Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 N° 4: Calcolo delle correnti di ctocto

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Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
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Esercitazioni di Impianti Elettrici 1
N° 4: Calcolo delle correnti di ctocto
3.1 - Richiami di teoria: generalità sul calcolo di ctocto e guasti trifase
3.1.1 - Generalità
Lo studio delle correnti di cortocircuito è uno dei problemi classici per l'impiantista elettrico;
la conoscenza dei valori di tali correnti è fondamentale per un corretto dimensionamento
delle linee e dei trasformatori, ma soprattutto dei dispositivi di protezione e di intervento:
relè e interruttori. L'utilizzo di relè di minima tensione negli impianti industriali BT e MT e di
relè distanziometrici nelle impianti di trasmissione in AT rende necessaria non solo la
conoscenza delle correnti nei vari rami, ma anche delle tensioni nei nodi dell'impianto
durante e dopo il guasto.
Se non ci si prefigge un'analisi raffinata, che tenga in conto i transitori elettromagnetici ed
elettromeccanici, lo studio delle correnti di ctocto è relativamente semplice dal punto di
vista concettuale, basandosi su pochi concetti, che vanno però compresi a fondo e
utilizzati correttamente. Può invece essere più complesso dal punto di vista
computazionale, specie quando la rete presenta dimensioni notevoli, soprattutto se si
tratta di reti magliate e di guasti dissimmetrici (vedasi seguito).
Il principio fondamentale su cui ci si basa per il calcolo è il principio di sovrapposizione
degli effetti. Come ben noto, tale principio è applicabile solo a reti lineari e in cui i
generatori siano ideali. Occorre pertanto che la rete oggetto dello studio goda di queste
proprietà. Come frequentemente accade per molte applicazioni ingegneristiche, anche in
questa si commette una approssimazione, ma i risultati ottenibili sono molto vicini al vero.
Ulteriori approfondimenti permetteranno di tenere in qualche considerazione effetti di nonlinearità o di applicare il principio entro limiti che permettano di considerare la rete come
effettivamente lineare.
E' ben noto che iniettando da sorgente esterna corrente in un nodo di una rete è possibile
modificare la tensione di tale nodo (e degli altri nodi della rete). Infatti, detta Y la matrice
delle ammettenza nodali, vale:
∆ I = Y ⋅ ∆U
(1.1)
da cui reciprocamente:
∆U = Z ⋅ ∆ I
dove:
Z = Y
(1.2)
−1
(1.3)
è la matrice delle impedenze nodali. Così, ipotizzando l'iniezione di corrente nel solo nodo
k −esimo, vale:
∆U 1 = Z 1k ⋅ ∆ I k
∆U 2 = Z 2 k ⋅ ∆ I k
K
∆U n = Z nk ⋅ ∆ I k
ed in particolare:
(2.1)
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∆U k = Z kk ⋅ ∆ I k
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(2.2)
Quindi il fenomeno (reale!) del ctocto in un dato nodo può essere modellizzato come una
iniezione di corrente nel nodo di guasto, corrente tale da annullare la tensione del regime
preesistente. Tale iniezione altri non è se non la corrente di guasto cambiata di segno:
convenzione abituale è che la corrente di guasto sia considerata positiva se uscente,
mentre le iniezioni delle (1.1), (1.2), (2.1), (2.2) sono positive se entranti, per cui la (2.2)
diventa:
∆U k = − Z kk ⋅ I cc,k
(2.3)
dove I cc,k è la corrente di cortocircuito nel nodo. Sia:
(0 )
Uk
la tensione del regime preesistente. Allora deve valere:
(0 )
U k + ∆U k = 0
(3.0)
se il guasto è franco; quindi:
(0 )
U k − Z kk ⋅ I cc ,k = 0⇒ I cc ,k =
(0 )
Uk
Z kk
(3.1)
Quest'ultima formula mostra con chiarezza come il procedimento fin qui seguito altro non
sia se non l'applicazione del teorema di Thevenin. Il valore Z kk , k −esimo elemento
diagonale della matrice delle impedenze nodali, altri non è se non l'impedenza equivalente
(0 )
di Thevenin dell'intera rete vista da quel nodo, e il valore U k , tensione del regime
preesistente, altri non è se non la tensione equivalente di Thevenin (tensione a vuoto in
quel nodo, dove per "vuoto" si intende che il nodo non è ancora stato posto a terra
mediante ctocto).
Se però il guasto non è franco, cioè se esiste una impedenza di guasto Z g (resistenza
d'arco, impedenza del mezzo incontrato dalla corrente per chiudere il cto, etc.), allora la
(3.0) diventa:
(0 )
U k + ∆U k = Z g ⋅ I cc ,k
(3.2)
e quindi la (3.1):
(0 )
U k − Z kk ⋅ I cc ,k = Z g ⋅ I cc ,k ⇒ I cc ,k
(0 )
Uk
=
Z kk + Z g
(3.3)
Quest'ultima formula, ancora perfettamente coerente con la rappresentazione di Thevenin,
è più generale; la (3.1) è in essa contenuta, semplicemente ponendo pari a 0 il valore
dell'impedenza di guasto.
La (3.3) può essere usata indifferentemente utilizzando valori assoluti oppure valori in pu.
Essa tuttavia è valida solo per guasti trifase simmetrici (guasto contemporaneo nelle
tre fasi, con medesima impedenza di guasto in ciascuna delle tre fasi).
Questo approccio evidenzia alcuni punti fondamentali:
a) l'intera rete viene ridotta nel punto di guasto ad un circuito equivalente di Thevenin;
b) tale circuito viene chiuso sull'impedenza di guasto (eventualmente nulla) calcolando
così la corrente di guasto (effetto di guasto che si sovrappone al regime preesistente);
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c) mediante tale corrente, utilizzando la (2.1) (ricordare che la corrente di guasto ha
segno opposto rispetto alla corrente utilizzata nella formula) è possibile calcolare in
qualunque altro nodo della rete la tensione dovuta all'effetto di guasto (o, se si
preferisce esprimersi in altro modo, la variazione di tensione rispetto al regime dovuta
al guasto); informazioni utile, tra l'altro, per una corretta scelta o per la corretta taratura
dei relè di minima tensione;
d) grazie a queste variazioni di tensione è possibile calcolare in ogni ramo della rete la
corrente dovuta all'effetto di guasto (o, se si preferisce, la variazione di corrente
rispetto al regime dovuta al guasto): questa informa di quanto il guasto possa essere
pericoloso (correnti elevate, molto superiori alla portata nominale e persistenti per
lungo tempo, portano alla distruzione dell'isolamento per l'elevato calore sviluppato
dall'effetto Joule, alla rottura meccanica di quadri e sbarre per i notevoli sforzi
elettrodinamici, o addirittura alla fusione di parti metalliche conduttrici) e permette
quindi di effettuare il corretto dimensionamento di linee, quadri, sbarre, interruttori e
una corretta scelta e taratura dei relè di massima corrente.
Se l'impedenza equivalente di Thevenin nel nodo può essere calcolata mediante un
processo di riduzione (serie-parallelo, stella-triangolo o triangolo-stella, etc.), quindi senza
ricorrere alla matrice della impedenze nodali, i coefficienti:
Z hk (h = 1,2, K , n )
da utilizzarsi nella (2.1) possono essere ottenuti in generale solo calcolando la colonna
k −esima di tale matrice. La matrice delle ammettenze nodali viene costruita per ispezione;
la matrice della impedenze nodali può invece essere ottenuta solo invertendo la matrice
delle ammettenze. Essendo necessaria però una sola colonna di tale matrice, anziché
eseguire un processo di inversione totale basta risolvere il sistema:
 Z 1k   0 

