Appunti su ”Sezione d’urto” Giancarlo Ruocco 10 Febbraio 2006 Parzialmente tratto dalla voce ”Sezione d’urto” (F. Cordero e G. Ruocco), Enciclopedia della Fisica Treccani: Sezione d’urto Grandezza riferita ad un processo di collisione o diffusione di un fascio di particelle o di un’onda piana su di un bersaglio. Tale grandezza è il rapporto tra il flusso uscente del fascio o dell’onda e quello entrante, in funzione della sua direzione ed energia finali. La s. di diffusione è la grandezza che si misura in un esperimento di diffrazione o di diffusione anelastica di radiazione elettromagnetica (raggi X, luce, . . . ), neutroni od altre particelle da parte di un campione di cui si vuole studiare la struttura e la dinamica atomica. Sommario 1. Introduzione. 2. Definizione ed espressione generale della sezione d’urto di diffusione. 2a. Generalita’ 2b. Legame con le grandezze misurate. 2c. Equazione di interazione. 2d. Soluzione della equazione di interazione. 2e. Legame con la sezione d’urto. 3. Espressione della sezione d’urto di diffusione.: casi specifici. 3a. Diffusione di elettroni 3b. Diffusione di neutroni termici. 3c. Diffusione di raggi X. 3d. Diffusione della luce. 4. Conclusioni. 4a. Considerazioni generali. 4b. Sezione d’urto coerente e incoerente. 4c. Fattore di struttura statico. 1 1 Introduzione Il caso più semplice in cui si introduce il concetto di sezione d’urto è quello di un fascio di particelle (massive o meno) intercettato da un corpo solido che la ”assorbe”; se il fronte d’onda delle particelle incidenti è piano, le dimensioni trasversali del corpo sono molto maggiori della lunghezza d’onda di De Broglie delle particelle λ e si trascura la diffrazione ai bordi, allora il corpo proietta un’ombra la cui superficie è pari alla sezione trasversale del corpo stesso (sezione d’urto di assorbimento). Nel caso in cui il fascio di particelle venga intercettato da un mezzo non assorbente (in generale non totalmete assorbente, ma per il prosieguo assumiamo, per semplicita’, nullo l’assorbimento) si osserva il fenomeno della diffusione. Ciò avviene quando il bersaglio risulta non omogeneo su distanze paragonabili a λ, e l’interferenza tra le onde diversamente diffuse dalle varie zone del bersaglio fa sı̀ che l’onda incidente venga diffusa anche in altre direzioni. Se λ è confrontabile con le distanze interatomiche (cosa che si verifica quando il fascio incidente e’ composto da neutroni termici o raggi X) si ha interferenza tra le onde diffuse dai singoli atomi o molecole costituenti il bersaglio. Se parte del fascio incidente è deviata in altre direzioni, il fascio trasmesso in avanti risulta attenuato e, come generalizzazione del concetto di sezione d’urto di assorbimento, si introduce la sezione d’urto di diffusione come una misura dell’”ombra” prodotta dal corpo. La sezione d’urto totale di diffusione, σ, e’ definita essere uguale alla sezione trasversale di un corpo totalmente assorbente che produrrebbe una attenuazione del fascio trasmesso in avanti pari a quella che si verifica per diffusione. Le particelle diffuse, in linea di principio, sono diffuse in tutte le direzioni, e con probabilita’ differenti. Nel caso di bersagli isotropi e particelle incidenti non polarizzate, la distribuzione della intensita’ delle particelle diffuse godra’ di simmetria cilindrica intorno all’asse definito dalla direzione delle particelle incidenti (il cui versore indicheremo con r̂ ≡ k̂). Volendo distinguere l’effetto sul fascio incidente (cioe’ la quota di deupaperamento del fascio incidente) prodotto dalle particelle diffuse nelle varie direzioni, identificate dal versore r̂0 ≡ k̂0 , si introduce il concetto di sezione d’urto differenziale, dσ/dΩ (questa grandezza e’, nel caso generale, funzione di r̂0 ). In particolare, la sezione d’urto differenziale di diffusione e’ definita dal fatto che l’integrale µ Z r̂0 , ∆Ω ¶ dσ dΩ dΩ (1) sia pari alla sezione trasversale di un corpo totalmente assorbente che produrrebbe una attenuazione del fascio trasmesso in avanti uguale a quella che e’ prodotta per diffusione in un cono di angolo solido ∆Ω e asse coincidente con r̂0 . 