Neuropragmatica: uno stato dell’arte Ivan Enrici Centro di Scienza Cognitiva Dipartimento di Psicologia di Torino La dimensione pragmatica si è sempre prestata a numerose definizioni (Levinson, 1983) molte delle quali sono state agganciate a modelli di stampo linguistico o comunque nate dall’esigenza di differenziarsi da ambiti limitrofi quali la semantica e la sintassi. L’autonomia di tale dominio teorico ed il suo legame con la linguistica rimangono tuttora indefiniti (Hartmut e Jacob, 2002). Rintracciare in letteratura una definizione unica e condivisa non è quindi cosa semplice. Di conseguenza rimane altrettanto difficile delimitare chiaramente quali fenomeni debbano rientrare nell’ambito delle competenze pragmatiche della comunicazione, soprattutto quando ci si apre a considerazioni di carattere clinico-riabilitativo (Adams, 2002; Bloom e Obler, 1998; Penn, 1999). Gli studi relativi ad aspetti propriamente linguistici sono stati storicamente un campo di predominante importanza, sia per la rilevanza che il mezzo linguistico ricopre nelle interazioni comunicative umane, sia per una certa concordanza tra modelli teorici ed evidenze cliniche della moderna afasiologia. Questo ha posto spesso in secondo piano la sfera delle competenze pragmatiche, identificando talvolta la competenza comunicativa con quella linguistica. Considerando la comunicazione quale attività umana cooperativa ed eminentemente sociale, gli aspetti pragmatici giocano all’interno di questa un ruolo di rilevante importanza, in cui il linguaggio rappresenta solo uno dei mezzi espressivi a disposizione in uno scambio comunicativo (Bara,1999). Ritenendo la comunicazione come un competenza cognitiva indipendente dal mezzo espressivo (Tirassa, 1999), la teoria della Pragmatica Cognitiva viene definita come un campo di ricerca teorico e sperimentale relativo ai processi cognitivi ed agli stati mentali degli agenti impegnati in uno scambio comunicativo, in quanto peculiare forma di attività sociale (Airenti, Bara e Colombetti, 1993a, 1993b). Il livello di analisi proposto in questo lavoro, permette di tenere in considerazione mezzi espressivi differenti, linguistici ed extralinguistici, non identificati in base al tipo di input richiesto, sia esso verbale o non verbale, ma in base al tipo di elaborazione e codifica dell’input stesso, linguistica (anche nel caso della LIS, lingua italiana dei segni) o extralinguistica (Bara, 1999). Le competenze pragmatiche vengono analizzate a partire dall’uso di un qualsiasi mezzo espressivo in relazione agli obiettivi degli agenti sociali coinvolti, alle reciproche intenzionalità comunicative, alla loro conoscenza condivisa e ad una reciproca costruzione dei significati dell’interazione comunicativa. In questa ottica la Neuropragmatica costituisce un’area di ricerca recentemente sviluppata, in cui convogliano diversi studi inerenti le correlazioni fra processi mentali della comunicazione ed aree cerebrali di cui tali processi sono funzione (Bara, 1999; Bara e Tirassa, 2000; Tirassa, 1999). Enrici, I. (2004). Neuropragmatica: uno stato dell'arte. Acta Phoniatrica Latina , 26 (1-2), 136-142. Sono inoltre di particolare interesse tutti quei dati sperimentali, clinici e di neuroimmagine che connettono determinati deficit della comunicazione con diversi quadri patologici e tipologie differenti di lesione cerebrale. Verrà esaminata di seguito la letteratura che può essere informativa per questo ambito pur non rientrando nel quadro teorico qui proposto, differenziando i risultati provenienti dalle ricerche in campo neuropsicologico, dai dati provenienti dalle tecniche di neuroimmagine funzionale. Studi neuropsicologici Gli studi sulle aree cerebrali coinvolte nella comunicazione si sono classicamente concentrati sulla lateralizzazione emisferica delle competenze linguistiche (Van Lancker, 1997). Sebbene l’identificazione della specializzazione sinistra dell’encefalo e delle specifiche aree deputate alla elaborazione del linguaggio abbia raggiunto un discreto livello di definizione, resta ancora aperto il ruolo dell’emisfero destro nel linguaggio da un lato e nei suoi aspetti pragmatici e contestuali dall’altro (Dogil et al., 2002; Gazzaniga, 2000; Kuperberg et al., 2000). E’ presente una vasta letteratura che collega l’emisfero destro al processamento degli aspetti pragmatici e contestuali del linguaggio e ne emerge sostanzialmente un quadro estremamente frastagliato sia nei termini dei fenomeni analizzati, sia in