Capitolo LV La risoluzione 1.Il fondamento. L’azione di risoluzione è l’azione con cui una parte può sciogliersi dal vincolo contrattuale nel caso in cui questo presenti delle anomalie sopravvenute dopo la conclusione del contratto. Così come in caso di rescissione, ad essere turbato è il sinallagma cioè l’equilibrio delle prestazioni (una in funzione dell’altra). In caso di rescissione il difetto è genetico (originario), in caso di risoluzione è funzionale (sopravvenuto): in ambedue i casi, il vizio del sinallagma può colpire solamente i contratti a prestazioni corrispettive. La risoluzione mira a riequilibrar la posizione economico-patrimoniale dei contraenti eliminando (con efficacia ex tunc) non il contratto ma piuttosto i suoi effetti. La risoluzione inoltre, incide non sull’atto ma sul rapporto, cioè sulla situazione giuridica che consegue alla stipula del contratto. La risoluzione può essere: -Per inadempimento; se in un contratto a prestazioni corrispettive una parte non adempie alla prestazione cui era tenuta, la parte adempiente può chiedere giudizialmente o la risoluzione o l’adempimento. In entrambi i casi è dovuto il risarcimento del danno. Il creditore, qualunque azione inizi, deve provare la fonte, negoziale o legale, del suo diritto e, se è previsto un termine, la sua scadenza, ma non l’inadempimento, pur se parziale o dovuto a inesattezza, che va solo allegato, mentre spetta al debitore provare il fatto estintivo del diritto stesso. Una volta chiesta la risoluzione, non può essere chiesto l’adempimento: si tratta di un’alternatività impropria. I presupposti per far si che possa essere configurata la risoluzione per inadempimento sono: - Mancata esecuzione dell’obbligo contrattuale e imputabilità di tale evento al contraente: - L’inadempimento non deve essere di scarsa importanza: la gravità dell’inadempimento va commisurata non al danno, ma alla violazione in relazione alla finalità del rapporto e all’attitudine a turbare l’equilibrio contrattuale. In questo tipo di risoluzione si devono porre in evidenza tre regole: - Mutamento di domanda da adempimento in risoluzione: se la parte adempiente chiede l’adempimento non è possibile esperire l’azione di risoluzione, essendo entrambe volte a tutelare il diritto alla prestazione. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento. L’interesse del creditore all’adempimento può venire meno con il tempo, cosicché egli deve sempre potersi avvalere della risoluzione. Il mutamento della domanda può avvenire in ogni grado di giudizio. La risoluzione può essere chiesta pur dopo che è passata in cosa giudicata una sentenza che rigetta una domanda di adempimento, ponendo a base un adempimento diverso da quello postulato dalla domanda rigettata. - Mutamento da risoluzione in adempimento: non è possibile chiedere adempimento quando è stata domandata la risoluzione perché la parte inadempiente può essersi messa in condizione di non poter più adempiere alla propria obbligazione nemmeno volendo; - Adempimento successivo alla domanda di risoluzione: in linea di principio il debitore non potrebbe adempiere, una volta iniziato il giudizio, perché il creditore ha chiaramente manifestato con sua iniziativa di non avere interesse ad un adempimento tardivo. Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza. La dottrina è divisa anche per quanto riguarda l’individuazione dell’importanza o gravità dell’inadempimento ed ancora una volta si contrappone un’interpretazione in chiave oggettiva ad un’interpretazione in chiave soggettiva della norma. Secondo la prima impostazione la norma avrebbe riguardo alle interpretazioni così come dedotte in contratto e quindi dovrebbe essenzialmente tenersi presente il profilo funzionale. Secondo l’altra impostazione, al contrario, si dovrebbe risalire alla volontà delle parti per valutare fino a quale punto, nella loro intenzione, un dato inadempimento può considerarsi importante avuto riguardo alle finalità soggettivamente perseguite in relazione ai singoli interessi che non sono stati composti nel regolamento. Anche l’inadempimento ad una prestazione accessoria può rilevare, nei limiti in cui faccia venir meno l’utilità della prestazione principale e non sia quindi di scarsa importanza. Viceversa di scarsa importanza può eventualmente essere l’inadempimento parziale della prestazione principale mentre se esso è totale problemi non sorgeranno. Nei contratti di durata l’inadempienza successiva alla domanda di risoluzione rileva ai fini della valutazione della qualità dell’inadempimento. Ci si chiede se sia sufficiente l’inadempimento come oggettivo comportamento del debitore che non esegue la prestazione