Persinsala Teatro
Alessandro Alfieri
marzo 14, 2015
Dalla commedia a Beckett: l’audace scommessa del Teatro
degli Audaci.
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All’indomani della catastrofe della Seconda guerra mondiale, un’umanità
mutilata riapre gli occhi su un mondo devastato dalle bombe atomiche, dai
milioni di morti, dai campi di sterminio nazisti, e ciò che si ritrova davanti
non sono che macerie e distruzione. «Scrivere una poesia dopo Auschwitz
è un atto di barbarie» sosterrà Theodor Adorno, sottolineando come la
letteratura, così come tutta l’arte, non potrebbe non farsi carico di una
funzione etica di denuncia e critica della società vigente, di quella stessa
società in grado di produrre l’orrore e che, in ogni istante, potrebbe
degenerare in sciagura storica.
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Il Novecento è stato, infatti, il secolo della degenerazione del razionalismo
illuminista: si tratta di quel principio legato al calcolo logico e al rigore
scientifico che raggiungendo il suo acme si è capovolto su se stesso, fino a
che l’entropia della ragione non ha trasformato quest’ultima in
irrazionalismo. Oggi, bisogna portare il caos nell’ordine, e questo compito
è assunto nell’arte moderna, sempre secondo Adorno, in maniera
paradigmatica, da Samuel Beckett. La produzione di Beckett mantiene
ancora oggi un’attualità disarmante e non perché riesca a parlare
didascalicamente del mondo o della storia, ma perché il mondo e la storia,
nonché la società, vengono trasfigurati esteticamente nella sua opera. Chi
parla di irrealtà assurda in Beckett non ha compreso la quintessenza della
sua opera: assistere a una sua pièce significa guardarsi allo specchio.
Fino al 22 marzo, in un teatro solitamente poco avvezzo a una
drammaturgia di questo tipo, ovvero il Teatro degli Audaci, è possibile
assistere a Finale di partita, uno dei capolavori dello scrittore irlandese;
seppure abituati a una diversa tipologia di programmazione, legata più
che altro alla prosa e alla commedia, il Teatro degli Audaci vince la
scommessa di proporre al pubblico questo capolavoro del teatro
contemporaneo, grazie a una messa in scena esaustiva, potente nel suo
minimalismo e nella sua cupezza. Sul palco uno spazio astratto, una specie
di cantina che accoglie i resti postapocalittici di un’umanità straziata: si
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tratta di ciechi, ritardati, anziani abbandonati in bidoni della spazzatura,
tra i quali si ripropone l’eterna dialettica di servo/padrone in una serie di
dialoghi frammentati, mai esaustivi, che riflettono tutto il non-senso che
caratterizza la società nella quale viviamo. Due finestre campeggiano sulle
pareti e un errore è stato fare entrare della luce da quei giacigli perché,
come dice il testo stesso, fuori non c’è che grigio ovunque, onde che sono
piombo, zero totale. Tuttavia, il disegno luci è perfetto, nel gioco di ombre
e nei ritagli che invece esprimono l’oscurità nel migliore dei modi. Poco
convincente è anche la colonna sonora, ovvero le musiche struggenti che
accompagnano alcune scene dello spettacolo: Finale di partita doveva
restare crudo, perché non ha bisogno di ausili espressivi, la sua potenza
risiede nella sua essenzialità disarmante e lancinante.
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Ha ragione Leonardo Cinieri Lombroso a dirci che un testo del genere
mantiene tutto il suo valore perché parla dell’esistenza, ieri, oggi e, senza
dubbio, anche domani; Beckett infatti appare quanto di più lontano dal
realismo, ma probabilmente nessun drammaturgo è stato più realista di
lui. L’interpretazione dei quattro attori è adeguata alla scarnificazione del
senso che procede lenta su questo palco e un merito ulteriore va
segnalato nella capacità dell’intera compagnia di dribblare il rischio
(costante in chi mette in scena Beckett) di piegare il parodismo e la
tragicità di quest’opera a una sorta di dimensione clownesca e grottesca. Il
passo dal tragico al comico è brevissimo, ma significherebbe storpiare
completamente il senso di un capolavoro del genere; qui infatti non si ride,
si tratta solo di sorridi smorzati e brevi, gli stessi che ciascuno di noi fa allo
specchio ripensando a un’occasione perduta, a una vicenda finita male, a
una speranza mai concretizzata. E se dall’esistenza e dal fatto di essere
nati non c’è scampo, proprio perché nessuno potrà salvarci, abbiamo il
dovere etico di continuare, senza linee guida o direzioni: questo
l’insegnamento di Beckett, reso in maniera efficace e fedele in questo
Teatro degli Audaci.
Lo spettacolo è ancora in scena:
Teatro degli audaci
Via Giuseppe De Santis 29 – Roma
dal 7 al 22 marzo 2015
Associazione Culturale Compagnia degli Audaci presenta
Finale di partita
di Samuel Beckett
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regia Leonardo Cinieri Lombroso
con Flavio De Paola, Enrico Franchi, Maria Cristina Gionta, Emiliano Ottaviani
audio e luci Fabio Massimo Forzato
scenografia Antonio Buttari
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