relazione alle corrispondenze cerebrali di tali fenomeni. L’analisi si è classicamente focalizzata sul confronto tra i due emisferi in relazione alle distinte competenze linguistiche, esaminandone gli aspetti macro strutturali, concentrandosi raramente sul ruolo di specifiche regioni corticali. I pazienti con lesioni focali a carico dell’emisfero destro, generalmente di origine vascolare, hanno storicamente rappresentato uno dei maggiori campi di studio delle abilità pragmatiche, visto lo stretto legame che l’emisfero assume con tali abilità (McDonald, 2000). Diversi lavori hanno analizzato le difficoltà pragmatiche e le inabilità di questi soggetti nel comprendere e nell’utilizzare efficacemente il linguaggio nel contesto d’uso, pur mantenendo capacità linguistiche intatte (Martin e McDonald, 2003; McDonald, 1999, 2000; Kasher 1991; Paradis, 1998; Van Lancker, 1997; Zaidel et al., 2002). In questi studi i soggetti cerebrolesi destri riportano modalità espressive tangenziali e spesso inefficienti, mostrando difficoltà nella comprensione di elementi figurativi del linguaggio come aspetti metaforici, sarcastici, espressioni umoristiche o ironie, osservando una tendenza a rimanere agganciati al significato letterale degli stessi (McDonald, 1999; Winner et al., 1998). Si rilevano inoltre difficoltà nell’interpretare richieste indirette e atti linguistici che necessitino un’integrazione dei significati contestuali richiesti per la loro comprensione (Weylman et al., 1989). Questi soggetti tendono inoltre a mal interpretare o ignorare le altrui intenzioni veicolate nel discorso, difficoltà nel comprendere il tema principale di un dialogo o il senso generale di una storia o di un racconto (Schneiderman et al., 1992). Sono spesso riluttanti a correggere 2 le loro iniziali interpretazioni anche alla luce di nuove informazioni contrastanti e hanno maggiore difficoltà nei compiti linguistici che richiedono una interpretazione flessibile come nelle barzellette e in battute dal tono scherzoso. Le problematiche esaminate sono spesso complicate da difficoltà nel leggere stimoli socio-emotivi e ad interpretarli ed utilizzarli a scopo comunicativo, come gli aspetti paralinguistici e prosodici del discorso, la lettura di espressioni emotive del volto e una minor abilità di identificare se il tono della voce di un messaggio contraddice il suo contenuto verbale*. Altri studi hanno esaminato la generali difficoltà inferenziali dei soggetti cerebrolesi destri (Kasher et al., 1999; Zaidel et al., 2002, Brownell et al., 1986) riportando però dati spesso contrastanti in relazione alla lateralizzazione di questi processi: sia i pazienti afasici che i cerebrolesi destri sembrano mostrare problematiche simili. In particolare Kasher et al. (1999), ipotizzano l’esistenza di una abilità inferenziale pragmatica non linguistico-specifica ma cognitivo-specifica, soggetta quindi ad elaborazione centrale e distribuita, piuttosto che modulare. I traumi cranici e i soggetti autistici high functioning, oltre ai cerebrolesi destri, rappresentano i gruppi clinici maggiormente studiati in relazione ai deficit della dimensione pragmatica. Un recente studio di Martin e McDonald (2003) confronta le categorie pragmatiche principalmente compromesse nei tre quadri patologici, rilevando delle sovrapposizioni nelle dimensioni della comprensione, dell’espressione e degli aspetti emotivi nei deficit pragmatici del linguaggio*. In soggetti con trauma cranico, nella dimensione della comprensione gli autori rilevano una valutazione eccessivamente letterale del linguaggio ed una difficoltà nel comprendere aspetti umoristici o implicature conversazionali sganciandosi dal loro significato letterale. Nella dimensione espressiva dei traumatizzati cranici e degli autistici, il lavoro sottolinea una inappropriatezza sociale e una tendenza a modalità espressive disinibite, con una comunicazione tangenziale ed eccessivamente ridondante. In particolare nei traumi cranici sono riportate diverse categorie espressive patologiche, in alcuni casi viene evidenziato un linguaggio confuso e non accurato e un discorso disorganizzato e impoverito sia in termini qualitativi che quantitativi. Le debolezze sembrano spiegarsi anche nei termini di una disorganizzazione ed inefficienza nel veicolare informazioni all’interno del discorso. Sempre nella dimensione espressiva i soggetti autistici, pur mostrando un linguaggio fluente ed articolato, presentano una difficoltà nell’instaurare una interazione comunicativa ed una tendenza a portarla comunque verso obiettivi conversazionali confusi e oscuri. Nella dimensione affettiva, gli studi si sono concentrati prevalentemente sui cerebrolesi destri e sui soggetti autistici, esaminando in particolare le problematiche di natura prosodica * Data la vastità delle pubblicazioni relativa alle diverse patologie rimando agli articoli di review per un ulteriore approfondimento (Martin e McDonald, 2003; McDonald, 1999, 2000; Paradis, 1998; Van Lancker, 1997; Zaidel et al., 2002). 