LA METAMORFOSI DI BARISARDO DA BORGO AGRICOLO A

PAESI DI SARDEGNA
21
FEBBRAIO 2004
S
ulle coste del Sàrrabus,
del Salto di Quirra e dell’Ogliastra, spesso malariche e sempre frequentate dai
pirati barbareschi, non si trovava in passato nessun centro
abitato; i villaggi sorgevano a
rispettosa distanza, protetti da
spazi desertici o da alture. È il
caso di Tertenia, che può essere raggiunto dal suo litorale
soltanto attraverso un piccolo
passo, l’Arcu de Sàrrala. Dal
canto suo Bari Sardo, che sorge più a nord, dieci chilometri
prima di Tortolì (a un’altitudine di 51 metri, e con 3769 abitanti), si rende invisibile ai naviganti nascondendosi dietro
una serie di colline che culminano in quella di Su Tecu.
In tempi più antichi, quando
dalle rive non giungevano pericoli, su quelle alture erano
sorti diversi nuraghi; e gli abitanti godevano della natura
fertile del territorio, ricco di
vegetazione e di selvaggina.
Sono rilievi di origine vulcanica, dove il Lamarmora aveva
rinvenuto dei blocchi di basalto che nel raffreddarsi al contatto con l’acqua del mare avevano assunto la forma di prisma a sette facce; altri tratti di
roccia più porosa si prestavano
alla costruzione di mole per
cereali e il generale, preoccupato del progresso economico
dei nostri paesi, sosteneva che
erano di buona qualità e suggeriva che venissero esportate
«al Continente, dove si servono di mole straniere non proprio buone».
Quando sorse il paese l’economia si fondava sull’agricoltura e la scelta cadde perciò su
un luogo che, oltre che essere
al riparo dai nemici, si prestava alla coltivazione: si chiamava infatti Trigonia di Barbagia, un nome derivato evidentemente da trigu, “grano”.
A quei tempi i bariesi non si
spingevano a coltivare la piana
costiera; mentre oggi, se si imbocca la strada che in quattro
chilometri conduce al mare,
dopo aver attraversato la zona
I
n questi giorni ad Erula
stanno girando un film. Un
film di rapimenti e di banditi. Siccome la vicenda appartiene a un altro luogo, ad Erula hanno ricostruito il loro ambiente ad immagine e somiglianza di quel luogo. Mi sono
chiesto il perché della scelta di
questo paesello come teatro
naturale per ambientarvi un
film, e non di altro qualunque
della Gallura, disseminata di
stazzi e paesi. Già, un paese
qualunque della Gallura: ed
Erula è Gallura a tutti gli effetti, anche se potrebbe esserne
considerata una enclave al di là
del fiume Coghinas che del territorio gallurese segna i confini
nord-occidentali. Ma Erula è
Gallura anche per un fatto precipuo e importantissimo nella
contingenza storico-culturale
che stiamo attraversando: la
lingua. Ad Erula infatti si parla
il bel gallurese delle zone di
confine (comune anche ai paesetti lungo l’orientale sarda, là
dove la Gallura e la Baronia si
incontrano; e anche oltre San
Teodoro, in provincia di Nuoro): il gallurese di Bortigiadas,
tanto per fare un esempio; mentre nei paesi più vicini, Perfugas e Tula, si parla il logudorese.
E proprio da Bortigiadas sarebbero arrivati, nell’Ottocen-
LA METAMORFOSI DI BARISARDO
DA BORGO AGRICOLO
A CENTRO TURISTICO
di Salvatore Tola
delle colline che sono ricoperte di bassa vegetazione spontanea, non appena si raggiunge
la piana ci si trova in mezzo a
campi coltivati a vigna e frutteto; tanto che, quando si arriva alla piccola borgata sorta
col turismo balneare, si vedrà
che alcuni contadini offrono
sulla strada i loro prodotti,
sempre primaticci e di ottimo
sapore: dalle verdure ai meloni, dai fichi all’uva di varie
qualità.
