Educazione e riabilitazione con la pet therapy

 I n d i c e
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Prefazione (Dennis C. Turner)
Premessa
Prima parte Principi e applicazioni
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CAP. 1 La pet therapy: attività e terapie assistite con gli
animali
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CAP. 2 Come si fa?
seconda parte Esperienze e buone prassi
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CAP. 3 Le AAE nella scuola: perché no? (in collaborazione con
Annalisa Cannarozzo e Caterina Di Michele)
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CAP. 4 AAA/AAT e la quarta età
95
CAP. 5 AAT nel progetto riabilitativo di bambini con disabilità plurime (Mauro Mario Coppa ed Erika Orena)
109
CAP. 6 AAA e AAT in ospedale pediatrico
129
Conclusioni
131
Appendice
145
Bibliografia
Premessa
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nuova «alleanza», ossia l’essere umano e l’animale. Circa l’utilizzo coterapeutico dell’animale (in particolar modo del cane), si pensa di solito che esistano
animali specificamente «addestrati per la pet therapy». Sono abbastanza diffuse
anche storie «strappalacrime», prive del benché minimo supporto scientifico,
che descrivono cani «votati» a relazionarsi con bambini e disabili, in genere
supportate da affermazioni del tipo: «Il mio cane, quando vede una persona
in carrozzina, sa che lì c’è bisogno di lui», oppure: «Il mio cane si lascia fare
proprio tutto dai bambini, penso che sia molto adatto alla pet therapy», ecc.
È vero che i cani che partecipano ai programmi AAA/AAT/AAE seguono
percorsi educativi e addestrativi assieme al loro conduttore. Tuttavia, le peculiarità di un buon animale coterapeuta — tempra, temperamento, attrazione
sociale, ecc. — non possono essere insegnate con esercizi, ma fanno parte del
carattere dell’animale, sono doti naturali che possono, e devono, essere esaltate
e rinforzate attraverso un training che abbia come suo fine fondamentale l’instaurazione di un’ottima relazione cane-conduttore, basata sulla cooperazione,
la conoscenza e la fiducia reciproca. «In tutte le forme di addestramento che
richiedono una partecipazione attiva da parte del cane, non si dimentichi mai
che il migliore dei cani non conosce alcun “senso del dovere” e sta al gioco
soltanto finché ci trova gusto» (Lorenz, 1973). Il conduttore di animali per la
pet therapy non si sostituisce ai professionisti della salute umana, ma collabora
con loro mettendo a disposizione il rapporto e la complicità che ha col proprio
pet. Un programma di terapia, riabilitazione e educazione effettuato con l’ausilio
di un animale presuppone infatti che al centro dell’intervento vi siano la salute
e il benessere umani. L’utilizzo della relazione e dell’interazione con l’animale
deve integrare e rafforzare i programmi educativi, riabilitativi e/o terapeutici
«ordinari», condotti quindi necessariamente da professionisti della salute e
del benessere umano, come medici, psicologi, ecc. In parole semplici, per fare
un esempio, una seduta di psicoterapia, se svolta dal terapeuta attraverso la mediazione con l’animale, rimane tuttavia una seduta di psicoterapia, non diventa
qualcosa di nuovo. Anche se in questo caso si sta avvalendo di uno stimolo
nuovo, diverso, efficace, il terapeuta opera tuttavia sempre nell’ambito della
propria professione. E ancora: se la motivazione derivante dal gioco col cane
facilita l’esecuzione degli schemi motori necessari all’interno di un percorso
riabilitativo, non si sta inventando nulla di nuovo, si sta solo utilizzando uno
stimolo nuovo. Ciò non significa in alcun modo che il benessere umano sia a
discapito del benessere dell’animale coinvolto, anzi. Il benessere dell’animale è
prerogativa essenziale per la buona riuscita dei programmi e il conseguimento
dei benefici che l’uomo può trarre dalla relazione con esso. È per questo che
tale relazione e interazione fra utente e animale va necessariamente mediata da
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Educazione e riabilitazione con la pet therapy
operatori che abbiano una profonda conoscenza delle peculiarità del proprio
animale, dei suoi limiti e potenzialità, e che condividano con esso un rapporto
speciale di collaborazione e complicità che possono trasmettere, «donare»
all’utente, coinvolgendolo in una relazione che da diadica diviene triadica
senza perdere in naturalezza e spontaneità. Parliamo dunque di un approccio
che non è solamente «zootecnico», bensì relazionale mediato. In altre parole,
parlando di interazione tra uomo e animale, o di relazione fra essi, dobbiamo
far riferimento a discipline come la psicologia, la pedagogia e la medicina
piuttosto che inventarne di nuove, tenendo però in considerazione il fatto che
occorre introdurre una figura veramente nuova, che interagisca con l’ambito
socioeducativo e riabilitativo, quella cioè del conduttore di animali per le
AAA/AAT/AAE.