3 (tono emotivo) e le difficoltà di leggere emozioni nelle espressione del volto, evidenziando incapacità nel ricollegare questi aspetti con gli obiettivi del discorso (per un elenco degli studi neuropsicologici classici in ambito pragmatico vedi anche Beeman e Chiarello, 1998; Ozonoff e Miller, 1996; Joanette et al., 1990; Brownell e Joanette, 1993). E’ bene precisare che dati sperimentali più recenti non sempre confermano una netta lateralizzazione destra delle competenze pragmatiche, rimandando ad una più complessa interazione tra le aree linguistiche dell’emisfero sinistro ed aree omologhe dell’emisfero destro (Leonard, Baum e Pell, 2001; Kasher et al., 1999; Zaidel et al., 2002). Con l’intento di spostare l’approccio teorico e sperimentale verso i processi cognitivi che sottostanno alla competenza comunicativa umana, e non solo dello specifico linguistico, sono state condotte una serie di ricerche in un’ottica di Pragmatica Cognitiva (Bara, 1999). Tale inquadramento teorico si prefigge di esaminare le competenze comunicative in un quadro evolutivo, studiando come nell’uomo queste emergano, si sviluppino e decadano, e come possano essere compromesse in condizioni di un danno acquisito. Sono state esaminate le capacità di elaborare atti comunicativi di difficoltà crescente in base ai processi inferenziali richiesti per produrre e comprendere le distinte intenzionalità comunicative sottese, veicolate da diversi mezzi espressivi (linguisti ed extralinguistici). I lavori confermano un trend di difficoltà da atti comunicativi standard (atti linguistici diretti e indiretti) ad atti comunicativi non standard (ironie, inganni e fallimenti comunicativi) in relazione alla difficoltà delle inferenze, indipendentemente dal loro significato superficiale. Le distinzioni pragmatiche sono state confermate nel loro sviluppo in età evolutiva (Bara, Bosco e Bucciarelli, 1999; Bara, Bucciarelli e Geminiani, 2000), in patologie dello sviluppo come l’autismo (Bara, Bucciarelli e Colle, 2001), in soggetti con patologie acquisite come i traumi cranici (Bara, Cutica e Tirassa, 2001; Bara, Tirassa e Zettin, 1997), e nel loro decadimento in pazienti con demenza di Alzheimer (Bara, Bucciarelli e Geminiani, 2000). Studi di neuroimmagine I dati provenienti dalle tecniche di neuroimmagine permettono una maggiore definizione delle aree cerebrali reclutate nelle differenti abilità pragmatiche, sganciandole dalle problematiche di riorganizzazione cognitiva e cerebrale tipiche di qualsiasi studio su patologie neuropsicologiche. La complementarietà degli approcci consente inoltre un interessante confronto con i dati precedenti, ed ha permesso di confermare il ruolo importante giocato da alcune aree dall’emisfero destro in ambito pragmatico. Dalle ricerche effettuate mediante tecniche di neurovisualizzazione come la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI), si sono esaminati i processi di integrazione necessari a dare coerenza durante la comprensione di un discorso, osservando un ruolo significativo della regione temporale mediale destra (St Gorge et al., 1999). L’attivazione esclusiva dell’emisfero destro in relazione ad aspetti pragmatici non sempre viene confermata, mentre 4 sembra giocare un ruolo determinante una complessa interazione di entrambi gli emisferi. Uno studio di Bottini et al. (1994) con tecnica PET evidenzia attivazioni a carico di entrambi gli emisferi nella elaborazione di aspetti figurativi del linguaggio come le metafore; peculiari attivazioni sono state evidenziate comunque nell’emisfero destro, in particolare nella corteccia prefrontale, nel giro temporale mediale, nel precuneo e nella corteccia cingolata. In una ricerca sulla distinta attivazione cerebrale nelle componenti cognitive ed emotive nella comprensione di frasi umoristiche, Goel e Dolan (2001) hanno identificato nella corteccia prefrontale ventromediale lo specifico processamento degli aspetti affettivi, ed un