o sia necessario un inadempimento colposo. La giurisprudenza afferma che l’illecito è escluso quando l’inadempimento è stato provocato da motivi oggettivi, che si risolvono, per il debitore, in assenza di colpa, sempre che il creditore abbia provato il fatto costitutivo dell’inadempimento. In tal modo la risoluzione si atteggia come una sanzione, satisfattosa per il creditore e afflittiva per il debitore inadempiente, al pari dell’obbligo risarcitoria, con cui si cumula, più che come un rimedio obiettivo alla mancata attuazione del sinallagma. Sul piano concretamente disciplinare, alla risoluzione per inadempimento può pervenirsi o ad iniziativa della parte adempiente o perché quel dato inadempimento è già stato fatto oggetto di valutazione negativa in sede di stipula ad opera dei contraenti, i quali vi hanno ricollegato la risoluzione, o per pronuncia del giudice. Sul piano procedimentale due sono i modi con cui si attua la risoluzione. Si parla di risoluzione di diritto e risoluzione giudiziale. Alla risoluzione di diritto si perviene in tre casi distinti che ricevono autonoma ed altrettanto distinta disciplina dal codice civile. a) Diffida ad adempiere. La parte adempiente, anziché chiedere giudizialmente la risoluzione può fissare al debitore un termine per adempiere, trascorso invano il quale il contratto s’intenderà senz’altro risoluto. La dichiarazione di diffida ad adempiere ha carattere negoziale. Si tratta, più precisamente, di un negozio unilaterale recettizio che pretende in ogni caso la forma scritta. La parte adempiente deve inoltre chiaramente intimare l’adempimento, cosicché non sarà sufficiente un generico invito o una generica espressione di desiderio. Per questo motivo la legge pretende che la diffida contenga l’avvertenza espressa che, in caso di mancato adempimento entro il termine, il contratto s’intenderà ricolto. In pendenza del termine di adempimento fissato con la diffida, il creditore non può chiedere né l’adempimento, né la risoluzione, né può procedere ad esecuzione forzata, salvo che il debitore dichiari per iscritto di voler adempiere. Scaduto invano tale termine il contratto è automaticamente risolto, sempre che l’inadempimento sia grave. Una volta notificata la diffida, il creditore non può più revocarla, né modificarla, nemmeno rinnovando il termine, cosicché l’effetto risolutorio, in caso d’inadempimento, è inevitabile. b) Clausola risolutiva espressa. I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. Di regola la clausola risolutiva formerà parte dello stesso contratto. Essa può peraltro essere pattuita anche con atto autonomo, che dovrà rivestire la stessa forma del contratto a cui si riferisce. Le parti devono indicare specificatamente quale o quali sono le obbligazioni che devono essere adempiute a pena di risoluzione. Se l’identificazione è generica o il riferimento è al complesso delle pattuizioni, la clausola non avrà alcun valore in quanto mero stile. La risoluzione non è però automatica, non consegue cioè de iure al mancato adempimento dell’obbligazione secondo le modalità stabilite, perché è necessario che la parte interessata dichiari all’altra che intende avvalersi della clausola risolutiva. Rispetto al momento in cui la clausola è stata pattuita potrebbe infatti essere sopravvenuto un interesse del creditore all’adempimento tardivo, interesse che verrebbe frustato se la risoluzione fosse automatica. La facoltà accordata dalla legge al creditore di dichiarare di volersi avvalere della clausola risolutiva ha la funzione di far salva la fondamentale scelta tra adempimento e risoluzione. Finché il creditore non comunica al debitore inadempiente la propria volontà di avvalersi della clausola, entro il termine ordinario decennale di prescrizione, a far tempo dall’inadempimento costui può sempre adempiere tardivamente c) Termine essenziale. Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza il contratto s’intende risolto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione. Quest’ipotesi di risoluzione di diritto presenta talune analogie ma anche diversità rispetto a quella della clausola risolutiva espressa. In entrambi i casi la risoluzione consegue al modo con cui è stato fissato il regolamento contrattuale o perché sussiste una pattuizione espressa o perché l’essenzialità del termine di adempimento è implicita della natura dell’affare e comunque è desumibile dall’insieme delle prestazioni e dal modo con cui esse sono state determinate. Diversamente dalla clausola risolutiva, il termine essenziale opera automaticamente ma l’effetto risolutivo può essere evitato da una espressa dichiarazione del creditore, il quale