DIRITTO INTERNAZIONALE Manuale Breve – Barel, Armellini PARTE PRIMA IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO INTERNO E COMUNITARIO SEZIONE PRIMA PARTE GENERALE – IL SISTEMA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO CAPITOLO I - NOZIONE, FUNZIONE ED EVOLUZIONE STORICA 1. Nozione della materia Il diritto internazionale privato costituisce una specifica branca della legislazione e un’autonoma disciplina giuridica, il cui scopo è la regolamentazione delle fattispecie di natura privatistica che presentano elementi: di estraneità rispetto al territorio e/o alla popolazione dello Stato del foro, o comunque dello Stato dal cui punto di vista ci si pone per esaminare il caso; di collegamento con il territorio e/o la popolazione di altri Stati. Gli elementi di estraneità hanno carattere relativo, nel senso che dipendono dalla prospettiva da cui si pone l’operatore chiamato ad applicare le norme di diritto internazionale privato (giudice o altro pubblico ufficiale, ma anche privato cittadino). La ragione d’essere di questa disciplina è costituita dal carattere di naturale mobilità delle relazioni umane, che, storicamente, si sono sempre sviluppate trasversalmente al territorio e alle popolazioni delle varie organizzazioni politiche territoriali. Fino ad un recente passato, facevano parte del diritto internazionale privato solo le norme sul diritto applicabile (che, prima della riforma del 1995, salvo alcune disposizioni contenute in leggi speciali, erano contenute negli artt.17-31 delle disposizioni preliminari al c.c.), mentre quelle sulla giurisdizione e quelle sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri (fatte salve alcune disposizioni presenti in leggi speciali) erano contenute nel codice di procedura civile. Con la riforma del 1995, l’ambito del sistema del diritto internazionale privato è stato esteso fino a ricomprendere tutte le norme, di diversa natura, che regolano situazioni con elementi di estraneità, e cioè: disposizioni (processuali) sulla competenza giurisdizionale; disposizioni (sostanziali) sul diritto applicabile; disposizioni (a seconda dei casi, processuali o sostanziali) sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri. Tutte queste disposizioni formano il diritto internazionale privato in senso ampio; il diritto internazionale privato in senso stretto comprende solo le disposizioni sul diritto applicabile. Questo diritto è detto “privato” perché regola situazioni che ricadono nell’ambito del diritto privato, e vengono identificate per mezzo di istituti privatistici (successioni, obbligazioni contrattuali, diritti reali, divorzio…); “internazionale” perché la disciplina ha ad oggetto fattispecie collegate con più ordinamenti giuridici (più precisamente, queste fattispecie vengono dette transnazionali, perché non riguardano relazioni tra Stati [internazionali] ma tra individui che scelgono di operare a contatto con ordinamenti giuridici diversi). N.B. Non si devono confondere le norme di diritto internazionale privato con quelle di diritto internazionale pubblico, che regolano i rapporti non tra privati, bensì tra i soggetti della comunità internazionale. Le norme di diritto internazionale privato appartengono al diritto interno di ogni Stato, e quindi variano da paese a paese, anche se un certo grado di uniformità è garantito dal fatto che alcune di queste norme sono contenute in trattati internazionali e in atti di diritto comunitario. L’espressione diritto internazionale privato del foro designa il sistema di diritto internazionale privato vigente nello Stato del giudice che dovrà decidere la controversia (o dall’ordinamento dal cui punto di vista ci si pone per esaminare il caso. 1 La possibilità di applicare il diritto straniero è limitata al settore privatistico; il diritto pubblico invece ha carattere territoriale, perché si applica a tutte le vicende, ma limitatamente al territorio dello Stato di provenienza. Ciò non toglie che se un determinato istituto privatistico, poiché presenta profili di interferenza anche con interessi di carattere generale, è disciplinato nell’ordinamento straniero con norme di diritto pubblico (in tutto o in parte), le relative norme, ove richiamate dalla norma di conflitto del foro, possono essere applicate anche dal giudice italiano, in conformità al principio dell’applicazione globale del diritto straniero (es. legge svizzera di diritto internazionale privato). 2. Il trattamento dello straniero Il diritto internazionale privato ha ragion d’essere a condizione che l’ordinamento del foro riconosca la possibilità per gli stranieri di esercitare diritti e azioni. Nel nostro ordinamento, le questioni relative alla cittadinanza e al trattamento degli stranieri sono regolate (al di fuori del diritto internazionale privato) dal leggi speciali e dall’art.16 disp. prel. c.c., il quale stabilisce il cd. principio di reciprocità: lo straniero (a cui per il 2° comma sono equiparate le persone giuridiche) è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino, a condizione che analoghi diritti siano previsti dal suo ordinamento di appartenenza a favore del cittadino italiano. Tale principio è finalizzato alla ritorsione promozionale degli interessi degli italiani all’estero, ed opera sul piano sostanziale (come limite al godimento dei diritti da parte dello straniero residente in Italia), non su quello internazionalprivatistico (come limite all’efficacia del richiamo del diritto straniero operato dalle norme di diritto internazionale privato). La condizione di reciprocità presuppone la possibilità per il cittadino italiano di godere nel paese straniero di diritti analoghi a quelli che lo straniero intende esercitare in Italia (compresi i poteri e le libertà: ad es. libertà professionale, contrattuale, potere di costituire società…) e l’assenza di discriminazioni. Il principio di reciprocità viene inteso dalla giurisprudenza come una condizione di efficacia delle norme che attribuiscono diritti agli stranieri. La portata del principio di reciprocità è stata ridimensionata: dall’entrata in vigore della Costituzione, che ha sottratto da questa condizione i diritti fondamentali inviolabili (libertà personale, salute, diritti dei lavoratori…) e gli altri diritti previsti dalla Carta; dalle leggi sull’immigrazione, che contengono disposizioni protettive nei confronti dello straniero; dal diritto dell’Unione europea, il quale vieta ogni discriminazione fondata sulla nazionalità (art.18 TFUE). 3. L’apertura dell’ordinamento ai valori giuridici stranieri Gli Stati moderni sono fondati sul concetto di sovranità, intesa come potere esclusivo di governare un territorio e la popolazione stanziata su di esso. Grazie a un’intuizione di Savigny, nacque la consapevolezza che un’apertura ai valori giuridici stranieri non avrebbe comportato un vulnus alla sovranità, in quanto ciascun ordinamento la stabilisce in piena autonomia: così l’ordinamento giuridico, al posto di chiudersi in se stesso, pretendendo di applicare indiscriminatamente i propri valori giuridici alle fattispecie transnazionali, attraverso il sistema di diritto internazionale privato si apre ai valori giuridici stranieri. L’apertura dell’ordinamento statale ai valori giuridici stranieri può avvenire in vari modi: mediante il richiamo di leggi straniere, per la regolamentazione di fattispecie che presentano elementi di contatto più significativi con un altro Paese che non con il nostro; mediante il riconoscimento dell’efficacia di atti e provvedimenti stranieri, previa verifica del rispetto dell’ordine pubblico e di determinati standard procedimentali; mediante il declino della competenza del giudice interno a giudicare di situazioni che presentano contatti con l’Italia e/o in cui sono coinvolti cittadini italiani, se queste presentano i contatti più significativi con un altro paese; la sentenza del giudice straniero considerato competente dalle proprie norme di diritto internazionale privato produrrà poi effetti anche in Italia attraverso il canale del riconoscimento automatico. Ma il sistema di diritto internazionale privato funziona come una valvola bi-direzionale: in alcuni casi, consente la penetrazione in Italia di valori giuridici stranieri, oppure l’applicazione dei valori giuridici italiani anche a fattispecie che presentano elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento. 2 Quest’ultima eventualità si verifica: in modo fisiologico (cioè senza comportare una deroga al funzionamento del sistema di diritto internazionale privato), mediante richiamo della legge italiana ed attribuzione della competenza giurisdizionale ai giudici italiani nel caso in cui la fattispecie presenti con il nostro paese il contatto più significativo, nonché attraverso la designazione diretta della legge italiana, senza passare per i criteri di collegamento, nei casi in cui essa garantisce il risultato perseguito dal legislatore; oppure mediante appositi meccanismi di chiusura dell’ordinamento giuridico interno che, in deroga al normale funzionamento del sistema di diritto internazionale privato, sono volti a: o evitare la penetrazione di valori giuridici incompatibili con l’ordine pubblico interno; o assicurare in ogni caso l’applicazione di determinate norme interne, che si impongono in ragione del loro oggetto o del loro scopo (norme di applicazione necessaria). 4. Il sistema di diritto internazionale privato e processuale italiano: sguardo d’insieme sulla l. 218/1995 Il testo fondamentale (anche se non esclusivo) del diritto internazionale privato italiano è la l. 218/1995, che ha riformato la materia per ispirarla ai valori accolti nell’ambito del diritto sostanziale (es. parità uomodonna) e tenendo conto dei modelli offerti dal diritto internazionale privato di altri paesi e delle convenzioni internazionali. Con la riforma, il diritto internazionale privato viene concepito come “sistema” (insieme di norme reciprocamente correlate e preordinate a disciplinare tutti gli aspetti [sostanziali e processuali] delle fattispecie di carattere privatistico aventi carattere di estraneità rispetto all’ordinamento interno); in ogni caso, l’art.2 ricorda che la l. 218/1995 non pregiudica le convenzioni internazionali vigenti in materia, con le quali perciò deve sempre essere coordinata. Le norme di diritto internazionale privato sostanziale (sostitutive di quelle contenute negli artt.17-31 disp. prel.) sono contenute nel capo 2° del titolo 3°: sono quasi tutte disposizioni di carattere formale, che non dettano una disciplina di carattere materiale ma “pongono i criteri per l’individuazione del diritto applicabile”, perciò vengono dette norme di conflitto (o norme sulla scelta di legge), perché con la scelta della legge risolvono il conflitto tra gli ordinamenti candidati a regolare la fattispecie con cui sono in qualche modo collegati. Ci sono anche norme di diritto internazionale privato sostanziale dette norme di diritto internazionale privato materiale, che, con un metodo alternativo a quelle di conflitto, regolamentano le fattispecie transnazionali mediante una disciplina ad hoc. Dato che la giurisdizione costituisce un presupposto del processo, alle norme sulla giurisdizione viene riconosciuta natura processuale. Alle norme sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri viene riconosciuta natura processuale nella misura in cui prevedono un procedimento giudiziale (cioè in caso di contestazione del riconoscimento, mancata ottemperanza dell’organo che deve provvedere all’attualizzazione del provvedimento, e quando deve esserne dichiarata l’esecutività), e natura sostanziale quando prevedono il riconoscimento automatico (come avviene di regola per l’efficacia dichiarativa e costitutiva). Nonostante l’esistenza di norme di diritto internazionale privato processuale, l’art.12 stabilisce che al processo si applica la legge processuale italiana, che tra l’altro contiene particolari disposizioni dettate in considerazione del carattere transnazionale della fattispecie. Nel capo 1° del titolo 3° sono state introdotte nel sistema di diritto internazionale privato anche una serie di regole cd. di funzionamento, che stabiliscono attraverso quali modalità, condizioni e limiti può avvenire l’applicazione, da parte del giudice interno, del diritto straniero designato dalle norme di conflitto. Il titolo 5° contiene delle disposizioni transitorie e finali. La legge si applica a tutte le controversie sorte dopo la sua entrata in vigore (1° settembre 1995). Esistono anche norme di diritto internazionale privato al di fuori della l. 218/1995: la navigazione (artt.4-14 disp. prel. cod. nav.), le situazioni dello stato civile dello straniero in Italia e dell’italiano all’estero (d.P.R. 396/2000), il trattamento dello straniero (art.16 disp. prel. c.c.), il fallimento e le altre procedure di insolvenza (r.d. 267/1942), i contratti di assicurazione (d.lgs. 209/2005). 3 Altre volte, le disposizioni integrano la disciplina di materie già regolate nella l. 218/1995: quelle riguardanti l’adozione internazionale (l.184/1983 e succ. modificazioni), le società costituite all’estero (artt.2507-2510 c.c.), lo scioglimento del matrimonio (l.898/1970 e succ. modificazioni), il matrimonio del cittadino all’estero e dello straniero in Italia (artt.115-116 c.c.), le notificazioni all’estero (art.142 c.p.) e le assunzioni di prove all’estero (art.204 c.p.c.). 