  
Z 2k   0 
 K  K
[Y ]⋅   =  
1
Z kk

  
 K  K

  
 Z nk   0 
(4)
dove cioè la matrice dei coefficienti sia la matrice delle ammettenze nodali, il vettore
colonna delle incognite sia la colonna voluta della matrice delle impedenze nodali, e la
colonna dei termini noti sia un vettore composto interamente da valori nulli con la sola
eccezione dell'elemento k −esimo, che dovrà essere pari a 1. Infatti, essendo la matrice
della impedenze l'inversa della matrice delle ammettenze, il prodotto delle due matrici
dovrà fornire la matrice identità; pertanto il prodotto della matrice delle ammettenze nodali
per la colonna k −esima della matrice delle impedenze nodali fornirà la colonna k −esima
della matrice identità; la (4) esprime tale relazione.
3.1.2 - Transitori elettromagnetici
Le formule fin qui riportate, ed in particolare la (3.3) che è la formula più generale, sono
espressioni fasoriali. Di fatto queste esprimono un effetto che si sovrappone a quello
preesistente, ma tale effetto è a sua volta un effetto in regime P.A.S., quindi un nuovo
regime. Una corretta impostazione del problema avrebbe richiesto la scrittura di un
sistema di equazioni differenziali per tenere conto dei transitori elettromagnetici dovuti alla
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presenza in rete di induttanze e capacità. I risultati ottenuti dalla (3.3) e dalle altre formule
forniscono quindi le sole componenti P.A.S. delle correnti di guasto (e delle variazioni di
tensione), dette componenti simmetriche della correnti (o tensioni) di guasto.
Esistono poi le correnti transitorie che sono di tipo esponenziale smorzato (come nei
circuiti R-L o R-C) o di tipo oscillatorio smorzato (come nei circuiti R-L-C con determinante
dell'equazione caratteristica negativo). Le correnti esponenziali smorzate vengono
chiamate correnti o componenti unidirezionali, poiché non cambiano mai segno nel
tendere a zero (mentre le correnti simmetriche sono alternate e quindi vanno ora in un
verso ora nell'altro). Queste correnti hanno valori iniziali tali da far sì che, sommate alla
componente simmetriche, le correnti nelle induttanze e le tensioni nei condensatori non
cambino "a scalino" ma rimangano uguali negli istanti 0− e 0 + del guasto. Tipicamente,
durante una guasto, in un ramo si ha:
(
)
i (t ) = 2 ⋅ I (0 ) ⋅ cos ωt + α (0 ) + 2 ⋅ I cc ⋅ cos(ωt + α cc ) + I UniDir ⋅ e −(t −t0 ) τ
(5.1)
dove sono ben evidenti dai pedici o dagli apici la corrente del regime preesistente (apice
" (0 ) "), quella simmetrica dovuta al guasto (pedice " cc ") e quella unidirezionale (pedice
" UniDir "), e dove t = t 0 è l'istante di guasto. In tale istante, da 0 − e 0+ , dovrà valere che la
corrente del regime preesistente e la corrente data dalla (5.1) siano uguali:
(
)
(
)
2 ⋅ I (0 ) ⋅ cos ωt 0 + α (0 ) = 2 ⋅ I (0 ) ⋅ cos ωt 0 + α (0 ) + 2 ⋅ I cc ⋅ cos(ωt 0 + α cc ) + I UniDir
(5.2)
cioè:
2 ⋅ I cc ⋅ cos(ωt 0 + α cc ) + I UniDir = 0
I UniDir = − 2 ⋅ I cc ⋅ cos(ωt 0 + α cc )
(5.3)
che significa che il valore massimo della corrente unidirezionale è pari al valore istantaneo
(cambiato di segno) che la componente simmetrica ha al momento del guasto. Va notato
che tale valore massimo della componente unidirezionale non sarà uguale nelle 3 fasi
perché in ciascuna di esse i valori istantanei della componente simmetrica saranno diversi
(all'argomento del coseno della (5.3) andrà aggiunto un valore m 2 π 3 ).
La conoscenza delle correnti unidirezionali è pure molto importante. Le costanti di tempo
sono solitamente molto piccole (ms o decine di ms, nei casi peggiori centinaia di ms), per
cui il fenomeno transitorio si esaurisce molto in fretta e solitamente non fornisce contributi
molto grandi al riscaldamento per effetto Joule, né è ancora rilevante quando gli interruttori
intervengono per aprire il circuito (dopo alcuni periodi); ma sono le componenti
unidirezionali che determinano il massimo (o minimo) assoluto del valore istantaneo di
corrente, detto corrente di picco: tale valore va tenuto sotto osservazione perché valori
troppo elevati possono portare alla rottura del quadro o di altri componenti per sforzi
elettrodinamici. E' esperienza comune che per una rottura meccanica non importa tanto
quanto a lungo permanga la forza, ma se tale forza supera o meno una data soglia: al
superamento, la rottura è pressoché immediata (esempio comune: la rottura di noci o
mandorle con lo schiaccianoci: se non si ha forza sufficiente si può agire anche per
parecchi secondi senza ottenere nulla, se si supera una certo valore di forza il guscio cede
di schianto).
Il numero di costanti di tempo presenti in una rete elettrica lineare è pari al numero
complessivo di induttanze e condensatori in essa presenti, perché tale è l'ordine del
sistema di equazioni differenziali che descrive il transitorio elettromagnetico della rete (più
induttanze in serie o più condensatori in parallelo devono essere considerati come un solo
componente); tale numero può quindi essere molto elevato, e a ciascuna costante di
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tempo corrisponde una componente unidirezionale in ogni componente della rete. La
corrente di guasto o le correnti nei vari rami dovute al guasto sono quindi la
sovrapposizione di una componente simmetrica e di molte componenti unidirezionali. La
(5.1) più in generale diventa:
i(t ) = 2 ⋅ I
(0 )
(
⋅ cos ωt + α
(0 )
)+
M
2 ⋅ I cc ⋅ cos(ωt + α cc ) + ∑ I UniDir ,m ⋅ e −(t −t0 ) τm
(5.4)
m =1
La valutazione di tali componenti per reti anche solo con pochi nodi è quindi una
operazione complessa sia per quanto riguardo il calcolo delle costanti di tempo sia per
quanto riguarda il valore iniziale di ogni componente. Inoltre va tenuto presente quanto
segue. Già per la formula (5.1) non è semplice stabilire quale sia, in un periodo, l'istante
peggiore in cui possa avvenire il guasto, cioè quello che comporta il massimo valore
assoluto della corrente di picco; si tratta infatti di trovare il massimo di una espressione
trascendente al variare di un parametro (t 0 ). Or dunque, se il calcolo è già complesso con
una sola costante di tempo, a maggior ragione lo sarà con più costanti, come previsto
dalla formula (5.4).
L'esperienza di studio delle reti elettriche inoltre porta ad affermare che è possibile, senza
introdurre gravi errori, approssimare con una sola componente unidirezionale la presenza
di molteplici componenti.
Attenzione!
Poiché la soluzione del sistema (4) ha fornito il valore:
Z kk = Rkk + jX kk = Rkk + jωLkk
si può essere portati a credere che l'induttanza Lkk esista realmente e quindi che sia:
τ=
Lkk
Rkk
non va invece dimenticato che l'impedenza in questione è una impedenza equivalente ed
è valida solo ai fini del calcolo fasoriale e solo se il sistema funziona in regime P.A.S. a
quella frequenza per la quale l'equivalente è stato calcolato; non ha invece alcun valore
per i calcoli a frequenze diverse o, peggio ancora, in regimi diversi dal regime P.A.S..
La costante di tempo va quindi calcolata con metodi diversi, di cui si parlerà
eventualmente in seguito.
3.1.3 - Comportamento subtransitorio, transitorio, permanente
Solitamente gli alternatori vengono rappresentati come generatori ideali, eroganti una
f.e.m. spesso indicata con E , con in serie una reattanza detta reattanza sincrona ed
eventualmente con la resistenza d'armatura. Per questo vale:
(
)
E& = U& + R& a + jX& s ⋅ I&
(6)
dove U& è la tensione ai morsetti e I& la corrente erogata.
Nella costruzione dell'equivalente di Thevenin di un generatore reale funzionante a carico
il generatore ideale viene spento e quindi la reattanza sincrona viene posta a terra (nella
rappresentazione unifilare di un sistema trifase) ed entra nel calcolo della matrice delle
ammettenze nodali come elemento shunt; il generatore equivalente di Thevenin eroga una
tensione pari a quella misurata ai morsetti nel regime precedente al guasto. E' quindi
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immediato pensare che in caso di guasto il generatore fornisce un corrente (simmetrica) di
guasto pari a:
I& cc , gen =
U&
R& a + jX& s
(7.0)
La corrente complessiva è data dal circuito originale:
I& tot , gen =
E&
R& a + jX& s
(7.1)
e può essere vista come:
I& tot , gen =
E&
E& − U&
U&
=
+
R& a + jX& s R& a + jX& s R& a + jX& s
dove il termine:
E& − U&
R& a + jX& s
è la corrente di regime, come da equazione (6), mentre il termine:
U&
R& a + jX& s
è il solo effetto di guasto, come da equazione (7.0).
Tuttavia non va dimenticato che in caso di perturbazione il comportamento di un
generatore è parecchio più complicato. Dal modello dell'alternatore si ricorderà che la
corrente dell'effetto di guasto vede inizialmente una reattanza molto inferiore a quella
sincrona, a causa dell'effetto dei transitori sui circuiti di eccitazione e dei circuiti smorzatori
di asse diretto e in quadratura. Tale reattanza prende il nome di reattanza subtransitoria, si
indica con X& ′′ ed è 4÷8 volte inferiore alla reattanza sincrona. Gradualmente questa
reattanza evolve verso valori maggiori, e si parla allora di reattanza transitoria X& ′ , circa
1.5÷2.0 volte più grande della transitoria. Infine la reattanza raggiunge gradualmente il
valore della reattanza sincrona.
Valori tipici:
X& ′′ = 0.12 ÷ 0.25 pu
X& ′ = 0.20 ÷ 0.40 pu
X& = 0.80 ÷ 2.50 pu
Tipicamente allora in una rete elettrica con generatori il ctocto attraversa varie fasi o
condizioni:
-
la fase iniziale o subtransitoria, caratterizzata da risposta dei generatori con reattanze
subtransitorie; sono questi i valori di reattanza da porre nel calcolo dei cti equivalenti di
Thevenin e nella matrice delle ammettenze per il calcolo del solo effetto di guasto, per
cui:
I&′′ cc , gen =
U&
R& a + jX& ′′
(7.2)
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solitamente in questa fase i dispositivi di protezione non hanno ancora fatto in tempo
ad aprire gli interruttori; tuttavia questi, come pure cavi, quadri, etc., nonché il
generatore stesso, devono essere dimensionati per resistere agli effetti termici della
corrente subtransitoria e alle sollecitazioni elettromeccaniche dovute alla corrente di
picco; va tenuto presente che per i generatori il valore della resistenza di armatura è
solitamente molto piccolo (dell’ordine di 0.005 pu) e questo può dar luogo a costanti di
tempo della componente unidirezionale elevate; per esempio con R& a = 0.005 pu e
X& ′′ = 0.2 pu ⇒ L′′ = 0.00064 ( f = 50 Hz ) , si ha τ = 127 ms ; questo significa che il rapporto
tra corrente di picco e (valore efficace della) corrente simmetrica (subtransitoria) sarà
molto prossimo al valore massimo teorico di 2 2 ;
-
la fase successiva, detta transitoria, dopo un tempo dell'ordine dei 100 ms,
caratterizzata da risposta dei generatori con reattanze transitorie; sono questi i valori
di reattanza da porre nel calcolo dei cti equivalenti di Thevenin e nella matrice delle
ammettenze per il calcolo del solo effetto di guasto;
I&′ cc , gen =
U&
R& a + jX& ′
(7.3)
solitamente è in questa fase che si ha l’intervento di apertura degli interruttori
comandati dai relè che hanno percepito il guasto, quindi è sulla base della corrente
transitoria che gli interruttori vanno dimensionati per quanto riguarda il loro potere di
apertura;
-
la fase permanente, dopo alcune centinaia di ms, caratterizzata da risposta dei
generatori con reattanze sincrone; riguardo a quest'ultima va però precisato che a
questo punto dell'evoluzione del fenomeno l'intervento dei regolatori di tensione avrà
già fatto in tempo a modificare sensibilmente il valore della tensione E per cui l'utilizzo
di una formula come la (7.0) per il calcolo della corrente permanente non è
particolarmente attendibile.
La componente sinusoidale avrà quindi una ampiezza che si smorzerà nel tempo,
evolvendo da un massimo nella condizione subtransitoria a valori via via decrescenti.
Non va poi dimenticato che la presenza della componente unidirezionale (diversa nelle tre
fasi) andrà sempre tenuta in conto, sovrapponendo tale componente a quella simmetrica,
e cha tale componente sarà particolarmente gravosa per l’elevato valore della costante di
tempo di smorzamento.
3.1.4 - Transitori elettromeccanici
I transitori di tipo elettromagnetico non sono però gli unici transitori presenti nella rete in
caso di guasto. Le macchine rotanti subiscono sensibili perturbazioni per quanto riguarda il
bilancio coppia elettrica - coppia resistente o coppia motrice; ne consegue una
modificazione della velocità, che solitamente consiste in una rallentamento per i motori (il
crollo di tensione comporta la mancanza di alimentazione e quindi la coppia resistente
prevale su quella motrice) e in una accelerazione per i generatori (il crollo di tensione
riduce la possibilità per la macchina di cedere potenza elettrica alla rete, mentre il motore
primo continua a fornire coppia motrice). Questi fenomeni prendono in generale il nome di
transitori elettromeccanici; sono fenomeni molto più lenti di quelli elettromagnetici,
separati da questi da 2÷4 ordini di grandezza (= fattore 100÷10000) per quanto riguarda le
costanti di tempo.
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Per i motori il rischio maggiore è quello dello stallo: il rallentamento può portare a riduzioni
della velocità tali che, all'eliminazione del guasto e al ripristino della tensione, la richiesta
di potenza attiva e reattiva che il motore fa alla rete sia eccessiva, tanto da non poter
essere soddisfatta; il motore non è più in grado di riaccelerare e continua a rallentare fino
a fermarsi, oppure rimane a quella velocità o si riprende lentissimamente, rimanendo per
lungo tempo nella zona di funzionamento della caratteristica elettromeccanica detta “zona
di funzionamento instabile”; tutto questo mentre è ancora alimentato, assorbendo quindi
elevati valori di corrente (valori paragonabili a quelli delle correnti di spunto), con elevata
produzione di calore per effetto Joule e tutte le conseguenze, anche distruttive, del caso.
Per la verità l'assorbimento di corrente di un motore non ancora fermo non può essere
superiore alla richiesta che si ha in condizioni di spunto, e quindi la rete dovrebbe essere
in grado di fornirlo senza problemi; ma nel caso del ripristino della tensione dopo
l'eliminazione di un guasto va considerato sia che tutti i motori coinvolti tentano, allo stesso
tempo, di riprendersi, sovraccaricando la rete, sia che la rete può essere
complessivamente in condizioni di stabilità ancora precarie perché anche i generatori sono
ancora coinvolti nei rispettivi transitori elettromeccanici. Inoltre per il normale avviamento
di alcuni motori di grandi dimensioni sono talvolta previsti opportuni accorgimenti (come
per esempio la riduzione del carico meccanico durante lo spunto, per poi aumentarlo
gradualmente una volta raggiunta la zona di funzionamento stabile) che non possono
essere applicati all'eliminazione del guasto perché richiedono interventi manuali e
comunque tempi molto più lunghi di quelli disponibili.
Durante il guasto i motori si comportano come generatori: sono di fatto sorgenti di f.e.m.,
che però viene presto ad esaurirsi. Il loro contributo è rilevante solo per quanto riguarda le
correnti subtransitoria e di picco; solitamente nella fase transitoria tale contributo è
esaurito.
Per i generatori il rischio maggiore è quello della perdita di passo. Se un generatore
accelera eccessivamente rispetto ad altri o rispetto ad una rete prevalente (la rete detta "di
potenza infinita"), il suo angolo di carico potrebbe compiere un mezzo giro e la f.e.m.
potrebbe trovarsi quindi in opposizione rispetto a quella delle altre macchine; questo
comporterebbe forti transiti di potenza attiva e reattiva tra quel generatore e i rimanenti. Il
fenomeno può presentarsi anche dopo l'eliminazione del guasto, perché la pesante
perturbazione dovuta al ctocto innesca un transitorio elettromeccanico che richiede un
certo tempo per spegnersi naturalmente. Il superamento del mezzo giro fino al
compimento del giro intero, o di più giri, detto appunto "perdita di passo", produce pesanti
sollecitazioni sulla macchina medesima e comporta rilevanti oscillazione nel valore
efficace della tensione (il fenomeno è simile a quello dei "battimenti" in campo acustico) e
provoca l'intervento delle protezioni che staccano dalle rete i gruppi coinvolti, evitando
danni ai componenti ma, spesso, portando alla fermata dell'impianto.
Sempre per i generatori non va poi dimenticato l'effetto dei regolatori di tensione e di
velocità.
I primi (spesso chiamati con la sigla AVR - Automatic Voltage Regulator - tenderanno, da
un lato, ad aumentare l'eccitazione per ripristinare la tensione, e dall’altro a ridurla per
limitare le correnti durante il guasto (se sono forniti di logiche di controllo che considerano
anche la corrente e/o la potenza reattiva erogata); dei due effetti sarà possibile sapere
quale sarà quello prevalente solo con opportune simulazioni con programmi di calcolo
specialistici, o quantomono con considerazioni più complesse di quelle possibili in questa
sede. L'aumento dell'eccitazione modifica il modello di rete costruito con l'equivalente di
Thevenin, perché cambiano le sorgenti di f.e.m.; tale modello è quindi valido solo nei primi
istanti del transitorio, per un lasso di tempo di poche centinaia di ms (situazione
subtransitoria e, in parte, transitoria).
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I secondi (spesso chiamati Governor nella letteratura anglosassone) agiranno sui motori
primi per stabilizzare la velocità; saranno solitamente più lenti degli AVR perché dovranno
agire meccanicamente su valvole di alimentazione (dell’acqua per le turbine idrauliche, del
vapore per le turbine a vapore, del combustibile per i turbogas).
Tutte queste considerazioni devono servire come riflessione critica perché si abbiano ben
presenti i limiti insiti nel calcolo delle correnti di ctocto con il metodo di sovrapposizione
degli effetti. Tuttavia l'esperienza insegna che tale metodo, se eseguito cercando sempre
le condizioni peggiori (esempio: condizioni peggiori per la componente unidirezionale e
quindi massima corrente di picco), fornisce risultati attendibili o almeno a vantaggio di
sicurezza.
3.1.4 - Metodi “a rete scarica” e “a rete carica” - Correnti massime e minime di ctocto
Nei precedenti paragrafi si è affermato che il calcolo delle correnti durante il guasto viene
ottenuto dalla sovrapposizione di due effetti:
-
il regime preesistente al guasto
-
il regime di guasto
La somma delle correnti dei due effetti fornisce la corrente complessiva durante il guasto.
Questo metodo comporta la necessità di calcolare il regime preesistente sia per
determinare le correnti in tale regime, da sommare poi a quelle del regime di guasto, sia
per determinare la tensione preesistente in ogni nodo per il quale si voglia calcolare il
guasto, da usarsi come tensione dell'equivalente di Thevenin nella formula (3.3). Ma è ben
noto che il calcolo di regime è, spesso, un calcolo laborioso, che per reti radiali può essere
risolto in via approssimata oppure in maniera esatta con metodi iterativi, o che più in
generale (reti di tipo qualunque) richiede la soluzione di un problema di load-flow. Così, il
calcolo delle correnti di ctocto, che di per sé sarebbe lineare, come da formule (3.3) e (4),
richiede preventivamente un calcolo non lineare!
Inoltre, questo modo di procedere arriva a risultati diversi a seconda delle condizioni del
regime preesistente. La finalità del calcolo di ctocto è invece quella, solitamente, di trovare
le condizioni in assoluto peggiori per la rete. Occorrerebbe allora considerare infinite
situazione del regime preesistente per poi scegliere quella che porta alle maggiori correnti
complessive durante il ctocto, eseguendo così il calcolo infinite volte.
L'esperienza però mostra che normalmente le correnti di guasto sono molto più grandi di
quelle di regime. Si opta quindi frequentemente per una strada diversa:
-
il regime preesistente è considerato "a vuoto": nessuna transito di potenza in tutta la
rete, tensione uguale in modulo e fase in tutti i nodi;
-
con tale regime si calcola il regime di guasto; le correnti complessive durante il guasto
coincidono con quelle del solo regime di guasto, essendo nulle nel regime
preesistente;
-
per eseguire un calcolo a vantaggio di sicurezza, che tenga conto cioè di tutte le
possibili condizioni di funzionamento e fornisca quella peggiore, il valore di tensione in
tutti della rete del regime preesistente a vuoto viene considerato non pari a 1 pu, ma
superiore: 1.05 o 1.10 pu, a seconda dei casi e del margine di sicurezza che si vuole
tenere in conto.
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 10
Questo metodo è detto metodo a rete scarica, mentre quello che considera un regime
reale preesistente è detto per questo metodo a rete carica; il metodo a rete scarica
comporta una maggiore semplicità di calcolo e al tempo stesso una maggiore generalità.
Infine, va tenuto presente che non sempre la motivazione del calcolo delle correnti di
ctocto è quella di trovare le massime correnti per un corretto dimensionamento dei
componenti, dei quadri e degli interruttori. Un problema più sottile è quello della
percezione del guasto da parte dei relè: ci possono essere condizioni di funzionamento
della rete in cui, in caso di ctocto, le correnti di guasto sono modeste; occorre che anche in
tali casi i relè abbiano la percezione che c'è un guasto in atto e quindi intervengano.
Un esempio è il seguente. Si consideri una rete industriale composta dalla connessione
con la rete prevalente, da alcuni generatori interni, (l'impianto è di autoproduzione), e da
parecchi carichi rotanti, oltre ovviamente ai quadri, ai trasformatori e ai cavi per connettere
tra loro sorgenti e utenze. La condizione in cui la connessione con la rete prevalente è
chiusa, tutti i generatori sono in servizio e così pure tutti i motori è quella che, ovviamente,
in caso di guasto presenterà i maggiori valori di correnti di ctocto, perché saranno
numerosi i contribuenti al guasto. Si dice allora che questo è un calcolo di ctocto a
correnti massime.
Si supponga che (per esempio per motivi di manutenzione) l'impianto venga fermato,
lasciando in servizio solo pochi carichi statici (illuminazione, etc.) e spegnendo anche tutti i
generatori (potenza solo dalla rete prevalente) oppure lasciando in servizio un solo
generatore ma aprendo la connessione con la rete prevalente. In tale configurazione, in
caso di guasto, le correnti di ctocto saranno molto inferiori rispetto al caso precedente,
perché si avrà una sola fonte di contribuzione di corrente (la rete prevalente, collegata
all'impianto mediante il trasformatore di interconnessione, oppure il solo generatore
rimasto in servizio). Se i relè fossero tarati solo in base al calcolo a correnti massime,
probabilmente in caso di guasto non interverrebbero, perché la corrente percepita sarebbe
inferiore alla soglia prescelta. Occorre allora eseguire anche questo calcolo, detto a
correnti minime, per poter predisporre una corretta taratura. Per maggiore precauzione,
anziché usare una tensione di 1.05 o 1.10 nel regime preesistente a vuoto, si preferisce
utilizzare una tensione di 1.00 o 0.95 pu, in modo da ottenere le correnti minime assolute.
Il problema è comunque delicato, perché a volte le correnti minime, in alcuni rami, sono
inferiori alle correnti di regime in condizione di carico normale (il protezionista si augura di
non imbattersi mai in questi casi limite).
3.2 - Richiami di teoria: guasti dissimmetrici
3.2.1 - Generalità
I guasti trifase non sono gli unici tipi di guasto possibili, anzi. Frequentemente è una sola
fase ad essere colpita dal ctocto, e in tal caso si parla di guasto monofase, altre volte il
ctocto avviene tra due fasi distinte, e in tal caso si parla di guasto bifase. Spesso - per
non dire sempre - il guasto trifase è l'evoluzione di un guasto monofase o bifase, dove per
cause varie (estensione dell'arco, distruzione dell'isolante, etc.) vengono coinvolte anche
le fasi rimaste sane. Il guasto monofase non può che essere tra una fase e la terra; il
guasto bifase invece può essere tra due fasi senza interessare la terra, e in tal caso
prende il nome di guasto bifase isolato, oppure interessandola, e in tal caso prende il
nome di guasto bifase a terra. In tutti questi casi il guasto può essere franco oppure
mediante impedenza.
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pag. 11
3.2.2 - Multipolo equivalente
Il problema da affrontare in caso di guasto dissimmetrico è più complesso di quello relativo
al caso di guasto trifase, anche se vale sempre l'utilizzo del principio di sovrapposizione
degli effetti. La rete viene sempre rappresentata mediante un equivalente di Thevenin. Già
per il guasto trifase sappiamo che il bipolo equivalente di Thevenin è una
rappresentazione unifilare di un sistema trifase; occorre invece ora esplicitare le 3 fasi, per
ciascuna delle quali si avrà un generatore equivalente in serie con una impedenza
equivalente, come segue:
a
G
b
c
fig. 1
Quindi anziché un bipolo equivalente si avrà un multipolo equivalente. Siano:
U a,Ub,U c
le tensioni dei tre morsetti di uscita (tensioni di fase, rispetto a terra)
Ea , Eb , Ec
le tensioni dei tre generatori equivalenti
Ia, Ib, Ic
le correnti uscenti dai tre morsetti
Naturalmente le tre tensioni dei generatori equivalenti sono tra loro uguali in modulo e
sfasate di 120° l'una dall'altra, cioè vale che:
E a = E ⋅ e jθ
Eb = Ea ⋅e
Ec = Ea ⋅e
−j
2π
3
2π
+j
3
= E ⋅e
= E ⋅e
 2π 
j  θ− 
3 