comunichi, entro il termine di decadenza di tre giorni, il proprio interesse ad un adempimento tardivo con una dichiarazione a carattere negoziale e a forma libera. L’essenzialità del termine può desumersi dalla volontà dei contraenti o dalla natura del contratto o dalle modalità della prestazione. Nel primo caso si parla di essenzialità soggettiva, che risulta da una dichiarazione espressa o tacita dei contraenti; il termine deve essere indicato in modo preciso e rigoroso e le dichiarazioni in ordine all’inderogabilità devono essere inequivoche. Nell’altro caso si parla di essenzialità oggettiva. Se il creditore vuole risolvere il contratto ma non ha pattuito una clausola risolutiva espressa o un termine essenziale o non vuole assegnare al debitore un termine per l’adempimento, rischiando, così, di non poter più pervenire alla risoluzione, deve agire giudizialmente. La sentenza ha carattere costitutivo. Se scade il termine non essenziale e c’è offerta di adempimento tardivo prima che sia iniziato il giudizio di risoluzione, l’altra parte, se è venuto meno l’interesse in relazione alla non scarsa importanza dell’inadempimento, può rifiutare e poi iniziare il giudizio stesso, perché il difetto d’interesse all’adempimento non coincide con l’interesse allo scioglimento e quindi con l’inizio dell’azione giudiziale. La giurisprudenza ritiene che pur se il rapporto si fosse risolto, di diritto o giudizialmente, la parte non inadempiente potrebbe rinunciare agli effetti risolutori con reviviscenza del rapporto. Ciò è però possibile, a tutto concedere, solo sull’accordo delle parti o quando la parte non inadempiente rinunzia alla risoluzione per ritenere la caparra confirmatoria, mentre non potrebbe rinunziare a pretendere l’adempimento. Nel caso di contratto plurilaterale l’inadempimento di una delle parti non importa la risoluzione del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Nel caso di essenzialità non vi è motivo per negare azione a ciascun contraente. La norma non si applica all’ipotesi di contratto di società e di associazione, là dove gli interessi sono convergenti e sono dettate norme speciali. Ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere se l’altro non adempie o dichiara di non voler adempiere o non offra di adempiere contemporaneamente, …che termini diversi per l’adempimento siano necessari o siano stati …dalle parti. Quando le prestazioni devono essere eseguite mano contro mano ciascuno dei contraenti può pretendere che l’altro, nel mentre chiede l’adempimento altrui, offra anche il proprio. In tal modo si prevengono possibili danni derivanti da futuri inadempimenti della parte che ha ricevuto la controprestazione. Il contrasto tra i contraenti può essere risolto con una sentenza che condanni il convenuto ad adempiere, subordinatamente all’adempimento da parte dell’attore. Se entrambe le parti appongono l’eccezione sostenendo di non aver adempiuto in quanto la controparte a sua volta non ha adempiuto, spetterà al giudice di accertare quale dei due inadempimenti sia più grave sul piano della proporzionalità e tale da legittimare l’eccezione, avuto anche riguardo alle obbligazioni secondarie, mantenute essenziali dalle parti. In ogni caso il contraente non può rifiutare l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede. Si prevede la possibilità che il contraente sospenda l’esecuzione della propria prestazione se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia. Le parti possono pattuire l’inopponibilità di eccezioni al fine di evitare o di ritardare la prestazione dovuta, che può intervenire, peraltro, anche nel corso del giudizio iniziato dal creditore per l’adempimento e non dunque per la risoluzione. Tale clausola (solve et repete) non ha effetto per le eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto. Si ritiene che la clausola sia inefficace anche per quanto riguarda le eccezioni basate sull’inesistenza dell’obbligazione per intervenuta estinzione, ad esempio in seguito a prescrizione. È pacifico che della clausola non ci si possa avvalere se, essa stessa, è invalida,. L’eccezione d’invalidità della clausola è infatti pregiudizievole alla stessa possibilità di avvalersene e non può quindi nemmeno in astratto rientrare tra le eccezioni non opponibili. -Per impossibilità sopravvenuta; se la prestazione diviene impossibile per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue. La disciplina dell’impossibilità sopravvenuta è quindi dettata nel contesto dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dal’adempimento. Si disciplinano le conseguenze dell’intervenuta estinzione dell’obbligazione, quando il contratto è a prestazioni