5. L’uniformità del diritto internazionale privato Molti Stati si sono adoperati per favorire l'adozione di una regolamentazione uniforme delle situazioni e dei rapporti giuridici non totalmente interni in determinate materie. L'uniformità del diritto internazionale privato viene promossa sia a livello convenzionale, sia a livello di diritto europeo. L'uniformità convenzionale può essere conseguita in tre modi: attraverso la creazione di norme uniformi sulla giurisdizione e/o sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri; attraverso l'adozione di norme uniformi di conflitto; ricorrendo alla tecnica di regolare la materia con norme uniformi di carattere materiale che pongono una disciplina completa della fattispecie, che si sostituisce alla normativa stabilita dai vari ordinamenti nazionali, prevenendo così la possibilità del conflitto di leggi; si distinguono a seconda che si applichino a tutte le situazioni, o solo a quelle caratterizzate da elementi di estraneità. Inoltre, convenzioni contenenti norme di unificazione possono venire elaborate in seno ad appositi enti, costituiti allo scopo di promuovere le condizioni per l'armonizzazione e l'uniformità del diritto internazionale privato dei vari Paesi: es. Commissione delle Nazioni unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral), l'Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato (Unidroit) e la Conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato. Le due principali convenzioni di unificazione sono la Convenzione di Bruxelles del 1968 (sulla competenza giurisdizionale) e la Convenzione di Roma (sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali), entrambe stipulate tra i membri dell'Unione europea e sottoposte al controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia dell'Unione europea; le soluzioni interpretative elaborate dalla CGCE possono essere tenute presenti anche con riguardo ai regolamenti che le hanno sostituite. Nell’esercizio delle competenze conferite alla CE dal Trattato di Amsterdam (1997) per la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la Convenzione di Bruxelles è stata sostituita dal Reg. CE 44/2001 (nonché trasfusa nella Convenzione di Lugano del 1988 e nella Convenzione Lugano II [avente lo scopo di allineare il contenuto della Convenzione con il Reg. CE 44/2001]), e la Convenzione di Roma dal Reg. CE 593/2008. L’adattamento dell’ordinamento interno alle norme internazionali avviene nei modi previsti dal diritto internazionale pubblico: mediante ordine di esecuzione del trattato per le norme self-executing, e mediante il procedimento legislativo ordinario per le norme non self-executing. Bisogna sempre verificare l’esistenza di eventuali convenzioni (che, naturalmente, devono essere in vigore per l’Italia) prima di applicare le norme della l. 218/1995, in quanto le disposizioni convenzionali prevalgono su quelle del diritto interno. A seguito della riforma dell’art.117 Cost. operata dalla l. cost. 3/2001, le norme convenzionali costituiscono anche norme interposte, rilevanti come parametro di costituzionalità delle norme interne. L’art. 2.2 l. 218/1995 stabilisce che le norme di diritto internazionale privato di natura convenzionale devono essere interpretate tenendo conto del loro carattere internazionale e dell’esigenza di un’interpretazione uniforme; perciò, i canoni ermeneutici dovranno essere quelli che si ricavano dalla convenzione stessa o, in mancanza, quelli che si rinvengono nell’ordinamento internazionale (in particolare, nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969). Le convenzioni internazionali di diritto internazionale privato possono essere applicabili per forza propria (se la fattispecie rientra nell’ambito di applicazione della convenzione), o anche per incorporazione, cioè per richiamo delle norme interne. 4 Ci sono due diverse modalità di incorporazione delle convenzioni internazionali nel sistema italiano di diritto internazionale privato Ci può essere un richiamo delle norme convenzionali per la regolamentazione di fattispecie che non rientrano nell’ambito di applicazione del trattato (nella maggior parte dei casi, ciò si verifica quando sono coinvolti cittadini di Stati non contraenti, o soggetti residenti o domiciliati in Stati non contraenti); ad es., l’art.3.2 della l. 218/1995 recepisce alcuni dei criteri di giurisdizione previsti dalla Convenzione di Bruxelles (oggi sostituita dal Reg. CE 44/2001), i quali dunque troveranno applicazione anche se il convenuto ha il domicilio al di fuori dello Stato contraente, purché la materia sia ricompresa tra quelle che ricadono nel campo di applicazione della Convenzione). Talvolta la recezione riguarda intere convenzioni che vengono trasfuse nel diritto interno (come la Convenzione dell’Aja del 1961 sulla competenza e la legge applicabile in materia di protezione di minori, richiamata “in ogni caso” dall’art.42 l. 218/1995); Oppure, ci può essere incorporazione di convenzioni recanti norme di conflitto uniformi applicabili erga omnes (cioè anche alle fattispecie collegate con Stati non contraenti), ad es. la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (oggi sostituita dal Reg. CE 593/2008). In questi casi, dato che le convenzioni già prevedono che la legge designata dai criteri di collegamento deve essere applicata anche a situazioni collegate con Stati non contraenti, il richiamo “in ogni caso” dell’art.57 l. 218/1995 è inteso nel senso di estendere la portata della convenzione a fattispecie anche al di fuori del suo ambito di applicazione oggettivo, purché ricomprese nella materia da essa complessivamente regolata e non disciplinate da norme speciali (es. contratti esclusi dall’ambito di operatività della Convenzione di Roma). Norme di diritto internazionale privato e processuale sono state inserite anche in atti dell’Unione europea, assumendo quindi rango superiore alle norme interne in conformità al principio di supremazia del diritto comunitario affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (sentenze Simmenthal e Granital). In passato, ciò si realizzava per mezzo di apposite direttive di armonizzazione; successivamente, il Trattato di Amsterdam ha attribuito agli organi comunitari nuove competenze in materia di d.i.p., sia per quanto riguarda la competenza giurisdizionale e di riconoscimento delle decisioni, sia i conflitti di legge. A seguito dell’esercizio delle nuove competenze, è in fase di formazione un nuovo sistema di diritto internazionale privato e processuale europeo, allo scopo di garantire l’uniformità di regolamentazione delle situazioni e delle controversie caratterizzate da elementi di internazionalità all’interno dell’Unione. In questo quadro sono stati già adottati alcuni regolamenti: il Reg. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza; il Reg. 44/2001 in tema di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (cd. Reg. Bruxelles I), che sostituisce la Convenzione di Bruxelles; il Reg. 1206/2001 sull’assunzione di prove all’estero; il Reg. 2201/2003 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (cd. Reg. Bruxelles II bis, che sostituisce il Reg. 1347/2000 detto Bruxelles II); il Reg. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (cd. Reg. Roma I) che sostituisce la Convenzione di Roma; il Reg. UE 1259/2010 (cd. Reg. Roma III) sulla cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, per quegli Stati che partecipano a questa cooperazione rafforzata (tra cui l’Italia); il Reg. CE 4/2009 su legge applicabile, giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari nella famiglia. Si noti come i più importanti regolamenti contenenti norme di conflitto si applicano anche se la fattispecie sottoposta all’esame di un giudice di uno Stato UE presenta collegamenti con Stati non facenti parte dell’Unione, così come molte convenzioni pretendono di essere applicate anche alle fattispecie collegate con Stati che non vi hanno aderito. 5 Ciò determina una corrispondente erosione delle disposizioni della l. 218/1995, che resta applicabile in via residuale solo alle fattispecie che non rientrano nell’ambito di applicazione dei regolamenti (e delle convenzioni) sull’unificazione del diritto internazionale privato. Dato che la Convenzione di Roma e quella di Bruxelles sono state sostituite da dei regolamenti, ci si domanda se il richiamo a queste convenzioni contenuto nella l. 218/1995 debba ora essere esteso anche alle corrispondenti norme regolamentari. Sul punto, la Cassazione si è espressa in modo contrario, affermando che il rinvio attiene solo alla Convenzione di Bruxelles, e non al Reg. CE 44/2001. Nonostante questa soluzione appaia in totale contraddittorietà con l’obiettivo di uniformità che aveva ispirato il legislatore della riforma, non si può non tener conto dell’orientamento della Corte; anzi, è probabile che, sulla stessa linea di ragionamento, anche il rinvio alla Convenzione di Roma venga limitato a questa e non esteso al Reg. Roma I che l’ha sostituita. Il Trattato di Lisbona (in vigore dal 1° dicembre 2009) ha confermato e consolidato la competenza dell’Unione europea in materia di armonizzazione del diritto internazionale privato; l’esigenza di applicazione uniforme del diritto internazionale privato europeo è garantita dalla competenza interpretativa, che è riconosciuta in via esclusiva alla Corte di Giustizia comunitaria. 6. L’applicazione pratica del diritto internazionale privato da parte di giudici e avvocati Le norme di d.i.p. sono direttamente efficaci nei confronti dei privati; tuttavia, la loro applicazione avviene più spesso con l’intermediazione di operatori del diritto. Come avviene l’applicazione del d.i.p. da parte del giudice? Egli deve innanzitutto qualificare la fattispecie concreta per ricondurla nell’ambito di applicazione della pertinente norma di d.i.p.. La qualificazione va condotta attribuendo ai concetti giuridici il significato che essi rivestono nell’ambito del sistema cui la norma di d.i.p. appartiene: per le norme della l. 218/1995 il sistema sarà la lex fori, mentre per quelle di fonte europea o convenzionale sarà il diritto dell’Unione europea o la convenzione. Dopo aver qualificato la fattispecie, il giudice dovrà effettuare la verifica della propria competenza giurisdizionale; infatti, solo il giudice competente in base alle norme sulla giurisdizione potrà applicare il sistema di d.i.p. del foro. Dopo aver accertato di avere giurisdizione, il giudice dovrà verificare se la materia sia regolata da norme di d.i.p. materiale, o da norme di conflitto; se nell’iter logico che il giudice deve compiere per giungere alla decisione della controversia viene in considerazione una sentenza (o un altro atto o un provvedimento) di un’autorità straniera, l’efficacia della stessa nel nostro ordinamento dovrà essere valutata in base alle norme sul riconoscimento. N.B. Le norme di diritto internazionale privato contenute in regolamenti europei o in trattati internazionali hanno precedenza rispetto a quelle del titolo 3° della l. 218/1995. Invece, come avviene l’applicazione del d.i.p. da parte dell’avvocato? Distinguiamo: 1) se l’avvocato deve occuparsi del d.i.p. in sede contenziosa, egli deve preventivamente accertare la sussistenza delle condizioni che consentono una decisione della causa favorevole alla parte che chiede la sua assistenza: in particolare, l’avvocato dell’attore dovrà essere in grado di dimostrare la competenza del giudice e l’esistenza di una legge che riconosca la pretesa oggetto della lite, mentre l’avvocato del convenuto avrà interesse a dimostrare il contrario. Quando le norme sulla giurisdizione consentono una pluralità di opzioni, l’avvocato sceglierà il giudice del Paese dove vige (o è richiamata dalle norme di conflitto) la disciplina che garantisce la soluzione più vantaggiosa per il proprio cliente; naturalmente, l’avvocato deve anche verificare che il giudice che dovrebbe applicarla sia competente in base alle norme sulla giurisdizione vigenti nello Stato del foro, e che la sua decisione possa avere riconoscimento non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi dove ciò possa giovare al proprio assistito (in particolare, se si tratta di una decisione a contenuto patrimoniale, nel Paese dove la controparte possiede beni sui quali promuovere l’esecuzione in caso di mancato spontaneo adempimento): questo meccanismo è detto forum shopping. 6 Naturalmente, quando è individuata la competenza di un giudice straniero, l’avvocato dovrà indirizzare il proprio cliente ad un legale del luogo, eventualmente affiancandolo; invece, quando viene in considerazione l’applicabilità della legge straniera davanti al giudice italiano, l’avvocato dovrà di regola chiedere un parere ad un legale straniero (affidavit). 