L’EQUILIBRIO 1. Vettori 1.1. Introduzione al calcolo vettoriale. Supponiamo di essere al centro di una stanza e di volerci spostare in linea retta di 1 m. Possiamo sapere qual è il punto finale che raggiungeremo? La risposta è negativa dal momento che non sappiamo in che direzione e in che verso dobbiamo spostarci: infatti potremmo trovarci in uno qualunque dei punti di una circonferenza di raggio pari a 1 m. È importante dare, oltre all’intensità dello spostamento, anche la sua direzione (la retta lungo la quale ci si sposta, esempio: orizzontale, verticale) e il suo verso (ad esempio: da destra a sinistra o viceversa). Le grandezze fisiche caratterizzate da un’intensità, da una direzione e da un verso prendono il nome di grandezze vettoriali o vettori. I vettori si indicano con una freccia sopra la lettera che rappresenta la grandezza fisica associata a quel vettore. Ad esempio il vettore sposta→ mento si indicherà con − s . L’intensità del vettore spostamento invece verrà indicata con la lettera, priva della freccia, ossia con s. Nel nostro caso l’intensità del vettore spostamento è di un metro e possiamo pertanto scrivere s = 1 m. Come vedremo, in molte applicazioni è importante chiarire il punto d’applicazione del vettore, ossia il punto in cui è disegnata la coda del vettore. Andiamo ora a introdurre le regole con cui si possono sommare due vettori. Partendo sempre dal nostro esempio degli spostamenti, prendiamo due spostamenti consecutivi e costruiamone graficamente la somma. Come emerge dal disegno riportato in figura 1 il vettore somma è un vettore che ha per punto iniziale il punto iniziale del primo vettore e per punto finale il punto finale del secondo vettore. È importante sottolineare come il vettore somma abbia in generale una intensità minore rispetto alla somma delle intensità dei singoli vettori. In un triangolo infatti la lunghezza di un lato è sempre minore della somma degli altri due. C’è però il caso particolare in cui le direzioni dei due vettori sono coincidenti, ossia i due vettori giacciono sulla stessa retta. In questo caso, se i versi dei due vettori sono concordi, il vettore somma ha per 1 2 L’EQUILIBRIO − → s2 − → s1 − → → s1+− s2 Figura 1. Somma tra due vettori. intensità la somma delle intensità, se invece i versi sono discordi allora il vettore somma ha per intensità la differenza delle intensità, come emerge dalla figura 2: − → s1 − → s2 − → → s1+− s2 − → s1 − → → s1+− s2 − → s2 Figura 2. Somma e differenza tra due vettori che giacciono sulla stessa retta. Notiamo come nei casi che abbiamo visto in questa sezione la coda del secondo vettore coincide con la punta del primo vettore. In questi casi si parla di metodo punta-coda per sommare due vettori. Nella prossima sezione vedremo che esiste anche un’altra regola di fondamentale importanza per sommare due vettori. 1.2. Regola del parallelogramma. Un’altra regola con cui si sommano i vettori in fisica quando hanno lo stesso punto di applicazione (ossia la stessa coda) è la cosiddetta regola del parallelogramma. Supponiamo che un uomo si sposti in maniera obliqua su una barca, che a sua volta si sposta orizzontalmente rispetto alla riva di un fiume. Qual è lo spostamento totale dell’uomo rispetto alla riva? È chiaro che entrambi i vettori spostamento vanno applicati allo stesso punto (l’uomo che si sta muovendo), come mostrato in figura 3. Lo spostamento totale dell’uomo rispetto alla riva è dato dalla diagonale del parallelogramma che ha per lati lo spostamento dell’uomo → − → s u rispetto alla barca e lo spostamento della barca − s b rispetto alla riva. Per la particolare costruzione geometrica adottata questa regola L’EQUILIBRIO 3 − → st − → su − → sb Figura 3. Somma di due vettori con il metodo del parallelogramma. per sommare due vettori va anche sotto il nome di regola del parallelogramma. Prima di procedere, notiamo come l’uomo sia stato modellizzato con un punto materiale. Questa è una idealizzazione che useremo spesso: un corpo esteso dotato di massa verrà visto come un punto materiale