corrispettive. Lo scioglimento del contratto opera di diritto, cosicché l’eventuale sentenza che dirime una controversia in ordine alla sussistenza dell’impossibilità sopravvenuta non imputabile, sarà di mero accertamento. In tal caso non può parlarsi di risoluzione del contratto, perché l’au… dell’effetto di scioglimento al di fuori da ogni pettuizione …iniziativa di parte esclude che si tratti di un mezzo di tutela offerto alla parte adempiente. Resta però fermo che la disciplina, peraltro derogabile, dello scioglimento è sul piano funzionale quella della risoluzione, perché dal punto di vista degli effetti prodotti il fenomeno è identico, avuto riguardo al venir meno del sinallagma. Nel caso d’impossibilità totale la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità, non imputabile, della prestazione non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito. La non imputabilità va valutata secondo il criterio di buona fede, che può determinare, in date circostanze, l’inesigibilità della prestazione e quindi, se del caso, la risoluzione per impossibilità, in luogo di quella per inadempimento, a carico dl debitore quando la prestazione potrebbe bensì essere adempiuta, ma con mezzi anormali. L’impossibilità parziale non estingue l’obbligazione e il debitore è liberato (solo) se esegue la prestazione per la parte che è rimasta possibile. In caso di contratto a prestazioni corrispettive questa disciplina non può applicarsi perché determinerebbe altrimenti un grave squilibrio del sinallagma. S’introduce pertanto un correttivo nel senso di legittimare il creditore o a pretendere una corrispondente riduzione della propria prestazione o a recedere dal contratto, se non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale, da valutarsi oggettivamente secondo il criterio della non scarsa importanza. L’impossibilità totale della prestazione di una delle parti di un contratto plurilaterale. In tal caso il contratto non si scioglie tra le parti, salvo che la prestazione mancata debba secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Una disciplina particolare dell’impossibilità sopravvenuta totale si ha con riguardo ai contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata o trasferiscono o costituiscono diritti reali. Se l’impossibilità sopravvie al trasferimento, l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa non gli sia stata consegnata . ciò significa che la custodia della cosa da parte dell’alienante nelle more della consegna non entra a far parte del sinallagma e quindi non costituisce una controprestazione. Se il trasferimento ha a oggetto una cosa generica l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la controprestazione se l’alienante ha operato la consegna o la cosa è stata individuata, pur se non è eseguita la consegna. Si tratta di una concreta applicazione del principio res perit domino. L’acquirente è in ogni caso liberato dalla propria obbligazione se il trasferimento era sottoposto a condizione sospensiva e l’impossibilità è sopravvenuta è sopravvenuta prima che si verifichi la condizione. Secondo parte della dottrina questa regola farebbe eccezione al principio della retroattività della condizione ma altra dottrina ha obiettato che, in pendenza della condizione, la proprietà del bene resta nel patrimonio del venditore mentre, una volta verificatasi la condizione, effetti non se ne possono produrre a causa della sopravvenuta impossibilità, cosicché un problema di retroattività nemmeno si pone. -Per eccessiva onerosità sopravvenuta; nei contrati ad esecuzione continuata o periodica (di durata) o ad esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta, al momento dell’esecuzione, eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili, comunque non imputabili al contraente, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, sempre che la sopravvenuta onerosità non rientri nell’alea normale del contratto. Si parla di sopravvenuto squilibrio patrimoniale, che consegue ad una alterazione del rapporto di valore tra le due prestazioni in occasione di eventi straordinari o imprevedibili. Il legislatore ha inteso porre rimedio ad una situazione non prevista al momento della conclusione del contratto, la quale sposta su un contraente gli esiti negativi di un rischio non legato alla normale alea insita in ogni contrattazione. Per questo motivo il rimedio si applica ai contratti corrispettivi la cui esecuzione non sia immediata ma protratta nel tempo e quindi esposta a variazioni economiche che tuttavia non possono superare la soglia della normale prevedibilità e tolleranza. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può in ogni caso evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto. Si discute se la congruità dell’offerta vada riferita al momento in cui il contratto è stato concluso o l’offerta è stata effettuata o il giudice decide. Inoltre il contratto deve essere ricondotto non esattamente in equilibrio, ma ad una dimensione sinallagmatica tale che, se fosse sussistita al momento della stipula, la parte onerata non ne avrebbe potuto chiedere la risoluzione. Nel caso di contratto con obbligazioni a carico di una sola parte, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione o una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficiente per ricondurla ad equità. Si ritiene che tale disciplina sia applicabile al contratto con prestazioni corrispettive se eseguito integralmente da una sola parte. Se sopravvengono eventi prevedibili, ma che modificano l’equilibrio contrattuale, la risoluzione, o meglio lo scioglimento del contratto, potrebbe conseguire, ad una valutazione dell’economia del negozio qualora la pretesa alla prestazione divenuta eccessivamente onerosa apparisse contraria alla buona fede esecutiva e quindi inesigibile. 2. Gli effetti. In caso di contratto ad esecuzione continuata o periodica l’effetto non si estende alle prestazioni già eseguite. Si avrà risoluzione parziale, configurabile peraltro anche quando l’oggetto del negozio sia rappresentato non da una sola cosa caratterizzata da una sua unicità non frazionabile, ma da più cose con propria individualità. Salvo l’ipotesi di esecuzione continuata, in cui le prestazioni già eseguite restano ferme, gli effetti della risoluzione retroagiscono (solo) tra le parti, pur se essa derivi da clausola risolutiva espressa o da termie essenziale. In materia immobiliare il terzo prevarrà solo se avrà trascritto il proprio acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda di risoluzione o della domanda che mira ad accertare l’avvenuta risoluzione di diritto, in caso di contestazione sull’esistenza dei presupposti di legge. La risoluzione deve anche essere annotata ai fini della continuità, in margine alla trascrizione del contratto risolto pur quando essa è frutto di un atto che accerti il fatto risolutorio, come ad esempio nel caso di clausola risolutiva espressa. All’effetto risolutorio consegue per i contraenti l’obbligo reciproco della restituzione di quanto ricevuto, salvo il caso di contratti di durata, secondo le regole fissate per la ripetizione dell’indebito e dunque non d’ufficio, in caso di risoluzione giudiziale. L’azione di risoluzione non può essere iniziata da chi on è in grado di operare restituzioni, a meno che sia possibile la restituzione dell’equivalente e salvo il caso fortuito. Né, in caso di parziale impossibilità di resituire, sarebbe ammissibile una domanda di risoluzione parziale. 6. Lo scioglimento volontario. Si prevede la possibilità per le parti o loro rappresentanti, che abbiano concluso il contratto, di scioglierlo per mutuo consenso o per meglio dire per mutuo dissenso. Con tale contratto è possibile porre nel nulla gli effetti di un contratto traslativo o costitutivo solo se essi non si siano ancora prodotti. Altrimenti si ritiene debba procedersi alla stipula di un contratto uguale e contrario a quello che si intende eliminare. Ma in realtà questo trasferimento non può avere causa di vendita, donazione o permuta, perché è solo l’effetto del contratto risolutorio, il quale se da un lato, elimina il precedente rapporto, dall’altro obbliga a concludere l’atto di trasferimento solutionis causa, giustificato, cioè, dal pregresso accordo. Si tratterà di un pagamento traslativo a fronte del quale (se c’era onerosità) si situa l’atto solutorio della restituzione di quanto ricevuto, entrambi a struttura unilaterale, collegati tra loro. In caso d’inadempimento, il contratto risolutorio si risolve, con ripristino della situazione preesistente. In caso di contratto ad effetti obbligatori il mutuo dissenso opererà limitatamente alle prestazioni non ancora eseguite e dunque con efficacia ex nunc, ma è ammissibile una diversa volontà dei contraenti. Secondo la giurisprudenza, il contratto risolutorio richiede la stessa forma pretesa dalla legge, non quella osservata in fatto, per il contratto che viene sciolto. Al contrario, si deve aver riguardo solo agli effetti prodotti, sicché, in caso di risoluzione di donazione, la forma non sarà mai quella dell’atto pubblico, ma, se la donazione è immobiliare e traslativa, quella scritta. Se poi la forma è libera, lo scioglimento può anche conseguire ad un comportamento concludente, anche mediante distruzione del documento se il contratto è stato concluso per iscritto