LA COMMODIFICAZIONE DELLE ACQUE URBANE INTRODUZIONE I

Isabella Capurso
Dottorato URBEUR
2010/2011
IL RAPPORTO CITTA’-NATURA: LA COMMODIFICAZIONE DELLE ACQUE URBANE
INTRODUZIONE
Il presente lavoro vuole portare avanti una riflessione sul rapporto tra città e natura1, utilizzando il
tema della commodificazione delle acque urbane. La prima parte dello studio si propone di
analizzare il frame teorico all’interno del quale si articola il ragionamento, che è rappresentato dal
paradigma dell’ecologia politica urbana. Questo approccio, a sua volta, affonda le radici nel
materialismo storico marxiano e nella teoria dei sistemi, cui si farà breve accenno.
Il cuore del pensiero ecologico-politico è rappresentato dall’idea che i processi naturali e quelli
sociali siano in relazione di reciproca causalità e commistione. In ciò, la città è una realtà ibrida, in
quanto è costituita da materia fisica e naturale, ma insieme è costruita mediante schemi culturali e
sociali. Ciò nonostante, il pensiero razionale e scientista, che si incarna nel sistema economico
capitalista, si relaziona da almeno due secoli con la natura in qualità di realtà esterna, ed esistente a
priori. Questa visione, secondo il paradigma ecologico, è erronea, in quanto non riconosce il
carattere ecosistemico e il meccanismo metabolico sottostante gli scambi materiali e simbolici
uomo-natura.
Inoltre, le modalità di interpretazione del rapporto cultura-ambiente non sono spazi neutri, bensì da
questi discendono condotte politiche ed economiche dai forti risvolti sociali. Infatti,
l’interpretazione cartesiana che vede la realtà naturale come altro da sé, contribuisce a produrre una
certa cultura urbana, forgiata attorno alle logiche capitaliste, in cui le risorse assumono l’aspetto di
commodities, e i fruitori di un bene comune diventano i consumatori di un prodotto a pagamento.
In questo modo, la commodificazione dell’acqua è il tramite attraverso cui il capitalismo colonizza
lo spazio e l’immaginario urbano, perpetrando, contestualmente, pratiche di empowerment e
disempowerment di determinate parti del corpo sociale. I critici di ecologia politica urbana
dimostrano infatti come la percezione e il trattamento della natura possano risultare a tutti gli effetti
anche questioni politiche di classe, genere, etnia, a seconda dei contesti.
In tutto ciò, il paradigma di ecologia politica verrà messo in costante rapporto con quelli che sono i
suoi principali contributi teorici, i Sciences Studies, ed in particolare con il lavoro di Bruno Latour
ed il pensiero della biologa femminista Donna Haraway.
Secondariamente si procederà a descrivere come il sistema di gestione delle acque in città si sia
evoluto in relazione alla crescita urbana, dall’800 fino all’epoca contemporanea. Questo percorso
metterà in luce come lo sviluppo della città corrisponda ad un processo di colonizzazione della
natura, in senso fisico e culturale. Con gli anni Settanta però, la società occidentale si trova a dover
fronteggiare la crisi del fordismo e, con essa, rivedere il proprio credo nel progresso e il rapporto
con le risorse. In questa fase, si diffonde l’ideologia della sostenibilità, che ammette una relazione
dialettica società-natura, seppur, secondo gli ecologi politici, non agisce nel senso di rivoluzionare il
sistema socio-economico vigente, bensì è sussunta nelle logiche del capitalismo. Riguardo a ciò,
ovvero sull’aspetto culturale delle condotte di consumo, verrà proposto un accenno alla questione
foucaultiana del valore del discorso politico nel trattamento della natura.
Infine, verranno ipotizzati alcuni spunti di riflessione, in particolare in relazione al valore delle
proposte alternative offerte dall’ecologia politica allo stato dell’arte, nonché si condurrà una
generale problematizzazione metodologica su quanto emerso.
1
Lo stesso concetto di natura dovrà essere di seguito problematizzato.
1
1) IL RAPPORTO SOCIETA’-NATURA: STRUMENTI DI ANALISI
Il tema della commodificazione delle acque urbane si pone all’interno di un quadro di riflessione
teorico sul rapporto tra città e natura, che mutua contributi da discipline diverse. I concetti di
metabolismo urbano e di materialismo storico-geografico, propri dell’approccio dell’ecologia
politica urbana, rappresenteranno i termini di riferimento principali del presente lavoro, insieme al
contributo di autori di sociologia della scienza ed al pensiero foucaultiano.
1.1) L’APPROCCIO ECOSISTEMICO E LA CITTA’ METABOLICA
There is, in the final analysis, nothing unnatural about New York City. (Harvey, 1993)2
L’elaborazione del concetto di metabolismo urbano affonda le radici nell’approccio ecosistemico e
nel pensiero marxiano.
Per quanto riguarda il paradigma ecosistemico, nato nell’ambito delle scienze biologiche nel XX
secolo e discendente dalla teoria dei sistemi3, basterà in questa sede riportare quanto da questo è
stato mutuato e valorizzato da certa parte delle discipline umanistiche. Infatti, sebbene tale
approccio sia stato formulato in modi differenti dai diversi autori e in vari ambiti scientifici, ciò che
qui tuttavia interessa maggiormente è esplicitare le concezioni fondamentali che ad esso sono
sottese, e che risultano direttamente interessanti ai fini della presente riflessione4.
Di solito, con la parola “sistema” si indica qualsiasi combinazione di elementi considerati nel loro
insieme, unitamente alle relazioni che li tengono uniti. (…) servendoci di questo termine,
prescindiamo dai componenti (gli “elementi”) del sistema e ci riferiamo unicamente
all’organizzazione dell’insieme.5
La teoria ecosistemica produce un’analisi dei fenomeni condotta al livello delle interazioni tra gli
stessi, ovvero essa valorizza il carattere complesso e relazionale degli oggetti di studio all’interno di
un dato contesto. In ciò, gli elementi che lo compongono non vengono in rilievo in relazione alle
loro qualità immanenti, o presunte tali, bensì per effetto del valore della loro posizione nell’ambito
del sistema.6 Dunque, dal punto di vista olistico, i componenti di un sistema possono essere
collegati significativamente tra loro soltanto facendo riferimento al tutto.7
In ciò, è implicita la tensione al superamento di ogni determinismo, sia esso ambientale o culturale,
in virtù di una complessiva integrazione di variabili biofisiche e socioculturali. I principi cardine di
questa concezione sono rappresentati dall’idea di interdipendenza tra le componenti di un sistema,
di (bio)diversità e di equilibrio sostenibile, ovvero autopoietico. Queste caratteristiche sono state
successivamente adottate e trasposte dall’ecologia umana, dal piano degli habitat naturali a quello
2
In The nature of environment: the dialectics of social and environmental change, in The Socialist Register, 1993, p.
29.
3
Negli anni tra il 1940 e il 1950 un gruppo di studiosi tra cui matematici, fisici ed ingegneri diede vita alla teoria
generale dei sistemi. Si stabilisce che fenomeni differenti (biologici e psicologici) condividono gli attributi di un
sistema, ovvero una unità intera e unica che consiste di parti in relazione tra loro, in modo tale che l’intero risulti
diverso dalla semplice somma delle parti e qualsiasi cambiamento in una di queste influenzi la globalità del sistema. La
teoria generali dei sistemi si occupa di studiare e comprendere le regole strutturali e funzionali che possono essere
considerate valide per la descrizione di ogni sistema, indipendentemente dalla sua composizione.
(http://www.convivioastrologico.it/psicologia/teoria_dei_sistemi.htm)
4
La teoria dei sistemi vede infatti, a partire dal testo fondamentale di Von Bertalanffy, diverse rielaborazioni ed
approfondimenti ulteriori. Tra gli altri è necessario citare il contributo decisivo fornito dal testo Autopoiesi e cognizione
di Maturana H. R. e Varela F.J., dove viene portato avanti ed analizzato il concetto di sistemi autopoietici. E’ a partire
da tale testo e da successivi contributi di vari autori (esempi contenuti in La sfida della complessità di Gianluca
Bocchi), che si sviluppa il frame teorico in cui vanno collocati gli studi di sociologia della scienza.
5
Emery F.E. (a cura di), la teoria dei sistemi: presupposti, caratteristiche e sviluppi del pensiero sistemico, Franco
Angeli Ed, Milano, 1989, p. 22.
6
Ibidem, p. 23.
7
Ibidem, p. 25.
2
degli habitat antropizzati e, più genericamente, applicate anche da discipline umanistiche –quali la
sociologia, l’antropologia e la geografia- al campo delle relazioni società-ambiente o, nel caso che
verrà preso in esame, città-natura.
Di fatto, le acquisizioni della sociologia in materia ambientale sono estremamente recenti8, così
come lo è l’istituzione di una branca della disciplina –la sociologia ambientale appunto- che si
occupi appositamente di studiare le società anche in relazione al territorio bio-fisico su cui queste
insistono. Tale spinta metodologica è stata certamente agevolata, negli ultimi anni e soprattutto a
partire dal rapporto Bruntland (1987), dal fatto che la questione ambientale si è posta da sé, con
tutta la sua rilevanza, all’interno di un discorso molto ampio che comprende problematiche quali
l’approvvigionamento delle risorse in regimi di crescente scarsità, limiti tecnologici, inquinamento,
e questioni socio-politiche correlate, quali ad esempio la nascita e proliferazione di movimenti
sociali ambientalisti, politiche di sostenibilità, ecc. All’interno di tale frame, ovvero da quando la
questione ambientale è stata avvertita e riconosciuta ufficialmente dalla letteratura internazionale9
quale urgente istanza politica, economica e sociale del sistema antropico, gli studi più recenti sulla
città si sono avvalsi, tra gli altri, anche dei vari paradigmi ecosistemici come modelli adeguati di
riferimento teorico.
Un particolare tipo di approccio sistemico è quello che si rifà al concetto di metabolismo sociale, da
cui, come verrà illustrato in seguito, l’ecologia politica urbana mutuerà quello di metabolismo
urbano. Anche in questo caso, vi è stata una trasposizione concettuale di un termine dalle scienze
naturali, la fisiologia, alla scienze sociali. Da un punto di vista prettamente scientifico, infatti, per
metabolismo si intende l’insieme delle reazioni biochimiche attraverso cui gli organismi scambiano
materiali con il loro ambiente, garantendo così la sopravvivenza del sistema. Di conseguenza,
tramite la teoria del metabolismo sociale si intende guardare alla comunità e società umane come
organizzazioni dedicate alla sopravvivenza (…) non solo attraverso scambi diretti con l’ambiente,
bensì (anche) attraverso scambi con altri esseri umani. Ciò introduce il fattore organizzativo e,
dietro ad esso, quello culturale.10
Marx è tra i primi autori cui viene attribuito l’utilizzo del termine metabolismo al di fuori degli
ambiti della fisiologia. Il paradigma epistemologico ed ontologico sotteso a questa terminologia è
quello del cosiddetto materialismo storico, ovvero l'interpretazione della storia delle società umane
in base all’evoluzione di fattori strutturali materiali, in particolare tecnologici ed economici. Di
fatto, lo stesso Marx si trova ad articolare un concetto che, seppure in modo ancora embrionale, era
già stato interpretato come identificativo di processi non solo ecologici ma anche storici da un altro
studioso: Justus Von Liebeg, il teorico fondatore della chimica moderna applicata all’agricoltura,
nella prima metà dell’800. In effetti, questi per primo utilizza il termine metabolic rift intendendo
the temporal-spatial separation of spaces of production and spaces of consumption through the
emergence of long-distance trade and the process of urbanization.11
I due fenomeni richiamati da Von Liebeg –commercio di lungo raggio e urbanizzazione- vengono
descritti quali cause del declino della produttività dei terreni agricoli, impoveriti dai nutrienti a
causa dell’ipersfruttamento perpetrato a loro detrimento, incoraggiato dal recente inurbamento della
popolazione. A questo proposito, Von Liebeg parla di spoliation system in riferimento alla nuova
cultura del commercio modernamente inteso, e della relazione città-campagna.
