Clima Vertice mondiale a Copenhagen Un`occasione da non perdere

AMBIENTE
Due settimane per cambiare rotta, stabilire nuovi obiettivi
e raggiungere un nuovo accordo globale sul clima che
sostituirà il protocollo di Kyoto a partire dal 2012.
Questo è ciò che l’ONU e, soprattutto, la comunità scientifica
mondiale si aspettano, nonostante le difficoltà e le notevoli
divergenze della vigilia, dalla “COP 15” di Copenhagen, la
Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
in programma dal 7 al 18 dicembre.
L’appuntamento nella capitale scandinava è la quindicesima
“Conferenza della Parti” (COP), appuntamento che si svolge
quasi annualmente dal 1992, anno in cui a Rio de Janeiro,
in occasione della Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo
delle Nazioni Unite, è stata ratificata la Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici. Un trattato ambientale internazionale,
questo, finalizzato alla riduzione delle emissioni dei gas serra,
sulla base dell’ipotesi di riscaldamento globale, per raggiungere
la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera
a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze
antropogeniche dannose per il sistema climatico.
Lo strumento cardine di questo accordo internazionale
è la definizione periodica di protocolli o previsioni di
aggiornamenti in cui vengono fissati i limiti obbligatori di
emissioni nocive in ambiente. Il più famoso (soprattutto per
la mancata ratifica da parte degli Stati Uniti) è il protocollo
di Kyoto, adottato, non senza tese negoziazioni, nella
COP 3, svoltasi nel dicembre 1997 in Giappone. Furono
concordate riduzioni legalmente vincolanti delle emissioni
di gas serra, in media di 6%-8% rispetto ai livelli del 1990,
da raggiungere fra gli anni 2008 e 2012.
L’incontro di Copenhagen si segnala per la sua importanza
perché rappresenta il dopo-Kyoto. È infatti la fase finale
di un piano di trattative (Bali Road Map), iniziato nel
2007 durante la COP 13 di Bali in Indonesia, volto alla
realizzazione in due anni di un accordo internazionale
ambizioso ed efficace sul cambiamento climatico, a
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Il Segretario Generale ONU Ban Ki-moon (sinistra) e Erik Solheim,
Ministro dell’Ambiente norvegese (destra), in visita al Circolo Polare Artico.
Il manifesto “Seal the Deal” rappresenta la campagna di sensibilizzazione
che Ban Ki-moon sta portando avanti nei confronti dei Paesi membri
dell’ONU affinché la Conferenza di Copenhagen abbia esito positivo
seguire la prima fase del Protocollo di Kyoto.
Quattro sono i punti chiave al centro del dibattito
internazionale per la stesura di un nuovo protocollo:
• mitigazione: ovvero riduzione delle emissioni di gas
serra. Tra il 1970 e il 2004 le emissioni di gas serra
sono aumentate del 70%, senza ulteriori politiche di
regolamentazione, si prevede tra il 2000 e il 2030 un
aumento delle emissioni globali di gas serra dal 25 al 90%,
di cui due terzi imputabili ai Paesi in via di sviluppo;
• adattamento: sostegno ai Paesi poveri nell’adattarsi agli
inevitabili effetti del cambiamento climatico causato
dalle emissioni dei gas serra presenti nell’atmosfera.
Secondo dati ONU, nel 2008 oltre 20 milioni di persone
sono state costrette ad abbandonare le proprie case per i
disastri derivati dal cambiamento climatico, circa quattro
volte il numero di profughi causati dalle guerre;
• tecnologia: nuova e a bassa emissione di carbonio,
possibilmente da trasferire rapidamente ai Paesi più poveri.
La capacità e le tecnologie per ridurre le emissioni esistono
in tutti i settori maggiormente responsabili delle emissioni
stesse: approvvigionamento energetico, trasporti, edilizia,
industria, agricoltura, silvicoltura, gestione dei rifiuti;
• finanziamenti e incentivi: per mitigare gli effetti
dei cambiamenti climatici si calcola che serviranno
circa 250 miliardi di dollari entro il 2020, finalizzati
all’adozione di incentivi per lo sviluppo e la messa in
opera di tecnologie eco-compatibili. Questo tipo di
incentivi può essere creato stabilendo un prezzo per
le emissioni di carbonio, risultato ottenibile attraverso
imposte, tasse e diritti di emissione negoziabili.