2 Dal momento che gli atomi o molecole costituenti il bersaglio non sono fermi ma posseggono una propria dinamica, e’ semplice intuire che le particelle incidenti potranno anche essere diffuse con energia (e quindi lunghezza d’onda) diversa da quella delle particelle incidenti. Si introduce quindi il concetto di sezione d’urto doppio differenziale di diffusione, d2 σ/dΩdE, che ci dice quale e’ sul fascio incidente l’effetto (depuperamento) prodotto dalle particelle diffuse in una data direzione e con una data energia (lunghezza d’onda). Specificatamente, l’integrale à Z r̂0 , ∆Ω, E 0 , ∆E d2 σ dΩdE ! dΩdE, (2) esteso ad un angolo solido ∆Ω intorno alla direzione individuata da r̂0 e ad un intervallo di energie ∆E centrato su E 0 , ci dice quale sarebbe la sezione trasversale di un corpo totalmente assorbente che produce una attenuazione del fascio trasmesso in avanti uguale a quella che e’ prodotta per diffusione in un cono di angolo solido ∆Ω e asse coincidente con r̂0 ed in una banda di energia larga ∆E e centrata intorno ad E 0 . Ovviamente, l’integrale su tutte le energie della sezione d’urto doppio differenziale è pari alla sezione d’urto differenziale, e anolagamente, l’integrale su tutti gli angoli della sezione d’urto differenziale è pari alla sezione d’urto totale. Z ∞à 2 ! d σ o Z ∞Z o 4π à dΩdE d2 σ dΩdE µ dE = ! Z dEdΩ = 4π dσ dΩ µ ¶ (3) ¶ dσ dΩ = σ. dΩ (4) Le componenti del fascio diffuso che hanno lunghezza d’onda uguale a quella incidente si dicono diffuse elasticamente, viceversa si dicono componenti anelastiche quelle con lunghezza d’onda diversa da λ. Quando la rivelazione dell’onda diffusa non è risolta in energia oppure quando si ha ragione di credere che la diffusione sia totalmente elastica si parla di diffrazione piuttosto che di diffusione. In esperimenti di diffrazione si ottengono informazioni sulla struttura del bersaglio (es. diffrazione di Bragg). Quando viceversa la rivelazione è risolta in energia si parla di diffusione anelastica o, con l’equivalente termine inglese, di scattering. E’ anche usato il termine spettroscopia per indicare fenomeni e/o esperimenti di diffusione anelastica, ma con tale termine si indicano anche i fenomeni di assorbimento e più in generale qualunque esperimento in cui si misuri l’intensità dell’onda risolta in energia. In esperimenti di diffusione anelastica si hanno informazioni sulla dinamica microscopica del bersaglio. Non esiste comunque una netta distinzione tra diffrazione e scattering, dato 3 che in entrambi i casi si tratta dell’interferenza tra onde diffuse dagli atomi costituenti il bersaglio. Tratteremo inizialmente il caso di bersagli ”fermi”, in cui cioe’ si assume che non ci siano variazioni di energia delle particelle diffuse rispetto a quelle incidenti. Questa trattazione sara’ effettuata secondo lo schema dello sviluppo di Born. Deriveremo la sezione d’urto differenziale di diffusione (elastica) per vari tipi di particelle sonda. Successivamente, tramite la teoria delle perturbazioni, ricaveremo la sezione d’urto di diffusione doppio differenziale. 4 2 Definizione ed espressione generale della sezione d’urto di diffusione. 