Queste intuizioni, unitamente alle riflessioni che in quegli stessi anni il pensiero di Darwin aveva
attivato sull’evoluzione del mondo biologico come processo storico-metabolico, contribuirono a
8
Osti e Pellizzoni collocano la formalizzazione della sociologia ambientale quale branca della sociologia generale,
attorno agli anni Settanta.
9
I limiti dello sviluppo, commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato nel 1972, rappresenta il primo esempio
istituzionale di valutazione di istanze ambientaliste nel discorso politico ed economico internazionale.
10
Osti G. e Pellizzoni L. in Sociologia dell’ambiente, 2008, p. 77.
11
Swyngedouw E. in Metabolic urbanization in In the nature of cities, 2006, p.23.
3
dare vigore ad una teoria del materialismo storico-geografico12 quale valido appello per descrivere i
fenomeni anche di natura sociale.
A partire da tali premesse, gli autori di ecologia politica costruiscono un percorso teorico il cui
perno è rappresentato dalla rielaborazione in chiave ecologica degli scritti marxiani. Nel fare ciò,
essi si avvalgono delle riflessioni di autori neomarxisti13 che attribuiscono all’autore istanze
avanguardiste di ambientalismo. In particolare, in opere quali Capitale (1867), Grundrisse (1858) e
L’ideologia tedesca (1846) si vuole rinvenire in Marx l’impostazione di un parallelismo ideologico
tra l’iniquo rapporto di sfruttamento del capitalista ai danni del salariato e quello del sistema
capitalismo, ossia certe modalità di prelievo di risorse ambientali, ai danni del mondo naturale.
Il perno concettuale attorno cui si snoda questa interpretazione è dato dal concetto di lavoro, inteso
quale mezzo attraverso cui l’uomo media il rapporto tra sé e la natura. Più specificamente: il lavoro
è l’atto che consente agli uomini di ingaggiare la natura fisica in un processo (metabolico) di
trasformazione della stessa, in aderenza a scopi prefigurati di ottenimento di un nuovo prodotto
ibrido, che insieme è e non è quello di partenza. Dunque, il lavoro è un processo socio-ecologico di
trasformazione dell’ambiente, da parte di un agente. La rilettura ecologica di Marx inserisce tutto
ciò all’interno del discorso sul significato sociale del lavoro nella neonata economia capitalista,
facendo emergere in questo modo la valenza politica e sociologica della metabolic rift, in Marx.
Capitalist production collects the population together in great centres, and causes the urban
population to achieve an ever-growing preponderance. This has two results. On the one hand it
concentrates the historical motive force of society; on the other hand, it disturbs the metabolic
interaction between man and the earth, i.e. it prevents the return to the soil of its constituent
elements consumed by man in the form of food and clothing; hence it hinders the operation of the
eternal natural condition for the lasting fertility of the soil. . . . But by destroying the circumstances
surrounding that metabolism . . . it compels its systematic restoration as a regulative law of social
production, and in a form adequate to the full development of the human race. . . . All progress in
capitalist agriculture is a progress in the art, not only of robbing the worker, but of robbing the
soil; all progress in increasing the fertility of the soil for a given time is a progress toward ruining
the more long-lasting sources of that fertility. . . . Capitalist production, therefore, only develops the
techniques and the degree of combination of the social process of production by simultaneously
undermining the original sources of all wealth—the soil and the worker. (Marx 1976, pp. 637–38)14
Dunque, Marx utilizza il termine metabolism per intendere quell’interazione creativa tra uomo e
natura, atta alla produzione di nuovi artefatti attraverso il lavoro, e dunque, in ottica capitalistica,
come cornice di riferimento del processo di espropriazione di lavoro ed alienazione del lavoratore
nel ciclo di produzione. Inoltre, nell’ottica ambientalista ante litteram, egli utilizzerebbe questo
concetto ad indicare anche un processo di scambio (iniquo), ovvero di spoliazione, dell’uomo ai
danni della natura, ossia della città capitalista -luogo di consumo- ai danni della campagna -luogo di
produzione. Tali interpretazioni, che restano campo di dibattito e controversia, si sforzano di
ricostruire un filone di riflessione che, nell’epoca dei primi grandi inurbamenti in Europa, si fosse
posto il problema delle relazioni tra neonato sistema urbano e natura, e che avesse indagato il
rapporto di reciprocità tra sistemi economico-culturali delle società e realtà biofisiche del loro
intorno.
L’ecologismo neomarxista, in cui la corrente degli ecologi politici affonda in parte le proprie radici
ideologiche, ritiene che nel corso del Novecento e fino agli anni Settanta, le istanze ecologiche
presentate da Marx siano state sostanzialmente tralasciate dalle varie correnti filosofiche e
sociologiche, in quanto poco coerenti con le condotte politiche sovietiche in campo ambientale, e
dunque accantonate in favore di un’interpretazione dell’autore cosiddetta prometeica. Quest’ultima,
infatti, ritiene anti-storica la rilettura ambientalista degli scritti marxiani, e rinviene al contrario
12
L’estensione del termine è ad opera di Swyngedouw E.
Tra gli altri Castro J.E., Foster J.B., Bonefield W.
14
Idem.
13
4
nell’autore una trattazione della questione ambientale nei termini di un mero rapporto utilitaristico
di dominazione uomo-natura, coerentemente con l’ideologia corrente dell’epoca. Questa
interpretazione si giustifica sulla base del fatto che Marx attribuisce nei suoi scritti all’uomo una
capacità superiore di concettualizzazione e trasformazione della natura. Inoltre, l’autore sembra
apparire fiducioso nel progresso e dichiaratamente anti-malthusiano. Questi fattori hanno portato a
concludere nel corso del Novecento che i problemi di Marx col capitalismo non erano tanto che
egli fosse contrario al processo di produzione della ricchezza basato sullo sfruttamento del mondo
non umano; piuttosto egli sosteneva che i frutti di questo ordine sociale non erano distribuiti
equamente.15
Indipendentemente dalle diverse letture che si sono volute dare degli scritti marxiani, è indubbio
che a partire dagli anni Settanta there was a revival of interest in this area in Marxism as well with
the renewal of environmentalism following the publication of Rachel Carson’s Silent Spring in
1962.16 Infatti, dopo la pubblicazione del libro, che descriveva gli effetti devastanti sulla fauna e
sull’avifauna derivanti dall’uso massiccio dei pesticidi, nonché a seguito delle crisi petrolifere che si
abbatteranno sull’economia mondiale negli anni Settanta, il paradigma di relazione societàambiente inteso come rapporto di dominazione del primo ai danni del secondo, si sgretola, e con
questo anche la fiducia nel progresso che la città fordista aveva infuso nella società moderna. E’ in
questo contesto storico che nasce la sociologia ambientale, quale branca specifica della dottrina
sociologica classica. Il fuoco dell’interesse si sposta dunque dall’analisi dei fattori costitutivi delle
società umane, all’interazione tra società e natura. Pionieri in questo senso sono i lavori di Riley
Dunlap e William Catton, pubblicati alla fine degli anni Settanta. La critica fondamentale che questi
due autori muovono al pensiero sociologico a loro precedente è quella di avere portato avanti idee
fortemente costruttiviste nei confronti del mondo naturale, ovvero di avere adoperato un modello di
analisi antropocentrico e ciecamente fiducioso nel progresso scientifico e tecnologico. Questa
visione viene dagli autori ribattezzata paradigma di esenzionalismo umano (Hep). Viceversa, la
crisi ecologica andrebbe affrontata, secondo i due autori, all’interno di un nuovo paradigma
ecologico (Nep), che (ri)adotti l’approccio ecosistemico, riconoscendo la reciproca causalità dei
sistemi biotici e socio-culturali, ovvero che riconosca i limiti dello sviluppo umano. E’ all’interno di
questa cornice che concetti attuali come quello di sostenibilità prendono piede, si diffondono e
trovano applicazione.
Ecco dunque come l’approccio ecosistemico, ovvero il concetto di metabolismo urbano, si
(ri)affaccia nel dibattito teorico di geografi e sociologi urbani, a sottintendere un particolare tipo di
relazione tra città e natura. Il concetto-chiave che si accompagna nelle trattazioni successive a
quello di metabolismo è quello di circolazione. Questo, anch’esso mutuato in origine dalla
fisiologia, si presta ad integrare la concezione della città come processo socio-ecologico, in quanto
esplicita la natura relazionale della città metabolica in termini moderni. Infatti, the things, the
products used by labour in production, always enter the metabolic processes as (…) configured
assemblages, collectives, networks that, in turn, through socio-metabolic circulatory processes,
mobilize new human and non-human “actants” and produce new assemblages or collectives.17
In particolare, il dibattito contemporaneo riprende i termini della questione, valorizzando soprattutto
il tema del rapporto tra società ed energia, nonché società e flussi di materia in entrata e uscita dalle
città industriali e post-industriali del primo e del terzo mondo.
Quanto fino ad ora descritto costituisce parte del frame di riferimento di quella che è oggi l’ecologia
politica urbana, la cui trattazione viene rimandata al paragrafo seguente.
15
Osti e Pellizzoni, Op. Cit., p.90.
Foster, Op. Cit., p. 394.
17
Swyngedouw E., in Metabolic urbanization, in In the nature of cities, p. 25.
16
5
1.2) L’ECOLOGIA POLITICA URBANA E LA CYBORG-CITY: IL CONTRIBUTO DEI
SCIENCES STUDIES
L’ecologia politica urbana è una disciplina di recente formalizzazione e di stampo neo-marxista, che
assume come criteri di analisi dei fenomeni urbani quelli che discendono dalla concezione di città
metabolica. Il filone di pensiero che si rifà ad un Marx ecologista è stato ripreso e ulteriormente
elaborato da tale corrente, in particolare in relazione alla città quale luogo di consumo e di
commodificazione della natura. Esso, attraverso questa lente, problematizza l’aspetto delle relazioni
città-natura, valorizzando inoltre l’idea che l’analisi materialista debba essere condotta
contestualmente ad un’analisi del discorso politico e delle forme simboliche del linguaggio e della
comunicazione, intese come parti construens delle realtà sociali e soggettive. Infatti, i sistemi di
significazione della natura e le narrative concernenti l’uso delle risorse naturali, nonché la loro
effettiva gestione, sono inquadrati come strumenti politici di empowerment o disempowerment di
determinate parti sociali. In ciò, l’analisi delle modalità di esercizio del potere in epoca
contemporanea viene portata avanti dall’ecologia politica nell’ottica della riflessione foucaultiana
sul tema della governamentalità e della biopolitica (Foucault, 2004).
Inoltre, gli studiosi di ecologia politica si occupano di (di)mostrare come il dualismo città-natura sia
di per sé fuorviante nell’analisi sia ecologica che sociale, e come invece sia necessario guardare
all’urbano come un più complesso processo socio-ecologico, ovvero di ibridazione organicoculturale. In ciò, i riferimenti principali nell’affrontare la questione epistemologica e politica legata
al binomio natura-cultura, o realismo-costruttivismo, sono rappresentati dagli scritti di Bruno
Latour e Donna Haraway, esponenti di spicco dei Science Studies.