(8.0)
 2π 
j  θ+ 
3 

Le tensioni ai morsetti sono pari alle tensioni dei generatori meno la c.d.t. dovuta al
passaggio di corrente sulle impedenze equivalenti. Va però tenuto presente che la c.d.t. su
una fase, in generale, non dipende solo dalla corrente su tale fase, ma anche dalle
correnti sulle altre due fasi, a causa della presenza di effetti mutui (mutue induttanze,
mutue capacità). Si può allora scrivere:
U a = E a − (Z aa ⋅ I a + Z ab ⋅ I b + Z ac ⋅ I c )
U b = E b − (Z ba ⋅ I a + Z bb ⋅ I b + Z bc ⋅ I c )
U c = E c − (Z ca ⋅ I a + Z cb ⋅ I b + Z cc ⋅ I c )
o anche, in forma matriciale:
(9.1)
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pag. 12
U a   E a   Z aa
    
U b  =  E b  −  Z ba
U   E   Z
 c   c   ca
(9.2)
Z ab
Z bb
Z cb
Z ac   I a 
  
Z bc  ⋅  I b 
Z cc   I c 
quindi:
-
al posto del generatore equivalente di Thevenin, si ha una terna di generatori
-
al posto dell'impedenza equivalente di Thevenin, si ha una matrice (3 x 3) di
impedenze
Un discorso a parte meriterà in seguito l'impedenza che dal punto "G" (centro stella dei
generatori) va verso terra.
Se il sistema equivalentato è, in ogni sua parte, geometricamente simmetrico sulle tre fasi,
allora vale che:
Z aa = Z bb = Z cc
Z ab = Z ba = Z ac = Z ca = Z bc = Z cb
cioè tutti gli elementi fuori diagonale, vale a dire le mutue impedenze, sono uguali fra loro;
tutti gli elementi diagonali sono uguali fra loro. Se per esempio, anziché un equivalente, si
avesse un trasformatore reale, si avrebbe che:
Z aa = Z bb = Z cc = Z s = Z d + Z p
Z ab = Z ba = Z ac = Z ca = Z bc = Z cb = Z m = −
Zp
2
cioè: le impedenze diagonali (quelle che in ogni fase rendono conto della tensione dovuta
alla corrente nella fase medesima), che potremmo chiamare auto-impedenze (per
distinguerle dalle mutue impedenze) e sono contraddistinte dal pedice “s” che sta per “selfimpedance”, possono essere viste come la somma di due termini, uno che rende conto dei
flussi magnetici di dispersione in quella fase (Z d ) e uno che rende conto della componente
del flusso magnetico principale (Z p ); componente che, generata dalla corrente di quella
fase, si concatenerà con la fase medesima ma anche con le altre; la mutua impedenza
sarà pari alla metà di tale impedenza cambiata di segno (il flusso generato da una fase di
dividerà sulle altre due, percorrendole nel verso opposto a quello con cui percorre la fase
da cui proviene).
Quindi, per un sistema geometricamente simmetrico, si può scrivere anche:
U a   E a   Z s
    
U b  =  E b  −  Z m
U   E   Z
 c  c  m
Zm
Zs
Zm
Z m  I a 
  
Z m  ⋅ I b 
Z s   I c 
(9.3)
Si noti che quando il sistema lavora in condizioni non dissimmetriche, per cui:
I a = I ⋅ e jδ
I b = I a ⋅e
I c = I a ⋅e
−j
2π
3
2π
+j
3
= I ⋅e
= I ⋅e
 2π 
j  δ− 
3 