2a. Generalita’. La geometria di un esperimento di diffusione è mostrata in fig. 1. Un flusso di particelle (massive, di massa m, o meno) con impulso p = h̄k ed energia E = h̄ω incide su un bersaglio1 ; tale fascio equivale ad un’onda piana di lunghezza d’onda λ = 2π/k che si propaga nella direzione k̂ con densità di corrente di particlle (o densita’ di flusso di particelle, o numero di particelle che attraversano l’area unitaria nell’unita’ di tempo) jo = ρo v, ρo essendo la densità di particelle sonda e v la loro velocità. Un rivelatore di superficie ∆S posto nella direzione r̂0 ad una distanza R dal bersaglio conta il numero di particelle che vengono diffuse nell’angolo solido ∆Ω = ∆S/R2 . Secondo la definizione precedente, la sezione d’urto differenziale di diffusione è allora definita come il rapporto fra il numero di particelle rivelate nell’unità di tempo nell’angolo solido ∆Ω e il flusso jo delle particelle incidenti, diviso per ∆Ω: µ ∂σ ∂Ω ¶ = j(r̂0 ) · r̂0 2 R jo (5) dove j(r̂0 ) · r̂0 ∆S è il numero di particelle che arrivano sul rivelatore per unita’ di tempo. L’unità di misura della sezione d’urto in fisica della materia è il barn (1 barn = 10−28 m2 ). 2b. Legame con le grandezze misurate. Prima di procedere con il calcolo della sezione d’urto, attraverso il calcolo di j(r̂0 ), conviene derivare il legame tra questa e la grandezza misurata sperimentalmente, il numero di particelle che raggiungono il rivelatore per unita’di tempo Ṅ . Questa grandezza sara’ ovviamente pari a j(r̂0 )∆S, e quindi, per la (5), risultera’: µ ∂σ Ṅ = jo ∆Ω ∂Ω ¶ µ ∂σ = ρo v∆Ω ∂Ω ¶ (6) Se il fascio di particelle incidenti ha una sezione Σ, e la regione di interazione e’ quindi un cilindro di aria di base Σ, lunghezza L (la lunghezza del bersaglio traversata da fascio incidente), segue che ρo = No /(LΣ). Quindi ρo v = Ṅo /Σ, con Ṅo numero diparticelle incidenti sul bersaglio per unita’di tempo. Infine, chiamando ρ la densita’ di particelle del 1 Ovviamente ω = (h̄/2m)k2 o ω = ck a seconda che le particelle incidenti siano massive o meno. 5 bersaglio, possiamo scrivere 1/Σ = L/(LΣ) = Lρ/N , da cui µ 1 ∂σ Ṅ = Ṅo ρL∆Ω N ∂Ω ¶ (7) La quantita’ tra parentesi e’ una sezione d’urto per ”singolo diffusore”. 2c. Equazione di interazione. Ritorniamo al calcolo della sezione d’urto. La trattazione seguente si sviluppa nell’ambito della teoria della risposta lineare per la validita’ della quale si suppone che l’entita’ della energia di interazione tra l’onda incidente ed il bersaglio sia piccola rispetto alle energie dei sistemi noninteragenti. Nel caso in cui l’onda incidente sia un fascio di particelle massive, l’ampiezza dell’onda ψ(r) è soluzione dell’equazione di Schroedinger h −h̄2 ∇2 2m i + V (r) − E ψ(r) = 0 (8) V (r) essendo l’energia di interazione col bersaglio e E = h̄2 k 2 /(2m) l’energia cinetica delle particelle costituenti il fascio incidente in regioni di spazio lontane dal bersaglio, dove V (r) ≈ 0. Moltiplicando la precedente equazione per 2m/h̄2 , e definendo il l’energia potenziale ridotta, φ(r) = 2m/h̄2 V ((r), abbiamo: h i −∇2 + φ(r) − k 2 ψ(r) = 0 (9) che puo’ piu’ convenientemente essere scritta come: h i ∇2 + k 2 ψ(r) = φ(r)ψ(r). (10) Vediamo ora che nel caso in cui le particelle incidenti siano fotoni, l’ampiezza ψ(r) del campo elettrico associato soddisfa una equazione identica alla (10). Partiamo dalle equazione di Maxwell: ∇ · E = ρ/²o ∇·B=0 ∇×E = − ∂B ∂t ∇×B = µo J + (11) 1 ∂E c2 ∂t e calcoliamo la quantita’ ∇ × (∇ × E) facendo il rotore della terza equazione. Risulta, utilizzando poi la quarta equazione: ∇ × (∇ × E) = − 1 ∂J 1 ∂2E − 2 2 c ∂t ²o c2 ∂t 6 (12) da cui, ricordando l’equazione vettoriale ∇ × (∇ × w) = ∇ · (∇ · w) − ∇2 w, si ha ∇ · (∇ · E) − ∇2 E = − 1 ∂2E 1 ∂J − . 