2) Se l’avvocato deve occuparsi di d.i.p. in sede stragiudiziale, egli dovrà redigere gli atti negoziali sapendo che la loro validità potrebbe dipendere da una legge diversa rispetto a quella italiana, e che la sentenza straniera che pronunciasse l’invalidità del negozio sarebbe poi riconosciuta anche in Italia attraverso le norme sul riconoscimento. Queste incertezze possono venire ridotte avendo cura di inserire nel contratto clausole di scelta della legge e di scelta del foro, verificando che tali opzioni siano consentite in base alle norme di d.i.p. che potrebbero venire in considerazione (cioè quelle vigenti nei vari Stati con cui la fattispecie è collegata). 7. Le origini del diritto internazionale privato La denominazione della materia risale al trattato di Story del 1834, anche se il diritto internazionale privato è nato molto prima. Il primo corpo organico di norme di natura “internazionalprivatistica” si deve ai Romani. Il problema della regolamentazione dei rapporti tra gli abitanti delle regioni conquistate (peregrini) e i cittadini romani venne risolto attraverso la creazione di un vero e proprio corpo di norme, lo ius gentium, destinato a regolare i rapporti tra peregrini di città diverse o tra peregrini e Romani; lo ius gentium era affidato alle cure di un apposito magistrato, il praetor peregrinus, il quale lo pubblicava in un apposito editto. Con l’estensione della cittadinanza romana a tutta la popolazione (Constitutio Antoniniana del 212 d.C.), venne meno la possibilità stessa del conflitto di leggi. Con la caduta dell’Impero romano e la costituzione dei regni barbarici si affermò il principio della personalità del diritto; con questo principio, i rapporti che intercorrevano tra i membri delle diverse comunità erano inquadrati in chiave di applicazione distributiva delle leggi, nel senso che ciascuno seguiva la propria legge per il pezzo di rapporto che gli competeva. Nel X sec. il principio della personalità del diritto scompare, soprattutto per l’avvento del sistema feudale, fondato sull’opposto principio di territorialità (l’ambito di applicazione della legge è determinato in funzione del territorio in cui viene emanata, per cui all’interno del territorio vale per tutti, indipendentemente dalla nazionalità). Se capitavano situazioni riconducibili a diverse signorie territoriali, il conflitto di leggi era assorbito dalla generalizzata applicazione della lex fori: ogni autorità giudicava secondo le proprie leggi e per mezzo dei propri giudici le controversie che sorgevano nella propria circoscrizione. CAPITOLO II LE NORME DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO: STRUTTURA E FUNZIONE 1. Tipologia delle norme di diritto internazionale privato La l. 218/1995 ha configurato il diritto internazionale privato come un sistema, comprensivo di tutte le norme (di natura sostanziale e processuale) che disciplinano le fattispecie con elementi di estraneità rispetto all’ordinamento giuridico statale. Le norme di diritto internazionale privato (siano esse di fonte interna, convenzionale o comunitaria) sono riconducibili a quattro diverse tipologie. a) Le norme sul diritto applicabile sono norme di d.i.p. sostanziale, le quali stabiliscono (direttamente o indirettamente) la disciplina applicabile alle varie fattispecie. Si distinguono in: norme di diritto internazionale privato materiale (diffuse prevalentemente a livello convenzionale), così chiamate perché stabiliscono direttamente una speciale disciplina materiale per le fattispecie transnazionali; quando manca una disciplina materiale, ci sono le norme sulla scelta di legge o di conflitto, che non stabiliscono direttamente la disciplina per il caso da regolare, ma dettano particolari criteri (cd. criteri di collegamento), di carattere personale o territoriale, cui è fatto compito di designare (secondo quanto stabilisce l’art.1 l. 218/1995) il diritto applicabile tra quelli degli ordinamenti con cui la fattispecie è collegata; 7 vi è poi una seconda specie di norme di conflitto, cd. unilaterale, che in casi particolari designano direttamente la legge italiana come quella da applicare, senza passare per i criteri di collegamento. b) Le norme sulla competenza giurisdizionale, che hanno il compito di stabilire in quali casi il giudice è competente a pronunciarsi in relazione a fattispecie che presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento del foro. c) Le norme sul riconoscimento e l’esecuzione, che stabiliscono in quali casi le sentenze e gli altri atti e provvedimenti della pubblica autorità possono avere efficacia in un ordinamento diverso da quello cui appartiene l’autorità che li ha emanati; per la dichiarazione di esecutività della decisione straniera è prescritto solo il controllo del giudice circa la sussistenza dei requisiti prescritti per il riconoscimento. d) Le regole di funzionamento (o di sistema), introdotte dalla l. 218/1995, sono accessorie alle norme di conflitto, e servono a stabilire attraverso quali modalità, condizioni e limiti può avvenire l’applicazione (da parte del giudice interno) del diritto straniero, nel caso in cui questo venga dichiarato applicabile. 2. Gli elementi di estraneità della fattispecie Le norme di diritto internazionale privato trovano applicazione solamente quando la fattispecie presenta elementi di estraneità rispetto all’ordinamento giuridico dello Stato (in particolare, rispetto al territorio, alla popolazione o al suo apparato istituzionale), e di collegamento con un altro ordinamento giuridico. In certi casi, le norme di diritto internazionale privato prevedono uno specifico elemento di estraneità alla cui esistenza la loro applicazione è subordinata; se ciò non avviene, la disposizione può essere applicata in presenza di qualunque elemento di estraneità. Per cominciare, si consideri che né le norme di conflitto, né le norme sulla giurisdizione di fonte interna contengono l’indicazione di specifici elementi di estraneità (mentre è possibile che specifici elementi di estraneità siano previsti nella fattispecie delle norme di conflitto o di giurisdizione di fonte comunitaria o convenzionale). Le norme sul riconoscimento (siano esse di fonte interna, comunitaria o convenzionale) contengono invece l’elemento di estraneità cui la loro operatività è subordinata, e che consiste nella provenienza dell’atto o del provvedimento da riconoscere da un’autorità straniera. Anche per le norme di diritto internazionale privato materiale l’elemento di estraneità è specifico, e coincide con l’ambito di applicazione contemplato nella fattispecie delle norme medesime. Dato che non contengono la previsione di elementi di estraneità specifici, le norme di conflitto e quelle sulla giurisdizione trovano applicazione in presenza di qualunque elemento di estraneità della fattispecie; l’estraneità va valutata rispetto al territorio e alla popolazione, che sono gli elementi materiali sui quali si esercita la sovranità dello Stato. Gli elementi di estraneità sono costituiti dalle stesse circostanze che vengono utilizzate, in astratto, come criteri di collegamento e di giurisdizione. Gli elementi di estraneità coincidono infatti con i criteri di collegamento quando, in concreto, sono localizzati in uno Stato diverso da quello del foro. ESEMPIO: Art. 29.1 l. 218/1995: “I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune”. Qui, lo stesso elemento costituito dalla comune cittadinanza straniera dei coniugi, se da un lato è utilizzato come criterio di collegamento per la scelta dell’ordinamento destinato a regolare la fattispecie, dall’altro rivela l’estraneità della fattispecie rispetto all’ordinamento del foro. Però, questi elementi di estraneità, pur essendo costituiti dalle stesse circostanze che vengono utilizzate come criteri di collegamento o di giurisdizione nel sistema di d.i.p., possono anche, in concreto, non coincidere con i criteri di collegamento e di giurisdizione: ciò avviene quando la fattispecie presenta qualche collegamento con uno Stato diverso da quello del foro, ma le circostanze utilizzate come criterio di collegamento o di giurisdizione sono localizzate nello Stato del foro. ESEMPIO: In tema di giurisdizione, può essere l’elemento di estraneità costituito dalla cittadinanza straniera di una delle parti in una materia (es. contratti) in cui i criteri di giurisdizione sono fondati sul domicilio e sul luogo di esecuzione dell’obbligazione. Un ulteriore possibile elemento di estraneità della fattispecie è costituito dalla volontà dei privati, cui le norme di d.i.p. attribuiscono il potere di decidere sulla controversia (o di deferirla ad un arbitrato internazionale) e, per certe categorie di rapporti espressamente indicate, la legge applicabile; 8 infatti, dato che si ritiene che la scelta della legge o della giurisdizione straniera possano, entro certi limiti, avvenire anche con riguardo a una fattispecie i cui elementi materiali siano localizzati interamente all’interno dell’ordinamento, in questi casi bisogna ritenere che la volontà costituisca un elemento sufficiente ad assicurare l’internazionalità della fattispecie. 3. Le norme di conflitto Le fattispecie che presentano caratteri di estraneità rispetto all’ordinamento interno sono regolati prevalentemente dalle norme di conflitto, il cui scopo è prevedere dei criteri per l’individuazione del diritto applicabile (art.1 l. 218/1995). Queste norme si chiamano così perché figurativamente risolvono il conflitto tra i vari ordinamenti cui la fattispecie è collegata e che perciò sarebbero, in astratto, idonei a regolarla; ma sarebbe più corretto chiamarle “norme di scelta di legge”, perché quello che fanno è operare una scelta tra i vari ordinamenti collegati alla fattispecie. Le norme di conflitto hanno dunque natura strumentale, perché non disciplinano direttamente la fattispecie, ma fungono da strumento per assegnare questo compito ad altre norme. Le norme di conflitto contenute nella l. 218/1995 sono raggruppate per materie similmente a quanto fa il c.c. (persone e famiglia, successioni, diritti reali, obbligazioni e contratti, società) e hanno ad oggetto i vari istituti privatistici. Vi è una norma di conflitto diversa per ogni istituto ritenuto meritevole di autonoma considerazione dal punto di vista della legge applicabile (cioè, di un criterio di collegamento appropriato); perciò, l’ampiezza degli istituti contemplati dalle norme di conflitto varia a seconda della materia regolata. Ancora prima dell’entrata in vigore dell’attuale sistema di diritto internazionale privato, la dottrina sosteneva il riconoscimento automatico dell’operatività nel foro delle situazioni giuridiche che trovano fonte in atti della pubblica autorità estera, indipendentemente dal fatto che fossero state determinate per legge, per sentenza, per atto amministrativo, ecc. Ciò implicava riconoscere gli effetti sostanziali (non quelli processuali) dei provvedimenti stranieri in base alle norme di conflitto, e non a quelle sul riconoscimento; le materie per cui era stato teorizzato il riconoscimento automatico delle situazioni create da atti della pubblica autorità erano quelle attinenti alla persona, ai rapporti di famiglia e ai diritti reali su immobili siti all’estero. Si parla al riguardo di riconoscimento internazionalprivatistico. Con l’art. 65 della l. 218/1995 il legislatore della riforma ha recepito la dottrina del riconoscimento internazionalprivatistico dei provvedimenti stranieri, estendendolo anche agli effetti processuali. Infatti, è previsto che in materia di capacità, diritti della personalità e rapporti di famiglia il riconoscimento dei provvedimenti stranieri avvenga sulla base delle norme di conflitto, salva la verifica del rispetto dell’ordine pubblico e dei diritti della difesa. L’art. 66 estende il riconoscimento in base alle norme di conflitto anche ai provvedimenti di volontaria giurisdizione (i quali hanno anch’essi ad oggetto status personali e familiari). Rispetto al riconoscimento internazionalprivatistico teorizzato dalla dottrina, l’art. 65 non contempla i diritti reali su immobili siti all’estero; si discute se un riconoscimento in base alle norme di conflitto, limitatamente agli effetti sostanziali dei provvedimenti stranieri, possa ancora avvenire o no. La struttura delle norme di conflitto si differenzia da quella delle norme tradizionali (“se A allora B”), in quanto per ciascuna materia, individuata per mezzo delle categorie giuridiche del diritto privato, la norma indica alcune particolari circostanze fondate su connessioni di tipo personale o territoriale che il legislatore ha ritenuto idonee a localizzare la vicenda all’interno di un determinato ordinamento giuridico (cd. norme di collegamento), che viene designato per la regolamentazione della fattispecie. Anche se tradizionalmente si parla di “legge applicabile”, il richiamo internazionalprivatistico in realtà concerne non una legge determinata, ma un ordinamento nel suo complesso. Si ritiene che, in alcune materie (quelle in cui più frequentemente incidono sulle fattispecie atti dell’autorità pubblica, piuttosto che dalla legge, come ad es. la capacità matrimoniale), il richiamo delle norme di conflitto non sia limitato alla disciplina normativa, ma viene esteso anche alle situazioni che derivano da atti della pubblica autorità. 