo modo le banche cumuleranno nel triennio di previsione utili per 11 mld di
euro, il che significa 8,5 mld in meno di quanto previsto appena 5 mesi fa. Il Roe dovrebbe
quest’anno ritornare a fatica in territorio positivo, dopo la perdita del 2013, attestandosi però
allo 0,1%, per poi “crescere” in due anni fino al valore dell’1,7% del 2016. Su tale risultato
pesano ovviamente le eredità lasciate dalla pesante recessione, rappresentate da un elevato
ammontare di crediti problematici da gestire e da spesare, e pesa l’ “ossessione” delle autorità
regolamentari per il livello del capitale. Ma soprattutto pesano le prospettive della nostra
economia che seppur in miglioramento rimangono fragili e non tali da fornire gradi di libertà
all’azione delle nostre banche.
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Sommario e Conclusioni
40. Il Rapporto dedica un capitolo di approfondimento ai risultati del CA ed in particolare
allo stress test. Esso non vuole offrire un’illustrazione, anche ragionata, dei risultati ma vuole
proporre una lettura del risultato degli stress test anche tenendo conto della situazione di
crisi che costituisce la base di partenza degli stessi esercizi. Nel capitolo ci si interroga
essenzialmente se il suo esito possa essere ritenuto indipendente dalle condizioni di partenza
delle singole economie europee, condizioni che, data l’elevata frammentazione raggiunta nel
corso della crisi sovrana, è decisamente diversificata tra i paesi considerati. Riteniamo che la
risposta, affermativa o negativa, a questa domanda possa determinare non solo una diversa
lettura dei risultati ma possa anche richiedere degli aggiustamenti alle modalità con cui
vengono condotti gli esercizi.
41. Per quanto riguarda la diversa lettura si esaminano nel capitolo le due posizioni
principali, ed opposte, che sembrano essere emerse nel dibattito post-CA: in estrema sintesi,
la posizione di chi ha teso ad individuare nei bassi valori iniziali di capitalizzazione la ragione
principale dello svantaggio delle banche italiane (linee argomentative di questo tipo sono
state evidenti, per esempio, in alcune dichiarazioni dell’EBA), e quella di chi ha individuato
proprio nella particolare durezza dello stress, la ragione principale del gap di capitalizzazione
finale per le banche italiane (sottolineature di questo tipo erano presenti, tra l’altro, nel
comunicato stampa della Banca d’Italia a commento dei risultati dell’esercizio). Le due
visioni non sono necessariamente in conflitto, e in effetti quando si ritiene che l’esercizio di
stress sia risultato particolarmente gravoso per le banche italiane non si fa riferimento alla
dimensione dello stress imposto, quanto al fatto che esso si innesta su di una congiuntura
economica già di per sé particolarmente sfavorevole. Giova ricordare a proposito le parole
del Rapporto sulla stabilità finanziaria “Lo scenario avverso dello stress test è risultato
severo. Il calo complessivo per il PIL italiano rispetto allo scenario di base è in linea con
quello registrato in media dagli altri paesi dell’area dell’euro….: in Italia i suoi effetti negativi
si sono tuttavia aggiunti a quelli causati dalla lunga fase recessiva avviatasi alla fine del 2008”.
Ecco che considerare o meno il punto di partenza può cambiare completamente il giudizio
da dare sull’esito degli stress test.
42. Per cercare di valutare quanto la grande crisi degli anni scorsi abbia influito sul risultato
finale degli stress, nel capitolo si propongono diverse elaborazioni, anche econometriche, che
convergono nel suggerire che giustificare la severità dello stress solo guardando allo shock
reale imposto non solo risulta insufficiente ma risulta, almeno nel caso dell’Italia, fuorviante;
in ogni caso una migliore comprensione dei risultati si ha se si amplia lo sguardo e si
considera anche lo shock macroeconomico occorso negli anni precedenti. In particolare tale
discorso sembra particolarmente vero per la determinazione del volume di accantonamenti,
una delle principali determinanti del risultato finale, per cui le nostre elaborazioni mostrano
come il loro livello sia poco o per nulla spiegato dallo shock reale disegnato negli stress test,
mentre maggiore aiuto esplicativo viene dalla severità della “vera” recessione occorsa nel
lungo quinquennio della crisi precedente gli attuali stress.
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Sommario e Conclusioni
43. Da tale evidenza consegue che i paesi che più di altri hanno sofferto la lunga crisi iniziata
nel 2008, e l’Italia è certamente tra questi, partono da una situazione di svantaggio che non
solo si riverbera sul livello di partenza degli indici di capitalizzazione, che quindi deve essere
considerato endogeno, ma anche, come risulta dalle nostre stime, sull’esito degli esercizi di
stress. Ma allora è lecito domandarsi se tale situazione di svantaggio non debba trovare una
compensazione in un cambiamento delle modalità di svolgimento degli esercizi, ad esempio,
come accade in finanza pubblica con il calcolo del disavanzo strutturale, attraverso una
diversificazione dei livelli soglia che determinano gli shortfall di capitale.
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