Scuola di giornalismo Educazione e Libertà Cristo: Il Dio incarnato Il 25 dicembre fra paganesimo e tradizione cristiana In antichità, i nostri antenati capirono ben presto l’importanza del Sole, fondamentale sia per il buono sviluppo dei raccolti che per la loro vita quotidiana, ed è proprio per questo che ne festeggiavano i cicli e lo veneravano come un grande dio da contrapporre, con la sua luce, all’oscurità delle tenebre, quindi, alla morte. Dobbiamo perciò immaginare come questi nostri progenitori, non conoscendo ancora le leggi che regolano il cosmo, si trovassero in grande difficoltà nel momento in cui, in pieno inverno, il sole, per un’intera giornata, sembrava aver cessato il suo “cammino”. Questo fenomeno, che oggi noi definiamo col nome di solstizio (“Sole fermo”), terrorizzava a tal punto i nostri avi da farli temere per la loro stessa sopravvivenza, pertanto, quando il sole riprendeva il suo moto per essi era motivo di grande gioia e di festa, poiché Elios aveva vinto le tenebre ed era tornato “invincibile” a risplendere. E’ proprio in tale occasione che i popoli del mediterraneo, in tutto l’impero romano, celebravano il 25 dicembre la festa del “Dies Natalis Solis Invicti”. Come sappiamo però per nella tradizione cristiana il 25 dicembre non ricorre l’anniversario del “natale del sole” ma del “natale del Cristo”. In principio, perciò, gli stessi cristiani venivano erroneamente confusi con gli adorati del sole ed è proprio per questo motivo che Tertulliano, nella sua “Apologia del cristianesimo”, sentiva il forte bisogno di sottolineare che “Sono in molti a ritenere che il Dio cristiano sia il sole, questo perché noi preghiamo rivolti al sole che sorge e in questo giorno siamo felici, ma per motivi completamente diversi da quelli degli adoratori del sole”. Tertulliano quindi, in maniera assai esplicita, spiegava come il 25 dicembre per i cristiani non fosse la ricorrenza della nascita del sole ma della nascita del Cristo, ovvero Luce da Luce in quanto Dio che si è fatto uomo fra gli uomini. L’incarnazione di Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, è l’affermazione fondamentale della dottrina cristiana che qualifica la specificità del cristianesimo quale religione che professa la venuta di Dio nella storia e, precisamente, nella persona di Gesù di Nazareth, confessato nella fede come Figlio Unigenito di Dio. La cristologia tradizionale prendeva le mosse dall’affermazione dell’incarnazione dell’eterno Unigenito Figlio di Dio. Essa costituisce la linea di pensiero dominante fino alle soglie del ‘900. Tale affermazione essenziale della cristologia è ricavata dall’evento centrale della fede cristiana: la morte e la resurrezione di Gesù. All’inizio il messaggio dei discepoli di Cristo è concentrato sull’annuncio della Pasqua. La Resurrezione di Gesù rivela il volto autentico e definitivo di Dio: egli è il Padre di Gesù che dona lo Spirito. Gesù allora è il Figlio, in modo unico e singolarissimo. Non è solo uno dei tanti inviati (mediatori, profeti, ecc.) da parte di Dio, non è solo uno che dice la parola di YHWH, come nell’Antico Testamento, ma egli stesso è la sua parola fatta carne, divenuta uomo, persona viva e parlante in mezzo a noi. I discepoli sentono poi il bisogno di riprendere le parole di Gesù, i suoi gesti, le sue manifestazioni prima della Pasqua, risalendo fino all’inizio, al battesimo e alla nascita. La luce della resurrezione illumina così la vita precedente di Gesù. In particolare, divenuta luminosa l’esperienza singolare del rapporto di Gesù con Dio, che egli chiama, con linguaggio familiare, Padre Suo. Per San Paolo Gesù è colui che condivide la stessa condizione di gloria di Dio, il Figlio inviato da Dio nella pienezza dei tempi; lo splendore della sua gloria dell’impronta della sostanza di Lui; l’immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura. Soprattutto l’evangelista Giovanni ha dischiuso il segreto più profondo del mistero di Gesù in rapporto al Padre. All’inizio della sua prima lettera egli scrive: “quello che noi abbiamo visto, udito, toccato, contemplato è il Verbo della Vita, la Parola che è la vita e che da la vita”. Gesù è la parola che “dal principio” è presso Dio, egli è il Figlio unigenito “da sempre” rivolto verso il seno del Padre, la cui identità ultima consiste nell’essere nella comunicazione perfetta con il Padre suo ed è per questo che egli la può rivelare. Nella missione di Gesù si rivela il mistero profondo della sua intimità con Dio, perché egli ci manifesta e ci comunica Dio così come è in se stesso. Si tratta di una delle pagine più alte del Nuovo Testamento su Gesù, alla quale la Chiesa è ritornata continuamente per comprenderne il mistero. Tra le espressioni successive della fede in Gesù Cristo, con cui la Chiesa riprende in un immutato contesto culturale la concezione fondamentale del Nuovo Testamento, risultano privilegiate quelle dei Concili Ecumenici di Nicea (325) e di Calcedonia (451). In questo periodo, anche a motivo di controversie con l’eresia ariana, va emergendo nella liturgia l’importanza del Natale, fissato ufficialmente il 25 dicembre da Giulio I nel 337. La sottolineatura dell’incarnazione, come il momento in cui si costituisce Gesù come uomo-Dio, diventa uno strumento per sostenere l’autentica fede in Gesù Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. La formula del dogma di Calcedonia “due nature in una persona” sarà continuamente illustrata ed indagata nella storia seguente al Concilio da filosofi e teologi. Lo sforzo della teologia attuale vuole integrare lo schema patristico di interpretazione del mistero di Cristo con la ricchezza della vicenda storica di Gesù di Nazareth, così come ci è testimoniato nel Nuovo Testamento. Fraioli Francesco Romano Gepi Gabriele [email protected] [email protected] Bibliografia: • La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana • Gesù di Nazaret, Benedetto XVI, Rizzoli • Apologia del cristianesimo, Tertulliano, Laterza • Sulla divinoumanità, Vladimir Sergeevic Solov’ev, Jaca Book