Latour compie un lavoro di sociologia della scienza, ossia di analisi delle modalità di costruzione
sociale del fatto scientifico. Il cuore della sua riflessione consiste nel ritenere che la separazione
epistemologica tra natura, ossia fatti, politica, ossia potere, e linguaggio, ossia discorso inteso
foucaultianamente, siano un costrutto culturale erroneo caratteristico della società moderna
occidentale. Le ideologie del realismo e del costruttivismo, in questo senso, ricadono nel medesimo
errore, ossia quello di intendere in ottica deterministica la relazione tra natura e società, in una
direzione o nell’altra. Nella sforzo culturale moderno di volere tenere distinte verità e credenze, i
moderni sono incapaci di autoriflettersi, ovvero di compiere ciò che l’autore definisce come
antropologia simmetrica. In questi termini, egli denuncia l’incapacità dell’antropologia moderna di
leggere sé stessa, la propria comunità di esponenti, con le stesse categorie con cui essa legge
l’Altro, geograficamente o storicamente distante, primitivo cultore di feticci. L’uomo moderno si
ritiene al contrario conoscitore dei Fatti, intesi quali oggettivi, scientifici, certi.
Tale tensione politica ed ideologica affonda le proprie radici nel pensiero razionale, la cui
periodizzazione viene fatta risalire al XVII Secolo, ossia all’epoca della rivoluzione culturale di cui
studiosi come Cartesio e Galileo rappresentano i più illustri portavoce. Con la razionalità moderna,
gli uomini si sono sentiti liberati dall’oscurantismo e finalmente padroni dei fatti che compongono
la realtà. Di fronte a questa mistificazione o, più letteralmente, misunderstanding (Latour, 1988),
Latour reclama la necessità di una controrivoluzione copernicana, che si offre spontaneamente in
epoca contemporanea agli occhi della società occidentale, proprio grazie alla proliferazione dei
quasi-objects. Questi, strange new hybrids that the modern Constitution denies exist18, siano essi
paesaggi, tecnologie, discipline, indispensabili all’organizzazione moderna, si impongono in
maniera sempre più prepotente negli scenari culturali e bio-fisici della società occidentale, in ciò
favorendo il clima per un ripensamento generale delle categorie di pensiero natura-cultura. In
questo senso, ogni volta, una nuova traduzione di quasi-oggetti rilancia la definizione del corpo
sociale, dei soggetti come degli oggetti.19
18
19
http://michaeljfaris.com/blog/2010/01/latour-1993-we-have-never-been-modern/,
Latour B., Non siamo mai stati moderni, Meltemi, 1993, p. 132.
6
Il pensiero ecologico politico radica parte delle proprie premesse teoriche nei ragionamenti di
Latour, in particolare in rapporto a tre ordini di questioni.
Innanzitutto l’autore viene utilizzato in riferimento alla sua critica alla modernità, accusata di avere
veicolato un immaginario fondato sulla separazione dicotomica tra il mondo naturale e quello socioculturale. A questo proposito, Kaika e Swyngedouw parleranno in seguito della città come spazio di
urbanizzazione della natura o di naturalizzazione dell’urbano: if we consider the city as a process of
transformed nature, as the metabolic and social transformation of nature through human labour,
the city turns into a ‘hybrid’ of the natural and the cultural, the environmental and the social.20
Affermando il carattere dialettico e collettivamente costruito delle dimensioni natura-cultura, gli
studi di sociologia della scienza hanno inoltre contribuito a mettere in luce in maniera molto
puntuale una delle contraddizioni più insidiose per le società moderne: grazie alla distruzione degli
idoli si può innovare senza rischi, senza responsabilità, senza pericolo. Altri, più tardi, altrove, ne
sopporteranno le conseguenze, ne misureranno l’impatto, ne valuteranno le ricadute, ne
limiteranno il danno.21 Di fatto, i temi della sostenibilità sorti negli anni Settanta, seppur subendo
ad oggi gli abusi strumentali di certa retorica, contengono ad ogni modo gli estremi di tali
intuizioni, ovvero del riconoscimento di una reciproca causale tra i diversi piani che compongono la
realtà; in ciò manifestando a tutti gli effetti una conquista ideologica maturata alla fine di un
percorso culturale bene o male compiuto dalla società occidentale.
Il secondo contributo importante di Latour all’ecologia urbana è dato dal valore politico che
discende dalle sue riflessioni, e che bene aderisce ai temi delle modalità di rappresentazione della
risorsa ambientale. Infatti, le narrative che veicolano l’immaginario relativo ad un fatto, unitamente
al valore di oggettività che si è soliti attribuire ai prodotti scientifici, si offrono quale dispositivo di
conoscenza della e per la società contemporanea. Ma essendo la natura, ossia la presunta evidenza
della realtà esterna, risolutiva di ogni controversia solo in apparenza, rivelandosi anch’essa, come la
società, un costrutto collettivo, è chiaro allora come la scienza è davvero politica perseguita con
altri mezzi, mezzi che hanno la forza solo in quanto restano Altri.22 Il tema dei dispositivi di verità e
conoscenza, nonché i meccanismi del potere moderno, verranno approfonditi meglio in seguito,
attraverso il pensiero di Foucault, cui pure l’ecologia politica si rifà esplicitamente.
Infine, Il terzo contributo che si può riferire a Latour è quello che si compone della riflessione
attorno al tema delle commodities. Queste, (are) the medium through which the modern city turns
the nature into urbanity23e are simultaneously real, like nature; narrated, like discourse; and
collective, like society (Latour, 1993).24 Il concetto di commodity viene utilizzata dagli ecologi
politici in relazione all’acqua urbana, al fine di valorizzare l’aspetto più strettamente artificiale,
politicamente costruito, collettivamente sussunto ed economicamente funzionale, della questione
ambientale.
A partire da queste considerazioni, l’ecologia politica conia il termine cyborg-city, facendo esplicito
riferimento al lavoro di Donna Haraway, anch’essa esponente dei Sciences Studies. Questa studiosa
nel 1989 pubblica il testo Cyborg manifesto, dove si affronta il tema dell’immaginario cyborg in
chiave funzionale ad una trattazione del femminismo contemporaneo, ossia quale ipotesi di
riflessione, chiave euristica di interpretazione della realtà contemporanea, a sostituzione delle
classiche categorie di pensiero binarie tipiche della modernità occidentale, richiamate in
precedenza. La dicotomia attorno a cui si snoda il pensiero dell’autrice è principalmente quella
uomo-donna, ma di fatto essa estende il proprio ragionamento all’intero sistema di categorizzazione
della società moderna. Nella tradizione occidentale sono esistiti persistenti dualismi e sono stati
tutti funzionali alle logiche e alle pratiche del dominio sulle donne, la gente di colore, la natura, i
20
Kaika M. and Swyngeouw E., Fetishizing the modern city: the phantasmagoria of urban technological networks, in
International Journal of Urban and Regional Research, Vol. 24, Marzo 2000, p. 122.
21
Latour B., Il culto modern dei fatticci, Meltemi, 2005, p. 77.
22
Latour B., Non siamo mai stati moderni, p. 134.
23
Idem.
24
Swyngedouw in Metabolic urbanization in Op. Cit., p. 25.
7
lavoratori, gli animali: del dominio cioè di chiunque fosse costruito come altro, col compito di
rispecchiare sé. (…) La cultura alto-tecnologica sfida questi dualismi in modo intransigente. (…)
Non c’è nessuna separazione fondamentale, ontologica, nella nostra conoscenza formale di
macchina e organismo, tecnico ed organico.25
Tornando alla teoria dei sistemi cui si è accennato in precedenza: il processo intellettivo di tipo
razionale mira a stabilire un rapporto diretto tra due oggetti come ce lo dimostra perfettamente, ad
esempio, lo studio della causalità. (…) Nel caso del processo intellettivo che assume come base il
sistema, il compito non è più quello di scoprire delle relazioni dirette tra i membri dell’insieme,
bensì quello di (…) definire il valore della posizione di ciascun elemento dell’insieme in rapporto al
sistema superordinato.26
Dunque, Latour e Haraway, pur spinti da finalità diverse di riflessione, sono accomunati dal lavoro
di denuncia della modernità quale momento storico ed ideologico di separazione dei processi di
naturalizzazione, socializzazione ed uso del linguaggio. Tale separazione è però da essi ritenuta una
mistificazione del reale, i cui meccanismi risultano sempre più in epoca contemporanea di difficile
occultamento, in quanto la proliferazione di oggetti e realtà ibride, ne denunciano il paradosso.
Non solo, i due autori condividono il rifiuto dei determinismi, culturali e ambientali, in quanto
società e natura risultano parimenti prodotti costruiti, derivanti da processi di interazione materiale e
simbolica tra le comunità e il proprio intorno. Entrambi utilizzano la produzione del fatto scientifico
quale momento che massimamente esprime queste reciproche causalità, e questo paradosso.
L’oggettività scientifica non ha a che fare con una scoperta distaccata, ma con una strutturazione
reciproca e di solito ineguale.27
L’ecologia politica conia il termine cyborg-city, volendo con ciò rifarsi a tali premesse teoriche e
metodologiche, e volendo porre particolare accento sul valore politico delle stesse. Il tema della
privatizzazione dell’acqua, ad esempio in rapporto al concetto di eco-scarsità, mostra bene questi
meccanismi, come si vedrà in seguito..
Anche Lefebvre, in The production of space (1974), parla di second nature, riprendendo Marx, per
definire l’esito di un processo storico e teorico in cui nature, destroyed as such, had already had to
be reconstructed at another level, the level of “second nature”, i.e. the town and the urban.28
Il contributo di Lefebvre è interessante sotto due aspetti: da un lato egli riprende il tema della città
come prodotto sociale di (ri)costruzione della natura. Dall’altro inserisce il tema dell’urbano come
luogo di produzione e riproduzione, materiale e culturale, degli schemi sociali ed ecologici del
capitalismo moderno (e post-moderno).
Questo secondo passaggio sostanzia quello che è il nodo concettuale fondante la teoria dell’ecologia
urbana, ossia la questione più prettamente politica delle tematiche ambientali: le condizioni
materiali che sono costitutive dell’ambiente urbano sono manipolate e servono gli interessi di
un’elite at the expence of marginalized population.29
Environmental transformations are not indipendent of class, gender, ethnicity, or other power
struggles. These metabolisms produce socio-environmental conditions that are both enabling, for
powerful individuals and groups, and disabling, for marginalized individuals and groups.30
Escobar in Constructing nature31, riprendendo O’Connor, afferma come con la modernità il
capitalismo sia entrato in una fase ecologica, caratterizzata dalla sostituzione del concetto di nature
con quello di environment, nell’immaginario sociale e nella retorica politica. L’autore fa
paradossalmente risalire la nascita dell’ambiente –e la morte della natura- alla pubblicazione del
rapporto Bruntland, Our Common Future, nel 1987, dove veniva denunciata, da parte della
25
Haraway D., Cyborg manifesto, Feltrinelli, 1995, p. 78-79.
Emerey E.F, Op. Cit., p. 27.
27
Haraway D., Op. Cit., p. 142-143
28
Kaika M. e Swyngedouw E. in Op. Cit., p. 123.
29
Kaika M. e Swingedouw E. in Urban political ecology in In the nature of cities, p. 6.
30
Idem.
31
In Peet R. e Watts M., Liberation ecologies: environment, development, social movements, 1996.
26
8
Comunità internazionale, l’urgenza della questione ambientale come questione economica e delle
politiche. Escobar sostiene che, da parte della Comunità, il tentativo di conciliazione tra crescita
economica e preservazione della natura venga portato avanti attraverso un discorso di
rappresentazione della stessa che resta tipicamente moderno, ossia manageriale, scientista e
capitalista. Di fatto, egli afferma, non vengono poste le basi per una generale ridiscussione del
sistema economico vigente, senza la quale qualsivoglia rivendicazione ambientalista non può
trovare reale riscontro. A tal proposito l’autore parla infatti di Bruntland’s cooptation, ovvero di
sussunzione della retorica ambientalista all’interno delle logiche capitaliste.
