“VIOLENZA CONTRATTUALE, COMPARATISTICI”. DURESS, UNDUE INFLUENCE. PROFILI Stefania Bonetalli matr. 38833 Il lavoro intende offrire una specifica rilettura dei vizi del volere, ponendo in risalto l'evoluzione che ne ha contrassegnato la disciplina fino a promuovere un significativo ampliamento della protezione del consenso con la previsione di rimedi ulteriori rispetto a quelli tradizionali. L'attenzione si concentra sulla tutela della libertà delle parti nel momento della conclusione dell'accordo, comparando gli strumenti di difesa predisposti dalle esperienze di civil law e di common law: il diritto continentale conosce, accanto alla protezione del soggetto coartato o violentato, la tutela di chi si trovi in stato di necessità o di chi subisce lo strapotere della controparte; il sistema di common law affianca alla duress (nata come doctrine e come rimedio nell'ambito del common law in senso stretto) la undue influence (tipica creazione di equity) nonché i correlati principi di inequality of bargaining power e unconscionability. L'elaborazione delle regole che contraddistinguono l'oggetto della presente ricerca porta in primo piano l'attività degli interpreti, così da individuare un elemento di comune matrice in aree giuridiche pur tradizionalmente contrapposte e differenziate. Non solo in common law , ma anche sul continente la emersione di nuovi vizi ancora sforniti di una espressa previsione ha indotto autori e giudici a interpretare ed applicare in via analogica od estensiva le norme legislativamente previste. L'analisi dei vizi quelli strumenti di difesa delle parti contraenti viene qui effettuata dando risalto in modo analitico agli elementi costitutivi delle singole fattispecie vizianti. In specie si è verificata la rilevanza della condotta riprovevole posta in essere dalla vittima della anomalia volitiva. L'esame combinato delle decisioni giudiziali e delle opinioni dottrinali ha fatto emergere come la protezione della volontà non scatti assolutamente, o almeno venga attenuata rispetto alla soglia normalmente contemplata, ogniqualvolta la vittima del vizio si trovi in mala fede o agisca in modo inescusabile, contribuendo (dolosamente o colposamente, appunto) alla stessa produzione del vizio. Con specifico riferimento alla violenza la colpa della vittima può addirittura impedire la nascita del vizio allorché si concreti nella omissione delle verifiche che avrebbero diversamente evidenziato l'inattendibilità della minaccia o l'esistenza di alternative ragionevoli rispetto alla scelta secca tra conclusione del contratto o accettazione passiva del male prospettato. Un altro elemento di specifico interesse è rappresentato dalla ingiustizia contrattuale. Ciò implica sviluppare le argomentazioni su due piani distinti, seppur tra loro coordinati. Da un lato il contratto concluso da chi esprime un consenso viziato è di per sé un contratto pregiudizievole per la vittima del turbamento della volontà in quanto in assenza della anomalia tale soggetto non avrebbe concluso il contratto o lo avrebbe concluso, ma a condizioni diverse. Dall'altro (e cioè oltre il profilo prettamente soggettivo) il contratto viziato può risultare oggettivamente squilibrato a sfavore della parte che ha espresso il consenso viziato. Questo pregiudizio oggettivo può a sua volta rilevare lungo due direttrici diverse: o come elemento costitutivo del vizio, o come elemento condizionante i rimedi restitutori. In specie la violenza non richiede la necessaria conclusione di un contratto squilibrato tanto in civil law (in Francia, Germania, Italia), quanto nel common law inglese. Nel sistema giuridico statunitense lo squilibrio contrattuale è richiesto quando la minaccia non sia tale da impressionare una persona ragionevole. Per contro in area continentale l'ingiustizia (intesa come squilibrio patrimoniale) è elemento indefettibile per ritenere sussistente l'abuso della altrui debolezza economica: esso, unito alla asimmetria di potere contrattuale, diviene un indice più o meno forte - a seconda del contesto specifico considerato - dell'esistenza di un abuso