nel quale possiamo pensare concentrata tutta la massa del corpo. Questo punto prende anche il nome di baricentro del corpo. Se il corpo ha forma regolare il baricentro coincide con il suo centro di simmetria: ad esempio, il baricentro di una sfera omogenea coincide con il centro della sfera. Perché, quando camminiamo sotto la pioggia, dobbiamo tenere l’ombrello inclinato in avanti per non bagnarci? La risposta sta proprio nel modo in cui si sommano i vettori. Infatti, le gocce di pioggia si spostano verticalmente rispetto al suolo a causa della loro forza-peso. Se l’uomo si sposta rispetto al suolo orizzontalmente da destra a sinistra, è come se il suolo si muovesse rispetto all’uomo orizzontalmente da sinistra a destra. Sommando i due vettori abbiamo che la pioggia rispetto al viandante cade in maniera obliqua e l’ombrello va inclinato in avanti. Per concludere questa sezione ricordiamo qual è la regola per moltiplicare un numero per un vettore. Supponiamo di moltiplicare un vettore di intensità s per un numero k positivo. Otterremo un vettore che ha stessa direzione e stesso verso e per intensità k · s. Se invece 4 L’EQUILIBRIO moltiplichiamo il vettore per un numero k negativo avremo un vettore con la stessa direzione, intensità k · s e verso opposto. In particolare due vettori si dicono opposti quando hanno stessa direzione, stessa intensità ma verso opposto. I vettori opposti sono importanti per il calcolo della differenza di due vettori: infatti la differenza di due vettori si definisce come la somma del primo vettore e dell’opposto del secondo vettore. 1.3. Scomposizione di vettori. Un’altra operazione importante per quelle che sono le applicazioni alla fisica è la scomposizione di vettori rispetto a due assi. Noi ci limiteremo in questa sezione alla scomposizione di un vettore rispetto a due assi perpendicolari tra loro, ad esempio i due assi cartesiani x e y. La scomposizione di un vettore è un po’ l’operazione inversa rispetto alla somma: assegnato un vettore, si tratta di trovare due vettori, uno di direzione orizzontale e l’altro verticale, la cui somma riproduca il vettore di partenza. La procedura che dobbiamo seguire è quella della proiezione geometrica del vettore lungo gli assi: partendo dalla punta del vettore dobbiamo tracciare una linea orizzontale e una linea verticale come nella figura sottostante. Queste due linee intersecano gli assi cartesiani in due punti, che diventano le punte dei due vettori richiesti: vedi figura 4. y − → v − → vy α x − → vx Figura 4. Scomposizione di vettori in componenti. Applicando il teorema di Pitagora abbiamo che le intensità dei tre vettori v, vx e vy sono legate tra loro dalla relazione v 2 = vx2 + vy2 . L’EQUILIBRIO 5 Prima di passare agli esercizi, vogliamo ricordare come moltissime grandezze fisiche in natura sono grandezze vettoriali: oltre allo spostamento, sono dei vettori la velocità e l’accelerazione che incontreremo a più riprese durante queste lezioni. Le forze sono caratterizzate da una direzione (la retta d’azione della forza), da un verso, da un punto d’applicazione e dall’intensità misurata dal dinamometro. Pertanto anche le forze sono dei vettori. Esistono tuttavia anche delle grandezze fisiche caratterizzate solamente da un’intensità: tali grandezze sono dette grandezze scalari. Tipici esempi sono la massa di un corpo o la sua temperatura. 2. Equilibrio per traslazioni 2.1. Condizione di equilibrio. In questa sezione vogliamo cominciare a studiare la statica, ossia quella parte della meccanica che si occupa dell’equilibrio dei corpi. Partiremo con lo studio dell’equilibrio dei corpi per traslazioni. Un corpo subisce una traslazione quando ogni suo punto si sposta della stessa quantità nella stessa direzione e nello stesso verso, in altre parole quando ogni suo punto è sottoposto allo stesso vettore spostamento. In fisica giocano un ruolo importante i cosiddetti corpi rigidi. Un corpo rigido è un corpo che non si può deformare, ossia un corpo in cui ogni punto mantiene nel tempo la stessa distanza da ogni