9 Le norme di conflitto sono collocate su tre diversi livelli di fonti: Livello interno: le norme interne di conflitto sono contenute negli artt. 20-63 (tranne art. 22 parz., 32, 37, 40, 41, 42, 44 e 50 parz.) della l. 218/1995; ci sono anche alcune rare norme di conflitto al di fuori della l. 218. Livello convenzionale: una delle principali convenzioni internazionali contenenti norme di conflitto uniformi è la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, richiamata dall’art. 57 della l. 218/1995, ora sostituita dal Reg. CE 593/2008. Livello comunitario: norme uniformi di conflitto sono contenute nel Reg. CE 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, nel Reg. CE 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, e nel Reg. CE 4/2009 sulle obbligazioni alimentari nella famiglia. 4. Funzione delle norme di conflitto Ci sono diverse tesi sulla funzione delle norme di conflitto: la tesi della funzione unilaterale introversa dice che il compito delle norme di conflitto è quello di delimitare l’ambito di applicazione del diritto interno, mentre nei casi non sottoposti alla legge italiana si deve applicare quel diritto straniero che afferma la propria competenza; la tesi della funzione laterale estroversa dice che le norme di conflitto hanno il compito di rendere applicabile il diritto straniero, mentre l’applicabilità della legge italiana avviene per forza propria (e non in conseguenza dell’operare delle norme di conflitto); infine, la tesi della funzione bilaterale dice che le norme di conflitto possono rendere applicabile indifferentemente il diritto interno o straniero a seconda del modo di porsi, in concreto, delle circostanze assunte come criteri di collegamento. Le norme di conflitto di fonte convenzionale e comunitaria hanno sempre funzione bilaterale, dato che non si pongono dal punto di vista di un particolare ordinamento nazionale; quindi, la disputa riguarda solo le norme di conflitto interne. Anche qui, la tesi che sembra adattarsi meglio alla l. 218/1995 è quella della funzione bilaterale, perché quasi tutte le norme di conflitto contenute nella legge possono condurre indifferentemente all’applicazione del diritto italiano o del diritto straniero, a seconda di come sarà in concreto la circostanza assunta come criterio di collegamento. È vero che esistono anche nella l. 218/1995 alcune norme di conflitto unilaterali, strutturate in modo tale da designare solamente la legge italiana per la regolamentazione delle fattispecie transnazionali; questo perché, secondo il legislatore, la lex fori garantisce un determinato risultato materiale ritenuto imprescindibile rispetto alle materie regolate (è un’applicazione del metodo delle considerazioni materiali). Queste norme sono comunque da considerarsi un’eccezione rispetto alla regola del metodo bilaterale. 5. I metodi utilizzati per la scelta di legge I metodi utilizzate per la scelta di legge sono due: il metodo classico, che prevede una circostanza (cd. criterio di collegamento) idonea a localizzare la fattispecie all’interno di un determinato ordinamento, in virtù del fatto che essa rivela una connessione particolarmente significativa con gli elementi materiali (territorio e/o popolazione) dello stesso; il metodo della localizzazione spaziale (derivante dalla teoria della sede del rapporto elaborata da Savigny): è quello largamente più utilizzato; prevede che la fattispecie venga regolata dalla legge dello Stato con cui presenta il collegamento più significativo, ed è proprio in ciò che si ritiene consista quella che viene definita la giustizia di d.i.p. Inoltre, l’utilizzazione di criteri di collegamento sedimentati dalla prassi, perché considerati di intrinseca ragionevolezza, favorisce l’armonia delle soluzioni anche a livello internazionale (cioè la possibilità che i vari sistemi nazionali di d.i.p. in conflitto adottino la stessa legge in virtù dello stesso criterio di collegamento, consentendo di pervenire alla medesima soluzione indipendentemente dal giudice adíto). Abbiamo già visto come, in alcune materie, il richiamo delle norme di conflitto non è limitato alla disciplina normativa, ma è esteso anche alle situazioni che derivano da atti della pubblica autorità; secondo un’autorevole dottrina, non si tratterebbe solo di una variante del metodo della localizzazione spaziale, ma proprio un metodo diverso, del “richiamo dell’ordinamento competente in blocco”. 10 In alcune materie che coinvolgono interessi particolarmente delicati, il legislatore considera essenziale il raggiungimento di un determinato risultato: in questi casi, si utilizza il metodo delle considerazioni materiali, mediante il quale il legislatore designa l’ordinamento che meglio garantisce il risultato che egli intende perseguire. Le modalità attraverso cui il risultato viene perseguito variano a seconda dei casi: a volte il risultato materiale è garantito dalla legge italiana: o come limite al funzionamento delle norme di conflitto (norme di applicazione necessaria), o perché viene designata da alcune norme particolari di conflitto (cd. norme unilaterali di conflitto); a volte vengono utilizzati una pluralità di criteri di collegamento (fondati sulla localizzazione di tipo spaziale ma) in concorso alternativo tra loro, di modo che è sufficiente che uno solo conduca alla legge che realizzi il risultato avuto di mira dal legislatore per essere utilizzato a preferenza degli altri; a volte la norma di conflitto compie un richiamo cumulativo a una pluralità di leggi applicabili, di modo che una particolare fattispecie coinvolgente più Stati venga a perfezionarsi in conformità alle leggi di tutti i Paesi interessati; altre volte, il metodo delle considerazioni materiali si combina con quello della localizzazione spaziale, perché il legislatore detta una norma di d.i.p. materiale per limitare la portata del richiamo della legge designata dalla norma del conflitto, in funzione di un determinato risultato da raggiungere; altre volte, si attua il metodo delle considerazioni materiali attraverso delle disposizioni che circoscrivono il rinvio ai casi in cui esso realizza il risultato voluto dal legislatore. 6. I principi di applicazione delle norme di conflitto Negli anni ’80, la Corte Costituzionale ha sconfessato l’insindacabilità costituzionale delle norme di conflitto (giustificata dal loro carattere strumentale), ritenendo che anch’esse debbano essere messe a confronto con le scelte di fondo di carattere costituzionale, in base a una valutazione di conformità alla Costituzione operata in astratto ed ex ante. In passato oggetto di disputa, oggi però non è più in dubbio l’applicabilità d’ufficio delle norme di conflitto, anch’esse sottoposte quindi al principio iura novit curia (lett. il giudice conosce le leggi; la legge non deve essere provata al giudice, perché egli la conosce a prescindere da ogni attività delle parti). Naturalmente, l’applicabilità d’ufficio delle norme di conflitto ha come presupposto logico l’accertamento d’ufficio dei presupposti per l’applicabilità del sistema di d.i.p. (gli elementi di estraneità della fattispecie), nonché delle circostanze utilizzate per l’individuazione del diritto applicabile (criteri di collegamento). Tuttavia, dato che il processo civile si svolge in Italia ed è regolato dalla legge italiana (art. 12 l. 218/1995), il necessario coordinamento con il principio processuale dell’onere della prova impone di subordinare l’accertamento d’ufficio della circostanza utilizzata come elemento di estraneità e/o come criterio di collegamento al fatto che essa “risulti in modo indubbio e pacifico dagli atti di causa o sia oggetto di allegazione e di prova” (sentenze Cass. Sez. un. 597/1991 e 13087/2009). Se e quando la circostanza appartiene agli atti del giudizio, il giudice ne deve tener conto indipendentemente da un’allegazione di parte. Invece, la sopraccitata sentenza 13087/2009 sembra invece richiedere che l’applicazione della legge straniera sia oggetto di una specifica richiesta della parte; ma negare l’esistenza di un potere-dovere in capo al giudice di rilevare d’ufficio gli elementi di estraneità della fattispecie applicando (anche d’ufficio) il diritto materiale designato dal sistema di diritto internazionale privato equivarrebbe a rendere facoltativa l’applicazione della stessa norma di conflitto, e ciò non è condivisibile. 7. Limiti al funzionamento delle norme di conflitto Esistono delle norme che pongono determinati limiti al funzionamento delle norme di conflitto: a) Limiti preventivi: norme che disciplinano materialmente (in tutto o in parte) le fattispecie transnazionali, prevenendo alla radice il conflitto di leggi. Ne esistono due categorie: o norme di d.i.p. materiale, aventi ad oggetto solo le fattispecie con elementi di estraneità; 11 o norme cd. di applicazione necessaria, contemplate da un’apposita norma di funzionamento (art. 17 l. 218/1995) in applicazione del metodo delle considerazioni materiali: consistono in norme interne che, in ragione del loro oggetto o del loro scopo, richiedono di essere comunque applicate (per forza propria e non in virtù della designazione operata dalle norme di conflitto) non solo, ma anche alle fattispecie con elementi di estraneità. b) Limite successivo (stabilito dall’art. 16 l. 218/1995): è costituito dall’ordine pubblico, che opera come una barriera destinata a impedire l’applicazione del diritto straniero, pur designato dalle norme di conflitto, quando esso contrasti con i principi e i valori fondamentali su cui si basa il nostro ordinamento. 8. I criteri di collegamento: natura giuridica e classificazione I criteri di collegamento funzionano “come un ponte, che collega una fattispecie a un determinato ordinamento giuridico” (Raape). Vengono detti criteri di collegamento: le circostanze oggettive o soggettive contemplate nella fattispecie astratta delle (e solo delle) norme di conflitto bilaterali; idonee ad esprimere un collegamento significativo tra l’elemento della fattispecie da regolare (individuato dalla norma di conflitto mediante riferimento ad un istituto giuridico) e un determinato Stato, dove la vicenda viene localizzata; al fine di trarre dall’ordinamento dello Stato con cui la fattispecie è collegata la legge applicabile al caso, secondo il metodo della localizzazione spaziale. Nella prassi recente, a volte il legislatore rinuncia a individuare un collegamento specifico per una determinata situazione, valorizzando il legame che questa presenta con una fattispecie più ampia: si parla in questo caso di collegamento accessorio. I criteri di collegamento si distinguono in personali (esprimono una connessione con la popolazione dello Stato) e territoriali (con il suo territorio). Un criterio a parte è quello della volontà delle parti, perché rimanda direttamente all’ordinamento prescelto dalle parti. Unico criterio personale è quello della cittadinanza. I criteri territoriali si distinguono in: o soggettivi: quando la localizzazione territoriale si riferisce a dei soggetti (es. domicilio del rappresentante); o oggettivi: quando si riferisce ad altri elementi della fattispecie da regolare (es. luogo di situazione dei beni); o un criterio misto è quello della prevalente localizzazione della vita matrimoniale, perché costituisce una sintesi di vari criteri territoriali, soggettivi e oggettivi. Si distinguono poi: criteri di fatto: attengono ad elementi presenti in natura, riscontrabili mediante l’esperienza; criteri giuridici: espressi mediante concetti giuridici, valutabili secondo un unico parametro. Il rapporto tra criteri di collegamento ed elementi di estraneità della fattispecie all’ordinamento italiano è il seguente: quando la circostanza (concreta) è elemento di estraneità all’ordinamento italiano, e viene utilizzata anche come criterio di collegamento (astratto), si applica la legge straniera designata dalla norma di collegamento; quando l’elemento di estraneità della fattispecie è una circostanza diversa da quella utilizzata come criterio di collegamento, ciò significa che il criterio designa la legge italiana. 9. Concorso di criteri di collegamento Ci sono due casi in cui le norme di conflitto designano una pluralità di criteri di collegamento: si parla di concorso alternativo quando la scelta viene effettuata in relazione al risultato a cui mira il legislatore, in attuazione del metodo della considerazioni materiali per la soluzione dei conflitti di leggi. 12 si parla di concorso successivo (o criteri sussidiari) quando esiste una graduatoria dei vari criteri di collegamento, per cui, solo se i primi criteri designati non funzionano, vi subentrano i secondi. La gerarchia dei criteri è basata sul maggiore o minore grado di significatività del collegamento che essi presentano con la fattispecie contemplata dalla norma di conflitto. 