 2π 
j  δ+ 
3 

allora per esempio sulla fase "a":
(10.0)
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
U a = E a − (Z s ⋅ I a + Z m ⋅ I b + Z m ⋅ I c ) =
= E a − Z s ⋅ I a − Z m ⋅ (I b + I c )
pag. 13
(10.1)
e poiché le tre correnti sono uguali in modulo e sfasate di 120°, vale che la loro somma è
nulla e quindi:
Ia + Ib + Ic = 0 ⇒
Ib + Ic = −Ia
(10.2)
da cui:
U a = E a − Z s ⋅ I a − Z m ⋅ (I b + I c ) = E a − Z s ⋅ I a − Z m ⋅ (− I a ) =
= E a − (Z s − Z m ) ⋅ I a
(10.3)
la dipendenza della tensione nella fase "a" dalla correnti nelle fasi "b" e "c" sembra essere
scomparsa (ma questa scomparsa è solo una conseguenza della simmetria delle correnti);
analogamente vale per le altre fasi. Si scrive allora:
U a = Ea − Z d ⋅ I a
U b = Eb − Z d ⋅ I b
(10.4)
U c = Ec − Z d ⋅ I c
dove Z d = Z s − Z m prende il nome di impedenza di servizio; si è con questo tornati alla
rappresentazione unifilare di un sistema trifase, perché in generale è:
U = E −Zd ⋅I
(10.5)
Tornando al caso dissimetrico, l'equivalente dato dalla (9.3) o, più in generale, dalla (9.2)
contiene in sé tutte le informazioni necessarie per affrontare il problema dei cticti
dissimmetrici. Per esempio, per il guasto monofase basterà imporre 3 condizioni:
Ua = Zg ⋅Ia
Ib = 0
Ic = 0
(11.1)
dove Z g è l'eventuale impedenza di guasto in caso di guasto non franco (se il guasto è
franco, Z g = 0 ⇒ U a = 0 ). Quindi il sistema (9.3) si riduce alla sola equazione relativa
alle tensioni nella fase "a", dove, essendo nulle le correnti delle altre due fasi:
Ea − Z s ⋅ I a = Z g ⋅ I a
(11.2)
da cui:
Ia =
Ea
Zs +Zg
(11.3)
utilizzando tale corrente nelle altre due equazioni, è banale trovare la tensione ai morsetti
nelle altre due fasi.
Un po' più complessa, ma comunque ancora ben risolvibile, la situazione per i guasti
bifase a terra e bifase isolato.
Con questo modello il problema dei guasti dissimmetrici è quindi di (quasi) facile
soluzione. Tuttavia questo modo di procede non viene praticamente mai utilizzato, ma si
preferisce ad esso un modello, derivato da questo, più elegante e più semplice dal punto
di vista computazionale, anche se più complesso dal punto di vista concettuale.
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pag. 14
3.2.3 - Le sequenze: elementi generali di teoria
Va tenuto presente che raramente sono disponibili, per i vari componenti di un sistema
elettrico (linee, trasformatori, generatori) i parametri di auto e mutua impedenza, in quanto
solitamente viene fornito il valore di impedenza equivalente di fase. Come scomporre tale
impedenza nelle sua componenti auto e mutua richiede delle informazioni aggiuntive.
Quand'anche tali informazioni aggiuntive siano disponibili, allora occorre tenere presente
che il calcolo dell'impedenza equivalente di Thevenin con le tre fasi in evidenza è molto
più laborioso del calcolo con la rappresentazione unifilare, in quando ogni processo di
riduzione serie o parallelo non sarà fatto considerando due impedenze, bensì due matrici
(3 x 3) di impedenze; per non parlare delle conversioni stella-triangolo o triangolo-stella.
Analogamente se si utilizza la matrice delle ammettenze nodali, il processo di calcolo del
vettore colonna della matrice delle impedenze dovrà essere eseguito su matrici in cui ogni
elemento è in realtà una sottomatrice (3 x 3). Possibile, ma non agevole.
Si ricorre allora ad una trasformazione che permette di superare questo problema. Per
prima cosa occorre definire con rigore cosa si intende per terna simmetrica. In generale,
una terna di fasori o comunque di vettori nel piano complesso si dice simmetrica se gode
delle seguenti proprietà:
a) i moduli delle tre grandezze sono uguali;
b) ogni grandezza dista da quella della fase successiva di un medesimo angolo.
La seconda proprietà implica allora che la somma degli angoli di differenza di fase tra
queste grandezze deve dare l'angolo giro oppure un suo multiplo, cioè che:
n f ⋅ ∆θ = k ⋅ 2 π
(12.0)
dove n f è il numero delle fasi (n f = 3 per i sistemi trifase). Per i sistemi trifase sono quindi
possibili solo tre casi:
2π
3
∆θ = k
⇒ ∆θ = 0; ∆θ =
2π
4π
; ∆θ =
3
3
(12.1)
Si consideri l'operatore:
α=e
j
2π
3
1
3
=− + j
2
2
(12.3)
e si noti che:
4π
3
2
j
3
6π
j
3
α =e
α =e
=e
−j
2π
3
1
3
=− − j
2
2
(12.4)
=1
Questo operatore, se applicato ad una grandezza fasoriale tipo tensione o corrente,
apporta ad essa uno sfasamento in avanti di 120°. Per esempio una terna di tensioni come
quella dei tre generatori equivalenti di Thevenin della (8.0) potrebbe essere scritta come:
E a = E ⋅ e jθ
E b = E ⋅ e j (θ− 2 π 3 ) = α ⋅ E a
2
Ec = E ⋅e
j (θ+ 2 π 3 )
(8.1)
= α⋅ Ea
Allora in un sistema trifase le terne simmetriche possibili, per una generica grandezza F ,
sono:
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
 F o,a   F o 

  
 F o ,b  =  F o ;

  
 F o ,c   F o 
 F d ,a   F d 

  2

 F d ,b  = α ⋅ F d  ;

 

 F d ,c   α ⋅ F d 
 F i ,a   F i 

 

 F i ,b  =  α ⋅ F i 

  2

 F i , c  α ⋅ F i 
pag. 15
(13.1)
denominate rispettivamente terna omopolare, diretta, inversa.
-
nella terna omopolare le tre grandezze di fase sono coincidenti;
-
nella terna diretta ogni grandezza di fase dista 120° dalla successiva;
-
nella terna inversa ogni grandezza di fase dista 240° dalla successiva.
Un delle proprietà più significative di cui godono le terne simmetriche è quella di poter
eliminare, con un opportuno processo di equivalentazione, le mutue impedenze in
equazioni come la (9.2). Infatti, se le 3 correnti al secondo membro sono correnti di una
terna simmetrica, allora, considerando ogni fase, è possibile esprimere le correnti delle
altre due fasi in funzione della corrente della fase medesima; per esempio con una terna
diretta vale che:
2
I b = α ⋅ I a; I c = α ⋅ I a
I a = α ⋅ I b;
2
Ic = α ⋅Ib
2
I a = α ⋅ I c; I b = α ⋅ I c
e quindi le c.d.t. della (9.2) possono essere espresse come:
2
∆U a = Z aa ⋅ I a + Z ab ⋅ I b + Z ac ⋅ I c = Z aa ⋅ I a + Z ab ⋅ α ⋅ I a + Z ac ⋅ α ⋅ I a =
(
)
2
= Z aa + α ⋅ Z ab + α ⋅ Z ac ⋅ I a
2
∆U b = Z ba ⋅ I a + Z bb ⋅ I b + Z bc ⋅ I c = Z ba ⋅ α ⋅ I b + Z bb ⋅ I b + Z bc ⋅ α ⋅ I b =
(
2
)
= Z bb + α ⋅ Z ba + α ⋅ Z bc ⋅ I b
2
∆U c = Z ca ⋅ I a + Z cb ⋅ I b + Z cc ⋅ I c = Z ca ⋅ α ⋅ I c + Z cb ⋅ α ⋅ I c + Z cc ⋅ I c =
(
)
2
= Z cc + α ⋅ Z ca + α ⋅ Z cb ⋅ I c
e quindi la (9.2) diventa:
(
)
2
0
0
U a   E a   Z aa + α ⋅ Z ab + α ⋅ Z ac
    
2
α ⋅ Z ba + Z bb + α ⋅ Z bc
0
U b  =  E b  −  0
2
U   E   0
0
α ⋅ Z ca + α ⋅ Z cb + Z cc
 c   c  
(
(
)
 I a 
  
 ⋅ I b 
  
  I c 
)
(9.2,d)
ritrovando per altra via, e con valore più generale, quanto già dimostrato con le
(10.1÷10.5). Analoghi risultati si sarebbero ottenuti con correnti di sequenza omopolare
oppure diretta. Si noti bene però che se anche la terna della correnti è simmetrica, la terna
della c.d.t. ottenute in generale non lo sarà, perché i 3 coefficienti sulla diagonale della
matrice della (9.2,d) possono essere, in generale, diversi tra loro.
Riprendendo la (13.1), si noti che in essa i tre vettori di coefficienti:
1

1;
1

1
 2
α ;
α
 
1
 
α
α 2 
 
(13.2)
sono 3 vettori tra loro indipendenti; pertanto una loro combinazione lineare è in grado di
esprimere qualunque terna di grandezze di fase o, ribaltando il concetto, qualunque terna,
pag. 16
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
quindi anche una terna dissimmetrica, di grandezze di fase può essere espressa come
combinazione lineare dei tre vettori della (13.2). I coefficienti moltiplicativi dei tre vettori
saranno i tre valori F d , F i , F o , coincidenti ciascuno con la grandezza nella fase "a" della
rispettiva terna della (13.1). Vale allora che:
 F a  1 1
  
2
 F b  = 1 α
 F  1 α
 c 
1  F o 
  
α  ⋅ F d 
2
α   F i 
(13.3)
e quindi, invertendo la matrice, vale anche:
F o 
1 1
  1 
 F d  = 3 ⋅ 1 α
F 
1 α 2
 i

1  F a 

2 
α  ⋅ F b 
α   F c 
(13.4)
per cui si può anche scrivere che:
Fa = Fo + Fd + Fi
F b = F o + α2 ⋅ F d + α ⋅ F i
F c = F o + α ⋅ F d + α2 ⋅ F i
(13.5)
o se, si preferisce:
F a  F o   F d   F i 
     2
 

 F b  =  F o  + α ⋅ F d  +  α ⋅ F i 
 F   F   α ⋅ F  α 2 ⋅ F 
d 
i
 c  o 

(13.6)
che a volte si scrive anche come:
 F a   F o ,a   F d ,a   F i ,a 
 
 

  
 F b  =  F o ,b  +  F d ,b  +  F i ,b 
F  F  F  F 
 c   o ,c   d , c   i ,c 
(13.7)
Questa trasformazione fu introdotta da Charles L. Fortescue nel 1918.
Si notino subito alcune proprietà di questa trasformazione:
a) nel caso in cui la terna al 2° membro sia del tipo previsto dalla (10.0), allora vale che:
(
) (
) (
)
(
)
1
1
1
2
2
F o = ⋅ (F a + F b + F c ) = ⋅ F a + α ⋅ F a + α ⋅ F a = ⋅ 1 + α + α ⋅ F a = 0
3
3
3
1
1
1
2
2
2
F d = ⋅ F a + α ⋅ F b + α F c = ⋅ F a + α ⋅ α ⋅ F a + α ⋅ α ⋅ F a = ⋅3⋅ F a = F a
3
3
3
1
1
1
2
2
2
2
F i = ⋅ F a + α ⋅ F b + α ⋅ F c = ⋅ F a + α ⋅ α ⋅ F a + α ⋅ α ⋅ F a = ⋅ 1+ α + α ⋅ F a = 0
3
3
3
(
(
)
)
(
)
cioè: le componente inversa e omopolare sono nulle, mentre la componente diretta è
pari al fasore della fase "a"
b) in ogni caso (quindi anche dissimmetrico) la componente omopolare è pari alla somma
delle grandezze delle tre fasi divisa per 3; per esempio, se si considerano le correnti
del circuito equivalente di Thevenin di fig. 1, tale corrente omopolare è 1/3 della
corrente che da terra entra nel nodo "G" (centro stella della terna di generatori).
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 17
In sintesi, allora: qualunque terna fasoriale di grandezze di fase può essere vista
come la sovrapposizione di tre terne, dette terne di sequenza omopolare, diretta,
inversa (oppure terne di sequenza zero, positiva e negativa) per le quali vale che:
-
per la terna diretta, le tre grandezze sono uguali in modulo e con fasi distanti tra loro
120°, presentandosi nell'ordine le fasi "a", "b", "c" (è quindi la terna che si ha in
condizioni di funzionamento non dissimetriche);
-
per la terna inversa, le tre grandezze sono uguali in modulo e con fasi distanti tra loro
120°, presentandosi però nell'ordine le fasi "a", "c", "b" (quindi con ordine invertito
rispetto alla terna diretta);
-
per la terna omopolare, le tre grandezze sono uguali in modulo e presentano anche la
medesima fase: sono quindi 3 fasori coincidenti, la cui somma non sarà pari a zero
come per le terne diretta e inversa; tale terna sarà quindi presente solo quando la
somma delle grandezze originali di fase sia diversa da zero.
Si riprenda ora la (9.3) e la si riveda applicando questa trasformazione.
U o 
1 1
  1 
U d  = 3 ⋅ 1 α
U 
1 α 2
 i