o richiedeva la forma ad probationem. Si prevede la possibilità che il contratto sia sciolto ad iniziativa di una delle parti e dunque unilateralmente. Attesa la vincolatività dell’accordo, il recesso è possibile solo se il relativo potere è stato attribuito in sede di contratto, con fissazione di un termine. Esso, in ogni caso, può essere esercitato solo con modalità e tempi non emulativi e finché il contratto stesso non ha avuto un principio di esecuzione. Tale esecuzione deve comunque intervenire successivamente alla conclusone del contratto cosicché irrilevante, a questi fini, sarà l’adempimento di obbligazioni anche solamente pro… rispetto alla prestazione principale. È ammesso peraltro il patto contrario, come nel caso di recesso attribuito in caso di correlazione ed in funzione di un patto di prova, che necessariamente presuppone l’esecuzione delle prestazioni dedotte in contratto. Si deve escludere la possibilità di un recesso in caso di contratti traslativi quando l’effetto reale si sia prodotto, non potendo valere nemmeno un eventuale patto contrario. Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica il recesso può essere esercitato anche successivamente all’inizio dell’esecuzione, ma sono salve le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. In tal caso il recesso opera ex nunc. I contraenti possono anche fissare la prestazione di un corrispettivo per il recesso, che può essere versato anticipatamente (caparra penitenziale) o al momento del recesso stesso (multa penitenziale). Caparra e multa nulla hanno a che vedere con la clausola penale, la quale presuppone un inadempimento, che nel caso di specie è escluso perché recedendo si esercita un diritto potestativo. Anche la legge attribuisce in taluni casi il diritto di recesso, talvolta a tutti i contraenti, altre volte ad uno solo di essi. La legge tutela peraltro anche la posizione dell'altro contraente. Pertanto di regola è necessario un preavviso, il cui difetto può condizionare l'efficacia stessa del recesso o obbligare al pagamento di un'indennità o ad un risarcimento. Talvolta la legge collega il recesso alla presenza di una giusta causa o alla presenza di un grave motivo, il cui difetto è insuperabile e non sostituibile con il pagamento d'indennità. Pur in assenza di previsione di legge o pattizia, è sempre possibile recedere,con preavviso, da un contratto a tempo indeterminato, a causa della necessaria temporaneità dei vincoli obbligatori. 7. Segue: il diritto di pentimento. la legislazione attuativa dei principi comunitari posti a tutela del consumatore, prevede che costui possa pentirsi e porre nel nulla una sua precedente manifestazione di volontà contrattuale. questi ius se poenitendi opera quando tra un consumatore ed un operatore commerciale sia stato concluso, fuori dei locali commerciali di costui, un contratto di fornitura di beni o di prestazione di servizi o nel caso in cui, nelle stesse condizioni, il consumatore abbia indirizzato all'operatore una proposta, revocabile o irrevocabile, per la quale non sia ancora intervenuta accettazione. La negoziazione del contratto può anche essere intervenuta sulla base di offerte effettuate al pubblico mediante il mezzo televisivo p altri mezzi audiovisivi. La speciale disciplina non si applica ai contratti (o proposte) aventi ad oggetto beni immobili o altri diritti immobiliari, prodotti alimentari o di uso domestico o bevande consegnati a scadenze frequenti e regolari, nè ai contratti di assicurazione o relativi a strumenti finanziari. A tutela del consumatore, è previsto quale foro esclusivo quello della sua residenza. Inoltre l'operatore deve informarlo per iscritto del suo diritto (irrinunziabile) a recedere dal contratto o dalla proposta, pur se irrevocabile, indicando termini, modalità ed eventuali condizioni per il relativo esercizio, nonché l'indirizzo del soggetto nei cui riguardi il diritto di recesso va esercitato o il prodotto eventualmente già consegnato va restituito. Entro il termine non inferiore a dieci giorni la dichiarazione di recesso deve essere spedita per lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se non sottoscritta. La lettera può anche essere preceduta da un telegramma, telex, telefax, inviato nelle quarantotto ore precedenti. Il recesso è stato costruito come mancata accettazione di un contratto di opzione, ma esso dovrebbe allora concludersi con il silenzio, mentre si è in presenza di un pronunciato formalismo. Più probabile è che si tratti di una condizione risolutiva o di un mancato avveramento di quella sospensiva o piuttosto di una revoca o recesso, se non addirittura di una forma rescissoria del contratto.