10. Le norme di diritto internazionale privato materiale Le norme di diritto internazionale privato materiale stabiliscono direttamente la disciplina materiale della fattispecie con elementi di estraneità, pertanto, ai fini della loro applicazione devono prevedere espressamente nella fattispecie l’elemento di estraneità. Le norme di d.i.p. materiale sono poco diffuse a livello interno, ma molto di più in quello convenzionale; una disciplina materiale uniforme di alcune categorie di fattispecie transnazionali si rinviene anche nelle norme di diritto privato dell’Unione europea che regolano fattispecie specifiche. Presentano una certa affinità con le norme di diritto internazionale privato materiale le disposizioni di lex mercatoria (serie eterogenea di regole contrattuali di carattere non statuale, diffuse nel commercio internazionale). Rientrano nell’ambito della lex mercatoria sia i principi Unidroit, sia particolari modelli (es. leasing, factoring, performance bond) e clausole contrattuali specifiche che derivano dalla prassi consuetudinaria o sono elaborati da associazioni di categoria o da organizzazioni non governative. Si tratta di una regolamentazione uniforme, diretta a superare il particolarismo delle leggi nazionali. I procedimenti arbitrali, proprio perché sono espressione di una giustizia privata, costituiscono la sede privilegiata per l’applicazione della lex mercatoria (ciò vale specialmente per gli arbitrati amministrati, i cui regolamenti consentono che le parti non solo possano scegliere la legge, ma più ampiamente le regole di diritto applicabili). Però, al di fuori dell’arbitrato, sembra inevitabile ritenere che la lex mercatoria possa avere rilievo solo se le sue disposizioni sono contemplate dall’ordinamento richiamato dalla norma di conflitto, con la posizione gerarchica che in quell’ordinamento è loro riconosciuta. Le norme di diritto internazionale privato materiale hanno la precedenza sulle norme di conflitto; si deve però tenere presente che spesso queste norme non disciplinano interamente la fattispecie, nel qual caso per gli aspetti non regolati bisogna ricorrere alle norme di conflitto. 11. Le norme sulla competenza giurisdizionale Le norme sulla giurisdizione (o competenza giurisdizionale o internazionale) hanno natura processuale, in quanto designano il giudice competente a pronunciarsi sulle fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità rispetto all’ordinamento interno. In generale, la competenza del giudice può essere esterna o interna: quella regolata dalle norme di d.i.p. processuale è quella esterna, e designa il potere dei giudici di uno Stato di decidere determinate cause (mentre la competenza interna è la frazione di giurisdizione che spetta all’uno o all’altro dei vari giudici all’interno dello Stato). Le norme sulla giurisdizione contengono la previsione di determinate circostanze, di carattere soggettivo o oggettivo (criteri di giurisdizione), idonee a esprimere una connessione, di tipo personale o territoriale, tra la fattispecie astratta e lo Stato, ritenuta così significativa da giustificare l’attribuzione della competenza giurisdizionale al giudice del foro (benché la fattispecie presenti collegamenti anche con altri Stati). Le norme sulla giurisdizione possono dettare criteri che valgono in generale, oppure criteri speciali, che valgono solo per le fattispecie che attengono a determinate materie. Anche le norme sulla giurisdizione si articolano su tre livelli di fonti in cui è strutturato il diritto internazionale privato italiano: a livello interno: hanno carattere unilaterale, cioè delimitano unicamente la competenza del giudice italiano (ad es., gli artt. 3-12 l. 218/1995 dettano criteri di carattere generale, mentre gli artt. 22, 32, 37, 40, 42, 44 e 50 dettano criteri per materie specifiche); a livello comunitario: designano il giudice competente tra quelli degli Stati destinatari del regolamento (solitamente designano direttamente il giudice territorialmente competente). Contengono norme di questo tipo i Reg. CE 1346/2000, 44/2001, 2201/2003, 1896/2006, 861/2007 e 4/2009; a livello convenzionale: designano il giudice competente tra quelli degli Stati parti della convenzione (ma attraverso un’indicazione generica, non menzionano direttamente gli Stati). Alcune norme speciali in tema di giurisdizione sono previste anche al di fuori della l. 218/1995. 13 12. I criteri di giurisdizione Essi sono circostanze idonee ad esprimere un collegamento della fattispecie con un determinato Stato (più precisamente con i suoi elementi materiali costituiti dal territorio e dalla popolazione), ritenuto significativo al fine dell’attribuzione al giudice della competenza giurisdizionale. Esistono criteri di giurisdizione personali o territoriali, a seconda che il collegamento con lo Stato avvenga a livello di popolazione o di territorio. Un criterio a parte è quello della volontà delle parti, che non richiede un collegamento personale o territoriale della fattispecie con lo Stato. Anche qui, unico criterio personale è la cittadinanza; i criteri territoriali si distinguono in soggettivi (la localizzazione territoriale è riferita ai soggetti) e oggettivi (la localizzazione territoriale è riferita ad altri elementi della fattispecie). Vale inoltre la distinzione già vista tra criteri di fatto e criteri giuridici. I criteri di giurisdizione generali valgono per tutta la materia civile e commerciale; quelli speciali invece valgono solo per specifiche materie. A loro volta, i criteri di giurisdizione speciali possono essere: alternativi (o sussidiari): concorrono con i criteri generali o con altri criteri speciali, nel senso che vengono individuati fori speciali concorrenti, tutti forniti di competenza rispetto alla lite concreta. La scelta del criterio, e quindi del foro, spetta all’attore; esclusivi: quando, per specifiche materie, individuano la giurisdizione escludendo il funzionamento dei criteri generali. Il rapporto tra criteri di giurisdizione ed elementi di estraneità della fattispecie rispetto all’ordinamento del foro è il seguente: quando in concreto l’elemento di estraneità è costituito dalla stessa circostanza assunta in astratto come criterio di giurisdizione, le norme di diritto internazionale privato processuale stabiliscono l’incompetenza del giudice del foro; quando in concreto l’elemento di estraneità è costituito da una circostanza diversa da quella assunta in astratto come criterio di giurisdizione, c’è la competenza giurisdizionale del giudice del foro. 13. Concorso di criteri di giurisdizione Come per i criteri di collegamento, anche per quelli di giurisdizione è possibile che ci sia un concorso di criteri che individuano una pluralità di fori competenti in ordine alla medesima fattispecie: concorso tra criteri di giurisdizione generali e criteri speciali alternativi; concorso tra diversi criteri speciali alternativi; concorso di fori principali competenti, pur in presenza di un unico criterio di giurisdizione (nei regolamenti comunitari): quando la determinazione del significato di un (apparentemente) unico criterio di giurisdizione presuppone il richiamo a una pluralità di collegamenti materiali, e quindi è come se si avesse una pluralità di criteri di giurisdizione generali alternativamente competenti; concorso di criteri di giurisdizione che portano a una pluralità di fori facoltativi, dinnanzi ai quali il convenuto può essere citato in giudizio, in particolari ipotesi di connessione oggettiva o soggettiva di cause. 14. Il criterio di connessione della cittadinanza È un criterio giuridico e a carattere personale, che viene usato come criterio di collegamento, sia di giurisdizione. La cittadinanza è uno status, che esprime l’appartenenza di un soggetto ad una determinata comunità nazionale, fonte di diritti ed obblighi; per il suo acquisto, si seguono due criteri fondamentali: quello dello ius sanguinis (prevalente in Italia): la l. 91/1992 prevede quattro modi di acquisto della cittadinanza (nascita e fatti equiparati, iuris communicatio [trasmissione della cittadinanza da un membro della famiglia ad un altro, ad esempio, per matrimonio o adozione], beneficio di legge e naturalizzazione). quello dello ius soli. 14 Nel sistema di diritto internazionale privato, la cittadinanza è contemplata come criterio di collegamento e di giurisdizione in varie disposizioni. Ogni Stato ha competenza esclusiva nell’attribuire la propria cittadinanza, con la conseguenza che i Tribunali interni non possono accertare la cittadinanza straniera, se non incidentalmente, in quanto situazione riconosciuta dallo Stato competente. Il criterio della cittadinanza è utilizzato quando si tratta di regolare gli stati personali e familiari, mentre nelle altre materie tende ad essere sostituito da criteri territoriali. 15. Il criterio di connessione della volontà Nel diritto internazionale privato, le parti hanno la possibilità di scegliere la legge e il foro; la volontà privata funziona dunque come criterio di collegamento e di giurisdizione sui generis, di natura personale. La scelta di legge è prevista solo in determinate materie: per le obbligazioni contrattuali (Reg. CE 593/2008), per determinati negozi diversi dal contratto (la l. 218/1995), per le obbligazioni extracontrattuali (Reg. CE 864/2007), per le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia (Reg. CE 4/2009), per la legge applicabile a separazione e divorzio (Reg. 1259/2010). La scelta di legge incontra però un limite nelle norme inderogabili dell’ordinamento al quale si riferiscono gli elementi della fattispecie rilevanti come possibili criteri di collegamento (per evitare che venga usata come strumento per sottrarre il negozio all’applicazione di norme inderogabili). La volontà privata può essere usata anche come criterio di giurisdizione dalle norme di d.i.p. processuale: in questo caso, le parti possono scegliere se farsi giudicare dal giudice di un Paese piuttosto che di un altro (o di deferire ad un arbitrato internazionale). La scelta della giurisdizione è ammessa dall’art.4 l. 218/1995, dal Reg. CE 44/2001, dal Reg. CE 2201/2003 (in misura più limitata, e solo relativamente alla responsabilità genitoriale), dal Reg. CE 4/2009 (in misura più limitata, in materia di obbligazioni alimentari della famiglia). Il Reg. CE 593/2008 (che sostituisce la Convenzione di Roma, richiamata “in ogni caso” dalla l. 218/1995) deferisce alla legge che sarebbe applicabile se l’atto fosse valido anche le questioni relative all’esistenza e alla validità dell’atto con cui si compie la scelta di legge. L’esistenza e la validità dell’atto di scelta del foro competente sono sottoposte alla legge designata dalla Convenzione di Roma (in virtù del richiamo della l. 218/1995). L’aspetto della capacità giuridica è regolato da delle norme di conflitto (art. 20 e 23 l. 218/1995). 16. Le norme sul riconoscimento e l'esecuzione degli atti e dei provvedimenti stranieri Le norme sul riconoscimento e l’esecuzione degli atti giuridici stranieri (in particolare, le sentenze) hanno duplice natura: processuale: quando subordinano il riconoscimento e/o l’attuazione ad un procedimento giudiziale; sostanziale: quando prevedono in modo automatico l’estensione nel nostro ordinamento dell’efficacia dell’atto o provvedimento straniero (che ha quindi la stessa operatività che aveva nel paese d’origine). In base all’efficacia, le sentenze si distinguono in: dichiarative (accertano qualcosa), costitutive (es. divorzio), di condanna. Queste ultime si distinguono dalle prime due perché gli effetti della sentenza di condanna si producono nella realtà materiale, perciò è necessario un titolo esecutivo che dia attuazione pratica alla regola stabilita nella sentenza da eseguire; il riconoscimento del titolo esecutivo è dunque funzionale al riconoscimento dell’efficacia esecutiva. Il riconoscimento dell’efficacia dichiarativa e costituiva avviene di norma automaticamente; invece, l’esecuzione normalmente ha bisogno di un particolare procedimento giurisdizionale volto a concederla. Le norme sul riconoscimento si possono distinguere in generali (dettano criteri di riconoscimento che operano indipendentemente dalla materia su cui incide l’atto) o speciali (contengono anche l’indicazione della materia a cui si riferiscono). 15 Anche le norme sul riconoscimento si articolano nei tre livelli in cui è strutturato il diritto internazionale privato italiano: interno: le norme sono contenute nella l. 218/1995, e al di fuori di essa in alcune leggi speciali (ad es. in materia di adozione); comunitario: ci sono importanti regolamenti che disciplinano anche il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e degli atti equiparati provenienti dagli Stati membri (Reg. CE 1346/2000, 44/2001, 1206/2001, 2201/2003, 805/2004, 1896/2006, 861/2007 e 4/2009); convenzionale: vi sono numerose convezioni in materia, tra cui è importante segnalare la Convenzione di Bruxelles (sostituita dal Reg. 44/2001). Le norme su riconoscimento necessitano di prevedere le condizioni da cui dipendono il riconoscimento e l’esecutività degli atti. Le varie disposizioni indicano come requisiti per il riconoscimento: il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa; la definitività del provvedimento da riconoscere; il rispetto di determinate regole di competenza giurisdizionale; l’assenza di litispendenza e la non contrarietà di altre decisioni relative alle medesime parti; la non contrarietà delle disposizioni del provvedimento straniero con l’ordine pubblico dello Stato che lo deve riconoscere. Si parla di attuazione del provvedimento quando esso, per produrre gli effetti cui è preordinato, richiede l’esercizio di un potere pubblico. Quando l’attuazione si concreta in un’esecuzione forzata, il riconoscimento dell’efficacia esecutiva è subordinato alla previa verifica che il provvedimento possegga i requisiti per il riconoscimento: le norme di d.i.p. demandano il controllo a un organo giurisdizionale, che in Italia è la Corte di appello del luogo dove deve avvenire l’attuazione. In casi particolari previsti dai Reg CE, il riconoscimento dell’esecuzione può avvenire automaticamente, bastando una certificazione dell’autorità di origine. 