Questo manuale nasce a seguito di numerose esperienze pratiche effettuate
negli ultimi sei anni ed è destinato a figure professionali che percepiscano il
lavoro di cura come una ricerca che consente di produrre conoscenze, formulare
ipotesi e spiegare i risultati delle esperienze relazionate. In particolare, vuole
essere uno strumento valido per quegli operatori professionali che rientrano
nelle équipe multidisciplinari coinvolte nella progettazione e conduzione dei
programmi di attività e terapie assistite con gli animali (educatori, insegnanti,
psicologi, pedagogisti, ecc.).
Il volume, frutto di accurate ricerche bibliografiche e collaborazioni con
medici, psicologi e pedagogisti con esperienza pratica nei campi applicativi delle
AAA/AAT, offre nella prima parte una panoramica esauriente delle definizioni
di attività, terapie e attività educative assistite con gli animali, a partire da un
breve inquadramento storico fino a esaminare gli aspetti psicologici e sociali
della relazione uomo-animale. Quindi, fornisce i protocolli operativi inerenti
all’attuazione e allo svolgimento dei programmi assistiti.
La seconda parte presenta, suddivise per ambiti applicativi, le buone prassi
derivate dalle esperienze maturate dal 2003 al 2008 nell’ambito dei progetti
attuati dalla cooperativa sociale Pet Village in collaborazione con vari enti e
istituti, fornendo una panoramica generale dell’ambito di riferimento, corredata
di proposte operative pratiche.
Infine, il volume offre una serie di strumenti operativi e schede utili alla
programmazione e al monitoraggio degli interventi.
Si tratta dunque di un vero e proprio manuale operativo che, grazie alle
tematiche multidisciplinari affrontate e agli spunti pratici proposti, può essere
utile nei contesti occupazionali di tipo socioeducativo. Approfondisce gli aspetti
teorici legati alla progettazione e alla realizzazione di programmi di AAA/
AAT, nonché le metodologie applicative necessarie per sviluppare interventi
Premessa
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appropriati e con risultati misurabili. L’intento, in conclusione, è integrare la
formazione di figure professionali di ambito sociosanitario e educativo fornendo loro una corretta conoscenza delle procedure idonee allo svolgimento
dei programmi assistiti con gli animali, superando di gran lunga la concezione
semplicistica secondo cui «gli animali fanno bene all’uomo» e trasformandola in proposte operative concrete potenzialmente in grado di ottimizzare e
concretizzare questo tipo di relazione mediata e di definire «quanto e perché»
il contatto mediato con l’animale «faccia bene». Occorre tenere a mente che
alla base di tali interventi c’è un amore incondizionato, di cui il cane Jingles
può essere considerato un esempio.
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Educazione e riabilitazione con la pet therapy
contatto o soggetti a sbalzi d’umore). Pertanto, i coterapeuti devono essere
animali pazienti, che non manifestino reazioni aggressive. Sempre negli Stati
Uniti, a seguito delle ricerche condotte dallo studioso Frank R. Ascione negli
anni Ottanta, la pet therapy fu introdotta anche nelle scuole con un programma
denominato «Educazione umanitaria e ambientale», che comporta la cura e
il rispetto di tutte le creature viventi e del mondo che le circonda.
Infine, merita una menzione la nascita, nel 1990, dell’IAHAIO (International Association of Human-Animal Interaction Organizations), organizzazione
non governativa partner dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità),
fondata allo scopo di raggruppare le varie organizzazioni nazionali che si occupano della ricerca e dello sviluppo del rapporto fra uomo e animale.
Che cos’è la pet therapy?