1  U a 

2 
α  ⋅ U b  =
α  U c 
1 1
1 
= ⋅ 1 α
3 
2
1 α
1  E a 
1 1
 1 
2 
α  ⋅  E b  − ⋅ 1 α
3 
2
α   E c 
1 α
1  Z s
2 
α  ⋅ Z m
α   Z m
Zm
1 1
1 
= ⋅ 1 α
3 
2
1 α
1  E a 
1 1
 1 
2 
α  ⋅  E b  − ⋅ 1 α
3 
2
α   E c 
1 α
1  Z s
2 
α  ⋅ Z m
α   Z m
Zm
Zs
Zm
Zs
Zm
Z m  I a 
  
Z m  ⋅ I b  =
Z s   I c 
Z m  1 1
 
2
Z m  ⋅ 1 α
Z s  1 α
1  I o 
  
α  ⋅ I d 
2
α   I i 
(14.1)
La terna di tensioni del generatore equivalente di Thevenin è già una terna diretta, per cui
la sua trasformazione è immediata:
1 1
1 
= ⋅ 1 α
3 
2
1 α
1   E a  0  0 
    
2 
α  ⋅ E b  = E a  ≡E d 
α   E c  0  0 
(15.1)
da un punto di vista fisico questo significa che il sistema non ha forzanti (sorgenti di f.e.m.)
alle sequenze inversa e omopolare; questo vale, ovviamente, se nel regime preesistente
al guasto non sussistevano condizioni di dissimmetria.
La trasformazione della matrice delle impedenze di Thevenin fornisce un risultato
interessante:
1   Z s Z m Z m  1 1
1
1 1





1 
2
2
= ⋅ 1 α α  ⋅  Z m Z s Z m  ⋅ 1 α
α=
3 
2
2
α   Z m Z m Z s  1 α α 
1 α
0
0  Z o 0
0
Z s + 2 ⋅ Z m

 

=
0
Zs −Zm
0  ≡ 0 Z d 0 

0
0
Z s − Z m   0
0 Z i 

(15.2)
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 18
questo può essere dimostrato con un po' di semplice algebra; oppure applicando il
principio di sovrapposizione degli effetti per ciascuna componente di corrente:
-
per la sequenza omopolare la c.d.t. sulla fase "a" vale:
Z s ⋅ I o ,a + Z m ⋅ (I o ,b + I o ,c ) = (Z s + Z m + Z m ) ⋅ I o ,a = (Z s + 2 ⋅ Z m ) ⋅ I o ,a
(15.3)
ed analogamente sulle altre fasi.
-
per la sequenza diretta, si è già dimostrato con le (10.0÷10.3) e con la (9.2,d);
-
per la sequenza inversa, la dimostrazione è analoga a quella della sequenza diretta.
Si noti che l'impedenza corrispondente alla sequenza omopolare è diversa da quella alle
sequenze diretta e inversa (tra loro uguali): questo è conseguenza del fatto che per la
sequenza omopolare la somma delle tre correnti è diversa da zero, mentre è nulla per le
altre sequenze.
Il risultato della (15.2) è significativo perché nella matrice i valori di mutua impedenza tra le
tre sequenze sono pari a 0, conservando solo gli elementi diagonali.
Attenzione!
questo vale solo se la matrice delle impedenze di Thevenin è del tipo indicato dalla
(9.3), cioè se corrisponde ad un sistema geometricamente simmetrico tra le 3 fasi;
nel caso in cui si abbia la più generica formulazione (9.2), in cui non valgono le
uguaglianze tra i vari elementi, la matrice della (15.2) presenterebbe elementi fuori
diagonale.
Questo significherebbe che, per esempio, una terna di corrente di sequenza diretta
produrrebbe c.d.t. sia dirette, che inverse, che omopolari; etc.
Se poi, nel cto equivalente di fig. 1, il ramo che dal centro stella dei generatori va a terra
presentasse una impedenza di valore Z T , allora questa comporterebbe una ulteriore c.d.t.
solo nel caso in cui tale ramo fosse attraversato da corrente. Questo si verifica quando la
somma delle 3 correnti di fase è diversa da zero, quindi solo in caso di presenza di
corrente omopolare. La corrente nel ramo sarebbe pari a 3⋅ I o e quindi l'ulteriore c.d.t. - in
serie con quella di ciascuna fase, quindi percettibile con medesimo valore in tutte le fasi, e
per questo definibile come c.d.t. omopolare - sarebbe pari a 3⋅ Z T ⋅ I o . La matrice della
(15.2) diventerebbe allora:
Z o

0
0

0
Zd
0
0  Z s + 2 ⋅ Z m + 3 ⋅ Z T
 
0=
0
Z i  
0
0
Zs −Zm
0


0 
Z s − Z m 
0
(15.4)
Concludendo, nel caso favorevole di simmetria geometrica si può allora scrivere che:
U o  0   Z o
    
U d  =  E d  −  0
U  0   0
 i   
0
Zd
0
0  I o 
  
0  ⋅ I d 
Z i   I i 
(14.3)
e questo risultato è estremamente significativo, perché quello che era un sistema di tre
equazioni tra loro dipendenti (9.3) è diventato ora un insieme di tre equazioni tra loro
indipendenti:
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 19
U o = −Z o ⋅ I o
U d = Ed − Z d ⋅ I d
(14.4)
U i = −Z i ⋅ I i
potendo quindi infine affermare che gli effetti delle 3 sequenze sono tra loro indipendenti.
Si noti che ogni equazione della (14.4) corrisponde ad una rappresentazione unifilare di un
sistema trifase di tensioni e correnti: di ognuno di questi sistemi viene rappresentata, per
tutte, sola la fase "a". Volendo esplicitare anche le fasi "b" e "c" occorrerebbe scrivere un
sistema di 3 equazioni per ognuna delle (14.4); per esempio la prima equazione andrebbe
scritta per esteso come:
U d ,a   E d ,a   Z d

 
 
U d ,b  =  E d ,b  −  0

 
 
U d ,c   E d ,c   0
0
Zd
0
0   I d ,a 

 
0  ⋅  I d ,b 


Z d   I d ,c 
(16.1)
e analogamente la seconda e la terza. Tuttavia, una scrittura estesa non fornisce alcuna
informazione aggiuntiva, per il semplice fatto che la sequenza è simmetrica e non sono più
presenti mutue impedenze; quindi, noto quello che accade nella fase "a", nelle fasi "b" e
"c" avviene la medesima cosa, con eventuali sfasamenti di 120° o 240° sia per tensioni
che per correnti.
Va notato che le 3 impedenze sulla diagonale della matrice nella (16.1) sono tutte uguali
fra loro in modulo e fase; analogo risultato sarebbe ottenuto anche nel caso di sequenza
omopolare o inversa. Questo permetterebbe di affermare che le 3 impedenze alla
sequenza diretta della (16.1), come pure quelle delle altre sequenze, sono una terna
omopolare di vettori. Infatti molti testi parlano di sistema omopolare di impedenze alla
sequenza diretta (quello della (16.1)), sistema omopolare di impedenze alla sequenza
inversa (matrice con elementi diagonali Z i ), sistema omopolare di impedenze alla
sequenza omopolare (matrice con elementi diagonali Z o ). Questa dicitura, benché corretta
dal punto di vista formale, è ora meno diffusa perché si preferisce utilizzare gli aggettivi
"omopolare", "diretta" e "inversa" per indicare le sequenze di tensioni e correnti a cui le
impedenze si riferiscono, e non il fatto che le impedenze alle 3 fasi di una sequenza sono
uguali tra loro (fatto quasi sempre verificato e quindi ritenuto ormai non più significativo)
oppure sfasati in maniera simmetrica.
3.2.4 - Sequenze: utilizzo applicativo
Normalmente, per un componente, il costruttore fornisce i valori di impedenza alla
sequenza diretta, inversa e omopolare; se il componente è passivo (linea o trasformatore)
le impedenze di sequenza diretta e inversa sono uguali: differiscono solo per le macchine
rotanti.
Sulla base di questi valori è possibile rappresentare il sistema elettrico mediante tre distinti
schemi unifilari, tra loro indipendenti, relativi alle 3 sequenze, e costruire per ciascuno di
essi l'equivalente di Thevenin (normalmente solo quello alla sequenza diretta presenterà
un generatore di f.e.m., gli altri saranno solo passivi) e/o la matrice delle ammettenze, i cui
elementi saranno singole ammettenze e non sottomatrici (3 x 3).
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Z
o
pag. 20
Zi
Zd
Ed
fig. 2
Si ottengono così tre circuiti equivalenti, uno per ogni sequenza, rappresentabili in modo
unifilare come in fig. 2.
Per una rete che sia elettricamente connessa nel normale funzionamento di regime, dove,
in assenza di dissimmetrie geometriche o di carico, tensioni e correnti sono tutte di
sequenza diretta, può capitare che la corrispondente rete di sequenza omopolare presenti
invece dei rami aperti, e quindi sia suddivisa in isole (per rete connessa si intende una rete
in cui per qualunque coppia di nodi della rete esista almeno un percorso elettrico che li
congiunga, e quindi non esistano isole).
Infatti i trasformatori con avvolgimenti tipo "triangolo" oppure "stella isolata" non sono in
grado di far fluire corrente alla sequenza omopolare su tale avvolgimento, e si comportano
pertanto come circuiti aperti a tale sequenza. Può anche capitare che la rete di sequenza
omopolare sia tutta aperta nel nodo in cui si calcola l'equivalente di guasto, e di
conseguenza l'impedenza equivalente alla sequenza omopolare sarà infinita.
Su tale argomento si tornerà in seguito, dopo aver esaminato i metodi di calcolo dei vari
tipi di guasto. Il sistema di equazioni (9.2) contiene 6 incognite (le tre tensioni di fase e le
tre correnti di fase) e 3 equazioni; analogamente il sistema (14.4), dove le tensioni e le
correnti sono le trasformazioni, secondo leggi note, delle incognite del sistema (9.2).
Occorre quindi fornire 3 ulteriori equazioni perché il sistema (14.4) possa essere
completato. Se le ulteriori equazioni sono espresse in termini di grandezze di fase, grazie
alle (13.4) è possibile convertirle in termini di grandezze di sequenza.
Guasto monofase a terra
Si supponga che il ctocto avvenga sulla fase "a". Sia Z g l'eventuale impedenza di guasto.
Considerando allora il cto equivalente di fig. 1, si nota che la corrente di guasto è pari alla
corrente nella fase "a", mentre le altre due fasi rimangono a vuoto. Si possono scrivere le
seguenti equazioni:
Ua = Zg ⋅Ia
Ib = 0
Ic = 0
(16.0)
Le correnti di sequenza, grazie alla (13.4), possono allora essere espresse in funzione
della corrente nella fase "a":
I o 
1 1
  1 
 I d  = 3 ⋅ 1 α
I 
1 α 2
 i

1  I a 

I
2 
α  ⋅  0 ⇒ I o = I d = I i = a
3
α   0 
(16.1)
quindi le correnti delle tre sequenze sono uguali e pari ad 1/3 della corrente di guasto.
Inoltre, poiché dalla (13.3) vale che:
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U a  1 1
  