17. Le regole di funzionamento Le regole di funzionamento (o di sistema) servono a stabilire attraverso quali modalità, condizioni e limiti può avvenire l’applicazione da parte del giudice italiano del diritto straniero, nel caso in cui lo stesso venga designato dalle norme di conflitto italiane. Esse stabiliscono: quando la designazione della legge straniera si riferisca a norme sostanziali, e quando a norme di conflitto (le quali, a loro volta, potrebbero operare un richiamo ad un’altra legge: problematica del rinvio, art. 13 l. 218/1995); come deve essere ricercata, interpretata e applicata la legge straniera designata dalle norme di conflitto, e cosa deve fare il giudice se non riesce a pervenire a conoscenza di questa legge (conoscenza, interpretazione e applicazione della legge straniera, artt. 14-15 l. 218/1995); in quali casi la legge straniera designata dalle norme di conflitto non può essere applicata per contrasto coi principi fondamentali dell’ordinamento italiano, e cosa deve fare il giudice in questi casi (limite dell’ordine pubblico, art. 16 l. 218/1995); quali sono le norme dell’ordinamento italiano da considerare irrinunciabili, e quindi da applicare nonostante il richiamo alla legge straniera fatto dalle norme di conflitto (norme di applicazione necessaria, art. 17 l. 218/1995); come deve essere individuato il diritto straniero applicabile nei casi in cui nell’ordinamento straniero designato coesistano più sistemi legislativi (problematica degli ordinamenti plurilegislativi, art. 18 l. 218/1995); come si determina la legge nei casi in cui il collegamento di cittadinanza non funziona perché la persona è apolide, rifugiata, o ha più cittadinanze (problematica degli apolidi, dei rifugiati, e delle persone con più cittadinanze, art. 19 l. 218/1995). 16 18. L'interpretazione delle norme di diritto internazionale privato Tutte le norme di diritto internazionale privato utilizzano delle espressioni giuridiche sia per determinare il loro ambito di applicazione, sia per rappresentare i criteri di collegamento e di giurisdizione, sia per il riconoscimento. In tutti questi casi, è necessario interpretare i concetti giuridici utilizzati da queste norme; il problema è quello di stabilire qual è, tra i vari ordinamenti collegati con la fattispecie, quello da cui devono essere tratti i principi da utilizzare per l’interpretazione. 19. Segue: la qualificazione Con l’espressione “qualificazione” la dottrina può intendere tre diverse operazioni intellettuali: 1) l’interpretazione dei concetti giuridici utilizzati per definire l’ambito di applicazione del diritto internazionale privato; 2) la vera e propria qualificazione giuridica della fattispecie concreta (riconduzione della fattispecie nell’ambito di una delle categorie giuridiche di riferimento); 3) la sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito di una norma astratta di d.i.p. L’operazione di qualificazione può condurre ad esiti diversi, proprio perché presuppone un parametro normativo di riferimento, alla stregua del quale determinare il significato delle categorie giuridiche utilizzate per circoscrivere l’ambito di applicazione delle norme di diritto internazionale privato. La legge di diritto internazionale privato italiano non si pronuncia su quale ordinamento debbano essere tratti i principi per la qualificazione, lasciando spazio a diverse teorie. La tesi maggioritaria sostiene che la qualificazione deve essere compiuta nell’ambito del sistema giuridico cui la norma di d.i.p. appartiene, pur ammettendo l’utilizzo di alcuni principi contemplati dagli ordinamenti stranieri cui la fattispecie è collegata (norme di d.i.p. di fonte comunitaria o convenzionale). Secondo un’altra tesi (non convincente), la qualificazione andrebbe operata alla luce dell’ordinamento competente a regolare la fattispecie (lex causae). Secondo un’ulteriore tesi (non convincente), la qualificazione andrebbe svolta mediante gli strumenti della comparazione giuridica e della giurisprudenza analitica, ricercando una sorta di significato comune dei concetti e delle norme di diritto internazionale privato idoneo a ricomprendere il significato che essi hanno nei vari ordinamenti nazionali. La qualificazione della fattispecie concreta è funzionale all’individuazione della norma di d.i.p. applicabile; ma, quando la norma applicabile è una norma di conflitto straniera, si pone il problema di qualificarla secondo le norme dell’ordinamento straniero (problema della seconda qualificazione, descritto da Vitta). L’art. 13 della l. 218/1995 introduce, in determinate materie, l’istituto del rinvio. Esso attribuisce rilievo al richiamo internazionalprivatistico operato dalla norma di conflitto dell’ordinamento straniero (designata dalla norma del foro), e comporta la necessità di compiere ulteriori qualificazioni oltre a quella eseguita in base al sistema di diritto internazionale privato vigente nel foro, in base al principio posto dall’art. 15 della l. 218/1995, per cui il diritto straniero va interpretato secondo le categorie giuridiche sue proprie. 20. Segue: l'interpretazione dei criteri di connessione e dei requisiti per il riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri Una volta compiuto il processo di qualificazione, si pongono altri problemi di interpretazione: infatti, anche le circostanze assunte dalle norme di diritto internazionale privato come criteri di collegamento o di giurisdizione, o come requisiti per il riconoscimento, possono consistere in elementi di fatto, ma più spesso consistono in concetti giuridici. In alcuni casi, le norme di d.i.p. esplicitano alla stregua di quale ordinamento deve essere fatta la valutazione, mentre per i casi non regolati (che sono la maggior parte), come per la qualificazione si ritiene che l’interpretazione dei concetti giuridici utilizzati dalle norme di d.i.p. debba essere condotta alla stregua dei principi del sistema giuridico cui appartiene la disposizione di d.i.p. da interpretare (sentenza Cassazione). 17 Una deroga al principio dell’interpretazione dei criteri di connessione alla luce del sistema giuridico in cui la norma è inserita deve essere riconosciuta per il criterio della cittadinanza. Vale la regola stabilita dalla legge svizzera di d.i.p. del 1987, secondo cui la cittadinanza di una persona è determinata secondo il diritto dello Stato di cui deve valutarsi se la persona sia cittadina. L’art. 19 della l. 218/1995 detta apposite regole per disciplinare le ipotesi in cui il criterio della cittadinanza appare di difficile applicazione. 21. La tecnica del depeçage È una particolare tecnica di redazione delle norme di conflitto. Con l’espressione depeçage (dal francese depecer: fare a pezzetti), si intende per l’appunto il frazionamento della fattispecie nei vari aspetti che, in considerazione della loro diversa natura e riconducibilità a categorie giuridiche dotate di rilievo autonomo nel diritto internazionale privato, sono assoggettate a collegamenti diversi al fine della determinazione della legge applicabile (il problema, quindi, si pone solo per le norme di conflitto). 22. La questione preliminare L’espressione questione preliminare, di origine dottrinale, rappresenta l’insieme delle questioni la cui soluzione costituisce un passaggio obbligato nell’iter logico che il giudice deve percorrere per giungere alla decisione del caso sottoposto al suo esame. La l. 218/1995 attribuisce al giudice il potere/dovere di pronunciarsi sulla questione preliminare, mentre non contiene alcuna disposizione riguardo alla legge applicabile, lasciando spazio a numerose teorie in materia. Secondo la teoria cd. dell’assorbimento, si dovrebbe applicare alla questione preliminare la stessa legge applicabile alla questione principale. Un’applicazione della teoria dell’assorbimento, in combinazione con la dottrina del riconoscimento internazionalprivatistico, si rinviene in quell’orientamento giurisprudenziale, formatosi prima della l. 218/1995, in base al quale, quando la soluzione della questione principale dipende dalla soluzione di una questione preliminare che è già stata risolta nell’ordinamento richiamato per la questione principale con un atto della pubblica autorità, il giudice può limitarsi a prenderne atto. Anche secondo la teoria cd. congiunta la questione preliminare è regolata dalla legge designata per la questione principale, solo che in questo caso il riferimento non è alle norme di diritto sostanziale, bensì alle norme di conflitto. Per cui, la questione preliminare va risolta in base ad una legge dell’ordinamento che viene richiamato dalla norma di conflitto per risolvere la questione principale. Secondo una terza teoria, per risolvere la questione preliminare si dovrebbe applicare la legge materiale del foro (quindi, indipendentemente dalla legge utilizzata per risolvere la questione principale). Sembra tuttavia preferibile la teoria cd. disgiunta, in base alla quale la soluzione della questione preliminare deve essere ricercata applicando la legge dell’ordinamento a cui rinvia la norma di conflitto che risolve la questione stessa, e la stessa cosa deve essere fatta per la questione principale e la norma di conflitto che la risolve. La teoria disgiunta ha il vantaggio di non lasciare che una norma di conflitto rimanga inapplicata solo perché, rispetto alla fattispecie concreta, la questione riveste carattere preliminare (in fondo, si tratta di un’applicazione del depeçage). CAPITOLO III – L’APPLICAZIONE DEL DIRITTO STRANIERO 1. Il rinvio Il rinvio (art. 13 l. 218/1995) è il richiamo internazionalprivatistico compiuto dalle norme dell’ordinamento straniero designato dalle norme di conflitto del foro. Il rinvio presuppone quindi che il richiamo di un ordinamento straniero da parte delle norme di conflitto dello Stato del foro sia riferito, in prima battuta, alle norme di conflitto di quell’ordinamento. Il problema si pone quando le norme di conflitto straniere (a cui rimandano le norme di conflitto del foro) non considerano competente l’ordinamento a cui appartengono, ma rinviano “alla legge di un altro Stato”. 18 Questo caso di verifica quando il sistema di conflitto del foro e quello dell’ordinamento straniero utilizzano criteri di collegamento diversi, ma attenzione: anche se i criteri di collegamento sono diversi, il rinvio non opera nei casi in cui le norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento straniero considerano competente l’ordinamento cui esse stesse appartengono. In generale, il rinvio può assumere due configurazioni: cd. rinvio “indietro”: rinvio all’ordinamento del foro; cd. rinvio “oltre” o “altrove”: rinvio all’ordinamento di uno Stato terzo. Mentre prima della l. 218/1995 il rinvio non era ammesso, il legislatore della riforma lo prevede, però solo per certe materie ed entro determinati limiti. Questa scelta, teoria, risponde all’esigenza di favorire l’uniformità delle soluzioni ai problemi internazionalprivatistici nell’ambito degli ordinamenti collegati con la fattispecie, qualunque sia il giudice adito. Questo obiettivo si potrebbe raggiungere solo se il giudice del foro ragionasse come il giudice straniero, secondo la “foreign court theory” (avanzata dai giuristi inglesi ma mai accolta dal nostro legislatore) che consiste nell'applicare la legge che avrebbe applicato il giudice del Paese richiamato dalle norme di conflitto del foro se fosse stato investito della questione. L’art. 13.1 l. 218/1995 ammette il rinvio in due casi: a) rinvio oltre accettato dal diritto dello Stato terzo; se non è accettato, la soluzione che emerge a contrariis dalla lettera della legge sembrerebbe essere quella di applicare le disposizioni materiali dell’ordinamento richiamato dalle norme di conflitto del foro, senza tener conto del rinvio (Picone); b) rinvio indietro al diritto italiano, di cui, per evitare rimbalzi di competenza senza fine, si applicano solo le disposizioni materiali e non quelle di conflitto. Secondo alcune tesi minoritarie, la disposizione dell’art. 13 andrebbe interpretata nel senso che, se il secondo Stato non accetta il rinvio, sarebbe concepibile una pluralità di rinvii fino a raggiungere un ordinamento che lo accetti (cioè che utilizzi un criterio di collegamento che rinvia a quello stesso ordinamento) o che rinvii al nostro. Secondo un orientamento intermedio, la pluralità di rinvii sarebbe ammissibile solo con riferimento al rinvio indietro, perché l’art. 13.1 lett. b) non pone limitazioni al riguardo. L’art. 13.2 stabilisce i seguenti casi di esclusione del rinvio: a) nei casi in cui è ammessa la scelta di legge: quando le parti hanno scelto di applicare il diritto materiale di un ordinamento straniero, non si tiene conto delle norme di d.i.p. di quell’ordinamento (salvo ovviamente che la scelta non cada proprio sulle norme di d.i.p. straniero); b) in materia di forma degli atti, perché il rinvio potrebbe vanificare la pluralità di collegamenti previsti in funzione del favor validitatis (è sufficiente che una sola legge tra quelle designate dai vari criteri di collegamento consideri l’atto valido per affermarne la validità, mentre è necessario che tutte lo considerino invalido per dichiararne l’invalidità); c) in materia di obbligazioni non contrattuali (disposizioni del capo 11° del titolo 3° l. 218/1995), perché i criteri di collegamento posti dalle norme di conflitto sono già preordinati alla ricerca della connessione più stretta. Gli ultimi due commi dell’art. 13 stabiliscono due ulteriori modalità di funzionamento del rinvio: il 3° comma stabilisce che in materia di filiazione (art. 33 l. 218/1995), legittimazione (art. 34) e riconoscimento di figlio naturale (art. 35), il rinvio è ammesso solo se consente lo stabilimento della filiazione (cd. rinvio di favore); per le fattispecie regolate da convenzioni internazionali richiamate dalla l. 218/1995, il 4° comma stabilisce che per il problema del rinvio si segue sempre la soluzione adottata dalla convenzione (se manca una regola espressa, la si dovrà dedurre in via di interpretazione). È dato riscontrare che le convenzione e i regolamenti di unificazione del d.i.p. perlopiù escludono il rinvio; con un certo margine di approssimazione, si può dire che le materie per le quali vale il rinvio sono: persone e famiglia (esclusi separazione e divorzio, protezione dei minori e obbligazioni alimentari nella famiglia), diritti della personalità, persone giuridiche ed altri enti, successioni, diritti reali, donazioni regolate dalla l. 218/1995, titoli di credito (le convenzioni richiamate dall’art.59 ammettono il rinvio per quanto riguarda la capacità ad obbligarsi). 