UN Photo/Mark Garten
Clima
Vertice mondiale
a Copenhagen
Un’occasione
da non perdere
UN Photo/Marco Castro
Trovare un accordo comune su questi punti faciliterà non
poco la nascita di un’intesa globale per il dopo Kyoto. Molti
sono però gli interessi in gioco e grandi le distanze fra le
posizioni dei vari Paesi.
Unione Europea: in materia di legislazione contro le emissioni
di gas serra, è da sempre considerata l’Istituzione più
avanzata e attenta, soprattutto in relazione all’introduzione
del “Pacchetto 20-20-20”, che prevede una serie di azioni
entro il 2020 atte a ridurre del 20% le emissioni di gas
a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e
aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili.
Da verificare però se il nuovo Parlamento garantirà
continuità a questa linea di tutela ambientale: con le ultime
elezioni, infatti, la maggioranza si è spostata su posizioni
più conservatrici, attente alle richieste degli industriali e
orientate a finanza ed economia.
Stati Uniti: le parole del nuovo Presidente americano, nonché
fresco Premio Nobel per la Pace, Barack Obama, hanno
fin da subito fatto intendere un cambiamento di rotta
della politica ambientale americana. “Il tempo rimasto per
correre ai ripari sta per scadere”, ha avvertito Obama. “La
sicurezza e la stabilità di tutte le nazioni e di tutti i popoli, la
nostra prosperità, la nostra salute e la nostra sicurezza, sono
a rischio a causa della minaccia climatica”.
Fino a oggi però gli Stati Uniti sono rimasti fuori dal
Protocollo di Kyoto, occorre quindi capire fino a che punto
la nuova Amministrazione sia incline a sottoporsi a regole,
scadenze e sanzioni condivise a livello mondiale. Dalle prime
mosse i dubbi non mancano.
Russia: è difficile decifrare la posizione della Federazione che per
molti osservatori risulta essere una vera e propria incognita.
Data l’ingente presenza di impianti produttivi obsoleti e
tutt’altro che efficienti, un taglio delle emissioni di gas serra
richiederebbe sforzi economici che la Russia non può permettersi
a causa di numerosi fattori: processo di democratizzazione
ancora incompleto, disinteresse per le tematiche ambientali/
energetiche, crisi economica e contenziosi internazionali sugli
approvvigionamenti di gas (es. Ucraina), solo per citare i
principali.
Giappone: il nuovo premier Hatoyama ha confermato
gli impegni presi in campagna elettorale, nel corso della
quale aveva promesso che entro il 2020 avrebbe ridotto le
emissioni di gas serra nell’atmosfera del 25% (su base 1990),
una quota più alta di quella, giudicata già buona, della Ue.
Un notevole passo avanti rispetto alla maggioranza che in
precedenza governava il Paese del Sol Levante, molto più
attenta alle esigenze economiche del comparto industriale.
Cina e India: sono fra i primi Paesi al mondo per emissioni
Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti d’America, durante
l’Assemblea Generale ONU (settembre 2009)
di gas serra. Ma proprio al Vertice all’Onu di settembre le
due delegazioni hanno presentato piani per la riduzione
dei gas serra, cosa che ha stupito in positivo molti degli
osservatori presenti.
In primis il presidente cinese, Hu Jintao, ha delineato un
piano per la riduzione del 15% dei gas serra da qui al 2020
sulla base del 2005. Ma non solo, ha anche assicurato che la
Cina opererà in modo determinante in merito al risparmio
energetico, ponendosi obiettivi precisi (che il presidente
stesso non ha esitato a definire “ambiziosi”) per abbassare
l’inquinamento tramite tecnologie pulite, ma anche
attraverso un aumento delle superfici boschive.
Anche l’India, seppure con maggiore cautela, sembra su
questa strada. Le autorità indiane infatti hanno recentemente
annunciato, per la prima volta, l’intenzione di quantificare
i livelli di riduzione anche se per un periodo di prova, nel
tentativo di liberarsi dell’immagine di Paese inquinatore
intransigente. “Stiamo già intraprendendo una serie di
azioni che si tradurranno in una significativa riduzione
delle nostre emissioni di gas a effetto serra”, ha affermato il
ministro dell’Ambiente indiano Jairam Ramesh.