network comprendente i lobi temporali di entrambi gli emisferi (con prevalenza destra) nella elaborazione delle componenti semantiche; gli autori sottolineano comunque il ruolo della corteccia temporale destra nei processi integrativi atti alla ricerca di una coerenza semantica nella comprensione linguistica. Il coinvolgimento della corteccia temporale destra è stato esaminato anche nell’utilizzo del contesto linguistico in compiti di completamento di frasi aperte a molteplici significati semantici; l’attivazione destra è stata correlata alla necessità di contestualizzate le parole di completamento pronunciate a partire da un ampio campo semantico di partenza (Kircher et al., 2001). La specializzazione dell’emisfero sinistro per l’estrazione di informazioni linguistiche, fonetiche e semantiche del discorso e il ruolo dell’emisfero destro negli aspetti pragmatici e del contesto sociale, sembra essere confermato da un recente studio di Berman e colleghi (2003). La ricerca suggerisce il reclutamento delle corteccia temporale destra nella elaborazione degli aspetti paralinguistici del linguaggio, in particolare nella discriminazione prosodica degli accenti nelle parole, insieme ad attivazioni destre prefrontali e del precuneo. Un network articolato formato dalla complessa interazione tra i due emisferi nella elaborazione linguistica è comunque messo in luce da diversi studi (Ferstl e Von Cramon, 2000; Kuperberg et al., 2000; Zaidel et al., 2002), evidenziando attivazioni bilaterali in molti compiti di elaborazione prosodica del linguaggio (Dogil et al., 2002) e una poco probabile completa lateralizzazione e modularizzazione destra delle competenze pragmatiche (Ferstl e Von Cramon, 2000; Kuperberg et al., 2000; Zaidel et al., 2002). In particolare Kuperberg e colleghi (2000) individuano nel giro temporale inferiore e nella corteccia fusiforme sinistri un substrato neurale comune al processamento di frasi con violazioni semantiche, sintattiche e pragmatiche, mettendo in evidenza attivazioni bilaterali della corteccia temporale nel processamento delle componenti pragmatiche. Il ruolo della corteccia frontale nella elaborazione degli aspetti pragmatici del linguaggio è stato posto in evidenza da una serie di recenti studi sia di tipo neuropsicologico che con tecniche di neuroimmagine. Pazienti con lesione frontale esterna all’area di Broca, hanno dimostrato importanti deficit nella comprensione di aspetti sarcastici del linguaggio, mostrando una incapacità di rilevare l’incongruenza letterale delle frasi da cui erano veicolati (McDonald e Pearce, 1996). Problematiche sugli stessi pazienti, in assenza di deficit 5 linguistici, sono state riscontrate anche nel processamento di inferenze pragmatiche nell’interpretazione di pubblicità dal significato ambiguo (Pearce et al., 1998); gli autori sottolineano come le lesione a tali aree possano implicare problematiche legate alla elaborazione integrativa di alto livello richiesta nelle inferenze di tipo pragmatico. Tale elaborazione, insieme alla necessità di dare coerenza e di monitorare l’uso del linguaggio nelle interazioni sociali, rappresenta attualmente un tema di grosso interesse, in particolare sulla funzione che le aree prefrontali giocano in questo ambito (Adolphs, 2001; Miller, 2000; Wood e Grafman, 2003). Il ruolo della coerenza e della coesione nella comprensione di testi è stato esaminato da Ferstl e Von Cramon (2000) in un lavoro con tecnica event-related fMRI, in cui emerge un importante ruolo della corteccia frontomediale sinistra in compiti che richiedevano di dare coerenza e coesione pragmatica nella comprensione linguistica, separando tale processo dall’abilità di teoria della mente (Ferstl e Von Cramon, 2002). Data la scarsità di ricerche in questo ambito non è ancora possibile delineare un substrato cerebrale preciso in relazione alla dimensione pragmatica; le ricerche esaminate sembrano focalizzare l’attenzione sulle aree temporali destre e sul particolare ruolo delle aree frontali nei processi di alto livello. Si osserva comunque un quadro delle competenze pragmatiche ancora molto eterogeneo e disarticolato, in primo luogo perché non supportato da un riferimento teorico unico e preciso che permetta una chiara definizione di quali processi debbano rientrare in tali competenze, ed in secondo luogo per uno sproporzionato rapporto di queste con le abilità linguistiche, mancando uno spostamento di focus dal linguaggio alla comunicazione. Ipotesi esplicative