19 Secondo un autorevole orientamento dottrinale (non ci sono precedenti giurisprudenziali), dal combinato disposto degli artt. 13 e 15 (secondo cui la legge straniera è interpretata e applicata secondo i criteri stabiliti dall’ordinamento di appartenenza) si evince che, una volta operata la qualificazione della fattispecie in base alle categorie del sistema giuridico in cui la norma di d.i.p. è inserita, e dopo aver individuato la norma di conflitto del foro applicabile e l’ordinamento straniero da essa designato, se si tratta di materia per cui è previsto il rinvio occorre procedere alla ri-qualificazione della fattispecie in base ai principi dell’ordinamento straniero. Successivamente, si dovrà operare la sussunzione della fattispecie nell’ambito delle norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento straniero richiamato, le quali, a loro volta, potranno ritenere competente l’ordinamento cui appartengono, o rinviare “indietro”, o rinviare “oltre” (nel qual caso, bisognerà procedere ad una terza qualificazione secondo i principi del terzo ordinamento richiamato). Si parla in questo caso di rinvio di qualificazione. 2. Conoscenza e applicazione del diritto straniero L’ambito del diritto straniero richiamato dalle norme di conflitto copre: le norme materiali competenti a regolare la fattispecie (anche quelle di fonte consuetudinaria, e anche quando esse avessero natura pubblicistica nell’ordinamento da cui provengono); le norme di diritto internazionale privato materiale e quelle di applicazione necessaria; le norme contenute nelle convenzioni internazionali efficaci nell’ordinamento straniero (purché ricorrano i presupposti in presenza dei quali il giudice straniero le applicherebbe); le norme di conflitto, nelle materie in cui è ammesso il rinvio; le norme costituzionali e le altre norme pubblicistiche che abbiano effetti anche privatistici (es. norme sulle fonti di diritto, sulle espropriazioni, quelle che subordinano la validità del negozio ad autorizzazioni o a oneri fiscali); in determinate materie, il richiamo delle norme di conflitto si estende anche alle situazioni giuridiche create mediante atti o sentenze della pubblica autorità nell’ordinamento designato (cd riconoscimento internazionalprivatistico dei provvedimenti); N.B. Le decisioni giudiziarie e gli atti pubblici stranieri sono invece oggetto delle disposizioni sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri. L’art. 14 l. 218/1995 sancisce il principio dell’accertamento d’ufficio del diritto straniero. L’accertamento è funzionale all’applicabilità d’ufficio del diritto straniero designato dalle norme di conflitto, al quale viene riconosciuta natura di valore giuridico. Si ritiene che l’obbligo di applicare d’ufficio il diritto straniero presupponga l’obbligo di applicare d’ufficio le norme di conflitto, da cui dipende l’applicabilità del diritto straniero. Si discute se l’obbligo di applicare d’ufficio il diritto straniero valga anche per le norme (straniere) che vengono in rilievo non in forza del richiamo operato dalle norme di conflitto, ma al fine della valutazione della reciprocità di trattamento richiesta dall’art. 16 disp. prel. c.c. Si è sempre ritenuto che, nei limiti in cui il principio di reciprocità è ancora valido (cioè sostanzialmente riguardo i negozi commerciali), spetti alla parte interessata provare che l’ordinamento straniero non discrimina il cittadino italiano; questo principio è stato recentemente affermato dalla Cassazione (anche se, in precedenza, la stessa Cassazione aveva affermato che era il giudice che aveva l’obbligo di accertare d’ufficio il contenuto della legge straniera anche ai fini della reciprocità). Per la conoscenza del diritto straniero, l’art. 14 dice che il giudice può avvalersi della propria scienza o utilizzare vari mezzi di accertamento; naturalmente però, è in primo luogo onere delle parti quello di fornire la massima collaborazione al giudice per reperire elementi utili alla ricerca della legge straniera applicabile. Nell’ipotesi in cui non si riesca ad accertare il contenuto della legge straniera richiamata dalla norma di conflitto, l’art. 14 stabilisce di applicare un’altra legge straniera indicata dai criteri di collegamento eventualmente posti in alternativa per la disciplina della medesima fattispecie, o, ma solo in mancanza, la lex fori (italiana). 20 Nelle materie in cui è previsto il rinvio, le regole sulla conoscenza del diritto straniero si applicano anche alle norme di diritto internazionale privato degli ordinamenti stranieri richiamati dalle norme di conflitto. L’art. 15 l. 218/1995 stabilisce che “la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo”. La disposizione viene intesa con un significato più ampio, ritendendola espressione del principio per cui il diritto straniero deve essere ricercato, interpretato e applicato nella sua globalità, come “sistema giuridico”, facendo ricorso a tutti i criteri ermeneutici utilizzati nell’ordinamento di cui si tratta compresa l’analogia, e tenendo conto delle soluzioni dottrinali e giurisprudenziali, ma senza obbligo per il giudice di acquisirle (Cassazione). Con riguardo all’applicazione, il principio del richiamo globale impone di tener conto di tutte le regole sull’applicazione del diritto, nel tempo e nello spazio, nonché sulla sua validità ed efficacia. La Relazione ministeriale sulla l. 218/1995 precisa che il giudice italiano deve risolvere eventuali questioni di costituzionalità del diritto straniero richiamato dalle norme di conflitto valutandone la legittimità rispetto ai principi dell’ordinamento in cui esse sono inserite; ciò avviene operando direttamente il controllo (se il Paese di cui si tratta prevede un controllo di costituzionalità diffuso), oppure rispettando le decisioni dell’organo a ciò deputato (nei Paesi con controllo di costituzionalità accentrato). L’eventuale contrasto della norma straniera designata dalle norme di conflitto con la Costituzione italiana non dà invece luogo a controllo di costituzionalità, perché la norma straniera non è ricompresa tra quelle per le quali l’art. 134 Cost. prevede il sindacato della Corte Costituzionale. Il principio dell’applicazione globale del diritto straniero ha conseguenze anche con riguardo alla qualificazione della fattispecie concreta: innanzitutto, una volta qualificata la fattispecie in base al sistema del foro, per il principio di globalità il diritto straniero designato dalla norma del foro può essere applicato in base ad un titolo diverso da quello per cui era stato richiamato. In secondo luogo, nelle materie in cui è ammesso il rinvio il principio dell’applicazione globale comporta la riqualificazione della fattispecie alla stregua delle categorie giuridiche dell’ordinamento richiamato dalle norme di conflitto del foro (cd. rinvio di qualificazione), per poi sussumerla correttamente nell’ambito della norma di conflitto straniera che fornirà l’indicazione della legge materiale applicabile. 3. L'individuazione del diritto straniero applicabile all'interno di ordinamenti plurilegislativi L’art. 18 l. 218/1995 prevede l’ipotesi che l’ordinamento straniero richiamato dalla norma di conflitto italiana sia plurilegislativo, cioè articolato in più sottosistemi di legislazione civilistica su base territoriale (Stati federali o unitari con legislazione interna differenziata su base territoriale) o personale (es. ordinamenti diversi a seconda della diversa religione). In questo caso, non può essere usato il criterio di collegamento personale della cittadinanza perché esso richiama l’ordinamento statale nel suo complesso, ma non fornisce alcuna indicazione individuare il sottosistema legislativo utilizzabile. Il legislatore ha stabilito le seguenti regole per l’individuazione della legge applicabile: viene implicitamente affermato il principio secondo cui la norma di conflitto effettua un richiamo dell’ordinamento plurilegislativo nel suo complesso, anche quando vengono utilizzati criteri di collegamento territoriali che potrebbero individuare direttamente il sottosistema competente; nel caso in cui la scelta sia rimessa alle parti, è dubbio se si applichi la regola dell’art.18, o se sia ammessa direttamente la scelta del sottosistema (tesi minoritaria); l’ordinamento plurilegislativo rimanda al sottosistema dal quale trarre le norme applicabili in base alle norme interne; in via sussidiaria, se nell’ordinamento plurilegislativo non esistono regole per la ripartizione della competenza legislativa, il giudice deve ricercare il sottosistema normativo con il quale la fattispecie presenta il collegamento più stretto. Il ricorso al criterio del collegamento più stretto in mancanza di norme sui conflitti interni non è accolto dalla Convenzione di Roma (analogamente al Reg. Roma I che l’ha sostituita) e dal Reg. CE 864/2007. 21 4. L'ordine pubblico L’ordine pubblico è un principio generale del diritto. Esso opera in tutti i casi in cui l’ordinamento statale si apre a valori ad esso estranei attraverso un “rinvio” (in senso ampio): in molti settori del diritto privato, l’ordinamento rimette ai singoli la regolamentazione dei loro interessi, a condizione che siano salvaguardati i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, racchiusi nella formula della liceità, comprendente ordine pubblico, norme imperative e buon costume. L’ordine pubblico viene preso in considerazione anche dalle norme di d.i.p.; per questo si parla di ordine pubblico internazionale. Esso individua il complesso dei principi, posti dalla Costituzione, dal diritto comunitario e dalle leggi, che sono così caratterizzanti da costituire il cardine della struttura etica, sociale e giuridica della comunità nazionale in un determinato momento storico, che quindi devono essere rispettati per mantenere l’armonia del sistema giuridico interno. Tali principi sono generalmente posti da norme imperative, ma possono anche ricavarsi dal sistema. L’ordine pubblico (internazionale), secondo l’art. 16 l. 218/1995, rappresenta un limite all’applicabilità del diritto straniero. Il sistema è completato dagli artt. 64 e seg., i quali prevedono la non contrarietà all’ordine pubblico quale requisito per il riconoscimento degli atti e del provvedimenti stranieri. Anche le convenzioni internazionali e i regolamenti comunitari contemplano le stesse disposizioni sull’ordine pubblico. Comunque, a volte la valutazione di conformità all’ordine pubblico compiuta ai fini del riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri è meno severa di quella compiuta in sede di applicazione del diritto straniero. La nozione di ordine pubblico internazionale non coincide con perfettamente con quella di ordine pubblico interno, che ha un significato più ampio: non tutte le regole che sono sottratte alla disponibilità dei privati (nell’ordine pubblico interno) si prestano ad essere utilizzate come frontiera per la penetrazione nel nostro ordinamento dei valori giuridici stranieri. In ogni caso, la tendenza riscontrabile a livello comunitario e internazionale è quella di fare un uso moderato di questa clausola, che si manifesta nella precisazione che l’incompatibilità deve essere “manifesta”. Una concezione ancora più restrittiva si riviene nella dottrina dell’effetto