2
U b  = 1 α
U  1 α
 c 
1  U o 
  
α  ⋅ U d ⇒U a = U d + U i + U o
2
α  U i 
pag. 21
(16.2)
quindi le tensioni delle tre sequenze, sommate, forniscono la tensione del nodo di guasto.
Le due espressioni (16.1) e (16.2) e la prima equazione della (16.0) indicano allora che i 3
circuiti equivalenti di fig. 2 devono essere tra loro combinati ponendoli l'uno in serie
all'altro, e chiudendo poi il circuito su una impedenza di valore pari a 3⋅ Z g . Infatti con tale
scelta essi sono percorsi dalla medesima corrente I o = I d = I i = I a 3 che, chiudendosi
sull'impedenza 3⋅ Z g , darà una c.d.t. Z g ⋅ I a pari, secondo la prima equazione della (16.0),
alla tensione della fase "a" e quindi alla somma delle tre tensioni di sequenza.
Con tale cto equivalente è allora facile calcolare che:
Io = Id = Ii =
Ed
Z o + Z d + Z i + 3⋅ Z g
(16.3)
da cui:
Ia =
3⋅ E d
3⋅ E a
=
Z o + Z d + Z i + 3⋅ Z g Z o + Z d + Z i + 3⋅ Z g
Ua = Zg ⋅Ia =
3⋅ Z g
Z o + Z d + Z i + 3⋅ Z g
(16.4)
⋅ Ea
Da queste espressioni generali si ricavano quelle relative al guasto franco:
Io = Id = Ii =
Ia =
Ed
Zo + Zd + Zi
3⋅ E d
3⋅ E a
=
Zo + Zd + Zi Zo + Zd + Zi
Ua = Zg ⋅Ia = 0
(16.3')
(16.4')
Attenzione!
Tensioni e correnti così calcolate, per questo caso e per i successivi, sono già
tensioni e correnti cumulative dell'effetto preesistente (regime, anche rete scarica) e
dell'effetto di guasto. Per esempio, nell'ultima equazione, la tensione nella fase "a"
pari a 0 è la tensione complessiva, quindi si ha una tensione di guasto tale da
annullare la tensione di regime e quindi uguale e contraria ad essa.
Alcune importanti considerazioni vanno fatte sul guasto monofase.
a) Nel caso in cui l'impedenza equivalente della rete alla sequenza omopolare sia infinita
(la rete non ammette l'ingresso/uscita di corrente omopolare in quel nodo) la corrente
di guasto è nulla; si vedrà in seguito in quali casi questo accade. In assenza di
correnti, alle sequenze diretta e inversa non ci sono c.d.t.; il centro stella G del cto
equivalente della rete (fig. 1), sul quale si misura la tensione omopolare, è invece
libero di spostarsi, e (in caso di guasto franco) si porterà quindi ad una tensione pari a
−U a (del regime preesistente), in modo che la tensione del solo effetto di guasto sulla
fase "a", pari alla sola tensione omopolare (all'effetto di guasto), sia uguale e contraria
alla tensione nella fase "a" durante il regime. Ora il nuovo centro stella, che è anche
centro del sistema di tensione del generatore trifase equivalente, è l'estremo della fase
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 22
"a" e quindi le tensioni nelle fasi "b" e "c", rispetto a terra, sono aumentate nella misura
di 3 : le tensioni di fase verso terra assumuno il valore che normalmente vale per le
tensioni concatenate.
b) Nel caso invece in cui l'impedenza equivalente della rete alla sequenza omopolare sia
nulla o trascurabile (la rete ammette l'ingresso/uscita di grandi valori di corrente
omopolare in quel nodo, senza subire variazioni significative di tensione), il centro
stella G non si sposta, e con esso non si sposta il sistema delle tensioni, ma la
corrente di guasto può assumere valori notevoli.
c) Da queste considerazioni discendono i criteri di messa a terra del centro stella dei
trasformatori per i sistemi elettrici ai vari livelli di tensione. Dalla (15.4) si nota come il
valore dell'impedenza di messa a terra del centro stella sia un parametro molto
influente sul valore di impedenza alla sequenza omopolare. Nel caso di sistemi in AT
(132, 150, 220, 380 kV) una situazione come nel caso "a)" comporterebbe tensioni
fase-terra molto elevate, con rischio per la tenuta degli isolamenti. Quindi si opta per
un centro stella francamente a terra. Nel caso di sistemi BT l'aumento della tensione di
fase dal valore stellato (220÷230 V) a quello concatenato (380÷400 V) potrebbe
essere sopportato dagli isolamenti dei cavi di distribuzione, ma non dai dispositivi
domestici, quindi anche in questo caso si opta per un centro stella francamente a
terra. Nei sistemi MT invece cavi e linee sono ben in grado di reggere questo
incremento di tensione, e si ritiene più opportuno privilegiare la limitazione delle
correnti di guasto, quindi si opta per trasformatori con centro stella isolato oppure a
triangolo.
Guasto bifase generalizzato
Si supponga che il ctocto avvenga sulla fase "b" e "c". La prima informazione è quindi che
la corrente sulla fase "a" è pari a zero; siano poi definite, con la massima generalità, le
eventuali impedenze di guasto:
-
Z g ,bG
tra la fase "b" e la terra;
-
Z g ,cG
tra la fase "c" e la terra;
-
Z g ,bc
tra le fasi "b" e "c".
Questo comporterà che:
Ia = 0
Ub
U −U c
+ b
Z g ,bG
Z g ,bc
Uc
U −U b
Ic =
+ c
Z g ,cG
Z g ,bc
Ib =
(17.0)
La parte di rete esterna alla rete originale e quindi esterna all'equivalente, dovuta alla
situazione di guasto e a cui corrispondono le (17.0), potrà allora essere descritta da
seguente sistema di equazioni:
I a  
  
I b  = 
I  
 c 
0
0
0
1 Z g ,bG + 1 Z g ,bc
0
− 1 Z g ,bc
 U a 
  
− 1 Z g ,bc
 ⋅ U b 

1 Z g ,cG + 1 Z g ,bc  U c 
0
o, se si preferisce, utilizzando le ammettenze anziché le impedenze:
(17.1)
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
0
 I a  0
  
 I b  = 0 Y g ,bG + Y g ,bc
 I  0
− Y g ,bc
 c 
 U a 
  
− Y g ,bc  ⋅ U b 

Y g ,cG + Y g ,bc  U c 
pag. 23
0
(17.2)
Questo può essere trasformato in modo da utilizzare terne di grandezze di sequenze
simmetriche:
I o 
1 1
  1 
 I d  = 3 ⋅ 1 α
I 
1 α 2
 i

1 1
1 
= ⋅ 1 α
3 
2
1 α
1  I a 
1 1




1
2
α  ⋅  I b  = ⋅ 1 α
3 
2
α   I c 
1 α
1  0
0
2 
α  ⋅ 0 Y g ,bG + Y g ,bc

α  0
− Y g ,bc
 U a 
1  0
0
0

  