E’ importante soffermarsi su questo passaggio. Fino agli anni Settanta ed Ottanta, la rilettura
ecologica di Marx aveva recuperato dell’autore la critica al capitalismo come il modo attraverso cui
l’ambiente urbano perpetra una spoliazione di risorse nei confronti del mondo naturale, e come su
questo meccanismo di sfruttamento si fondi parte del plusvalore che il capitalista ricava dal
processo di produzione. Questo meccanismo di capitalizzazione delle condizioni della produzione
(Escobar, 1996) o, riprendendo Harvey, di pianificazione urbana intesa come capitalizzazione dello
spazio, è tipico della città fordista, ed è mediato dal ruolo dello Stato, quale moderatore dei rapporti
produzione-risorse. Ma O’Connor prosegue oltre, intuendo una nuova tendenza politica ed
economica che caratterizzerà la retorica ambientale degli anni successivi, che è quella che Haraway
chiama re-invenzione della natura. In epoca recente e contemporanea, il rapporto tra natura e
cultura viene mediato in un’ottica nuova dalla scienza e dalla politica: il concetto di sviluppo
sostenibile ha contribuito a ri-significare la natura e le risorse all’interno del discorso socioecologico post-moderno e, come si vedrà, capitalista.
In sintesi, il pensiero dell’ecologia politica urbana, mutuando contributi dai Sciences Studies,
identifica gli ambienti (urbani) quali combinazioni socio-fisiche, storicamente e culturalmente
costruite, both in terms of social content and physical-environmental qualities32. Da ciò deriva la
convinzione che non è adeguato stabilire una relazione oppositivo-dicotomica tra società e natura,
in quanto gli ambienti antropici, e quello urbano in particolare, sono cyborg-world, part
natural/part social, part technical/part cultural, but with no clear boundaries.33 Inoltre, il modo
attraverso cui la natura viene (com)modificata dall’uomo, dipende da specifiche condizioni
culturali, sociali, politiche ed economiche del contesto spazio-temporale in cui ciò avviene.
Il metabolismo urbano è caratterizzato dalla circolazione di flussi di materia così come di
conoscenze e informazioni. Questo scambio di flussi pone in essere il collegamento tra processi
locali e dinamiche economico-politiche globali, inoltre, esso veicola rapporti di potere, that
ultimately decide who will have access to or control over (…) resources or other components of the
environment. (…). These power geometries, in turn, shape the particular social and political
configurations and the environments in which we live. Henri Lefebvre’s “right to the city” also
invariably implies a “right to metabolism”.34
In questo senso, è chiaro come il discorso sulla sostenibilità ambientale e sulla gestione delle risorse
naturali sia posto dall’ecologia umana fondamentalmente come una questione politica. L’intento
dichiarato è infatti quello di mettere in luce i contenuti (anti)democratici e gli aspetti costruttivisti
della retorica ambientale, identificando strategie politiche atte a promuovere una distribuzione più
equa delle risorse e una maggiore inclusività sociale sul piano delle politiche di gestione.
32
Kaika M. e Swingedouw E. in Urban political ecology in In the nature of cities, p. 11.
Ibidem, p. 12.
34
Idem.
33
9
2) EVOLUZIONE DELLA CITTA’ ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI GESTIONE
DELLE ACQUE URBANE
I modi di gestione del sistema delle acque urbane si sono storicamente evoluti in relazione agli
sviluppi di cui la città è stata testimone negli ultimi centocinquant’anni. Variabili quali la crescita
demografica, il progresso tecnologico, nuove mobilità, lo sprawl, hanno determinato sistemi diversi
di trattare le acque urbane, sia da un punto di vista ingegneristico che culturale e sociale. Di seguito
viene proposto un tracciato di quelle che sono le principali tappe evolutive del water management
urbano in riferimento agli sviluppi della città a partire dalla seconda metà dell’800.
2.1) IL WATER MANAGEMENT SYSTEM: DALLA CITTA’ PRE-INDUSTRIALE ALLA
CRISI DEL FORDISMO
The history of capital not only involves exploitation of production conditions; It is also the history
of the advance of the scientific discourses of modernity in areas such as health, planning, family,
education, economy, and the like, through what Habermas (1987) refers to as the colonization of
the lifeword and Foucault (1980) as the advance of bio-power.35
In quelle che Newman e Kenworthy36 hanno definito walking-based pre-nineteenth century cities,
la gestione delle acque veniva condotta attraverso modelli di prelievo strettamente locali, e
funzionali alle immediate esigenze della comunità. Le dimensioni contenute dei nuclei cittadini
consentivano un utilizzo e una gestione sostanzialmente domestica e localmente sostenibile delle
acque, reperite in loco, senza che si imponesse la necessità di gestirle tramite modalità
ingegneristiche di prelievo e convoglio estensivo, né del resto questo avveniva per la raccolta e lo
smaltimento dei rifiuti organici e non, che venivano riassorbiti dal sistema locale –ad esempio
destinati all’arricchimento dei terreni agricoli. In questo contesto, affinchè il sistema si potesse
sostenere, erano sufficienti le cisterne di raccoglimento delle acque piovane, rudimentali sistemi di
drenaggio e modalità di smaltimento locali dei liquami.
Nella seconda metà dell’800, la rivoluzione industriale muta il paesaggio urbano. Il fenomeno dei
grandi inurbamenti denuncia i primi limiti del water management locale, imponendo un
ripensamento complessivo del sistema. In questa fase, il rifornimento di acqua è affidato a piccole
imprese private che provvedono a soddisfare le esigenze idriche di alcune parti della città –ovvero
quelle in cui risiede la popolazione disponibile a pagare il servizio. Di conseguenza, the water
provision was socially hightly stratified and the water businesses were aimed at generating profits
for investors.37
Questa fase storica introduce nel paesaggio urbano i primi elementi di riflessione in cui i concetti di
metabolismo urbano e di circolazione affondano le radici. Nel 1842, Sir Edwin Chadwick in Report
into the sanitary conditions of the labouring population of Great Britain, formula per primo la
metafora della circolazione per indicare il sistema di tubi delle acque all’interno della città,
mutuando il termine dalla fisiologia e paragonando il corpo urbano al corpo umano. Concetti,
questi, che saranno rielaborati e trasposti anche sul piano simbolico-culturale dai sostenitori del
metabolismo urbano.
Inoltre, bisogna aggiungere che in questa fase le reti di connessione e di approvvigionamento della
risorsa idrica urbana ricalcano già pratiche di esclusione perpetrate tramite il diniego dell’accesso
alla natura. Il simposio ecologico, sociale e ingegneristico mostrano in nuce quelli che saranno i
35
Escobar A., Welcome to cyberia: notes on the anthropology of cyberculture, in Current Anthropology, Vol. 35, num.
3, Giugno 1994, p.23.
36
In Sustainable cities: overcoming automobile dependence, Island Press, 1999.
37
Swyngedouw E., Dispossessing H2O: the contested terrain of water privatization, in Capitalism Nature Socialism,
Vol. 16, num. 1, Marzo 2005, p. 82.
10
grandi temi della geografia critica contemporanea all’utilizzo e distribuzione delle risorse, e alla
privatizzazione dell’acqua, su cui si tornerà in seguito.
La mancanza di accesso alla risorsa idrica segna il periodo storico del grande disagio socio-sanitario
della classe operaia urbana, e la nascita degli slums. Le elite fanno proprie in quegli anni le nozioni
dell’hygiene, attraverso la domesticazione dell’acqua, cui hanno accesso in qualità di detentori di
elevato potere d’acquisto. In questo modo, la distribuzione della risorsa idrica diventa il tramite
attraverso cui in città si ridefiniscono caratteri di classe e insieme fisico-spaziali di alcune porzioni
di paesaggio.
A quarant’anni di distanza dalla sua prima pubblicazione, Chadwick raffinerà il concetto di
circolazione in The health of Nations (1887), redefining the city by “discovering” Its needs to be
constantly washed, sostenendo che like the individual body and bourgeois society, the city is now a
network of pipes and conduits38. L’idea sottesa a tale concezione è che, affinchè il sistema urbano si
possa sostenere, è necessario garantire modalità di riflusso continuo delle acque, che consentano
una generale sanitarization della città.
Con questo scenario, si apre, a cavallo tra ‘800 e ‘900, una fase di ulteriore espansione urbana, dove
l’aumentato fabbisogno idrico, nonché il problema dello smaltimento dei liquami, acuiscono il
problema socio-sanitario e quello delle tecnologie di approvvigionamento.
Questo è il periodo dei primi grandi interventi ingegneristici sulla città, atti soprattutto al trasporto
both for bringing water in and for moving waste water39. Questo periodo viene associato alla forma
urbana della transient city, in riferimento alla nascita e diffusione, nel paesaggio cittadino, di big
pipes, lunghi corridoi infrastrutturali di scorrimento delle acque. In tale fase si assiste, a partire dalla
Gran Bretagna e poi nel resto d’Europa, a un processo di municipalizzazione del sistema di gestione
idrico, in risposta ai sempre più urgenti problemi di degrado igienico-sanitario di parte della città,
che ponevano in pericolo gli standard di vita sanitarizzati anche delle elite. Presero dunque piede
forme di municipal socialism40, atte a garantire l’accesso dell’intera popolazione a quote di acqua
quale essential public good at a basic41, tramite sistemi di tassazione generale, a livello locale o
nazionale.
It was during this era that water supply system were consolidated in the Global North, leading to a
citywide standardized coverage of domestic water supply coupled with a comprehensive sewage
disposal system (albeit without treatment of sewage waters).42
In questa fase il paesaggio urbano subisce massicce trasformazioni: la tecnologia ingegneristica che
veicola la circolazione dei flussi in entrata e uscita dalla città metabolica, testimonia visivamente le
avanguardie del progresso di cui l’ambiente urbano è portavoce. I collegamenti infrastrutturali sono
ben visibili nel paesaggio della città, e funzionano sia per quella che è la loro progettazione
ingegneristica di trasporto di materia, sia da un punto di vista culturale e ideologico, contenendo la
promessa di un futuro migliore e più equo per i cittadini.
E’ ora che si consolida il modello di spoliation delle risorse, all’interno di un rapporto dicotomico
di dominazione società-natura. Non solo: gli autori esponenti dell’ecologia politica urbana
identificano questo momento storico come il principio del processo di commodificazione della
natura, per mezzo della domesticazione della stessa grazie agli interventi tecnologici di
collegamento tra la fonte della risorsa e l’ambiente domestico. L’urbanistica moderna rende infatti
la percezione del rapporto città-natura più opaco e ambiguo per gli abitanti urbani, in quanto essi
maturano l’abitudine ad ottenere un bene quale quello idrico, come esito ultimo di un processo di
prelievo e trasporto che si fa molto distante –sia nei termini degli strumenti di conoscenza tecnica,
sia culturali- dalla loro esperienza quotidiana. In questo senso, l’acqua ottenuta dal rubinetto si offre
quale entità ibrida, quasi-object, ed essa, così come la tecnologia atta a trasportarla, diventa
38
Swyngedouw E., in Metabolic urbanization, in In the nature of cities, p. 32.
In Newman P. e Kenworthy J.R., Op. Cit., p. 242.
40
Swyngedouw E., in Metabolic urbanization, in In the nature of cities, p. 34.
41
Idem.
42
Idem.
39
11
fetishized product (Kaika e Swyngedouw, 2000) in due sensi. Da un lato in quanto entrambi
incorporano, ma insieme nascondono, il rapporto iniquo di spoliazione del lavoratore e della natura
che la rilettura ecologia di Marx vuole attribuirvi. Dall’altro, essi stessi assumono, nelle parole di
Benjamin, le sembianze di objects of delight and desire themselves, as signs and wish images of a
better society that was yet to arrive.43
Queste tendenze vanno consolidandosi nel periodo successivo, dagli anni compresi tra le due
Guerre fino agli anni Settanta, tecnologia, natura e società si garantiscono e sostanziano
vicendevolmente. The water industry, together with other major utility sectors (such as electricity
and telecommunications), became part of a growing national concern. The national State, with
varying degrees of intensity of control, regulation and investment, took a much greater role in
public services provision.44
La modernità pervade il paesaggio urbano, all’interno di un contesto politico ed economico di forte
centralizzazione statale. L’infrastrutturazione dedicata al trasporto idrico diventa parte integrante
del progetto Keynesiano-fordista di redistribuzione statale delle risorse a tutta la popolazione.