attenuato dell’ordine pubblico, elaborata in Francia verso gli anni ’50, in base alla quale la clausola dell’ordine pubblico andrebbe applicata solo quando il diritto straniero si manifesti in violazione dei principi di uguaglianza, di non discriminazione e di libertà religiosa. Una concezione restrittiva dell’ordine pubblico è contenuta anche in quell’orientamento della giurisprudenza italiana secondo cui l’ordine pubblico internazionale riguarderebbe solo i principi e i valori condivisi dall’intera comunità internazionale, ed andrebbe applicato solo quando la controversia riguarda solo cittadini stranieri (o presenta una connessione tenue con il nostro ordinamento), mentre si dovrebbe applicare l’ordine pubblico interno alle situazioni che riguardano cittadini italiani, o che presentano un collegamento significativo con il nostro ordinamento. Un punto di equilibrio tra il rispetto della diversità culturale (anche religiosa) e l’esigenza di salvaguardia dell’ordine pubblico è stato affermato da un’importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Refah Partisi e a. c. Turchia), che ha evidenziato la differenza tra la libertà religiosa, che attiene alla coscienza individuale, e la libertà di instaurare rapporti di diritto privato, che dipende dalla legge, sancendo la legittimità del ricorso all’ordine pubblico per inibire l’ingresso nell’ordinamento del foro di regole che prevedono discriminazioni basate sul sesso o sulla religione delle persone interessate. Devono quindi essere disapplicate le leggi straniere che consentono la poligamia, determinati privilegi riconosciuti in sede di divorzio e successioni agli individui di sesso maschile e il divorzio a seguito di ripudio unilaterale del marito. La concezione attenuata dell’ordine pubblico può invece trovare accoglimento in sede di riconoscimento degli atti e provvedimenti stranieri, quando l’atto o il provvedimento straniero è funzionale al riconoscimento di una pretesa di per sé lecita che da esso deriva. In questi casi, viene in considerazione non l’effetto complessivo che la legge straniera produce (che può essere anche contrario all’ordine pubblico), ma solo l’effetto limitato che essa produce sul rapporto da regolare, nel senso che l’ordinamento interno riconosce una pretesa derivante da uno status che nell’ordinamento straniero esiste indipendentemente dal suo mancato riconoscimento in Italia. 22 Questa concezione consentirebbe di riconoscere le situazioni personali e famigliari (status) che soggetti immigrati nel nostro Paese abbiano maturato in base alla loro legge nazionale nell’ordinamento di appartenenza. Quando invece il riconoscimento è funzionale a un’attività che costituisce esplicazione di pubblici poteri (es. trascrizione nei pubblici registri), la valutazione circa la contrarietà all’ordine pubblico deve essere più rigorosa. L’art. 16 l. 218/1995 chiarisce che la contrarietà all’ordine pubblico va valutata rispetto agli effetti che essa produce nel nostro ordinamento, e non rispetto alla legge in quanto tale: questa distinzione permette di fare un’applicazione parziale e selettiva della legge, distinguendo le disposizioni che determinano effetti contrari all’ordine pubblico da quelli che non li determinano. Il risultato contrario all’ordine pubblico può consistere anche nella mancata produzione di determinati effetti o nella mancata previsione di determinati istituti, quantomeno nel caso in cui tale mancanza pregiudica il godimento di diritti fondamentali della persona. Nei casi in cui è ammesso il rinvio, il controllo di compatibilità con l’ordine pubblico investe anche le norme di conflitto straniere. Il legislatore rimette al giudice la prudente valutazione di quali siano i principi di ordine pubblico da tutelare, tenendo presente che la normativa straniera, per essere contraria, deve pregiudicare l’armonia complessiva dell’ordinamento interno. L’individuazione dei principi di ordine pubblico, essendo una questione di diritto, è sindacabile dalla Cassazione. I principi che rientrano nell’area coperta dall’ordine pubblico sono in continua evoluzione (relatività dell’ordine pubblico), perché seguono l’evoluzione delle concezioni morali e sociali, e valgono al momento della pronuncia (Cassazione). Per identificare in concreto i principi di ordine pubblico, oltre ai valori su cui si fonda la comunità nazionale ci si deve basare anche su quelli condivisi dalle nazioni e previsti in appositi trattati internazionali (Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ecc.) Nel caso in cui l’applicazione della norma straniera richiamata da una norma di conflitto interna si riveli contraria all’ordine pubblico, l’art. 16 prevede in primo luogo l’applicazione di criteri di collegamento alternativi o successivi; in mancanza (o se anch’essi conducono all’applicazione di una legge contraria all’ordine pubblico) si applica la lex fori. Nel caso in cui è ammesso il rinvio, se la norma di conflitto straniera produce effetti contrari all’ordine pubblico o designa una legge che li produce, si ritiene che debba trovare applicazione il diritto straniero richiamato per primo, senza tener conto del rinvio. 5. Le norme di applicazione necessaria Le norme di applicazione necessaria, previste dall’art. 17 l. 218/1995, costituiscono un limite preventivo al richiamo del diritto straniero da parte delle norme di conflitto: si tratta di norme interne che, in considerazione del loro oggetto o del loro scopo, sono ritenute irrinunciabili per l’ordinamento italiano, e come tali devono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera eventualmente operato dalla norma di conflitto. La ratio dell’istituto induce a ritenere che non sia necessario l’intervento delle norme di applicazione necessaria se le norme straniere garantiscono un risultato uguale o superiore a quello voluto dalle norme di applicazione necessaria. Ciò costituisce un temperamento all’idea che le norme di applicazione necessaria escludano il funzionamento del sistema di d.i.p. Le norme di applicazione necessaria sono singole disposizioni di carattere sostanziale, che si applicano indifferentemente alle fattispecie interne e a quelle caratterizzate da elementi di estraneità. La loro individuazione è rimessa all’interprete (in particolare al giudice), che deve riguardare l’oggetto e lo scopo della disposizione, che deve perseguire un fine di fondamentale importanza per lo Stato del foro (di solito perché tutelano interessi che trascendono quelli dei singoli). 23 Le norme di applicazione necessaria prevalgono non solo rispetto al diritto straniero richiamato dalle norme di conflitto interne, ma anche rispetto a quello designato dalle norme di conflitto comunitarie e convenzionali (salvo ove non sia diversamente disposto). Dato che l’art. 17 parla solo di norme italiane di applicazione necessaria, ci si chiede se sia possibile rinvenire questo carattere anche in analoghe norme straniere. Distinguiamo che si tratti di norme della legge straniera richiamata o di norme di un Paese terzo che abbia uno stretto legame con la fattispecie. a) Il principio dell’applicazione globale del diritto straniero consente di riconoscere l’esistenza di norme di applicazione necessaria appartenenti all’ordinamento della lex causae (legge, individuata dalle norme sul conflitto di leggi, che disciplina la causa nel merito) anche in materia diversa da quella che ha operato il richiamo, salvo che, per loro natura o per il fatto che richiedano interventi della pubblica autorità, esse escludano di poter essere applicate anche al di fuori dell’ordinamento giuridico a cui appartengono. b) La possibilità di applicare norme imperative di un ordinamento straniero, diverso dalla lex causae, che abbia uno stretto legame con la fattispecie è espressamente prevista per le obbligazioni contrattuali dalla Convenzione di Roma del 1981, richiamata in ogni caso dall’art. 57 l. 218/1995. Il Reg. CE 593/2008, che sostituisce la Convenzione di Roma, prevede la possibilità di applicare norme di applicazione necessaria di un Paese terzo in modo più limitato, stabilendo che “può essere data efficacia anche alle norme di applicazione necessaria del paese in cui gli obblighi derivanti dal contratto devono essere o sono stati eseguiti, nella misura in cui tali norme di applicazione necessaria rendono illecito l’adempimento del contratto. Per decidere se vada data efficacia a queste norme, si deve tenere conto della loro natura e della loro finalità nonché delle conseguenze derivanti dal fatto che siano applicate, o meno”. Per le materie in cui è previsto il rinvio, si ritiene debbano essere tenute in considerazione le norme di applicazione necessaria dell’ordinamento rinviante, le quali potrebbero inibire il funzionamento del sistema di conflitto. 6. Il funzionamento del criterio di collegamento della cittadinanza in casi particolari L’art. 19 l. 218/1995 detta particolari disposizioni per regolare il ricorso al criterio di collegamento della cittadinanza nei casi in cui il soggetto sia apolide (gli manca la cittadinanza), rifugiato (ha abbandonato lo Stato di cui era cittadino per persecuzioni politiche) o sia in possesso di più cittadinanze. Quando invece la cittadinanza è utilizzata come criterio di giurisdizione, la soluzione non va cercata nell’art. 19, ma autonomamente desunta dalla ratio propria delle regole sulla giurisdizione: da questo punto di vista, sia l’apolide che il rifugiato sono comunque stranieri, mentre il possesso della cittadinanza italiana toglie ogni rilevanza all’eventuale possesso di altre cittadinanze, in quanto rappresenta quel collegamento con lo Stato del foro che il legislatore considera sufficiente a giustificare l’esercizio della giurisdizione in determinate materie. L’art. 19.1 stabilisce che, in caso di apolidi o rifugiati, bisogna fare riferimento ai criteri personali del domicilio o, in mancanza, della residenza al posto di quello (personale) della cittadinanza, in conformità a quanto disposto dalle convenzioni internazionali in materia. Per l’ipotesi di pluralità di cittadinanze, l’art. 19.2 individua la legge applicabile in base a due criteri: si ricerca il collegamento più stretto per individuare quale, tra più vincoli formali di cittadinanza, sia maggiormente effettivo; prevalenza della cittadinanza italiana, se tra le cittadinanze vi è quella italiana. In caso di pluralità di cittadinanze di Stati dell’Unione europea, la regola della prevalenza della cittadinanza del foro (nel nostro caso, italiana) deve viceversa intendersi ridimensionata a seguito di alcune pronunce della Corte di Giustizia, le quali hanno stabilito che il principio della prevalenza della legge del foro è in contrasto con i principi comunitari di non discriminazione in base alla nazionalità. L’art. 19 non si applica alle fattispecie regolate da fonti comunitarie o convenzionali che, d’altra parte, per l’ipotesi di pluralità di cittadinanze, spesso stabiliscono il criterio della cittadinanza effettiva. 24 Nel caso di disposizioni che richiamano non la legge nazionale di una persona, ma la legge nazionale comune a più persone (es. artt. 29, 30, 31, 38 della l. 218/1995), l’art. 19 non trova applicazione, perché fa espresso riferimento ai casi in cui viene richiamata la legge nazionale di una persona; inoltre, alcune di queste disposizioni (es. artt. 29 e 30) prevedono criteri di collegamento sussidiari per l’ipotesi in cui vi sia una pluralità di cittadinanze comuni, risolvendo quindi il caso in maniera diversa da come lo risolve l’art. 19. Perciò, ove sia richiamata la legge nazionale comune a più persone, si dovrà operare come segue: se si verifica l’ipotesi di apolidi o rifugiati, non si applicano i criteri territoriali previsti dalla norma dell’art. 19.1 (legge dello Stato del domicilio, o in mancanza, la legge dello Stato di residenza), bensì i criteri successivi previsti dalla norma di conflitto applicabile alla fattispecie; se si verifica l’ipotesi di pluralità di cittadinanze in capo a una o più delle persone di cui bisognerebbe stabilire la cittadinanza comune, non si applica l’art. 19.2, ma bisogna distinguere: o se la pluralità di cittadinanze riguarda una sola persona, il criterio di collegamento può funzionare solo se vi è una cittadinanza comune, nel tal caso si applica la legge nazionale comune; se invece non vi è una cittadinanza comune, si applicano i criteri successivi previsti dalla norma di conflitto in caso di mancanza di una cittadinanza comune (per i rapporti personali tra coniugi, ad es. l’art. 29 l. 218/1995), valutando la possibilità del ricorso all’analogia per i casi non regolamentati; o se la pluralità di cittadinanze riguarda entrambi i soggetti del rapporto, il criterio di collegamento della cittadinanza può funzionare solo se vi è una cittadinanza comune, nel qual caso si applica quella che risulta essere la legge nazionale comune; se invece il criterio di collegamento della cittadinanza comune non fornisce risposte univoche (in quanto vi sia più di una cittadinanza in comune), si applicano i criteri successivi eventualmente previsti dalla norma di conflitto, valutando la possibilità del ricorso all’analogia per i casi non regolamentati. 25