Ma qui si trovano anche le
spiagge e il mare sui quali il
paese fonda le sue notevoli
prospettive di sviluppo. Ci si
affaccia intanto su una bella
spiaggia dalla sabbia dorata,
dominata da una torre per l’avvistamento e la difesa costrui-
ta dagli spagnoli nel Seicento.
Il suo nome, Torre di Barì, deriva da quello originario del
paese che ha perso l’accento
quando, al momento dell’unità
d’Italia, ha dovuto accoppiarsi
all’aggettivo “Sardo” per evitare l’omonimia col capoluogo
della Puglia.
Sottoposta di recente ad accurati lavori di restauro, la costruzione, troncoconica come
la maggior parte di quelle che
punteggiano la costa sarda, è
stata munita di una scala che
conduce all’ingresso, ricavato
in origine ad alcuni metri dal
suolo; da qui si entra in un camerone a volta che, circondato
da mura spessissime, non ha
altre aperture verso l’esterno;
una scala conduce alla terrazza
superiore dove, al riparo da
un’alta muraglia, «un alcaide e
pochi soldati», come scriveva
Vittorio Angius, prestavano il
loro servizio. Secondo questo
scrittore, solitamente bene informato, i pirati tentarono qui
più di uno sbarco, «ma con
grave perdita dovettero sempre fuggire ai loro legni». Purtroppo non si hanno maggiori
notizie sulle «gloriose azioni»
dei difensori, «perché mancava nei tempi antichi e chi pregiasse il valor nazionale, e chi
ne conservasse a noi i fatti
egregi».
Poco più a nord si trova
un’altra spiaggia, quella bellissima di Cea, molto frequentata durante l’estate. Non appena la si raggiunge la vista si
ERULA UN'ENCLAVE
DI GALLURA
OLTRE IL COGHINAS
di Franco Fresi
to, le prime famiglie che popolarono la zona dove ora sorge
Erula, portandosi dietro usi e
costumi galluresi. Come in
Gallura, infatti, sorsero, e ci
sono ancora, gli “stazzi”, le
cellule abitative agro-pastorali che costituiscono l’habitat
sparso delle campagne, assente nelle altre parti della Sardegna. Lingua, usi e costumi
adottati anche nelle piccole
frazioni che fanno corona ad
Erula: Sa Mela, S’Iscala, Sinistra, Lu Frassu, Basile, Pubattu, Muru Traessu, La Lidonalza, Riu Toltu, Tattili, Cabrana,
Santu Jaseppa, Oloìtti, Spiena,
Fustilarzu, Muntigghju ‘e
s’Omine, Bubattu. Tutti toponimi galluresi con qualche interferenza logudorese.
Fra questa scacchiera di piccoli agglomerati di linde case
variopinte, in scampoli di terra fertilissima si praticano
l’agricoltura e l’allevamento
vaccino e ovino.Ma si parlava
del perché, in questo momento, da queste parti si stia girando un film. La tesi, peraltro
personale, più accreditabile è
che il paese è situato sulle pendici di un’alta collina (700 m),
da dove lo sguardo spazia lontano per montagne rosso-amaranto, colline verdissime a meridione e a settentrione, pianori irrigati dal Coghinas e vivacizzati da una serie di piccoli e
grandi laghi artificiali che
mandano riflessi ad occhieggianti nastri di marine. Su questo scenario che toglie il respiro cadono, in primavera ed
estate (ma molto spesso anche
in autunno e inverno), meravigliosi tramonti che richiamano
in paese gente dai centri vicini:
usanza che forse esisteva da
quando il paese era ancora di
là da venire.
Richiamo di poeti e di pittori, dunque questo piccolo pae-
se d’altura che il sociologo
Piero Marras, uno dei suoi figli
migliori, chiama «di bei posti
e buona gente».
Ma anche di gente laboriosa
che segue nella comune fatica
quotidiana, quell’enorme arco
che il sole traccia da oriente a
occidente dal mattino alla sera.