Nella definizione di un termine così in voga nel nostro Paese, soprattutto
nell’ultimo decennio, non si può prescindere dall’analisi letterale dei termini
di cui si compone, ossia «pet» e «therapy». L’origine anglosassone del termine composto ne connota chiaramente l’origine geografica collocandola
oltreoceano, dove esso è usato da più di trent’anni. «Pet» è utilizzato sia come
sostantivo per indicare l’animale domestico, da affezione, sia come verbo (to
pet), col significato di «accarezzare», «coccolare». «Therapy», letteralmente
«terapia», è utilizzato inoltre come secondo termine in parole composte tipo
physiotherapy, psychotherapy, ecc. Il neologismo risultante dalla loro unione,
«pet therapy», è diventato l’etichetta «popolare» con cui vengono definite
tutta una serie di attività terapeutiche con gli animali da compagnia. Negli anni
passati, con tale termine si era soliti indicare, ad esempio, programmi di addestramento dell’animale, o, in alcuni casi, di terapia vera e propria sull’animale
(programmi di riabilitazione fisica a seguito di traumi). La citata «popolarità»
è però relativa a un altro significato che gli viene attribuito, e cioè quello di
programmi terapeutici che prevedono la partecipazione di animali domestici e
hanno come fruitori gli esseri umani. In tal senso, quindi, considerando il fatto
che negli ultimi anni tali attività hanno assunto un carattere di elevata organizzazione, parlare di pet therapy è ormai quantomeno improprio e impreciso, se
non addirittura approssimativo e fuorviante.
Di qui, la necessità di una terminologia precisa e uniformata, a livello
nazionale e internazionale, che evidenzi il coinvolgimento dell’animale in
programmi di trattamento per malattie e disagi dell’uomo in generale, nonché
in programmi educativi rivolti specificamente all’età evolutiva. D’ora in avanti
La pet therapy: attività e terapie assistite con gli animali
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parleremo pertanto di attività assistite con gli animali (AAA), terapie assistite
con gli animali (AAT) e attività educative assistite con gli animali (AAE), e,
quando vorremo alludere a tutte e tre le tipologie di intervento sopra menzionate, di programmi assistiti con gli animali.
Un uso appropriato della terminologia evidenzia già da sé il ruolo specifico
dell’animale (pet) all’interno dei diversi programmi educativi, terapeutici e/o
riabilitativi (mezzo privilegiato, facilitatore relazionale, lubrificante sociale,
ecc.), e offre pertanto uno «strumento» in più ai professionisti della salute,
dell’educazione e del benessere umano (terapisti, fisioterapisti, medici, psicologi, logopedisti, psicoterapeuti, infermieri, insegnanti, ecc.) nell’ambito delle
terapie e metodologie educative e riabilitative tradizionali.
Perché l’animale
L’animale, all’interno di un qualsiasi programma che ne preveda l’utilizzo, è
l’energia stimolante che rinforza il trattamento fornito dall’operatore. Il rapporto
fra uomo e animale, soprattutto dal punto di vista interattivo e comunicativo,
ha origini antiche, che risalgono agli albori stessi della storia umana (come
abbiamo visto nei cenni storici). In generale, al di là degli effetti benefici documentati a livello fisiologico da alcune importanti ricerche scientifiche, come la
correlazione tra il possesso di un animale da compagnia e la sopravvivenza in
caso di malattie coronariche (Friedmann et al., 1980) e la diminuzione della
pressione arteriosa derivante dal contatto fisico con gli animali, l’interazione
e la relazione con l’animale offrono tutta una serie di peculiarità funzionali
all’apporto di situazioni di benessere psicofisico nell’uomo attraverso canali
comunicativi esclusivi e privilegiati. Basti pensare al contesto non giudicante
nella relazione con un animale: l’animale non è capace di finzione (per lo meno
non nel senso di bugia, menzogna, ecc.). A dire il vero, alcuni animali selvatici
sono capaci di proporre comportamenti di finzione, come ad esempio fingere
di essere morti o velenosi per sfuggire a una preda, e anche il cane domestico è
in grado di simulare tutta una serie di sintomi, privi di origini fisiche, intesi ad
attirare l’attenzione dei proprietari. «Nel fingersi malati i cani danno prova di
un’inventiva degna di quella degli umani affetti dalla sindrome di Münchhausen» (Budiansky, 2004, p. 13). In secondo luogo, l’utilizzo esclusivo del canale
non verbale permette all’animale di instaurare una relazione o condividere
un’interazione anche con soggetti le cui capacità comunicative verbali sono
compromesse da deficit fisici o psicologici, e di fornire una serie di segnali
facilmente decodificabili dall’uomo in merito alla propria disponibilità comunicativa. Altri aspetti importanti sono la facilità di condivisione di sentimenti
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Educazione e riabilitazione con la pet therapy
Tipologie di attività pratiche e interazioni proponibili utente-animale
Accarezzare e coccolare: al dì là dei documentati benefici fisiologici derivanti dal contatto fisico con gli animali (Friedmann et al., 1980), in generale
il contatto con qualcosa di morbido suscita un senso di protezione, calore e
intimità; riduce la tensione nervosa; aumenta la coscienza della propria identità
corporea e del confine psicologico necessario per la formazione di un Sé, di
una concreta coscienza di esistere; incrementa inoltre la stimolazione dei sensi:
le sensazioni piacevoli e gratificanti provate durante il contatto con l’animale
possono spingere l’individuo a ricercarle creando nuove interazioni.