Proseguono in questi anni le ingenti opere ingegneristiche di trasformazione del paesaggio, atte
anche a garantire una crescita economica spinta, assicurando contestualmente un periodo di relativo
benessere sociale, grazie al sistema di welfare. Il water management quando non viene
nazionalizzato resta nelle mani delle municipalità ma, ad ogni modo, allo Stato centrale sono
garantiti ampi poteri regolatori di intervento. L’infrastrutturazione urbana viene portati avanti con lo
scopo dichiarato di: creation of jobs, generation of demand for investment goods from the private
sectors and, finally, providing basic collective production and consumption goods at a subsidized
price for wage workers and industry alike.45
In questa fase, la già citata separazione ideologica società-natura si rafforza, grazie anche
all’avanzamento del progresso scientifico e tecnologico. Allo stato centrale è affidato il processo di
urbanizzazione della natura, ovvero di produzione di public utilities, mentre gli users si abituano a
queste trasformazioni in ambito privato e domestico. In sostanza, in quest’epoca viene forgiata una
nuova cultura ed estetica della natura urbana, basata sulla disconnessione simbolica tra sistema
ingegneristico carico di significati socio-ecologici, e sfera privata di utilizzo delle commodities.
L’ultima e più recente fase di sviluppo del water management urbano si apre con il periodo di
recessione economica globale degli anni Settanta. A questo momento storico sono associati i
fenomeni di progressiva dismissione del ruolo preponderante dello Stato centrale nella crescita
economica dei paesi, nonché la susseguente transizione verso forme di sviluppo economico nuove e
commiste, principalmente rappresentate, nel settore dell’acqua, da privatizzazioni e partnership
pubblico-privato. The low prices, the subsidized water investments, and the aging water
infrastructure, combined with a still growing water demand, put an ever greater pressure on State
budjets46.
La via più battuta dalle economie in crisi negli anni Settanta ed Ottanta è quella di portare avanti
una generale de-regolamentazione del mercato, al fine di guadagnare punti in competitività ed
efficienza affidandosi al settore privato. La privatizzazione di alcuni settori-chiave per il Pubblico
segna una svolta anche culturale. Il fallimento dell’ideologia del progresso crea il problema di quali
debbano essere gli strumenti di cui la città post-fordista imprenditoriale si debba dotare per
rilanciare la propria economia ed immagine sul mercato internazionale.
Fenomeni propri della globalizzazione, quali la finanziarizzazione internazionale del capitale e la
crescente importanza economico-politica delle multinazionali a livello globale, conducono i paesi a
un generale ripensamento dell’efficacia delle politiche condotte a livello nazionale, e ad adottare un
43
Kaika M. and Swyngeouw E., Fetishizing the modern city: the phantasmagoria of urban technological networks, in
International Journal of Urban and Regional Research, Vol. 24, Marzo 2000, p. 130.
44
Swyngedouw E., Dispossessing H2O: the contested terrain of water privatization, in Capitalism Nature Socialism,
Vol. 16, num. 1, Marzo 2005, p. 84.
45
Ibidem, p. 85.
46
Idem.
12
trend di re-scaling dei processi decisionali sia nella direzione di rafforzamento degli organismi
sovranazionali (es. UE,...) sia di devolution regionale e locale. E’ all’interno di questo quadro che,
negli ultimi trent’anni, si impone la questione ecologica quale issue dell’agenda politica
internazionale.
2.2) IL TEMA DELLE ACQUE NEL PAESAGGIO URBANO DELLA TARDA
MODERNITA’
Gli effetti collaterali della crisi fordista si fanno sentire anche attraverso una crisi ecologica che
concerne sia le tematiche dell’inquinamento e della sostenibilità ambientale, sociale ed economica
delle condotte umane, sia quelle relative all’opportunità di valutare modelli di gestione alternativa
di beni cosiddetti comuni, in quanto mai come oggi è evidente la connessione tra conflitti ambientali
e conflitti sociali. Il tema dell’accesso alle risorse come strumento di empowerment o
disempowerment di certe parti del corpo sociale diviene, nel primo come nel terzo mondo, mezzo di
riflessione su quali debbano essere i modelli di governo più adeguati nel trattamento della natura, e
in che misura il capitalismo possa effettivamente gestire in maniera più efficiente l’allocazione del
capitale naturale tra la popolazione.
Si è descritto in precedenza come, a partire dagli anni Settanta, il capitalismo sia entrato in una fase
ecologica, ovvero un’epoca in cui le istanze ambientali –e ambientaliste- vengono sussunte negli
schemi di ricerca del profitto, e dunque diventino campo di speculazione economica. Questo
passaggio necessita però di essere problematizzato.
La tarda modernità ha cristallizzato e rafforzato la città come il luogo dei consumi, attraverso la
commodificazione e feticizzazione dei beni ambientali. Indeed, water, together with other common
pool goods like genetic codes, local knowledge, and the like, are rapidly becoming part of such
accumulation strategies. (…) The new accumulation strategies through water’s privatization imply
a process through which nature’s goods become integrated into global circuits of capital; (…)
Consequently, local resource systems become part of the strategic checkboard of global
companies.47
Non solo, alcuni autori48 fanno notare come, in questa fase, la rottura del legame risorse naturalisfera privata di consumo, si sia reificata anche in una censura estetica del paesaggio urbano delle
big pipes, che erano state la gloria del periodo di modernizzazione, come metafora del progresso.
Ora infatti, i sistemi infrastrutturali che consentono il collegamento tra fonte della risorsa e
utilizzatore ultimo, sono spariti dal paesaggio della città49. In ciò, city as process and flow became
invisible (…) but urban contradictions gradually became hard to be contained (waste,
homelessness, pollution).50
Questo secondo passaggio implica la problematizzazione del concetto di fase ecologica
capitalistica. Infatti, parte della retorica politica ambientalista non ridiscute realmente il capitalismo
quale motore dell’economia mondiale, in quanto non abbandonando il concetto di crescita,
contraddice quelli che dovrebbero essere i dettami della sostenibilità, come momento prima di tutto
di ripensamento globale degli schemi economici vigenti (Escobar, 1999).
Diversi casi di studio51 mostrano come il passaggio di gestione del sistema delle acque urbane da
pubblico a privato o, in qualche caso, a partnership commiste, abbia di norma acuito i problemi di
marginalizzazione e disagio di certe porzioni di popolazione cittadina, e sia genericamente stato
motivo di controversia politica e di conflitto sociale. La storia più recente dimostra come
47
Ibidem, p. 87.
Tra gli altri: Kaika M., Swyngedouw E., Latour B.
49
Ad sempio tramite opere di interramento (Kaika e Swyngedouw, 2000).
50
Swyngedouw E., in Metabolic urbanization, in In the nature of cities, p. 35.
51
Tra gli altri: Atene (Kaika 2006), alcune città del Sud Africa (descritte da Smith L., Ruiters G. e Loftus A. in In the
nature of cities), Città del Messico (Castro, 2004). Numerosi altri esempi sono contenuti in Geopolitca dell’acqua di
Margherita Ciervo.
48
13
l’inurbamento della popolazione mondiale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sia spesso un
fenomeno incontrollato e di difficile gestione, legato a moti migratori senza precedenti. In ciò, i
luoghi di abitazione che man mano vanno a comporre le cinture più esterne delle città, sono spesso
strutture precarie la cui elevazione non si accompagna ad un’adeguata infrastrutturazione. Ne
consegue che sono gli abitanti delle periferie, ossia comunità povere ex-rurali, a risentire delle
discriminazioni socio-spaziali più forti per l’approvvigionamento idrico. Inoltre, i trend di crescita
urbani registrati negli ultimi anni, sembrano prospettare un aumento esponenziale del problema a
livello di equità sociale, salute e diritti umani.
Non solo, fette di popolazione possono ritrovarsi senza diritto di accesso alle risorse urbane, in
quanto, per questioni politiche legate al concetto di cittadinanza, non possiedono i requisiti giuridici
per reclamare legittimamente il diritto all’acqua, o al suo allacciamento nelle abitazioni.
E ancora, la privatizzazione dell’acqua implica automaticamente un immediato aumento dei prezzi
della risorsa52: l’effetto economico immediato di ogni privatizzazione è l’incremento delle tariffe,
dovuto al fatto che sul prezzo sono imputati, oltre ai costi di gestione, anche gli investimenti e la
remunerazione del capitale53. Così, la gestione dell’acqua diventa funzionale a politiche di crescita
piuttosto che di sostenibilità, e il suo accesso da “aperto” si trasforma in esclusivo54. Studi
dimostrano come la discriminazione socio-economica nell’accesso all’acqua sia, nelle zone
periferiche di molte città del secondo e terzo mondo, tra le principali cause di impoverimento della
popolazione. E questo meccanismo è ancora più sostenuto dal fatto che il costo dell’acqua per gli
utilizzatori, per come agiscono le regole di mercato, è conveniente sui grandi consumi e non su
quelli ridotti, ossia di coloro che ne risparmiano l’uso in quanto già detentori di scarso potere
d’acquisto, come mostra bene il caso di Atene (Kaika, 2000).
Inoltre, il primo effetto politico della privatizzazione attiene alla sovranità dei governi, la cui
capacità decisionale e di controllo si riduce notevolmente, generando un danno per i cittadini e un
affievolimento della democrazia che può produrre instabilità politica55.
In sostanza, gli studi di geografia critica e sociologia urbana presi in esame sono tesi a dimostrare
come, da quando la gestione del sistema idrico urbano è entrata nel campo dei grandi business
mondiali56, essa ha avuto conseguenze fortemente peggiorative sullo stato dei conflitti territoriali,
dell’iniquità sociale, e degli abusi di potere, su scala planetaria.
Il momento storico presente è particolarmente delicato sul fronte idrico urbano in quanto
corrisponde al periodo delle grandi infrastrutturazioni per il trasporto dell’acqua nei paesi in via di
sviluppo, e di ristrutturazione di quelle ormai obsolete dei paesi industrializzati. In questa cornice il
business delle multinazionali dell’acqua trova spazio per inserirsi, volendo garantire la maggiore
efficienza e competitività del proprio sistema di allocazione delle risorse. Di fatto, l’indebolimento
dei governi centrali in questa fase storica accelera indirettamente i processi di privatizzazione e i
rischi socio-sanitari connessi.
52
Margherita ciervo
Ciervo, p. 105.
54
Ibidem, p. 29.
55
Ibidem p 105.
56
Ciervo sostiene che le multinazionali dell’acqua stanno diventando, dal punto di vista dei fatturati annui, tra le
maggiori potenze economico-politiche mondiali.
53
14
3) LA COMMODIFICAZIONE DELL’ACQUA
Nella parte che segue verrà trattato il tema della commodificazione delle acque urbane attraverso la
lente interpretativa dell’ecologia politica, le cui riflessioni ricalcano il lavoro prodotto dalla critica
geografica neomarxista.
In seguito, la questione dell’intreccio tra potere, comunicazione e condotte di consumo è ripresa
dall’ecologia politica nei termini in cui essa è stata affrontata da Michel Foucault, con particolare
riferimento ai temi della governamentalità e della biopolitica. Inoltre, nell’ambito della riflessione
su verità –conoscenza- e credenza –opinione o, per dirla alla Latour, fatti morbidi57- ci si rifà
nuovamente alle riflessioni della sociologia della scienza, nonché al pensiero di autori
contemporanei come Beck e Bauman.