altro punto del corpo. In generale studiare il moto o l’equilibrio di un corpo rigido può non essere banale se il corpo rigido non ha forma regolare. Se però il corpo rigido ha forma regolare (ad esempio sferica) si può immaginare tutta la massa del corpo concentrata in un punto che è il centro di simmetria del corpo (nell’esempio della sfera, il suo centro). Questo centro di simmetria va anche sotto il nome di baricentro. Lo studio del moto oppure dell’equilibrio del corpo rigido viene in questo modo ridotto allo studio del moto oppure dell’equilibrio di un particolare punto dotato di massa, ossia di un particolare punto materiale. In queste pagine useremo sempre per semplicità questo modello del punto materiale, ossia immagineremo tutta la massa M del corpo rigido concentrata nel baricentro che pertanto risulterà sottoposto a una forza peso totale pari a M · g, dove g = 9.81 N/kg. Più in generale, si può utilizzare il modello del punto materiale quando il corpo è molto più piccolo delle dimensioni fisiche che caratterizzano il problema e quando le direzioni di tutte le forze agenti sul corpo si incontrano 6 L’EQUILIBRIO in un unico punto. Anche nel linguaggio di tutti i giorni diciamo che un corpo è in equilibrio quando non si muove. Cerchiamo ora di tradurre questa definizione a parole di equilibrio in formule matematiche, limitandoci per il momento alle traslazioni. Abbiamo visto che le forze hanno effetti dinamici, ossia sono in grado di mettere in movimento i corpi ai quali sono applicate. Per avere equilibrio per traslazioni è perciò necessario che la somma vettoriale di tutte le forze applicate al corpo in esame sia → − uguale a 0 : − → → − → − → − F 1 + F 2 + F 3 +··· = 0 . Ad esempio consideriamo due squadre che giocano a tiro alla fune: se una squadra applica una forza diretta orizzontalmente da destra a sinistra di intensità F e la squadra avversaria applica una forza di ugual intensità F, ma diretta orizzontalmente da sinistra a destra, avremo che la somma dei due vettori forza, uguali ed opposti, è uguale a zero e la fune risulta perciò in equilibrio. Se ragioniamo in termini di componenti dei vettori avremo che, per avere equilibrio, la somma di tutte le componenti orizzontali dei vettori forza deve essere uguale a zero, cosı̀ come deve essere uguale a zero la somma di tutte le componenti verticali dei vettori forza. Vedremo nelle prossime sezioni varie applicazioni di questo concetto. 2.2. Forza equilibrante, reazione vincolare. Abbiamo visto nella sezione precedente che la condizione di equilibrio per traslazioni è l’annullamento della forza totale (detta anche risultante) applicata al corpo. Vediamo quali conseguenze ha questa condizione di equilibrio. Supponiamo che ci sia una forza che agisce su un corpo. Evidentemente il corpo non è in equilibrio. Come facciamo a ripristinare la condizione di equilibrio? Possiamo aggiungere una seconda forza uguale ed opposta alla prima, ossia una forza con ugual direzione, uguale intensità ma verso opposto. Una forza con queste caratteristiche è detta forza equilibrante. Un esempio in cui entra in gioco la forza equilibrante è quello di un corpo posto su un tavolo. Sappiamo che ogni corpo dotato di massa è soggetto a una forza peso. Perché allora il corpo risulta essere in equilibrio? Evidentemente perché esiste una forza in grado di equilibrare la forza peso del corpo: il tavolo, con la sua presenza, esercita una forza L’EQUILIBRIO 7 sul corpo uguale ed opposta alla forza peso. Questa particolare forza equilibrante prende il nome di reazione vincolare del piano; vedi figura 5. − → Rv − → Fp − → → − → − Rv + F p = 0 Figura 5. Esempio di reazione vincolare. Ovviamente la forza peso di un corpo può essere equilibrata anche per mezzo di più forze, come nel caso dell’insegna in figura tenuta in equilibrio grazie alla tensione esercitata da due fili; vedi figura 6. − → F2 − → F1 − → → − → − → − F1+ F2+ Fp= 0 − → Fp Figura 6. Insegna sospesa da due fili. Usando la regola del parallelogramma è facile verificare graficamente che la somma vettoriale delle due tensioni esercitate dai fili obliqui 8 L’EQUILIBRIO è esattamente uguale alla forza peso dell’insegna. In questo modo la risultante di tutte le forze è uguale a zero e l’insegna risulta in equilibrio. 