Spazzolare, prendersi cura: le attività di cura e accudimento inducono il
soggetto a non concentrarsi sul proprio bisogno di attenzione e accudimento,
ma a indirizzarlo verso un altro essere vivente. Ciò può favorire lo sviluppo
della capacità empatica, dell’autostima individuale e della capacità di «prendersi cura» degli altri, riconoscendo il proprio bisogno di essere accudito. Dal
punto di vista fisico, la presenza dell’animale e l’interazione con esso possono
produrre un aumento della motivazione durante esercizi riabilitativi che impiegano gli arti superiori.
Offrire cibo all’animale: oltre agli effetti sopra descritti, l’offerta di cibo
all’animale segnala la presenza di un rapporto di fiducia.
Portare a passeggio: rimanda un’immagine di sé come persona competente
e autonoma, e offre occasioni di contatto sociale (quando si porta a passeggio un
cane, la possibilità di essere fermati da altre persone e di avere con loro scambi
comunicativi aumenta sensibilmente). Ciò può favorire il contatto con gli altri,
la capacità di socializzazione e l’uscita da stati di isolamento e depressione. Dal
punto di vista fisico, può produrre un aumento della motivazione durante gli
esercizi riabilitativi che impiegano gli arti inferiori.
Parlare e interagire con l’animale: l’animale diviene catalizzatore di interessi,
facilitando l’interazione sociale. Interagire con esso serve inoltre a potenziare
la comunicazione non verbale.
Parlare dell’animale e raccontare storie sugli animali: favorisce le relazioni
interpersonali, divenendo motivo di conversazione e/o di gioco. Agevola
inoltre l’espressione delle emozioni attraverso processi di identificazione e
proiezione.
Presenza fisica dell’animale: stimola l’attenzione e facilita l’interazione,
quindi produce un aumento dell’interesse e della partecipazione alle attività
proposte.
Osservare gli animali e i loro comportamenti: favorisce la presa di coscienza
della diversità, dei bisogni altrui, agevolando lo spostamento da una posizione
Come si fa?
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egocentrica. Incrementa le conoscenze relative alla specie presentata e contribuisce all’aumento di tempi di attenzione. Favorisce inoltre il potenziamento delle
capacità comunicative non verbali e fornisce modelli di comportamento.
Giocare con gli animali: ovviamente, non si possono elencare in poche
righe tutti i benefici derivanti dal gioco in generale; ci limiteremo pertanto a
segnalarne alcuni che riteniamo essere apportati anche dal gioco con gli animali. Il gioco ha innanzitutto la prerogativa di liberare dalle emozioni negative
(funzione catartica). Ricopre inoltre un’importante funzione adattiva, in quanto
permette all’individuo di fronteggiare in modo personalizzato i problemi, promuove lo sviluppo del pensiero e dell’intelligenza e favorisce l’esplorazione e
l’apprendimento. Il gioco permette anche di trovare «soddisfazioni» che nella
realtà non sono concesse. Altri suoi benefici sono il controllo (o la liberazione) dell’ansia e la possibilità di liberare l’aggressività verso l’esterno in modo
naturale e quindi non dannoso. Dal punto di vista comportamentale, giocare
con un animale può favorire la modulazione dei propri gesti, della vivacità e
dell’aggressività.
Fare esercizio fisico con l’ausilio degli animali: la presenza e la «collaborazione» di un animale nell’esecuzione di esercizi riabilitativi, che a volte
possono essere dolorosi, costituisce sicuramente un’ottima motivazione. È
stato dimostrato che, in tali circostanze, l’interazione con un cane determina
comportamenti motori di qualità e quantità superiori, maggior rilassamento
nell’esecuzione, indici di felicità più alti e necessità di minori stimolazioni da
parte dell’operatore rispetto ai casi in cui ci si avvale delle sole sollecitazioni
dell’operatore o al massimo di un peluche interattivo (Coppa et al., 2007).
L’animale è inoltre un ottimo sostegno per le attività psicomotorie, che grazie
ad esso risultano più divertenti.
Utilizzare gli oggetti dell’animale: interagire con un animale e adoperare
oggetti specifici per giocarci insieme, accudirlo, condurlo, ecc. porta a una
maggiore conoscenza del mondo animale e a un arricchimento del vocabolario. L’utilizzo di specifici oggetti come spazzole, guinzagli con moschettone e
piccole borracce per l’acqua può incrementare le abilità manuali e, in particolar
modo, la motricità fine.