3.1) LA FASE ECOLOGICA DEL CAPITALISMO E LA FETICIZZAZIONE DELLA
NATURA URBANA
Whether we consider a glass of water, an orange, or the steel and concrete embedded in buildings,
(…) in capitalist cities, “nature” takes primarly the social form of commodities.58
Si è ricordato in precedenza come gli analisti neomarxisti considerino, da un punto di vista
economico e sociale, l’epoca attuale come un momento di fase ecologica del capitalismo. Dopo la
modernità, caratterizzata dalla progressiva spoliazione e capitalizzazione delle condizioni di
produzione, e portata avanti dal capitale ai danni dei lavoratori e della natura attraverso la
mediazione dello Stato; interviene una nuova fase di cooptazione delle istanze ambientali –e
ambientaliste- negli schemi di ricerca del profitto. Se da un lato, infatti, la natura è, nelle
rappresentazioni politiche ed economiche, una risorsa complessivamente non-rinnovabile alla cui
conservazione è necessario giungere per garantire la sostenibilità degli ecosistemi; d’altra parte è
pur vero che, al conseguimento di questi fini, si vuole pervenire tramite logiche economiche di
sussunzione –incentivazione e sanzionamento- dell’istanza ecologica negli schemi di
monetarizzazione capitalisti. Così, le multinazionali del settore delle infrastrutture e dei servizi
idrici possono rendersi direttamente responsabili della negazione del diritto all’acqua59.
Questo porta diversi autori a parlare di una nuova fase del capitalismo, caratterizzata dal
rinvivimento permanente dell’accumulazione originaria, che si realizza tramite la
commodificazione e feticizzazione di alcuni beni (urbani), e che viene perpetrata tramite quella che
Harvey descrive con il nome di accumulation by dispossetion60. In questi termini l’autore si vuole
riferire al meccanismo economico e sociale, sotteso al capitalismo, che consente al settore privato di
ottenere un profitto tramite lo sfruttamento –e il deterioramento- di un bene che è stato sottratto al
Pubblico, cui apparterrebbe di diritto. In ciò, Harvey valorizza l’aspetto dei cosiddetti costi sociali
dell’impresa privata.
Il processo tramite il quale citizens entitled to access the resourse became customers who pay for a
good61 comporta il coinvolgimento di tre dimensioni del discorso: economica, ecologica e socioculturale, o del discorso politico e scientifico contemporaneo. Infatti, in quella che Donna Haraway
descrive come l’odierna cyberculture, come già richiamato, gli individui e le loro condotte sono
visti come prodotti di contesti storici socio-ecologici: nature and bodies are (seen as) material
57
Latour B., La scienza in azione.Edizioni di Comunità, 1998.
Kaika M. e Swingedouw E. in Urban political ecology in In the nature of cities, p. 5.
59
Ciervo M., in Op. Cit., p. 106.
60
Citato in Swyngedouw E., Dispossessing H2O: the contested terrain of water privatization, in Capitalism Nature
Socialism, Vol. 16, num. 1, Marzo 2005
61
Ibidem, p. 82.
58
15
semiotic actors not existing purely62. In tale visione, il ruolo del linguaggio della politica e delle
scientific narratives è fondamentale nel mediare le relazioni tra natura e cultura economica.
Innanzitutto, per approfondire il tema della commodificazione dell’acqua, è indispensabile entrare
nel dettaglio di quella che alcuni autori definiscono the permanence of primitive accumulation63.
Con tale termine, i sostenitori dell’ecologia politica urbana vogliono indicare un processo
economico e sociale tramite il quale la marxiana accumulazione originaria diventa una permanently
reproduced accumulation (Bonefeld, 2001) resa possibile da due fenomeni. Innanzitutto si verifica
una separazione simbolica – e spesso anche geografica- tra società dei consumi e dimensione
produttiva vera e propria, ovvero le natural conditions of production. Questo è possibile in quanto
wage labour and capitalism poses a critical dimension that is the separation between inorganic
conditions of human existence and its active existence.64
In aggiunta, la riproduzione di accumulazione è un processo autopoietico, in quanto si rinnova
attraverso le pratiche di consumo sociale che sono culturalmente inscritte nelle condotte di buone
porzioni della società contemporanea. In questo senso, la commodity è una perverted form of social
reproduction. 65 Indeed, commodification, understood fundamentally as a social and cultural
process of inserting socially metabolized goods into commodity or market relations, becomes in the
modern city the form and medium through which “nature” is turned into urbanity and the
production of an urban environment. Of course, (…) a process of fetishization parallels
commodification. Fetishization is exactly the process through which the commodity form becomes
“the” form of existence, severed from its historical and geographical (hence social) process of
production; a process that is, of course, full of ambiguities and contradictions.66
Queste riflessioni consentono agli autori neomarxisti di superare in qualche modo la visione
marxiana di accumulazione originaria come condizione storica eccezionale destinata ad esaurire i
suoi effetti, poiché essi individuano nel capitalismo meccanismi di rigenerazione, secondo cui
accumulated capital can be switched to a secundary circuit67. La globalizzazione dell’economia,
secondo Harvey, consente infatti al capitalismo di continuare a ricercare ed ottenere il profitto
espandendosi nel campo ambientale, e rimandando i propri effetti –le esternalità negative- a
momenti temporali e spaziali lontani dall’hic et nunc della dimensione del consumo.
Non solo, anche lo spazio può essere commodificato, e le città rappresentano proprio l’esito di tale
processo. Infatti, the urban environment, like other commodities in a market economy, is also
produced and commodified through the same process of tranformation of nature by human
labour.68 Ed inoltre, social power relations involved in the process of its production are forgotten.69
In questo modo, risorse come l’acqua si trasformano in facilities70 e, tramite questa forma, si rende
ambiguo il relativo rapporto tra valore d’uso, valore di scambio e potere sociale, inscritti nella
produzione. Riprendendo Marx, tramite Harvey: the particular use values of goods that satisfy the
62
Escobar in Constructing nature, p. 50.
Bonefeld W., The permanence of primitive accumulation: commodity fetishism and social constitution, in The
Commoner, num. 2, Settembre 2001.
64
Kaika M. and Swyngeouw E., Fetishizing the modern city in Op. Cit., p. 120.
65
In Bonefeld, Op. Cit., p. 3.
66
Kaika M. and Swyngeouw E., Fetishizing the modern city in Op. Cit., p. 122.
67
Harvey in Kaika M. and Swyngeouw E., Fetishizing the modern city in Op. Cit., p. 122.
68
Ibidem, p. 123.
69
Idem.
70
La privatizzazione dei servizi idrici è solo una delle forme di commercializzazione della risorsa. Un altro caso
esemplare è rappresentato dall’industria delle acque in bottiglia, la cui produzione è accompagnata da una fittissima
campagna di marketing, che ha statisticamente diffuso e incrementato la sfiducia nell’acqua potabile pubblica, ottenuta
dal rubinetto, anche laddove questa è di grande qualità. I principali messaggi che pubblicizzano le acque in bottiglia,
insistono sui temi della salute, del benessere, della forma fisica, e costruiscono così un immaginario che ha mutato i
gusti e i consumi di ampi strati della popolazione, ma che di fatto poggia su ambigui presupposti di scientificità.
63
16
wants and desires of individuals and social groups became combined with the distinct, universal
and homogenized characteristic of their exchange value.71
Infatti, the exchange value acquired by commodities is based precisely on the fact that they are
produced under specific social relations of production. (…) It is, Benjamin argues, exactly this very
estrangement of commodities that makes them very capable of becoming wish images. Commodities
do not only carry their materiality, but also the promise and the dream of a better society and a
happier life.72
All’origine dell’odierno processo di monetarizzazione economica delle risorse, vi è non solo e non
tanto il capitalismo come sistema globale di gestione delle transazioni e degli scambi, quanto, come
già ricordato, la razionalità moderna in sé, primariamente discendente dal pensiero cartesianonewtoniano che, formulando i concetti di res cogitans e res estensa, è alla base della dicotomia
società-natura e dunque della visione ontologicamente anti-ecologica che permea le società
occidentali contemporanee. Appeal to money valuations condems us to a world view in which the
ecosystem is viewed as an “externality” to be internalized in human action only via some
arbitrarily chosen and imposed price structure or regulatory regime.73
Riprendendo nuovamente la teoria dei sistemi: il processo intellettivo di tipo causale è utilizzato
ormai da tantissimo tempo, (…) Il pensiero razionale è un’abitudine così radicata nella nostra
cultura per cui riteniamo che il passaggio ad un modo di pensare basato sul concetto di sistema sia
almeno altrettanto difficile quando il passaggio da una geometria tridimensionale a una
quadrimensionale.74
Quanto riportato finora conferma come il confine tra sociale, economico e ambientale sia poroso ed
ambiguo. Infatti, nel discorso economico sul capitalismo ecologico bisogna comprendere il ruolo
giocato da fattori quali la conoscenza scientifica, la retorica politica e la comunicazione.
3.2) NATURA E IMMAGINARI URBANI: PRATICHE DEL DISCORSO
La prospettiva foucaultiana di un intreccio tra analisi materialista e analisi del discorso si pone
quale connettore concettuale tra la visione storico-materialista dei fenomeni socio-economici, e la
riflessione sulla commodificazione dello spazio e delle risorse.
Foucault costruisce un’analisi dei meccanismi di potere moderni che è utile all’ecologia urbana per
descrivere la relazione tra politica, economia, società civile e natura. Il cardine del ragionamento
dell’autore è che con il pensiero liberale nelle società occidentali il principio di limitazione da parte
dei governi non sia più da ricercare in strumenti di coercizione che agiscono dall’alto verso il basso,
dal governante verso i governati, al fine di ottenere un determinato ordine sociale. Viceversa, nella
modernità il potere è esercitato in maniera pervasiva, esso è divenuto intrinseco alla società,
perpetrato dagli stessi governati attraverso le loro condotte, e le modalità tramite cui categorizzano
la realtà. Ciò è possibile in quanto il neoliberalismo si traduce in un sostanziale governo da parte dei
meccanismi di mercato sulla vita delle popolazioni. In questo modo il mercato stesso diventa luogo
di verità, ossia luogo di reificazione di un dato rapporto di forze, che resta però sotto traccia. Il
potere modernamente esercitato non ha né la forma della legge né gli effetti del divieto. Esso
procede (…) secondo linee di penetrazione indefinita. (…) Soprattutto a partire dal XIX secolo,
questa concatenazione è assicurata e sostenuta dagli innumerevoli profitti economici che per il
tramite della medicina, della psichiatria, (…) si sono innestati.75
71
Citato in Kaika M. and Swyngeouw E., Fetishizing the modern city in Op. Cit., p. 122.
Idem.
73
Harvey D., The nature of environment: the dialectics of social and environmental change, in The Socialist Register,
1993, p. 7.
74
Emerey E.F., Op. Cit., p. 33.
75
Foucault M., La volontà di sapere, Feltrinelli, 2011, p. 48.
72
17
Di nuovo, l’ipotesi di un potere repressivo (…) è piuttosto esigua (…) si tratta della creazione di
una rete sottile di discorsi, di saperi, di piaceri, di poteri.76
Le pratiche di governo dell’acqua hanno il potere di produrre conoscenza, così come la intende
Latour, ossia dispositivi di verità contingentata intorno alla risorsa, che penetrano negli immaginari
dei soggetti e nelle loro condotte di consumo.
Ulteriormente, questo nuovo potere è polimorfo e agisce tramite svariati canali: si basa sulla tecnica
e non sul diritto, sulla normalizzazione e non sulla Legge, sul controllo e non sulla punizione. In
questo, il programma neoliberale prevede azioni performatrici –conformi- che intervengano sulle
condizioni di mercato e non direttamente su di esso. Ovverosia: la politica soddisfa i propri interessi
agendo sulle basi materiali, culturali e giuridiche del contesto economico. Affinchè il mercato sia
possibile, il governo agisce sulla società, attraverso la produzione di categorie di pensiero collettive,
di linguaggi condivisi, penetrando nelle istituzioni scolastiche così come nelle discipline mediche. Il
potere si colloca e si esercita a livello della vita, della specie, della razza e dei fenomeni massicci di
popolazione.77(…) Questo biopotere è stato senza dubbio uno degli elementi indispensabili allo
sviluppo del capitalismo; questo non ha potuto consolidarsi che a prezzo dell’inserimento
controllato dei corpi nell’apparato di produzione, e grazie ad un adattamento dei fenomeni di
popolazione ai processi economici.78
Il potere così riformulato incita ad un certo discorso, produce determinate retoriche che, nel caso
della privatizzazione dell’acqua, vogliono dire la verità fondando sé stesse sull’oggettività del dato
naturale, del concetto di eco-scarsità, di maggiore efficienza tecnologica del servizio, di salute dei
corpi, ecc.