2
α  ⋅ 0 Y g ,bG + Y g ,bc
− Y g ,bc  ⋅ U b  =


α  0
− Y g ,bc
Y g ,cG + Y g ,bc  U c 
 1 1
 
2
− Y g ,bc  ⋅ 1 α

Y g ,cG + Y g ,bc  1 α
0
1  U o 
  
α  ⋅ U d 
2
α  U i 
(17.3)
La matrice delle ammettenze alle sequenze simmetriche che si ottiene sviluppando il
prodotto matriciale della (17.3) sarà una matrice piena; questo significa che i tre circuiti di
sequenza, lato guasto, non saranno più indipendenti tra loro. In questo caso di massima
generalità allora l'utilizzo delle sequenze simmetriche non porta particolari vantaggi, non
essendo più in essere il disaccoppiamento tra di esse; tale strada è comunque possibile,
ma in questa sede non verrà approfondita ulteriormente, anche perché la valutazione o la
stima di 3 distinte impedenze di guasto è praticamente impossibile.
Si esamineranno invece tre sottocasi:
-
il guasto bifase a terra, dove l'impedenza di guasto Z g ,bc tra fase e fase si consideri
nulla e vi sia un'unica impedenza Z g tra il punto di guasto e la terra;
-
il guasto bifase isolato, dove le impedenze di guasto Z g ,bG e Z g ,cG fase-terra si
considerino infinite;
-
il doppio guasto monofase, dove l'impedenza di guasto Z g ,bc tra fase e fase si
consideri infinita; ma si verificherà che anche questo caso comporta la presenza di
mutue impedenze tra le varie sequenze, quindi la trattazione non verrà completata.
Guasto bifase a terra
Si supponga che il ctocto avvenga sulle fasi "b" e "c". La prima informazione è quindi che
la corrente sulla fase "a" è pari a zero; è poi definita l'eventuale impedenza di guasto:
-
Z g tra il punto di guasto, comune alle fase "b" e "c", e la terra.
Questo comporterà che:
Ia =0
U b = Z g ⋅ (I b + I c )
U c =Ub
Da queste equazioni discende che:
(18.0)
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
1
1
I o = ⋅ (I a + I b + I c ) = ⋅ (I b + I c )
3
3
1
1
U o = ⋅ (U a + U b + U c ) = ⋅ (U a + 2 ⋅U b )
3
3
1
1
1
2
2
U d = ⋅ U a + α ⋅U b + α ⋅U c = ⋅ U a + α + α ⋅U b = ⋅ (U a − U b )
3
3
3
1
1
1
2
2
U i = ⋅ U a + α ⋅U b + α ⋅U c = ⋅ U a + α + α ⋅ U b = ⋅ (U a − U b )
3
3
3
(
(
)
)
(
(
(
(
) )
) )
pag. 24
(18.1)
e questo significa che:
-
il circuito di sequenza omopolare è attraversato dalla somma delle due correnti di
guasto divisa per 3;
-
i circuiti di sequenza diretta e inversa sono sottoposti alla medesima differenza di
potenziale, quindi possono essere considerati in parallelo; si andrà quindi a verificare
quanto valga la somma delle correnti in tali due circuiti.
Tale somma è data da:
(
(
) (
) (
)
)
1
1
2
2
I d = ⋅ I a +α⋅Ib +α ⋅Ic = ⋅ α⋅Ib +α ⋅Ic
3
3
1
1 2
2
Ii = ⋅ Ia +α ⋅Ib +α⋅Ic = ⋅ α ⋅Ib +α⋅Ic
3
3
1
1
2
I d + I i = ⋅ α + α ⋅ (I b + I c ) = − ⋅ (I b + I c ) = − I o
3
3
(
(18.2)
)
e questo significa che la corrente che attraversa il parallelo dei circuiti di sequenza diretta
e inversa è pari alla corrente di sequenza omopolare cambiata di segno, ed è pari ad un
terzo della somma delle due correnti di guasto; quindi il parallelo dei circuiti di sequenza
diretta e inversa è posto in serie con il circuito di sequenza omopolare capovolto; si andrà
allora a calcolare la tensione complessiva risultante:
1
1
∆U = U d − U o = U i − U o = ⋅ (U a − U b ) − ⋅ (U a + 2 ⋅ U b ) = −U b = − Z g ⋅ (I b + I c ) =
3
3
= − Z g ⋅ 3 ⋅ I 0 = 3 ⋅ Z g ⋅ (− I 0 )
(18.3)
quindi la serie dei circuiti suddetti può essere richiusa sull'impedenza di guasto, arrivando
così ad una rete di cui si può trovare la soluzione:
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Z
o
Z
I
o
I
d
I
i
3Z
Z
g
→
Zd
pag. 25
d
Z
o
i
Zi
3Z
Ed
g
figg. 3a e 3b
Questa rete si risolve con il metodo dei potenziali di nodo:
U d − Ed U d
Ud
+
+
=0
Zd
Zi Zo + Z g
U d ⋅ (Z i ⋅ (Z o + Z g ) + Z d ⋅ (Z o + Z g ) + Z d ⋅ Z i ) = E d ⋅ Z d
Zd
⋅ Ed
Ud =
Z i ⋅ (Z o + Z g ) + Z d ⋅ (Z o + Z g ) + Z d ⋅ Z i
(18.4)
Quindi, dalla figura:
Ui =Ud
−Z o
Uo =
⋅U d
Zo + Z g
(18.5)
etc.
Guasto bifase isolato
Si supponga che il ctocto avvenga sulle fasi "b" e "c". La prima informazione è quindi che
la corrente sulla fase "a" è pari a zero; è poi definita l'eventuale impedenza di guasto:
-
Z g tra le due fasi "b" e "c".
Questo comporterà che:
Ia =0
I b = −I c
U b −U c = Z g ⋅ I b
Da queste equazioni discende che:
(19.0)
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1
1
I o = ⋅ (I a + I b + I c ) = ⋅ (I b − I b ) = 0
3
3
1
1
3
2
2
I d = ⋅ I a + α⋅Ib +α ⋅Ic = ⋅ α −α ⋅Ib = j
⋅Ib
3
3
3
1
1 2
3
2
Ii = ⋅ Ia +α ⋅Ib +α⋅Ic = ⋅ α −α ⋅Ib = − j
⋅Ib
3
3
3
(
(
) (
) (
)
)
pag. 26
(19.1)
e questo significa che:
-
il circuito di sequenza omopolare è a vuoto, quindi non deve essere considerato;
-
i circuiti di sequenza diretta e inversa sono percorsi dalla medesima corrente, ma
cambiata di segno; saranno quindi posti in serie, ma con il circuito di sequenza inversa
posto in opposizione.
Inoltre:
2
U b = U o + α ⋅U d + α ⋅U i
2
U c = U o + α ⋅U d + α ⋅U i
(
(19.2)
)
U b − U c = α − α ⋅ (U d − U i ) = − j 3 ⋅ (U d − U i )
2
quindi, collegando questo alla (19.1):
U d −U i =
1
1
1
3
⋅ (U b − U c ) =
⋅Zg ⋅Ib =
⋅Zg ⋅
⋅Id = Zg ⋅Id
j 3
−j 3
−j 3
−j 3
(19.3)
e questo significa che i circuiti di sequenza possono essere chiusi in una maglia come da
figura:
Zd
Z
i
fig. 4
Ed
Questa rete si risolve con il metodo delle correnti di maglia:
Id =
Ed
Zd + Zi + Z g
Ii = −I d
Io = 0
(19.4)
etc.
3.2.5 - Parametri di rete alla sequenza omopolare - Tipi di connessione dei trasformatori
Gli avvolgimenti dei trasformatori possono essere connessi in diverse maniere. Le
principali sono:
1) a triangolo;
2) a stella, con centro stella isolato;
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 27
3) a stella, con centro stella a terra mediante impedenza;
4) a stella, con centro stella francamente a terra;
5) a zig-zag.
Il caso "5)" (a zig-zag) non verrà considerato. Il caso "4)" (a stella, con c.s. francamente a
terra) verrà classificato come di tipo "3)" (a stella, con c.s. a terra mediante impedenza),
con valore di impedenza pari a zero. Quindi i tipi considerati, e i relativi simboli, saranno
solo:
1) ∆
a triangolo;
2)
Υ
3)
ΥZt a stella, con centro stella a terra mediante impedenza.
a stella, con centro stella isolato;
Nel caso di trasformatori a 2 avvolgimenti (per semplicità quelli con maggior numero di
avvolgimenti non saranno considerati) le combinazioni possibili sono riportati nella tabella
seguente, e per ciascuna combinazione si discuterà il comportamento alle sequenza
omopolare. In particolare si indicheranno i tre parametri del cto equivalente a Π alla
sequnza omopolare (Y 01,o ; Z l ,o ; Y 02,o ), con i valori espressi in p.u. di macchina e quindi
senza doversi preoccupare del rapporto spire. Occorre qui ricordare che nel caso in cui i
tre avvolgimenti di un cto a triangolo siano percorsi da correnti uguali in modulo e fase,
queste correnti si limitano a circolare nel triangolo senza entrare o uscire dai morsetti di
fase.
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
Avv. 1
Avv. 2
∆
∆
∆
∆
Υ
Υ
ΥZt
Υ
ΥZt
Υ
ΥZt
ΥZt
pag. 28
Note su avv. 1
Note su avv. 2
cto equiv alla sequenza omop.
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare
Y 01,o = 0; Z l ,o = ∞; Y 02,o = 0
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare
Y 01,o = 0; Z l ,o = ∞; Y 02,o = 0
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare;
tuttavia nel triangolo
può circolare corrente,
uguale in ogni lato,
senza uscire/entrare
dai morsetti di fase
La corrente di
sequenza omopolare
può entrare/uscire;
essa viene riportata al
primario dove circola
nel triangolo senza
uscire/entrare dai
morsetti di fase
Y 01,o = 0; Z l ,o = ∞;
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare
Y 01,o = 0; Z l ,o = ∞; Y 02,o = 0
Per il princ. di Kirchhoff
ai nodi non può entrare
o uscire corrente di
sequenza omopolare
Per il prin. di Kirchhoff
ai nodi, la corrente di
sequenza omopolare
potrebbe entrare o
uscire; ma non avendo
modo di fare lo stesso
al primario, essa è
nulla anche sul
secondario, fatta salva
la corrente di
magnetizzazione alla
sequenza omolare
(vedi discussione
seguente)
Y 01,o = 0; Z l ,o = ∞;
La corrente di
sequenza omopolare
può entrare/uscire;
essa viene riportata al
primario con il
medesimo valore, fatto
salvo il rapporto spire e
la corrente di
magnetizzazione
il trasformatore è un cto aperto
alla sequenza omopolare
il trasformatore è un cto aperto
alla sequenza omopolare
Y 02,o =
1
Z cc + 3 ⋅ Z t 2
il trasformatore alla sequenza
omopolare è un cto aperto all'avv.
1, mentre all'avv. 2 è un ramo
verso terra con impedenza pari
all'impedenza di ctocto + 3 volte
l'impedenza di messa a terra del
c.s.
il trasformatore è un cto aperto
alla sequenza omopolare
Y 02,o =
1
Z m ,o + 3 ⋅ Z t 2
il trasformatore alla sequenza
omopolare è un cto aperto all'avv.
1, mentre all'avv. 2 è un ramo
verso terra con impedenza pari
all'impedenza di magnetizzazione
(più una frazione dell'impedenza
di ctocto) + 3 volte l'impedenza di
messa a terra del c.s
La corrente di
Y 01,o = 0; Y 02,o = 0;
sequenza omopolare
Z l ,o = 3 ⋅ Z t1 + Z cc + 3 ⋅ Z t 2
può entrare/uscire;
essa viene riportata al
il trasformatore alla sequenza
secondario con il
omopolare è un cto (in p.u.,
medesimo valore, fatto
salvo il rapporto spire e quindi senza doversi preoccupare
del rapporto spire) con
la corrente di
impedenza
longitudinale pari
magnetizzazione alla
all'impedenza
di ctocto + 3 volte
sequenza omopolare
l'impedenza
di
messa a terra del
(vedi discussione
c.s. avv. 1 + 3 volte l'impedenza
seguente)
di messa a terra del c.s. avv. 2
Una discussione particolare merita la corrente di magnetizzazione alla sequenza
omopolare. Si riprendono qui brevemente le equazioni (trifasi) di funzionamento di un
trasformatore a 2 avvolgimenti, con le seguenti convenzioni:
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 29
-
i pedici a lettere maiuscole (A, B, C) si usano per le grandezze di fase del primario;
-
i pedici a lettere minuscole (a, b, c) si usano per le grandezze di fase del secondario;
-
l'apice " ' " significa che una grandezza del secondario è stata riportata al primario
mediante il rapporto spire;
-
per le grandezze del primario si utilizza le convenzione degli utilizzatori, per le
grandezze al secondario si utilizza la convenzione dei generatori.
UA =
RA I A + jωLAA I A + jωM AB I B + jωM AC I C
− jωM Aa ' I ′a − jωM Ab ' I ′b − jωM Ac ' I ′c
UB =
RB I B + jωM BA I A + jωLBB I B + jωM BC I C
− jωM Ba ' I ′a − jωM Bb ' I ′b − jωM Bc ' I ′c (20.1)
U C = RC I C + jωM CA I A + jωM CB I B + jωLCC I C
− jωM Ca ' I ′a − jωM Cb ' I ′b − jωM Cc ' I ′c
(una formula analoga vale per le tensioni di fase al secondario).
Nell'ipotesi di perfetta simmetria geometrica, allora le autoinduttanze sono uguali in tutte le
fasi, e così pure sono tutte uguali fra loro le mutue induttanze, non solo tra fasi diverse del
medesimo avvolgimento (primario oppure secondario), ma anche tra fasi diverse di
avvolgimenti diversi; faranno eccezione le mutue tra fasi uguali di avvolgimenti diversi, che
saranno comunque uguali fra loro. Per generalità infatti poniamo:
RA = RB = RC = R1
LAA = LBB = LCC = L1d + L1 f + L1m
dove:
L1d è l'induttanza di dispersione relativa a flussi concatenati solo con quella fase di
quell'avvolgimento (primario);
L1 f è l'induttanza di dispersione relativa a flussi concatenati solo con quella fase su
entrambi gli avvolgimenti (primario e secondario); tali flussi si richiudono anche sul
cassone o su eventuali colonne prive di avvolgimenti nel caso di trasformatori con
nucleo a mantello;
L1m è l'induttanza relativa al flusso principale, che poi si suddividerà in parti uguali nelle
colonne delle altre due fasi (ipotesi di perfetta simmetria geometrica).
e dove solitamente vale che: L1d << L1 f << L1m .
Quindi:
M AB = M BA = M AC = K = M Ab ' = M b ' A = K = −
L1m
2
M Aa ' = M Bb ' = M Cc ' = L1 f + L1m
Quindi, con tali ipotesi, la (20.1) diventa, per esempio per la fase "A":
U A = (R1 + jω(L1d + L1 f + L1m ))I A − jω
L
− jω(L1 f + L1m )I ′ a + jω 1m (I ′b + I ′ c )
2
L1m
(I B + I C ) +
2
(20.2a)
Nel caso di funzionamento con grandezze (correnti) di sequenza diretta oppure inversa,
dove la somma delle tre correnti fase è pari a 0, è immediato dimostrare che questa
equazione diventa:
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
3
3




U A =  R1 + jω L1d + L1 f + L1m   I A − jω L1 f + L1m  I ′ a =
2
2





= (R1 + jX 1 )I A + jX m ,d / i (I A − I ′ a )
pag. 30
(20.2a,d/i)
dove quindi:
3