Imparare nozioni sulla vita animale: ha funzioni educative e comporta
un arricchimento delle conoscenze e del vocabolario. Conoscere la vita degli
animali (alimentazione, comportamento, abitudini) sviluppa il rispetto per
l’ambiente.
Attività creative connesse agli animali: la sollecitazione di attività creative
legate alle esperienze vissute, o che si stanno vivendo, con gli animali costituisce
una buona integrazione ai programmi di AAA/AAE. Tali attività stimolano
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Educazione e riabilitazione con la pet therapy
con essi, poiché insegnare agli alunni a rapportarsi con i pet, diversi tra loro
per caratteristiche, storia e temperamento, è importante per lo sviluppo di
processi cognitivi e affettivi indispensabili per la maturazione psico-emotiva
in età scolare. L’instaurarsi di un rapporto affettivo con l’animale, sia esso
un cane, un gatto, un coniglietto o un cavallo, favorisce nel bambino atteggiamenti di cura e protezione. Tali comportamenti sono di aiuto poiché
promuovono nei piccoli il senso di responsabilità, in quanto prendersi cura
di un pet, di qualunque specie esso sia, dargli da mangiare, spazzolarlo, coccolarlo, rimanda, a chi se ne occupa, un’immagine positiva di sé, di persona
competente e valida. Si può allora affermare che le attività con l’ausilio degli
animali possono favorire e migliorare l’autostima, soprattutto nei bambini
più piccoli che, generalmente, sono essi stessi oggetto di attenzione, cura
e protezione da parte degli adulti e non hanno ancora molte occasioni di
dimostrarsi individui competenti.
AAE rivolte agli alunni delle scuole dell’infanzia e primaria di un istituto
comprensivo
Cooperativa sociale Pet Village e Istituto comprensivo Montemarciano-Marina,
Ancona
È dimostrato che atteggiamenti di relazione, cura e rispetto verso gli
animali domestici possono trasferirsi in maniera speculare agli esseri umani,
soprattutto in età evolutiva. Il rapporto con il pet e l’empatia verso di esso
promuovono e rinforzano atteggiamenti empatici nei confronti dell’altro,
e soprattutto degli individui più vulnerabili del gruppo. Ciò spiega come
un programma di AAE possa favorire i processi di integrazione all’interno
dell’ambiente scolastico, e in particolar modo delle classi che ospitano soggetti diversamente abili.
Figure professionali coinvolte
Insegnanti curricolari e insegnanti di sostegno; educatori; psicologo;
conduttori.
Soggetti coinvolti
Alunni appartenenti alle classi delle scuole dell’infanzia e primaria con
presente un alunno diversamente abile.
Le AAE nella scuola: perché no?
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Obiettivi del progetto
L’obiettivo generale del progetto è quello di migliorare la qualità della vita
dei soggetti coinvolti operando nella sfera emotivo-relazionale, cognitiva e affettiva, e favorendo al contempo processi di integrazione fra gli alunni delle classi.
Il progetto vuole valutare come le AAE contribuiscano al processo di crescita
individuale del bambino in età scolare e come agevolino i processi di integrazione
degli alunni diversamente abili all’interno del gruppo-classe e degli alunni stessi
all’interno della propria classe. Per ogni alunno disabile è previsto un percorso
individuale finalizzato al conseguimento di obiettivi individuali specifici.
Obiettivi educativi:
– favorire lo sviluppo di abilità cognitive;
– promuovere l’acquisizione di concetti nuovi;
– migliorare l’orientamento spazio-temporale;
– perfezionare la capacità di focalizzare l’attenzione su un dato compito;
– aumentare la capacità di rispettare le regole;
– fornire modelli di comportamento;
– incrementare l’integrazione all’interno del gruppo-classe.
Obiettivi motivazionali:
– stimolare il desiderio di essere coinvolto in attività di gruppo;
– incrementare le interazioni con gli altri;
– aumentare la capacità di ascolto;
– potenziare la capacità di osservazione;
– migliorare la capacità di risposta;
– aumentare la capacità di portare a termine un compito;
– migliorare il linguaggio.
Tempi e modalità di attuazione
Il programma ha la durata di un anno scolastico e prevede 4/5 visite delle
classi (o porzioni di esse) in una fattoria sociale.
Ambiente
Gli incontri si svolgono nelle aule scolastiche per quanto concerne la fase
didattica curata dagli insegnanti, per il resto nelle aule della fattoria sociale e
nelle aree di essa che ospitano gli animali.