Foucault, così come hanno fatto i Sciences Studies, mostra come la verità, il fatto scientifico, sia un
prodotto storico-politico, e come la conoscenza sia l’esito di cicli di accumulazione di capitale,
inteso in tutti i sensi, e che essa (r)esiste grazie a potenti, diffusi e capillari sistemi di informazione.
Da questi ragionamenti discende un’idea fondamentale, che è poi alla base del ragionamento sulla
commodificazione: l’età contemporanea si è abituata ad analizzare in termini economici ogni campo
della realtà, ed essa valuta e critica l’azione di governo in termini di mercato. Gli ecologi politici,
opponendosi alla privatizzazione dell’acqua, rivendicano l’illegittimità di questi modelli applicati a
tutti gli ambiti del sociale.
La natura così integrata dentro al circuito del capitale viene (com)modificata in flusso
transnazionale di moneta; e questo, agli occhi degli analisti, rappresenta una perversione prima di
tutto simbolica delle forme della natura.
Secondo quest’ottica, l’immaginario urbano veicola rappresentazioni della realtà (naturale) che
diventano fatti sociali –nelle condotte- e dunque rendono evidente il collegamento tra narrative e
realtà materiale. Il linguaggio, in questa prospettiva, diventa lo spazio di reificazione del potere e
della conoscenza, poiché porta con sé sistemi di (ri)significazione della natura e dell’uso delle
risorse. In questo senso in precedenza si è accennato alla reinvenzione della natura in epoca
contemporanea: i temi della sostenibilità hanno introdotto un’attribuzione diversa di senso
all’ambiente, che è passata attraverso pratiche discorsive di riarticolazione del rapporto tra
rappresentazione, economia e scienza. D’altra parte, ed è questa la critica fondamentale
dell’ecologia politica alla retorica dell’ambientalismo istituzionale, questo discorso continua a
mistificare il fatto che è il sistema capitalistico in sé, con la sua ricerca del profitto, a non essere
strutturalmente adatto a riformare realmente il rapporto società-natura in modo sostenibile.
O’Connor79 scriverà a questo proposito che la cooptazione dell’ambiente negli schemi di mercato
ha congelato gli immaginari all’interno del paradigma conservazionista.
76
Ibidem, p. 67.
Ibidem, p. 121.
78
Ibidem, p. 125.
79
In Escobar, Op. Cit.
77
18
Diversi esempi di studio mostrano come recenti casi di privatizzazione dell’acqua abbiano
comportato di norma, come già accennato, un generico innalzamento dei prezzi della risorsa e
dunque una conseguente (ri)stratificazione sociale della possibilità di accedervi. Questi fatti si sono
però verificati all’interno di un discorso politico che giustificava il peggioramento generale delle
condizioni di fruizione e la legittimità dell’innalzamento dei prezzi sulla base della scarsità della
risorsa e dei costi di produzione. In realtà, scarcity is not related just to “scarcity” but rather to the
capacity to establish command over a resource.80 Così, il passaggio pubblico-privato nel water
management ha comportato non solo un cambiamento nel discorso politico ma anche nella
percezione sociale del bene. A tale proposito, Bakker (2000) scrive di produzione di scarsità; Smith
e Ruiters (2000) di trasformazione della risorsa naturale in a scarce economic good81; Kaika (2000)
riporta come la retorica politica abbia convertito, ad Atene negli anni Novanta, la percezione
dell’acqua da public good, durante il governo socialista, a scarce commodity, durante la crisi
politica e il passaggio alla conduzione privata del bene: It’s still nature but It’s treated as product.82
Il concetto stesso di eco-scarcity, che come mostrato dai casi studio risulta essere la bandiera sotto
la quale le imprese private alzano il prezzo della risorsa e creano nuove forme di marginalità
sociale, in questo senso è ambiguo. The emphasis is on the natural limits to human potentialities.
(…) derived from the second law of thermodynamics (…). But, if we view natural resources in the
rather traditional geographic manner, as cultural technological and economic appraisals of
elements residing in nature and mobilized for particular ends, then “ecoscarcity” means that we do
not have the will, wit or capacity to change our social goals, cultural modes, our technological
mixes, or our form of economy and that we are powerless to modify “nature” according to human
requirements.83
In questo discorso, il rapporto tra articolazione del dibattito ambientale e imperativi di mercato è
mediato dal ruolo della conoscenza. Nella fase storica delle grandi opere di intervento
ingegneristico sul territorio, ovvero con la piena modernità, è avvenuto un processo di
appropriazione dei saperi tradizionali da parte dell’expert knowledge, ossia ha avuto inizio un
percorso storico di graduale distanziamento tra saperi locali di gestione in loco delle risorse
disponibili, e progresso tecnico-scientifico con conseguente nascita di forme di monopoli
dell’informazione esperta. Lo sviluppo di queste ha rappresentato un potenziale di vantaggio della
scienza nella detenzione di potere rispetto agli users dei servizi di approvvigionamento.
Gli studi di geografia critica mettono in luce, infatti, come l’instabilità socio-politica derivante dalle
più recenti privatizzazioni dei sistemi idrici urbani, deriva in parte dalla difficoltà o dalla perdita di
accesso alle informazioni da parte delle popolazioni, spesso a causa delle clausole di confidenzialità
dei contratti di concessione e dell’uso del segreto commerciale.84
In sostanza, il processo di liberalizzazione economica globale comporta un grado molto elevato di
asimmetria informativa tra dispensatori di servizi e consumatori. Foucault, in La nascita della
biopolitica, radicalizza questa riflessione: la razionalità economica risulta dunque non solo
circondata da, ma addirittura fondata sull’inconoscibilità della totalità del processo. L’homo
oeconomicus è la sola isola di razionalità possibile all’interno di un processo economico il cui
carattere incontrollabile non contesta, ma al contrario fonda, la razionalità del comportamento
atomistico dell’homo oeconomicus. Il mondo economico, insomma, è per natura opaco.85
La comunicazione scientifica in campo ambientale detiene un particolare potere di veicolazione di
informazioni specifiche, con cui i saperi non tecnici faticano a rapportarsi. In questo senso, il potere
dei cittadini è ridotto e le pratiche di partecipazione democratica possono risultare più vulnerabili
80
Harvey, Op. Cit., p. 7.
Smith L. e Ruiters G., in The public/private conundrum of urban water: a view from South Africa in In the nature of
cities, p. 173.
82
Kaika M., Drought, discourse and politics in Athens in In the nature of cities, p. 157.
83
Harvey, Op. Cit., p. 39.
84
Ciervo, Op. Cit., p. 105.
85
Foucault M., La nascita della biopolitica, p. 231.
81
19
alle strumentalizzazioni e dunque meno efficaci. Questi meccanismi si fanno più insidiosi in un
quadro economico-politico di generale liberalizzazione dei mercati, dove i poteri economici
detentori di interessi privatistici pesano nelle decisioni politiche. Di conseguenza, si pone prima di
tutto un problema di legittimità istituzionale che la società postmoderna si trova a fronteggiare, e
all’eventuale opportunità/possibilità di formulare sistemi alternativi di gestione di determinate
risorse, diversi da quelli Stato-mercato.
Le riflessioni sulle società contemporanee come società del rischio (Beck, 1986) o dell’incertezza
(Bauman, 1999) si diffondono in anni recenti anche in relazione a questi dati.
Bakker, in Privatizing water (2000), parla della privatizzazione delle acque nei termini di una reregulation che si verifica prima di tutto, riprendendo Latour, quale processo discorsivo.
Here, discourse is defined as a specific ensemble of ideas, concepts, and categorizations that is
produced, reproduced, and transformed in a particular set of practices and through which meaning
is given to physical and social realities.86
Le modalità di gestione delle risorse rappresentano dunque sia framework istituzionali che pratiche
discorsive atte a supportare un processo di (ri)definizione di autorità e potere tra gli stakeholders.
In questa interpretazione la regulation sociale avviene a due scale: a livello micro/meso nelle
pratiche quotidiane e nelle condotte individuali; e a livello macro, ovvero nel linguaggio
istituzionale di legittimazione politica ed economica.
Negli ultimi decenni, come già accennato, alla deregulation economica è corrisposto un processo di
devolution politica Questo generale re-scaling dei processi decisionali rappresenta un campo di
analisi controverso. Infatti, se è vero che i processi decisionali ammettono un elevato grado di
inclusività sociale nella partecipazione dal basso, è altresì vero che parte dei poteri discrezionali
propri dello Stato moderno sono confluiti nelle mani di organismi istituzionali sovranazionali se
non direttamente delle forze del mercato. Ad oggi, la nazione non fa altro che abbandonare tutti i
suoi compiti regolativi che un tempo custodiva gelosamente, consegnandoli volentieri alle forze del
mercato.87
Se cinquant’anni fa la questione dell’approvvigionamento delle risorse rappresentava
sostanzialmente una issue locale, ora le istanze ecologico-ambientali sono viste in un’ottica globale.
Il cambio di scala gestionale corrisponde, coerentemente con quanto riportato finora, ad un relativo
re-scaling di pratiche discorsive e relazioni di potere inscritte nella produzione e riproduzione
economica, sociale ed ecologica. National governmental regulation is simultaneously up-scaled and
down-scaled, with an accompanying change in the choreographies of power, both between and
within institutions.88
L’esito è quello di una proliferazione di potenziali attanti (Latour, 1987) in cerca di alleanze,
coinvolti nel processo di water management (governi, società civile, multinazionali, ONG, tecnici),
e che incidono a vario grado sui processi decisionali. In ciò, secondo Swyngedouw, consiste il
paradosso della governance nel settore dell’acqua. Ovvero, se da un lato la flessibilizzazione e il rescaling dei processi decisionali consentono formalmente la partecipazione democratica di tutti i
detentori di interesse, ovvero l’inclusione del Pubblico nel valutare i modelli più adatti di gestione
della risorsa; dall’altro l’introduzione del privato nel trattamento del bene comune de facto has
diminished the transparency of the decision-making process and renders it more difficult to
disentangle and articulate the power geometries that shape decision-making outcomes. In practice,
it can be argued that the transition from government to governance has encouraged – despite the
multiplication of actors and institutions involved in water management – the transfer of key
economic and political powers to the private component of the hydrosocial governance complex.89
86
Bakker K.J., Privatizing water, producing scarcity: the Yorkshire drought of 1995, in Economic Geography, Vol. 76,
num. 1, Gennaio 2000, p.6.
87
Bauman, 2003, p. 59, la sociologia di fronte a una nuova condizione umana, intervista a Zygmunt Bauman a cura di
M. Magatti, in Una nuova condizione umana, Vita e pensiero, Milano.
88
Swyngedouw, Dispossessing water, p. 92.
89
Idem.
20
Gli analisti di ecologia politica accusano dunque gli schemi della governance di non trovare reale
applicazione in quanto, essi affermano, studi empirici mostrano che di fatto difficilmente le
comunità locali riescono a influenzare le decisioni economico-politiche, che restano principalmente
nelle mani delle lobbies di potere. Il ragionamento tramite cui si snoda questa critica riguarda due
dimensioni: da un lato il già citato discorso sulle forme di cooptazione simbolica del corpo sociale,
che richiama nuovamente Foucault. Dall’altro, la questione politica relativa all’efficacia reale di
forme di rappresentanza democratica, nonché di accesso ai diritti di cittadinanza.