Un recente tentativo di confrontare ed unificare diverse ipotesi esplicative è stato fatto da Martin e McDonald (2003) che individuano tre possibili approcci interpretativi: la teoria delle inferenze sociali, l’ipotesi della coerenza centrale debole e l’ipotesi frontale o delle disfunzioni esecutive. Diversi autori hanno correlato le problematiche nella dimensione pragmatica con le abilità di teoria della mente (TOM), quale capacità di rappresentarsi gli stati mentali altrui e comprendere e predire i loro comportamenti in base agli stessi (Cuerva et al., 2001; Winner et al., 1998; Siegal et al., 1996). Le difficoltà nei due ambiti sono state affiancate e poste in relazione nei casi di autismo e in soggetti cerebrolesi destri, evidenziando problematiche nei processi inferenziali richiesti nell’attribuzione di intenzionalità in contesti linguistici. Tali processi possono essere spigati in base alle più generali inferenze sociali che sono richieste per spiegare o predire i pensieri, le intenzioni ed i comportamenti di altri agenti sociali, definendo i deficit pragmatici in base a queste incapacità (Martin e McDonald, 2003). L’ipotesi della debole coerenza centrale propone di spiegare i deficit pragmatici in base all’incapacità di usare il contesto per derivare il significato comunicativo, riflettendo 6 l’insuccesso di un sistema centrale il cui compito è di integrare sorgenti di informazione diversi in maniera coerente. Tali ipotesi mostrerebbe una linea esplicativa convergente con i lavori discussi sopra, in relazione al ruolo della corteccia prefrontale in disfunzioni di ordine pragmatico. L’ipotesi della disfunzione esecutiva, legata in particolare agli studi sui traumi cranici, definisce il problema nei termini di una compromissione a carico delle funzioni esecutive dei lobi frontali. Queste permettono ad un individuo di guidare i propri comportamenti in termini adattativi e motivazionali in accordo ai cambiamenti del mondo esterno e dei compiti che gli sono richiesti. Il lobi frontali sembrano supportare le funzioni esecutive che permettono questo adattamento, attraverso abilità di alto livello quali il ragionamento astratto ed inferenziale, la categorizzazione e la formazione di concetti. In conclusione, pur rilevando un interessante tentativo di sistematizzazione nella frammentarietà dei dati a disposizione in ambito pragmatico, le diverse ipotesi rimangono particolarmente legate ai quadri patologici da cui sono sorte (rimando a Martin e McDonald, 2003, per una trattazione sistematica di questi aspetti). In particolare ciò che viene a mancare è un chiaro riferimento alla specificità cognitiva della competenza comunicativa, competenza in quanto insieme di capacità astratte possedute da un sistema, indipendentemente da come tali capacità sono effettivamente utilizzate (Bara, 1999). In termini filogenetici ed evolutivi, le competenze comunicative di una specie rappresentano una risorsa cognitiva strettamente correlata alla complessità della vita sociale, e l’importanza che una simile competenza ricopre nel nostro articolato agire sociale è ben evidente quando questa viene considerata in un contesto riabilitativo perché compromessa (Adams, 2002; Penn, 1999). Il ruolo delle competenze pragmatiche della comunicazione e la definizione del correlato cerebrale che le supporta potrebbe, in questa ottica, non essere identificabile e circoscrivibile all’interno di uno specifico substrato cerebrale. Come altri studi hanno riportato (Kasher et al., 1999) sembra emergere una tangibile difficoltà nel circoscrivere tali abilità, ipotizzando una più probabile diffusione cerebrale di queste competenze. Acknowledgments: Questo lavoro è stato finaziato dal Ministero Italiano dell'Università e della Ricerca Scientifica (Progetto FIRB, codice di ricerca RBAU01JEYW_001). 7 Bibliografia Adams C. Practitioner review: the assessment of language pragmatics. J Child Psychol Psyc 2002; 43, 8: 973-987. Adolphs R. The neurobiology of social cognition. Curr Opin Neurobiol 2001; 11: 231-239. Airenti G, Bara BG, Colombetti M. Conversation and behaviour games in the pragmatics of dialogue. Cognitive Sci 1993a; 17: 197-256. Airenti G, Bara BG, Colombetti M. Failures, exploitations and deceits in communication. J Pragmatics 1993b; 20: 303-326. Bara BG. Pragmatica Cognitiva: i processi mentali della comunicazione. Bollati Boringhieri, Torino. 1999. Bara BG, Bosco FM, Bucciarelli M. 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