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Educazione e riabilitazione con la pet therapy
relativamente a deliri, allucinazioni, agitazione/aggressività, ansia, euforia/
eccitazione, apatia/indifferenza, disinibizione, instabilità/labilità, attività
motoria aberrante, disturbi del sonno, disturbi dell’appetito e dell’alimentazione. Somministrato a tutti gli ospiti coinvolti all’inizio e alla fine del
programma.
– AAT Flow Sheet (Richeson, 2003), per valutare gli eventuali benefici
dell’esperienza sull’interazione sociale dei pazienti, somministrato periodicamente (ogni 3/4 visite) a tutti gli ospiti coinvolti. In particolare, si valuta
se durante l’interazione con l’animale e il conduttore il paziente:
• ha guardato il cane;
• ha toccato il cane;
• ha parlato con il cane;
• ha ricordato e usato il nome del cane;
• si è impegnato in attività con il cane;
• ha ricordato i propri animali;
• ha guardato l’accompagnatore del cane;
• ha parlato con l’accompagnatore del cane;
• ha ricordato il nome dell’accompagnatore del cane.
Studio del caso: AAT presso il Centro diurno Alzheimer «Il Granaio»
di Senigallia
In collaborazione con Maria Del Pesce, Anna Faretta, Anna Grazia Lentini e
Cardenia Cingolani
Soggetti coinvolti
16 anziani (12 donne, 4 uomini) affetti da Alzheimer e altre demenze
primarie di grado medio-lieve.
Età media: 78 anni.
Scolarità: elementare (13), diploma (2), laurea (1).
Durata malattia: >5 anni.
Permanenza nel Centro: >2 anni (6), 1 anno (8), <1 anno (2).
Finalità
Osservare la possibilità di utilizzo delle AAT nel trattamento dei disturbi
comportamentali nelle demenze, misurando parametri relativi alla riduzione
AAA/AAT e la quarta età
91
dell’agitazione, delle problematiche comportamentali e al miglioramento
dell’integrazione sociale.
Obiettivo
Valutazione degli eventuali benefici dell’esperienza di AAT sui disturbi
comportamentali dei pazienti (NPI; Cummings et al., 1994), unitamente
all’osservazione sistematica di alcuni indicatori relativi all’interazione sociale
degli stessi (AAT Flow Sheet; Richeson, 2003).
Setting
Gli animali hanno visitato la struttura con frequenza settimanale per un
periodo di 5 mesi. L’attività si svolge all’interno del salone principale, dove
i pazienti trascorrono parte della mattinata. I pazienti sono stati disposti in
cerchio all’interno della stanza e coinvolti a turno singolarmente o suddivisi in
piccoli gruppi. Per le passeggiate sono state utilizzate anche la palestra interna
al centro e il piccolo cortile adiacente.
Scelta dell’animale
Due cani di grossa taglia e uno di piccola taglia, non particolarmente vivaci.
La scelta è stata fatta anche in funzione di favorire il contatto con gli ospiti: i
cani grandi permettono il contatto senza doversi piegare troppo dalle sedie,
mentre il cane piccolo può essere tenuto in braccio e suscita minore diffidenza
negli ospiti, che all’inizio manifestano alcuni timori legati alla taglia. Sono
inoltre stati scelti cani con un mantello particolarmente piacevole al tatto e che
offrissero la possibilità di curarli e spazzolarli con soddisfazione.
Risultati
L’esperienza, seppur condotta su un campione esiguo di soggetti, ha fornito indicazioni significative sulle potenzialità dei programmi di AAT rivolti ad
anziani in istituzione. Sebbene infatti non sia stata rilevata alcuna modificazione
in ambito cognitivo e dell’autonomia personale, probabilmente anche a causa
del ristretto lasso temporale di svolgimento del progetto, si sono registrati in
generale una riduzione del punteggio del NPI e un miglioramento dell’interazione sociale, come evidenziano i risultati delle tre somministrazioni della
griglia AAT Flow Sheet avvenute a inizio, metà e fine progetto (si veda la figura
92
Educazione e riabilitazione con la pet therapy
4.1). A livello puramente osservativo, gli operatori della struttura (educatori,
psicologo, fisioterapista) hanno potuto riscontrare un’accettazione molto facile
e rapida dell’attività da parte degli ospiti e un’interazione positiva con i cani
coinvolti, che ha avuto un effetto positivo sull’apatia e la demotivazione dei
pazienti, stimolandone la ricerca del contatto fisico e la manualità.
È stata osservata inoltre una minima, ma comunque significativa stimolazione mnesica relativamente al riemergere di ricordi passati (memoria a lungo
termine) e all’aspettativa per le visite degli animali in struttura (memoria a
breve termine).