X m ,d / i = ω L1 f + L1m 
2


è l'impedenza di magnetizzazione alla sequenza diretta/inversa
I A − I ′ a = I 0, A
è la corrente di magnetizzazione (fase "A", vista al primario)
Invece, nel caso di funzionamento con grandezze (correnti) di sequenza omopolare, la
(20.2a) diventa:
U A = (R1 + jω(L1d + L1 f + L1m ))I A,o − jω
L1m
(I B , o + I C , o ) +
2
− jω(L1 f + L1m )I a ',o + jω
L1m
(I b',o + I c ',o ) =
2
= (R1 + jω(L1d + L1 f ))I A,o − jωL1 f I a ',o =
(20.2a,o)
= (R1 + jX 1 )I A,o + jX m ,o (I A,o − I ′ a ,o )
dove quindi:
X m,o = ωL1 f è l'impedenza di magnetizzazione alla sequenza omopolare.
Questo risultato matematico rispecchia la fisica della situazione: mentre con 3 correnti di
sequenza diretta o inversa il flusso prodotto da ciascuna fase si suddivide nelle altre due
colonne e rafforza quello generato in tali colonne dalle rispettive correnti, con 3 correnti
uguali il flusso prodotto da ciascuna fase si suddivide nelle altre due colonne andando ad
annullare in tali colonne il flusso generato dalle rispettive correnti.
La (20.2a,o) (o le analoghe per le fasi "B" e "C") mostra quindi come l'impedenza di
magnetizzazione alla sequenza omopolare sia solitamente molto inferiore rispetto a quella
alla sequenza diretta/inversa; valori tipici sono:
X m,d /i = 100 ÷ 500 pu
X m,o = 0. 5 ÷ 2. 0 pu
quindi l'impedenza di magnetizzazione alla sequenza omopolare è circa 100 volte inferiore
di quella alla sequenza diretta, anche se nel caso di trasformatori con nucleo a 5 colonne,
o anche solo con cassone in ferro di spessore rilevante e molto vicino al nucleo
magnetico, essa assume valori maggiori di quelli indicati.
La tabella della pagina precedente mostra come in molti casi i trasformatori si comportino
come circuiti aperti. Come conseguenza, una rete elettrica che nel normale funzionamento
di regime (sequenza diretta) si presenti elettricamente non disgiunta, alla sequenza
omopolare può invece essere composta di più isole e da nodi isolati. Alcune isole possono
anche essere prive di collegamenti verso terra, rendendo così singolare la corrispondente
sottomatrice delle ammettenze nodali; così pure alcuni nodi isolati, per i quali quindi il
corrispondente elemento diagonale nella matrice delle ammettenze nodali è nullo. Nel
caso di calcolo automatico (con programmi come MATLAB o altri prodotti o subroutine in
grado di eseguire l'inversione di una matrice o di risolvere un sistema lineare) queste
singolarità danno luogo a divisioni per zero, con il rischio di interruzione del calcolo per
errori. Occorre allora prendere alcune contromisure, tra le quali una delle più utilizzate è
quella di porre valori molto piccoli di ammettenza negli elementi diagonali, in modo da
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
pag. 31
ottenere impedenze equivalenti molto elevate (e quindi assimilabili ad un valore infinito)
nei nodi corrispondenti. Nel calcolo manuale basta ricordare che nelle parti di rete isolate
alla sequenze omopolare non può esistere tale corrente.
3.3 - Esempio numerico
Sia data la rete in figura:
132 kV
Yt/d
132 kV
15 kV
15 kV
Nodo 3
30 km
Nodo 1
Nodo 2 An=40 MVA
Scc=200 MVA
D/y
6 kV
1 km
Nodo 4
An=10 MVA
Nodo 5
An=6 MVA
An=30 MVA
A monte del Nodo 1, da considerarsi come nodo di saldo, è presente una rete di potenza
prevalente.
I dati della rete e dei componenti sono i seguenti:
-
frequenza nominale 50 Hz
-
rete prevalente: potenza di ctocto 200 MVA con f.p. 0.1 per guasto trifase; in caso di
guasto monofase la corrente di guasto monofase è 1.2 volte superiore alla corrente di
guasto trifase, e con f.p. 0.2;
-
linea aerea a 132 kV: r=0.054 Ω/km, x=0.380 Ω/km, c=9.6 nF/km, lungh.=30 km; alla
sequenza omopolare: ro/r=4, xo/x=3, co/c=2/3;
-
trasformatore AT/MT: 132 kV / 15 kV, An=40 MVA; zcc=0.12 pu; pCu=0.004 pu;
corrente di magnetizzazione e perdite nel ferro trascurabili; connessioni Yt/d (stella
francamente a terra / triangolo);
-
generatore: An=30 MVA; ra=0.0045 pu; x"d=0.180 pu; x'd=0.270 pu; xi=0.240 pu;
xo=0.135 pu; avvolgimenti statorici a stella con c.s. a terra mediante resistenza da
86.6 Ω;
-
cavo MT 3x150 mm2, portata 400 A: r=0.162 Ω/km; x=0.097 Ω/km; c=240 nF/km;
lungh=1 km; ro/r=4; xo/x=3; co/c=1
-
trasformatore MT/MT: 15 kV / 6 kV, An=10 MVA; zcc=0.10 pu; pCu=0.006 pu; corrente
di magnetizzazione e perdite nel ferro trascurabili; connessioni D/y (triangolo / stella
isolata);
-
motore: An=6 MVA; Isp/In = 4.5; r/x = 0.2 in ctocto.
Calcolare la corrente di ctocto subtransitoria trifase e monofase nei nodi 2 e 4 e i rispettivi
contributi dai vari rami della rete.
Risoluzione
Si procede per varie fasi:
-
fase 1: costruzione dei cti equivalenti a Π per tutti i rami della rete alla seq. diretta;
-
fase 2: costruzione dei cti equivalenti a Π per tutti i rami della rete alla seq. inversa;
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pag. 32
-
fase 3: costruzione dei cti equivalenti a Π per tutti i rami della rete alla seq. omop.;
-
fase 4: costruzione delle matrici delle ammettenze nodali alle tre sequenze;
-
fase 5: calcolo dell'impedenza equiv. di guasto nei nodi indicati, alle tre sequenze;
-
fase 6: calcolo della corrente di ctocto nei nodi indicati;
-
fase 7: calcolo dei vettori colonna delle matrici delle impedenze nodali;
-
fase 8: calcolo c.d.t. nei vari nodi alle varie sequenze;
-
fase 9: calcolo dei transiti di corrente (contributi al guasto).
Il processo di calcolo sarà quindi lungo e laborioso.
Fase 1, 2, 3
Per prima cosa occorre scegliere una potenza di riferimento per l'intero sistema. Essendo
in gioco potenze nominali differenti, per non scontentare nessuno si sceglie una potenza
"neutrale": 100 MVA.
Rete prevalente
Viene modellizzata mediante una impedenza a terra nel Nodo 1. Se per tale rete si ha una
potenza di ctocto di 200 MVA, questo significa che la rete a monte può essere
rappresentata con una impedenza di 1 pu nel riferimento di 200 MVA, e tenendo conto del
fattore di potenza:
Z& cc , 200 MVA = 0.100 + j 0.995
che, nel riferimento di 100 MVA, diventa:
Z& cc = 0.050 + j 0.497
Poiché in caso di guasto monofase la corrente di guasto è maggiore di 1.2 volte con f.p.
0.2, allora occorre che l'impedenza complessiva di guasto monofase equivalente all'intera
rete a monte sia 1.2 volte inferiore a quella indicata, quindi in modulo sia 0.5/1.2; tenendo
conto del f.p.:
(
)
Z& cc ,monof = 0.2 + j 1 − 0.2 2 ⋅ 0.5 / 1.2 = 0.083 + j 0.408
e poiché (dalla teoria del guasto monofase) si ha che:
Z&
+ Z& cc ,i + Z& cc ,o
Z& cc ,monof = cc ,d
⇒ Z& cc ,o = 3 ⋅ Z& cc ,monof − Z& cc ,d − Z& cc ,i =
3
= 3 ⋅ Z& cc ,monof − 2 ⋅ Z& cc = 0.149 + j 0.229
dove si è ipotizzato che l'impedenza alla sequenza inversa fosse pari all'impedenza alla
sequenza diretta.
Linea aerea a 132 kV
Un calcolo esatto richiederebbe l'utilizzo delle formule derivanti dall'equazione dei
telegrafisti; ci si accontenta di un calcolo approssimato (ma la differenza è davvero molto
piccola). L'impedenza base vale:
Zb =
132 2
= 174. 24 Ω
100
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
-
pag. 33
alla sequenza diretta/inversa si ha: R=1.620 Ω, X=11.400 Ω, B/2=15⋅ω⋅9.6⋅10-9 = 45
µS, che in pu diventano:
Z& l = 0.0093 + j 0.0654
Y& 01 = Y& 02 = j 0.0078
-
alla sequenza omopolare, applicando i coefficienti moltiplicativi per resistenze,
reattanze e capacità:
Z& l ,o = 0.0372 + j 0.1962
Y& 01,o = Y& 02,o = j 0.0052
Trasformatore AT/MT
E' sufficiente un banale riporto delle impedenze:
100 &
Z& cc , 40 MVA = 0.004 + j 0.120 ⇒ Z& cc =
⋅ Z cc , 40 MVA = 0.010 + j 0.300
40
da cui:
-
alla sequenza diretta/inversa:
Z& l = 0.010 + j 0.300
Y& 01 = Y& 02 = 0
-
alla sequenza omopolare, riprendendo la tabella di pag. 26:
Z& l ,o = ∞
Y& 01,o =
1
= 0.111 − j3.330;
0.010 + j 0.300
Y& 02,o = 0
Generatore
Viene modellizzato mediante una impedenza a terra pari a ra + j x"d; va anche questa
riportata a 100 MVA:
100
Z& ′′d =
⋅ (0.0045 + j 0.180 ) = 0.015 + j 0.600
30
Alla sequenza inversa:
100
Z& ′′i =
⋅ (0.0045 + j 0.240) = 0.015 + j 0.800
30
Alla sequenza omopolare occorre anche mettere in conto la resistenza di messa a terra
del centro stella, aggiungendo all'impedenza omopolare il triplo del valore di tale
resistenza. Si calcola allora l'impedenza base a 15 kV, 100 MVA:
152
Zb =
= 2. 250 Ω
100
da cui:
3 ⋅ RT 3 ⋅ 86. 6
=
= 115. 47 pu
Zb
2. 250
quindi:
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pag. 34
100
Z& ′′o =
⋅ (0.0045 + j 0.135) + 115.47 = 115.485 + j 0.450
30
(si noti che l'impedenza dovuta alla resistenza di messa a terra prevale di gran lunga
sull'impedenza omopolare del generatore).
Linea in cavo a 15 kV
Un calcolo esatto richiederebbe l'utilizzo delle formule derivanti dall'equazione dei
telegrafisti; ci si accontenta di un calcolo approssimato (ma la differenza è davvero molto
piccola). L'impedenza base vale:
152
Zb =
= 2. 250 Ω
100
-
alla sequenza diretta/inversa, con lunghezza 1 km, si ha: R=0.162 Ω, X=0.097 Ω,
B/2=0.5⋅ω⋅240⋅10-9 = 37.7 µS, che in pu diventano:
Z& l = 0.0720 + j 0.0431
Y& 01 = Y& 02 = j 0.000085
-
alla sequenza omopolare, applicando i coefficienti moltiplicativi per resistenze,
reattanze e capacità:
Z& l ,o = 0.2880 + j 0.1293
Y& 01,o = Y& 02,o = j 0.000085
Trasformatore MT/MT
E' sufficiente un banale riporto della impedenze:
100 &
Z& cc ,10 MVA = 0.006 + j 0.099 ⇒ Z& cc =
⋅ Z cc ,10 MVA = 0.060 + j 0.998
10
da cui:
-
alla sequenza diretta/inversa:
Z& l = 0.060 + j 0.998
Y& 01 = Y& 02 = 0
-
alla sequenza omopolare, riprendendo la tabella di pag. 26:
Z& l ,o = ∞
Y& 01,o = 0; Y& 02,o = 0
Motore asincrono
Viene modellizzato mediante una impedenza a terra. La corrente di ctocto è circa uguale
alla corrente di spunto, quindi nel pu di macchina l'impedenza subtransitoria vale 1/4.5;
tenendo conto del rapporto r/x:
0.2 + j1.0
1
Z& ′′cc ,6 MVA =
⋅
= 0.0427 + j 0.2137
2
2 4.5
0.2 + 1.0
100 &
Z& ′′cc =
⋅ Z ′′ cc , 6 MVA = 0.712 + j 3.561
6
Si utilizzerà tale valore anche alla sequenza inversa.
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pag. 35
Poiché il trasformatore MT/MT separa il motore dalla rete alla sequenza omopolare, il
valore di impedenza omopolare del motore non è di alcuna utilità (e comunque solitamente
i motori sono con avvolgimento a triangolo oppure a stella con c.s. isolato, quindi tale
impedenza è di valore infinito).
Tabella di sintesi alla sequenza diretta:
Componente
Zshunt oppure Zl (pu)
Y01 (pu)
Y02 (pu)
0.050+j0.497
//
//
0.0093+j0.0654
j0.0078
j0.0078
Trasformatore 2-3
0.010+j0.300
0
0
Generatore in Nodo 3
0.015+j0.600
//
//
0.0720+j0.0431
j0.000085
j0.000085
Trasformatore 4-5
0.060+j0.998
0
0
Motore in Nodo 5
0.712+j3.561
//
//
Zshunt oppure Zl (pu)
Y01 (pu)
Y02 (pu)
0.050+j0.497
//
//
0.0093+j0.0654
j0.0078
j0.0078
Trasformatore 2-3
0.010+j0.300
0
0
Generatore in Nodo 3
0.015+j0.800
//
//
0.0720+j0.0431
j0.000085
j0.000085
Trasformatore 4-5
0.060+j0.998
0
0
Motore in Nodo 5
0.712+j3.561
//
//
Zshunt oppure Zl (pu)
Y01 (pu)
Y02 (pu)
0.149+j0.229
//
//
Rete prev. in Nodo 1
Linea 1-2
Linea 3-4
Tabella di sintesi alla sequenza inversa:
Componente
Rete prev. in Nodo 1
Linea 1-2
Linea 3-4
Tabella di sintesi alla sequenza omopolare:
Componente
Rete prev. in Nodo 1
pag. 36
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
Linea 1-2
0.0372+j0.1962
j0.0052
j0.0052
∞
1 / (0.010+j0.300)
0
Generatore in Nodo 3
115.485+j0.450
//
//
Linea 3-4
0.2880+j0.1293
j0.000085
j0.000085
Trasformatore 4-5
∞
0
0
Motore in Nodo 5
//
//
//
Trasformatore 2-3
Fase 4
Con le tabelle di sintesi è immediata la costruzione della matrice delle ammettenze nodali.
Topologicamente queste matrici hanno la sequente struttura:
X

X
0

0

 0
seq. dir./inv.:
X
0
0
X
X
0
X
X
X
0
X
X
0
0
X
0

0
0

X

X 
seq. omop.:
X

X
0

0

 0
X
0
0
X
0
0
0
X
X
0
X
X
0
0
0
0

0
0

0

? 
dove con "X" si indica il generico elemento diverso da zero. La matrice alla sequenza
omopolare è costituita da due sottomatrici (2 x 2), corrispondenti alle sottoreti composte
dai nodi (1,2) e (3,4), e da un elemento diagonale di valore indefinito, corrispondente al
nodo isolato 5 (porre un valore fittizio diverso da 0, meglio se molto piccolo in modo da
avere impedenza molto grandi). Le due sottoreti sono entrambe dotate di rami verso terra,
quindi le rispettive sottomatrici non sono singolari.
La parte numerica di questa fase sarà riportata in una versione successiva.
Fasi 5 e 7
Per il guasto nel nodo "2" occorre risolvere il sistema:
X

X
0

0

 0
X
0
0
X
X
0
X
X
X
0
X
X
0
0
X
0   Z12  0
    
0   Z 22  1
0  ⋅  Z 32  = 0
  

X   Z 42  0
    
X   Z 52  0
alla sequenza diretta, inversa, e omopolare (a tale sequenza la topologia è diversa perché
alcuni elementi sono nulli). Analogamente nel nodo "4", ottenendo la colonna 4 della
matrice delle impedenze nodali e ponendo il termine noto "1" nella riga 4 anziché nella riga
2 del vettore colonna dei termini noti. Per la topologia matriciale, è facile risolvere il
sistema per sostituzione, partendo per esempio dal fondo (si esprime tutto in funzione di
Z52 o di Z54 ).
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 4: Calcolo correnti di cortocircuito - 24/12/98
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