2.3. Piano inclinato. Consideriamo un piano inclinato di altezza AC = h e lunghezza AB = l, come nella figura 7 dove, per semplicità, un carrello di massa m è rappresentato da una sferetta. − → F pk A − → Fp − → F p⊥ B C Figura 7. Piano inclinato. Quando l’attrito è assente, la forza totale che agisce sul carrello è → − → − data dalla componente parallela ( F pk ) della forza peso F p ovvero, considerando il modulo abbiamo che Fp = m · g, dove g = 9.81 N/kg. → − La componente perpendicolare ( F p⊥ ) al piano della forza peso è infatti compensata dalla reazione vincolare del piano inclinato. È facile rendersi conto che i triangoli ABC ed il triangolo formato dai vetto→ − ri che scompongono la forza F p sono simili, pertanto hanno i lati in proporzione, in particolare AB : Fp = AC : Fpk da cui l : mg = h : Fpk . La componente parallela della forza peso, che provoca lo scivolamento del corpo lungo il piano, viene pertanto ad essere uguale a mgh Fpk = . l È interessante considerare due casi limite. • Piano orizzontale: in questo caso l’altezza del piano è uguale a 0, ossia h = 0, da cui la componente parallela della forza peso Fpk = 0. Rimane solo la componente perpendicolare della forza peso che è interamente compensata dalla reazione vincolare del piano. Di conseguenza la forza totale applicata al corpo è zero e il corpo rimane in equilibrio. L’EQUILIBRIO 9 • Piano verticale: in questo caso h = l e la componente parallela della forza peso viene a coincidere con la forza peso mg. Il corpo non risente di alcuna reazione vincolare da parte del piano e cade liberamente. Un piano inclinato (ad esempio una strada in salita o in discesa) può essere caratterizzato dalla sua pendenza percentuale, definita come il rapporto tra i due cateti del triangolo ABC, moltiplicato per 100: pendenza percentuale = AC · 100. BC La forza equilibrante nel caso di un piano inclinato sarà una forza diretta lungo il piano inclinato, avente la stessa intensità della componente parallela della forza peso Fpk e verso opposto. 3. Forze d’attrito 3.1. Attrito radente statico. Supponiamo di applicare una forza non troppo intensa alla cattedra. Quello che notiamo è che, nonostante la presenza di una forza attiva, la cattedra non si muove, ossia siamo in presenza di una situazione di equilibrio. Questo vuol dire che esiste un’altra forza che agisce sulla cattedra e che è in grado di bilanciare la forza che noi applichiamo: questa forza è la forza di attrito statico. Se applichiamo una forza maggiore alla cattedra, notiamo che la cattedra rimane ancora in equilibrio. Ad un certo punto però, aumentando ulteriormente l’intensità della forza applicata, osserviamo che la cattedra comincia a muoversi. Da queste e altre osservazioni possiamo dedurre che le proprietà principali della forza d’attrito sono quelle di: (1) essere una forza resistente, ossia una forza che si oppone al moto, una forza che ha un effetto puramente passivo, (2) avere un’intensità che varia tra 0 e un valore massimo, uguale all’intensità della forza che dobbiamo applicare al corpo per metterlo in movimento. Da quanto abbiamo detto sopra non esiste una formula che permette di quantificare in maniera del tutto generale la forza d’attrito. È possibile però esprimere tramite una formula quanto vale la forza d’attrito massima. In particolare, si può verificare sperimentalmente che su un piano orizzontale la forza d’attrito massima è direttamente proporzionale al peso P del corpo: FaMax = ks · P. 10 L’EQUILIBRIO Il coefficiente di proporzionalità ks prende il nome di coefficiente di attrito statico. Tale coefficiente varia a seconda delle caratteristiche delle superfici a contatto. A livello microscopico infatti la forza d’attrito è dovuta al fatto che le superfici a contatto non sono mai perfettamente lisce ma presentano