Considerazioni conclusive
L’AAT, come è dimostrato anche per altri approcci riabilitativi nei confronti
della malattia di Alzheimer, sicuramente non ha effetti sul suo andamento, ma
offre momenti di serenità, stimolo e socializzazione che incidono positivamente
sulla qualità di vita e parametri comportamentali dei pazienti. Ciò incoraggia
a compiere ulteriori ricerche, più strutturate, che valutino anche l’impatto dei
risultati significativi ottenuti con i pazienti sullo stress dei caregiver e il burnout
degli operatori.
Ieri è morta Lessie
Come ogni lunedì, entriamo nel Centro diurno Alzheimer con Asia, Cindy e
Nikita. L’atmosfera è accogliente e serena come sempre, ma Mario non ci viene
incontro alla porta. Di solito, ci fa da aiutante: prende le borse, tira fuori le spazzole
e le ciotole e ci accompagna nel giro dei saluti iniziali con gli altri ospiti. Oggi,
invece, se ne sta seduto sul divano del salone con gli occhi lucidi e accenna a
malapena un sorriso. «Ieri è morto il suo cane» ci informa l’operatrice, «e da allora
non ha smesso di piangere». Rino, uno dei conduttori, gli si avvicina come sempre
con Nikita, il barboncino, e lo saluta. Nikita sale in braccio a Mario, che comincia
ad accarezzarla senza dire nulla. Sembra volerla tenere tutta per sé.
«Come andiamo oggi, signor Mario?» chiede il conduttore.
«Ieri è morta Lessie, il mio cane.»
«Mi dispiace molto per Lessie.»
«Era vecchia. Ce l’avevo da molti anni.»
«Certo, quando ci lasciano, sentiamo molto la loro mancanza.»
«Era bello portarla a passeggio ogni tanto, poi adesso che veniva il bel tempo…»
«Senti, posso lasciare Nikita qui con te finché saluto gli altri?»
«Sì, la tengo qui», risponde Mario accennando un sorriso, poi le dà un biscottino, continuando ad accarezzarla.
110 Educazione e riabilitazione con la pet therapy
Il bambino tende infatti ad attribuire il dolore e la paura delle terapie alle
persone che le propongono e le praticano. Pensiamo ad esempio a una tipica
esclamazione come: «Il dottore è cattivo!». Essa indica chiaramente che il
bambino teme non tanto la malattia quanto piuttosto i processi terapeutici e
le persone che li compiono (dottori, infermieri, ecc.), identificabili dal camice
bianco. Non essendo in grado di spiegare in modo logico e obiettivo ciò che
gli sta accadendo, il bambino è costretto ad affidarsi alle sue fantasie, e può
arrivare a considerare la malattia, e in generale il suo stato di degenza, come
una sorta di «punizione per azioni reali e immaginate» (Caviezel Hidber,
2000). Ciò può accadere anche perché spesso i genitori tendono a utilizzare
la figura del medico o la puntura alla stregua dell’«uomo nero», con frasi
del tipo: «Se non fai il bravo chiamo il dottore» o «Se non mangi questo ti
faranno una puntura», ecc.
Qualunque sia la fascia di età presa in considerazione, la malattia può
creare situazioni di crisi o disagio nel piccolo paziente. I bambini di 1/2 anni
non hanno ancora coscienza degli avvenimenti che affrontano, pertanto le
loro reazioni sono fortemente influenzate dall’atteggiamento della figura di
riferimento (la mamma), che è in grado di trasmettere loro serenità, agitazione,
paura, ecc. In pazienti più grandi, fino a 7 anni circa, la malattia è vissuta con
maggior coscienza e consapevolezza, ma spesso anche vista come una colpa.
Ciò comporta l’associazione fra terapie subite e maltrattamenti o, ancor più
frequentemente, punizioni. Sostanzialmente, la condizione di «ammalato»
implica una serie di richieste «forti» come l’immobilità, l’isolamento rispetto al proprio ambiente o ai propri affetti, la dieta, il sottoporsi a procedure
dolorose. Tutte queste situazioni sono difficili da affrontare per un bambino,
e ancor più difficili da comprendere. Per tali ragioni, la malattia può essere
sia motivo di crescita e maturazione, sia un momento di regressione, crisi e
difficoltà. Da qui nasce dunque l’esigenza di aiutare il bambino ospedalizzato
in maniera che possa vivere l’esperienza della malattia e dell’ospedalizzazione
in modo positivo, e che questa possa contribuire al suo processo di crescita
e maturazione.