La troppo giovane età del
paese si pone molto spesso
come ostacolo di crescita verso
istituzioni ed attività non ancora compiutamente definite. Non
mancano comunque i servizi essenziali per un vivere civile; e
forte e ben determinata è la volontà di crescere degli erulesi.
Numerosi, nelle vicinanze
del paese, i reperti archeologici di età nuragica e prenuragica.
Da visitare il Nuraghe Maiore,
quasi intatto, in zona Campo
d’Ulimu, e la cresta del Monte
Sassu con circoli megalitici,
tombe su roccia e nuraghi alti
sul largo orizzonte di Tula ed
allarga su una fascia sabbiosa
ad arco aperto affacciata su un
tratto di mare riparato, di un
bel colore azzurro. La sabbia,
bianca, fine e abbondante lascia spazio di tanto in tanto ad
affioramenti di granito, a volte grigio come quello della
Gallura, a volte rosso vivo.
A destra, cioè verso sud, la
spiaggia è chiusa da una penisoletta rocciosa che termina
con una teoria di scogli; a sinistra il promontorio che si spinge in mare è noto come punta
Su Màstixi; anche qui si scorgono alcune rocce affioranti
dall’acqua: a un tratto si interrompono per poi ricomparire
in forma di due punte gemelle,
di granito rosso vivo, che affiorano dall’acqua a qualche
centinaio di metri di distanza;
tra queste e la costa si riconosce, in lontananza, il profilo
del capo Bellavista, in territorio di Tortolì.
Ma i motivi d’interesse non
si esauriscono con la spiaggia
e la vista sul mare: a ridosso
della costa si stende una piccola giara, vale a dire un altipiano di origine vulcanica dai
bordi rocciosi, simile, ma in
scala ridotta, a quello molto
più noto di Gesturi. Una volta
raggiunta la sommità, attraverso uno dei tanti sentieri che ne
tagliano i fianchi, si potrà godere di una vista molto più ampia della fascia costiera; ma il
luogo presenta anche motivi
intrinseci di interesse: per alcuni antichi monumenti, come
i nuraghi Moru e Sa Iba Manna; e soprattutto per il patrimonio naturalistico, ossia una vegetazione mista di olivastri,
ginepri, ginestre e carrubi, tra
i quali trovano rifugio conigli,
pernici e qualche cinghiale. Se
poi si osserveranno le rocce in
direzione del mare si potranno
individuare le formazioni di
basalto che avevano tanto colpito Alberto Della Marmora:
diceva che erano le più perfette tra quelle che aveva trovato
nell’isola, che pure ne è tanto
ricca.
Ozieri, verso le cui piane e il
lago del Coghinas scende la
strada panoramica che da Sa
Mela giunge al fondovalle.
Anche i Romani avevano lì
una loro strada che congiungeva la fertile vallata di Ozieri
con i ponti (ne restano ancora
arcate imponenti) sul Coghinas. Un cippo stradale rinvenuto sul posto ne sottoscrive la
lontana presenza.Nessuna testimonianza tangibile, a parte
quella orale e, da poco, anche
scritta, indica, invece, al forestiero la tomba del Muto di
Gallura. Bandito per vendetta
e per amore, autore di omicidi
a volte inutili (ma non tanti
come si disse prima che serie
ricerche, per esempio quella
del Capitano dei carabinieri
Giovanni Francesco Ricci registrata nel suo bel libro Banditi, gettassero una luce meno
fosca sulla vita tormentata del
bandito aggese), venne ucciso
e gettato tra le rocce a strapiombo di Lu Punziutu, un sito
quasi impraticabile, allora, sul
confine tra Perfugas ed Erula:
due paesi lontani dagli odi e
dagli intrighi che minarono la
sua vita, ma, che per uno strano ghirigoro della sorte, offrirono nel loro territorio sepoltura a cielo aperto alle sue spoglie tormentate di uomo senza
scampo.