delle irregolarità e delle rugosità che costituiscono un ostacolo per il movimento. Maggiori sono queste irregolarità maggiore sarà il coefficiente di attrito statico. Per riuscire a mettere in movimento un corpo dobbiamo riuscire a vincere preliminarmente la forza d’attrito, ossia dobbiamo riuscire ad applicare una forza F maggiore della forza d’attrito massima FaMax . In questo caso infatti la risultante R delle forze risulta essere R = F − FaMax > 0. Se invece la forza F è minore della forza d’attrito massima F < FaMax , allora la forza d’attrito è uguale ed opposta alla forza attiva F e il corpo rimane in equilibrio. Da queste considerazioni risulta facile trovare una possibile procedura per misurare il coefficiente di attrito statico: la forza di primo distacco, ossia la forza che dobbiamo applicare per mettere in movimento un corpo coincide con la forza d’attrito massima FaMax . Misurando tale forza e il peso P dell’oggetto con un dinamometro, possiamo ricavarci il coefficiente d’attrito statico dal seguente rapporto FaMax . P Essendo il rapporto tra due forze, ossia tra due grandezze omogenee, il coefficiente di attrito statico è un numero puro che varia a seconda delle superfici a contatto. ks = 3.2. Attrito radente dinamico. Una volta che siamo riusciti a mettere in movimento la cattedra, la forza d’attrito non scompare dal momento che non possiamo pensare di aver eliminato del tutto le irregolarità tra le superfici a contatto. Permane una forza d’attrito dinamica, proporzionale al peso del corpo: Fad = kd · P. Quello che cambia è il coefficiente di attrito: il coefficiente d’attrito dinamico risulta essere infatti sempre minore rispetto al caso statico: kd < ks . Per fissare le idee, riportiamo nella tabella 1 i valori medi dei coefficienti di attrito statico e dinamico per una serie di superfici a contatto. L’EQUILIBRIO 11 ks kd metallo–metallo 0.25 0.15 metallo–legno 0.5 0.4 legno–legno 0.55 0.35 pneumatici–strada 0.8 0.65 acciaio–ghiaccio 0.03 0.015 legno–neve 0.05 Superfici a contatto 0.03 Tabella 1. Alcuni coefficienti di attrito statico e dinamico. Prima di procedere, vogliamo fare una precisazione importante: la formula che abbiamo introdotto per l’attrito statico, FaMax = ks · P , è corretta solo se non ci sono altre forze applicate al corpo oltre alla forza peso. In caso contrario, la formula va modificata in FaMax = ks · F⊥ , dove la forza peso P è stata sostituita con F⊥ , componente perpendicolare al piano della forza totale applicata al corpo. Ad esempio, se premiamo con la mano sul corpo che vogliamo muovere andiamo ad aggiungere alla forza peso un’altra forza perpendicolare e la forza d’attrito risulta di conseguenza maggiore. Questa considerazione vale anche nel caso dell’attrito dinamico la cui formula corretta diventa: Fad = kd · F⊥ . In particolare, se la forza esterna F è diretta verso il piano d’appoggio avremo che F⊥ = P + F e la forza d’attrito aumenta: Fa = k · (P + F ). Se invece la forza esterna ha verso opposto rispetto alla forza peso, allora F⊥ = P − F e la forza d’attrito diminuisce: Fa = k · (P − F ). Un’altra importante forma d’attrito è costituita dalla forza d’attrito volvente che si ha quando un corpo, ad esempio una ruota, rotola su un piano. In questo caso, l’intensità della forza d’attrito volvente si calcola mediante la formula Fav = kv · F⊥ , r dove kv è il coefficiente d’attrito volvente, F⊥ è la forza perpendicolare al piano ed r è il raggio del corpo che rotola. In generale, la forza d’attrito volvente è minore sia della forza d’attrito radente statico che della forza d’attrito radente dinamico. 