Per quanto riguarda il primo aspetto, vale quanto affermato in precedenza sulle forme nascoste di
controllo sociale richiamate dalla teoria post-strutturalista. Vi sono interessi economico-politici che
agiscono beyond the State (Taylor, 2009)90, e che si riproducono attraverso il discorso, in quanto
con questo veicolano immaginari attorno ai quali la società costruisce la propria identità, e che, a
sua volta, essa rafforza tramite le proprie condotte. Nel caso del water management, si è descritto
come la privatizzazione abbia comportato spesso una ri-articolazione del discorso pubblico-politico
sul tema della scarsità, e di come questi schemi abbiano costruito agli occhi dei consumatori un
nuovo immaginario della risorsa e del rapporto con la stessa. In secondo luogo, d’altra parte, le
critiche alla governance pongono in rilievo l’ambiguità dei concetti stessi di partecipazione e
società civile.
La società civile è un concetto di tecnologia governamentale (…) l’homo oeconomicus e la società
civile sono pertanto due elementi indissociabili (…) o ancora: la società civile è l’insieme concreto
all’interno del quale bisogna collocare, per poterli gestire nel modo più opportuno, quei punti
ideali che gli uomini economici rappresentano. (…) La società civile è come la follia o come la
sessualità. Fa parte di quelle che chiamerei delle realtà di transazione. E’ proprio all’interno del
gioco e delle relazioni di potere, e di ciò che costantemente sfugge loro, in un certo senso
nell’interfaccia tra governanti e governati, che nascono quelle figure transazionali e transitorie.91
Di fatto, la declamata relazione collaborativa e paritaria Stato-mercato-società civile, è una
rappresentazione efficace nella retorica ma controversa nella pratica.
3.3) ECOLOGIA POLITICA E SCIENCES STUDIES: ALCUNE CONSIDERAZIONI
Il primo ordine di questioni che emerge nell’affrontare i temi di ecologia politica, e
nell’approfondirne l’approccio, è rappresentato dal ruolo svolto dalle forme di resistenza contro lo
stato di dominio politico su -e di monetarizzazione economica di- ambiti di vita biologica delle
popolazioni, compresi gli ambienti di vita.
Foucault, a proposito del discorso sull’esercizio del biopotere, trova conferma delle sue ipotesi nel
cogliere come, di fatto, anche le forme di lotta contro il sistema si siano bene o male in sostanza
spostate dal piano del diritto genericamente inteso al piano del diritto alla vita. Contro questo
potere, le forze che resistono si sono appoggiate proprio su quello che esso investe – cioè sulla vita
e sull’uomo in quanto essere vivente. (…) Non si aspetta più l’imperatore dei poveri, né il regno
degli ultimi giorni, (…) quel che si rivendica e serve da obiettivo è la vita, intesa come bisogni
fondamentali, essenza concreta dell’uomo, realizzazione delle sue virtualità, (…) la vita come
oggetto politico è stata in un certo qual modo presa alla lettera e capovolta contro il sistema che
cominciava a controllarla.92
Ma se il potere è pervasivo e immanente alla società, attraverso quali canali possono esplicarsi e
trovare efficacia proposte alternative di gestione? Qual è il valore reale della contro-informazione?
Se, seguendo Latour, la realtà è un insieme di cose che resistono – is a gradient of resistance93- in
cui nothing is known, only realized94, allora il potere di intaccare i dispositivi di verità è nelle mani
90
In Community participation in the real world: opportunities and pitfalls in new governance spaces, in Urban Studies,
Vol. 44, num. 2, Febbraio 2007.
91
Foucault M., La nascita della biopolitica, p. 241-242.
92
Foucault M., La volontà di sapere, p. 128.
93
Latour B., The pasteurization of France, Harward University Press, 1993, p. 159.
21
degli stessi attori, ovverosia: gli utilizzatori ultimi del fatto –scientifico- sono in grado di
condizionarne definitivamente l’efficacia.
Certo, procedendo con Latour, i costi del dibattito, anche per il più scrupoloso degli scettici,
crescono esponenzialmente man mano che si procede a ritroso nel processo di costruzione dei fatti.
Più si penetra nei dispositivi di alleanze che hanno consentito la stratificazione di una data
conoscenza, più ci si avvicina alla scatola nera, ossia un meccanismo complesso di cui si fa
comunemente uso in quanto esso, seppure assodato altrove, è però recepito, una volta per tutte e
fino a prova contraria, dalla maggioranza delle persone. La solidità di tale dispositivo rimane perciò
molto costosa da scalfire. Dunque, sulla scia di questi ragionamenti, sembra che un potenziale di
cambiamento esista, e che questo consista proprio nella natura costruita dei fatti. D’altra parte, e
questo pare il problema più gravoso che le contro-proposte al sistema si trovano ad affrontare, la
questione delle asimmetrie informative in cambio ambientale, unitamente al potere di lobbying
delle grandi multinazionali di settore, pongono dei costi di dibattito che non sono facilmente
risolvibili. In ciò, la capacità di fare informazione e il raggio d’azione dei relativi canali di
comunicazione sembrano rappresentare le chiavi di volta delle forme di resistenza. In epoca
contemporanea, uno spazio che meno di altri risente dell’ingerenza dei poteri economico-politici
più ingombranti95, è quello del web 2.0. Come anche emerso dagli studi sull’acqua di geografia
economica: le proteste per il ritorno all’acqua pubblica si caratterizzano per mostrare la loro
presenza forte non solo nei territori fisici, ma nello spazio virtuale dei blog.
La seconda questione su cui vale la pena soffermarsi è quella degli aspetti controversi del carattere
costruito della natura. Se natura e società sono parimenti processi collettivi di attribuzione di
significati geo-storicamente contingentati, il rischio metodologico che si può correre è quello di
banalizzare gli estremi del ragionamento fino a stabilire la natura puramente –e meramenteconvenzionale dei due termini. Ossia, se conoscenza e credenza devono essere accolti con le
medesime cautele, il fatto che la natura si riempia di contenuti a seconda dell’ideologia tramite cui
la si sta analizzando, offre spunti di legittimazione per ogni condotta. Il rischio di scivolamento
verso il relativismo –culturale o naturale- è speculare a quello verso le forme di dispotismo realista.
Infine, ci si vuole soffermare su un ulteriore aspetto di quanto trattato finora: l’ecologia politica
offre come contro-proposta agli effetti collaterali del generale processo di liberalizzazione delle
economie politiche, processi di ri-pubblicizzazione o di ri-comunitarizzazione di certi beni. Ciò su
cui però non bisogna contare, in tale discorso, coerentemente con quanto emerso soprattutto dai
Sciences Studies, è l’illusione di un ritorno al passato, ossia credere che la soluzione alle sfide del
progresso tecnologico, del degrado degli habitat, del boom demografico, della globalizzazione,
consista nel ri-diventare anti-moderni96. Grazie alla forma così strana della loro temporalità, i
moderni riordinano la proliferazione dei nuovi attori – i quasi-objects o i cyborg- come se fosse
una capitalizzazione, un’accumulazione di conquiste, ma anche come un’invasione di barbari, una
sequela di catastrofi. Il progresso e la decadenza sono i loro due grandi repertori e hanno la stessa
origine. Su ognuna di queste linee sarà possibile ritrovare gli antimoderni, che conservano la
temporalità dei moderni invertendone il senso. Per cancellare il progresso o la degenerazione,
sognano un ritorno al passato, come se esistesse un passato!.97
Quello che sembra invece necessario è acquisire a livello collettivo la capacità di ricatalogare i
concetti di società e natura quali processi storico-politici di definizione di determinate realtà,
comprendere in che modo questi scontano fortemente variabili economiche e culturali, svelare i
meccanismi occulti –e occultati tramite un certo utilizzo dei sistemi di informazione- di azione del
94
Idem.
Resta un dato da discutere.
96
anche se, sostiene Latour, moderni in realtà non lo siamo mai stati.
97
Latoru B, Non siamo mai stati moderni, p. 89.
95
22
potere, mettere in luce i collegamenti tra la sfera micro delle condotte individuali e locali, e quella
macro delle logiche di lobbying globali98.
98
Del resto, locale-globale è uno dei binomi messi in discussione dalla sociologia della scienza poiché è tramite questo
che si snoda il meccanismo che rende possibile la commodificazione.
23
CONCLUSIONI
Con il presente lavoro si è voluto condurre una riflessione sul rapporto tra città e natura, attraverso
il tema della commodificazione dell’acqua. La corrente di geografia critica rappresentata dagli
ecologi politici ha fornito il quadro teorico in cui il tema è stato inquadrato, unitamente al lavoro di
autori dei Sciences Studies e al pensiero foucaultiano, che hanno contribuito a fornirne le premesse
metodologiche.
I concetti di città metabolica e materialismo storico si sono rivelati utili nell’identificare lo spazio
urbano all’interno del paradigma ecosistemico, che riconosce i fenomeni nella loro complessità e
relazione reciproca, ed in cui assume particolare rilievo il tema della circolazione dei flussi –di
materia e di conoscenza- e degli scambi uomo-natura. I fenomeni sociali, così come quelli naturali,
sono visti come processi socio-ecologici: il confine tra artificiale e naturale non è tracciabile, e i
prodotti dell’interazione uomo-natura hanno un carattere ibrido, o cyborg.
La percezione della natura come altro da sé è una costruzione sociale che discende dal pensiero
razionale-scientista occidentale, ed è su questa che si fonda anche l’ideologia del capitalismo
moderno. Quest’ultimo, in virtù di tale concezione, ha perpetrato ai danni della natura un processo
di spoliazione che storicamente è stato messo in discussione solo negli anni Settanta, con la crisi
ecologica.
Quest’occasione però, denunciano i critici di ecologia politica, non è stata colta dagli attori
economici e politici come un momento di ripensamento globale delle modalità di gestione
ambientale, bensì si è verificato un processo di cooptazione delle istanze ambientali all’interno degli
schemi di monetarizzazione capitalisti. La crisi dello Stato keynesiano ha infatti creato i presupposti
affinchè il settore privato e la libera impresa trovassero spazio di espansione in settori che avevano
fino ad allora maturato modelli di governo tipicamente pubblici. Questo ha dato luogo alla
commodificazione della natura e della risorsa idrica, ovvero al trattamento –culturale ed economicodella stessa alla stregua di commodity.
Gli studiosi evidenziano a tale proposito come la capitalizzazione della natura si sia accompagnata
ad un determinato discorso politico, foucaultianamente inteso, che ha forgiato categorie di pensiero
culturali, che a loro volta si sono rafforzate ed hanno trovato ulteriore legittimità nelle condotte
individuali del corpo sociale e nella diffusione di determinati habitus e consumi.
Infine, si sono voluto portare avanti alcune considerazioni al fine di fornire spunti di ulteriore
approfondimento al tema. In particolare, si è accennato al valore delle forme di resistenza al
descritto stato di cose, e a quali debbano e possano essere i relativi canali tramite cui questa si
manifesti. Si è posto inoltre accento sulla cautela con cui i discorsi sul relativismo –culturale e
naturale- e il determinismo debbano essere affrontati, al fine di eludere i rischi di pericolose
banalizzazioni ideologiche. Ed, in ultimo, è stato sottolineato come la nuova categorizzazione
culturale evocata dagli studi sulla scienza e dall’ecologia politica, non debba essere ridotta a forme
di ritorno al pre-moderno, ossia all’antimodernismo, quanto piuttosto vada riferita ad una nuova
coscienza collettiva che riconosca la complessità come paradigma unico da cui partire per riflettere
allo stesso tempo società e natura.
24
BIBLIOGRAFIA
Bakker K.J., Privatizing water, producing scarcity: the Yorkshire drought of 1995, in Economic
Geography, Vol. 76, num. 1, Gennaio 2000.
Bocchi G. (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1985.
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