della parte forte. Il quadro si presenta più complesso con riferimento al mondo di common law. In Inghilterra la undue influence non richiede un contratto capestro, che per contro è ritenuto necessario ai fini della operatività del principio di inequality of bargain power. Negli Stati Uniti la dottrina guarda allo squilibrio come ad un indice di una improper persuasion ai fini della sussistenza di undue influence. In questa prospettiva lo squilibrio patrimoniale crea una presunzione di mala fede in capo alla parte forte, ossia induce a ritenere che questa abbia intenzionalmente agito al fine di abusare della debolezza della controparte. In definitiva lo squilibrio si qualifica per questa via come uno degli elementi costitutivi della unconscionability. Un momento di specifica riflessione è costituito dalla considerazione della veste dei contraenti: ci si chiede se essa sia rilevante ai fini della edificazione del vizio . Qui si nota come vi sia una dissociazione tra le soluzioni approntate dalle regoli tradizionali, che trovavano applicazione a prescindere dalla qualificazione dei contraenti, e le soluzioni predisposte dal diritto europeo che tendono a differenziare, ricollegando alla presenza di certe caratteristiche delle parti discipline differenti. Così particolare attenzione è stata dedicata al contratto concluso tra un operatore professionale ed un consumatore, considerato come soggetto debole in quanto meno competente e meno forte rispetto alla controparte, quindi maggiormente esposto di fronte a possibili abusi. Proprio per scongiurare approfittamenti della sua debolezza, il consumatore viene fatto destinatario di specifiche regole di tutela, che ora presumono il pericolo di vizio, ora la sua stessa esistenza. Due ulteriori notazioni meritano di essere introdotte in questa ricognizione riassuntiva del lavoro svolto. In primo luogo la comparazione tra le diverse esperienze giuridiche e la correlata analisi del diritto europeo ripropongono l’alternativa tra due impostazioni, tra la necessaria tipizzazione dei vizi contrattuali e la opposta previsione di principi generali, ossia tra la necessità di salvaguardare esigenze sistematiche e l'opportuna considerazione dei casi specifici. In questa direzione il diritto europeo si rivela molto variegato e poco sistematizzato: ignora le categorie generali di conflitto tra volontà e dichiarazione, di anomalia nella formazione della volontà, regolando in modo dettagliato casi specifici di volontà perturbata e prevedendo condizioni di rilevanza delle anomalie e rimedi non sempre omogenei e coordinati. Contrari a questa tendenza paiono rimanere gli interpreti, che sono inclini alla tipizzazione, alla riconduzione dei vizi non regolati nell'ambito di fattispecie comunque disciplinate., nonché alla previsione di un apparato remediale generalizzato comune a tutti i casi di consenso difettoso. Quest'ultima soluzione pare aver ispirato l'evoluzione che nell'area di common law ha portato al riconoscimento dei principi di inequality of bargaining power e di unconscionability. In secondo luogo pare ancora attuale il dibattito sulla possibile qualificazione del vizio della volontà come fatto illecito. Il rilievo attribuito alla condotta riprovevole di una parte accanto alla lesione del consenso fa slittare sempre più le regole sulla tutela della volontà dall'alveo della protezione del consenso all'ambito della sanzione di un fatto illecito: se la lesione del consenso dà luogo alla invalidazione del contratto, la colpa o il dolo colorano il rimedio, giustificando il risarcimento del danno patito. In questa dimensione l'atteggiamento riprovevole, che è elemento necessario ai fini della operatività del rimedio invalidativo, fa sì che l'annullamento del contratto appaia non solo come mezzo di tutela della vittima del vizio, orientato alla rimozione delle conseguenze prodotte dal turbamento della libera volontà, ma anche come sanzione a carico della parte che ha tenuto la condotta riprovevole e che per questo viene privata dei vantaggi che il contratto o l'assenza del contratto le avrebbe procurato.