12 L’EQUILIBRIO 4. Equilibrio per rotazioni 4.1. Momento di una forza. Per introdurre il concetto di momento di una forza partiamo dalla seguente domanda: perché nelle porte le maniglie sono sempre dalla parte opposta rispetto ai cardini? Supponiamo di voler aprire un vecchio portone poco oliato. Dalla nostra esperienza sappiamo che si fa meno fatica (in altre parole, è sufficiente applicare una forza minore) spingendo il portone dalla parte opposta rispetto ai cardini. Altro esempio che ci può aiutare è quello della chiave inglese e del bullone. Anche in questo caso è molto più facile ruotare il bullone applicando la forza all’estremità del manico della chiave inglese, ossia nel punto più lontano rispetto al punto attorno al quale avviene la rotazione. Da tutti questi esempi ricaviamo che, in presenza di un corpo che può ruotare, gli effetti di una forza applicata al corpo dipendono da tre fattori: (1) l’intensità della forza: se applichiamo una forza maggiore, la rotazione del bullone o del portone risulta essere agevolata; (2) il punto di applicazione della forza: a parità di intensità la rotazione è notevolmente agevolata se applichiamo la forza nel punto più lontano dal centro di rotazione; (3) la direzione della forza: se applichiamo una forza diretta lungo il manico della chiave inglese non si verifica alcuna rotazione. b O − → F Figura 8. Forza e braccio. Nella figura 8 O è il punto attorno al quale avviene la rotazione (ad esempio il centro del bullone), b è la distanza tra la retta d’azione della forza e il punto attorno al quale avviene la rotazione. Questa distanza prende anche il nome di braccio della forza. Il momento di una forza M si definisce come il prodotto dell’intensità F della forza per la lunghezza b del braccio: M = F · b. Dal momento che nel Sistema Internazionale la forza si misura in Newton (N) e il braccio in metri (m) l’unità di misura del momento della forza è il Newton per metro (N · m). Ad esempio, se l’intensità della forza è F = 5 N e il braccio misura b = 6 cm avremo un momento della L’EQUILIBRIO 13 forza pari a M = 5 N · 0.06 m = 0.3 Nm. Come casi particolari, se la retta d’azione della forza passa per il centro di rotazione O abbiamo che b = 0. In questo caso il momento della forza si annulla e non si verifica alcuna rotazione. Il momento di una forza è la grandezza che regola i movimenti di rotazione. A questo punto è chiaro che possiamo aumentare il momento M sia aumentando l’intensità della forza F sia aumentando il braccio b: questo è il motivo per cui il portone si apre più facilmente se lo spingiamo dalla parte opposta rispetto ai cardini o per cui il bullone si allenta più facilmente spingendo una chiave inglese all’estremità del manico. Per convenzione si associa un segno alle rotazioni: il momento di una forza è un numero positivo se le rotazioni che esso provoca sono antiorarie, è invece un numero negativo se le rotazioni che esso induce sono orarie. Questa convenzione sarà di fondamentale importanza nella prossima sezione, dove andremo a stabilire quali sono le condizioni di equilibrio di un corpo che può ruotare. 4.2. Condizione di equilibrio. Abbiamo visto che, nel caso dei moti di traslazione, la condizione di equilibrio è data dall’annullarsi della risultante delle forze applicate al corpo. Vogliamo ora chiarire qual è la condizione di equilibrio per un corpo che è libero di ruotare. Abbiamo visto nella precedente sezione che il momento di una forza assume segni positivi o negativi a seconda del senso in cui avviene la rotazione. La condizione di equilibrio per rotazioni è data dall’annullarsi della somma di tutti i momenti che vengono applicati al corpo, ossia: Mtot = M1 + M2 + M3 + · · · = 0. Se prescindiamo dai segni, possiamo anche dire che un corpo non ruota quando la somma di tutti i momenti orari applicati al corpo è uguale alla somma di tutti i momenti antiorari. Questa è la condizione di equilibrio per rotazioni. Come esempio di equilibrio per rotazioni consideriamo una bilancia a bracci diseguali, come nella figura 9. Il peso P1 induce una rotazione antioraria di momento M1 = P1 ·b1 , il peso P2 induce invece una rotazione oraria di momento M2 = −P2 · b2 . La bilancia sarà in equilibrio non quando i due pesi sono uguali ma quando si annulla il momento totale: Mtot = M1 + M2 = 0, ossia quando il momento antiorario P1 · b1 è uguale al momento orario P2 · b2 . 14 L’EQUILIBRIO b1 b2 − → P2 − → P1 Figura 9. Condizione di equilibrio per le rotazioni.