Una delle strade possibili per il conseguimento di tali obiettivi è quella
di facilitare e stimolare il paziente pediatrico a esprimere le proprie ansie e le
proprie gioie in un contesto più umano, nella sicurezza che le persone intorno
a lui lo aiuteranno e condivideranno con lui la gioia e la serenità, così come
il dolore. Ciò lo aiuterà a capire e a elaborare la propria malattia e la propria
situazione di disagio. Oggi, i medici sono sempre più attenti alle condizioni
psicologiche dei pazienti, poiché riconoscono l’importanza che queste hanno
nel processo di guarigione. Si cerca allora di «aprire» l’ospedale al mondo
AAA e AAT in ospedale pediatrico
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esterno per mantenere la comunicazione del paziente con il suo ambiente
abituale, o comunque con un ambiente permeato da una forte connotazione
positiva. I programmi di AAA e AAT all’interno degli ospedali pediatrici
prevedono l’interazione con animali, sempre condotti da personale esperto e
qualificato, all’interno di alcuni spazi ospedalieri (reparti, sala giochi, giardino,
ecc.). Poter svolgere attività divertenti e rilassanti distrae il degente dalla sua
malattia e gli restituisce fiducia nelle sue capacità. Infatti, un ambiente poco
accogliente e poco attento alle esigenze del paziente lo fa sentire scarsamente
partecipe alla vita di reparto, inducendolo a passare il suo tempo nell’attesa della
visita dei medici, del pasto e delle terapie. In tal modo, egli vivrà la degenza
senza interessi, né stimoli. Il contatto con l’animale, invece, risveglia nei piccoli
malati la naturale curiosità di toccare, coccolare, accarezzare, cioè d’instaurare
un rapporto. I bambini e i loro genitori trascorrono così momenti davvero
speciali, convincendosi del fatto che l’ospedale non è solo un luogo in cui si
fanno cose spiacevoli e dolorose.
Nei capitoli precedenti, abbiamo parlato degli effetti positivi documentati
della relazione con l’animale. Nel caso di programmi rivolti a pazienti pediatrici, l’interazione con gli animali — procurando situazioni di piacere e affetto,
favorendo l’incremento della fiducia in se stessi e migliorando la capacità di
esprimere i sentimenti e la fiducia verso gli altri e l’ambiente circostante —
agevola il raggiungimento di obiettivi terapeutici come il rilassamento, la
riduzione del senso di isolamento e solitudine, dell’ansia, della percezione del
dolore, degli stati depressivi, e il miglioramento della capacità di razionalizzare
la paura. Sappiamo dalle ultime ricerche che i bambini ricordano con maggior
facilità luoghi e sensazioni, più che le persone. Sono quindi più sensibili a
ciò che li circonda: colori, suoni, movimenti. Attraverso il contatto con gli
animali, i piccoli pazienti interagiscono con naturalezza e spontaneità con un
ambiente a loro vicino, esplorando all’interno di questo un mondo naturale
di sensazioni positive.
AAA-AAT in sala giochi/reparto
Cooperativa sociale Pet Village e Presidio di alta specializzazione «G. Salesi» di
Ancona
Presso i moderni ospedali pediatrici esistono spazi, solitamente gestiti
da associazioni di volontariato, all’interno dei quali i piccoli pazienti possono
giocare e divertirsi. Tali luoghi sono utilissimi e preziosi, sia per il piccolo, che
ritrova stimoli per lui abituali, sia per i genitori, che possono così distrarsi o
Appendice
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Scheda 1
Griglia di osservazione dell’attività
Struttura: ________________________________________________________
Progetto: ________________________________________________________ Periodo: ___________________________________________________
Nome utente: ___________________________________________________________________________________________________________________
Nome operatore: _____________________________________________________________________________________________________________
Coppia animale-conduttore: ___________________________________________________________________________________________
Legenda: S = sì; N = no
Incontro Incontro Incontro Incontro
1
2
3
4
Consapevolezza sociale
Mantiene il contatto visivo con l’animale
Mantiene il contatto visivo col conduttore
Segue con lo sguardo i movimenti del conduttore
Mostra segnali di rilassamento (viso, mani,
postura)
Sorride brevemente
Sorride a lungo
Partecipa spontaneamente
Partecipa solo su richiesta
Interagisce con gli altri bambini
Si rifiuta di partecipare
Rispetto delle regole/Attenzione
Porta a termine i compiti richiesti
Aspetta il proprio turno
Utilizza parole nuove
Mantiene l’attenzione per brevi momenti
Mantiene l’attenzione per tutta la durata
Movimenti
Allontana l’animale una volta
Allontana l’animale ripetutamente
Si dimostra aggressivo verso l’animale
© 2009, L. Pergolini e R. Reginella, Educazione e riabilitazione con la pet therapy, Trento, Erickson