Dichiarazioni, quelle di Cina e India, decisamente
significative, tenendo conto che a farle sono due Paesi “in via
di sviluppo” e che, in quanto tali, non sono stati tenuti ad
osservare i limiti imposti dal Protocollo di Kyoto. Decisione
presa a suo tempo per non penalizzarne la crescita economica
e perché non hanno prodotto in dimensioni incisive emissioni
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Il Segretario Generale ONU, Ban Ki-moon, insieme a Barack Obama,
Presidente degli Stati Uniti d’America
di gas serra durante il periodo di industrializzazione alla base
del cambiamento climatico odierno.
E’ bene ricordare che per ora si tratta di programmi
esposti in vertici ufficiali e che quindi occorrerà vedere se
e quando partiranno concretamente. In ogni caso, data la
levatura dei due Paesi (specialmente in prospettiva futura),
le dichiarazioni espresse rappresentano, comunque, un
indiscutibile passo in avanti.
UN Photo/Mark Garten
cambiamenti climatici, ma addirittura, come testimoniano
differenti studi recentemente divulgati, le grandi crisi di siccità
degli anni ‘80 sono state provocate anche dall’inquinamento
causato dai Paesi occidentali industrializzati.
Complessivamente, alla vigilia della Conferenza di
Copenhagen, il quadro internazionale risulta essere
perlomeno eterogeneo e, se le posizioni dei principali
Governi del mondo resteranno quelle attuali, il rischio di
un flop è tutt’altro che remoto.
Ne è apparso ben consapevole il Segretario Generale Onu,
Ban Ki-moon, che ha più volte lamentato negli ultimi mesi
la “lentezza glaciale” dei negoziati, sottolineando che un
fallimento a Copenhagen sarebbe “moralmente ingiustificabile,
economicamente miope e politicamente avventato”.
Lo stesso Segretario, di ritorno da una missione nell’Artico
(la zona terrestre dove la temperatura sta aumentando
più rapidamente che in ogni altra regione) ha voluto
sensibilizzare l’opinione pubblica testimoniando ciò che
ha potuto constatare di persona: “Abbiamo scatenato forze
potenti ed imprevedibili, il cui impatto è già visibile. L’ho
potuto osservare con i miei occhi, purtroppo c’é ancora
inerzia e nelle discussioni internazionali sulla lotta ai
cambiamenti climatici osserviamo solo progressi limitati”.
Africa: dall’Unione Africana giungono i segnali meno
confortanti e la ferma intenzione di boicottare qualsiasi
accordo nella Conferenza di Copenhagen se la comunità
internazionale non provvederà a risarcire adeguatamente
l’Africa per i danni subiti a causa delle emissioni di gas serra
emessi dai ricchi Paesi industrializzati. L’Unione ha tenuto a
ribadire che i Paesi più poveri, e quindi quelli africani, non
solo sono esposti maggiormente alle conseguenze negative dei
Surriscaldamento climatico
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Anomalia media della temperatura atmosferica a terra e della superficie
dei mari negli ultimi 150 anni
Questa interpretazione dei dati climatici è sostenuta principalmente
dall’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni
Unite (IPCC), ma attualmente il dibattito è comunque ancora
aperto all’interno della comunità scientifica. Sebbene la grande
maggioranza di coloro che si occupano di mutamenti climatici
(almeno 30 associazioni e accademie scientifiche, tra cui tutte le
accademie nazionali della scienza dei paesi del G8) siano in accordo
con le conclusioni principali dell’IPCC, alcuni scienziati le respingono
proponendo diverse interpretazioni.
http://commons.wikimedia.org/wiki/User:Jak
Il surriscaldamento climatico indica il contributo antropico
(generato dall’uomo) al riscaldamento globale registrato nell’ultimo
secolo. Quest’ultimo è il fenomeno di innalzamento della
temperatura superficiale del pianeta.
Se questo aumento di temperatura è dovuto in parte a cause naturali,
come l’irraggiamento solare combinato con il naturale effetto serra
dell’atmosfera, un’altra parte importante è riconducibile, come
accennato, alle attività umane: utilizzo di combustibili fossili,
deforestazione, allevamento e agricoltura intensive sono tutte cause
del surriscaldamento ad opera dell’uomo.
I valori di CO2 e la temperatura media del globo registrati
nell’ultimo millennio testimoniano questo trend negativo: vi è un
sensibile aumento dei due indici a partire dal 1800 (periodo della
Rivoluzione Industriale) a dimostrazione che le temperature vanno
di pari passo con l’aumento dell’anidride carbonica.
E che, fra gli agenti climatici, l’uomo risulta avere un ruolo
importante, pur essendo il “più recente” ed influenzando il clima
del pianeta da relativamente poco tempo.