2 2 c ∂t ²o c2 ∂t (13) Osserviamo ora che, anche in presenza delle interazioni radiazione-bersaglio, il campo eletromagnetico conserva la sua natura trasversa. Cioe’ sara’ sempre una ottima approssimazione assumere che ∇ · E = 0, per cui, ∇2 E − 1 ∂2E 1 ∂J = . c2 ∂t2 ²o c2 ∂t (14) P La espressione microscopica di J e’ del tipo J = ρq v = i qi vi δ(r − ri ), dove la somma e’ estesa a tutte le cariche qi presenti nel bersaglio e vi e’ la velocita’ della i-esima carica posta in ri 2 . Da questa relazione segue che 1 ∂J 1 X ∂vi 1 X = δ(r − r ) = q qi ai δ(r − ri ) = i i ²o c2 ∂t ²o c2 i ∂t ²o c2 i 1 X qi2 1 X qi F δ(r − r ) = δ(r − ri )E i i ²o c2 i Mi ²o c2 i Mi (15) In questa derivazione stiamo assumendo che in assenza di campo elettrico esterno le forze agenti sulle cariche sono nulle. Questo e’ ovvimente non vero, poiche’ esistono certamente forze che si esercitano tra le cariche costituenti il bersaglio. si assume pero’ che queste forze non producano correnti nette, cioe che in assenza di campo esterno J = 0. Definisco ora: 1 X qi2 φ(r) = δ(r − ri ) (16) ²o c2 i Mi per cui la equazione (14) si scrive ∇2 E − 1 ∂2E = φE. c2 ∂t2 (17) Se ora pongo il campo elettrico del tipo E(r) = n̂ψ(r)eiωt (18) con n̂ versore di polarizzazione e ψ(r) ampiezza del campo elettrico, vediamo che la (17) si puo’ scrivere come h ω2 i ∇2 + 2 ψ(r) = φ(r)ψ(r). (19) c 2 In questo caso il vettore J e’ la densita’ di corrente di carica, non di particelle. 7 che e’ identica alla (10), C.V.D. Ricordiamo infine che il potenzile ridotto nel caso di interazione elettromagnetica, dato dalla (16), e’ anche scritto in unita’ elettrostatiche3 come: 4π X qi2 φ(r) = 2 δ(r − ri ). (20) c i Mi 2d. Soluzione della equazione di interazione. Per calcolare la sezione d’urto e’ necessario risolvere la (10). Questa può essere considerata un’equazione differenziale non omogenea per la ψ(r) con termine noto uguale a F(r) = ψ(r)φ(r): h i ∇2 + k 2 ψ(r) = F(r). (21) Questa può essere risolta con il metodo di Green secondo cui, a parte normalizzazioni,: Z ψ(r) = e ik·r d3 r00 G(r − r00 )F(r00 ) + (22) Il primo termine è la soluzione dell’equazione omogenea associata (cioè la (21) con F = 0), mentre la G(r) è la funzione di Green, che soddisfa (∇2 + k 2 )G(r) = δ(r), (23) δ(r) essendo la funzione di Dirac, ed è quindi un’onda sferica4 G(r) = − 1 eikr . 4π r (24) La (22) è quindi scritta come: ψ(r) = e ik·r 1 − 4π Z 3 00 e d r ik|r−r00 | F(r00 ) (25) φ(r00 )ψ(r00 ) (26) |r − r00 | e, conseguentemente, la soluzione della (10) risulta: ψ(r) = e ik·r 1 − 4π Z 3 00 e d r 3 ik|r−r00 | |r − r00 | Ricordiamo che [e2 ]SI = 4π²o [e2 ]ues . La soluzione della (23) si ottiene trasformando R secondo Fourier entrambi i membri, e risolvendo successivamente l’antitrasformata, integrale del tipo d3 qexp(iq · r)/(k2 − q 2 ), con il metodo dei residui. In questo passaggio bisogna porre attenzione a scegliere k del tipo k = κ + i², e poi eseguire il limite ² → 0. Si otterrano due soluzioni possibili, la (24) e la sua complessa coniugata. La prima rappresenta un’onda sferica uscente, la seconda sempre un’onda sferica, ma entrante. Le condizioni al controno del problema che stiamo trattando ci permettono di escludere la seconda soluzione. 4 8 Questa e’ una equazione integrale per la ψ e può essere risolta con una tecnica iterativa ricordando che abbiamo fatto l’ipotesi che l’interazione (φ(r)) e’ ”piccola”. Scriveremo cioe’: Z ik|r−r00 | 1 (n) ik·r 3 00 e ψ (r) = e − d r φ(r00 )ψ (n−1) (r00 ) (27) 4π |r − r00 | La (28) è la cosiddetta serie di Born, che può essere calcolata iterativamente a partire da ψ (0) (r) = eik·r . Fermandosi al termine con n = 1 si ha l’approssimazione di Born, anche detta approssimazione di diffusione singola. Con questa approssimazione si trascura cioè l’eventualità che una particella del fascio incidente possa essere diffusa più volte da diverse componenti del bersaglio (diffusione multipla). Avremo quindi: ψ (1) (r) = e ik·r 1 − 4π Z 3 00 e d r ik|r−r00 | |r − r00 | 00 φ(r00 )eik·r (28) Ricordiamo che la ψ (1) (r) non e’ normalizzata, non deve quindi sorprendere che l’onda diffusa risulti uguale all’onda incidente piu0 qualcosa, con evidente non conservazione del numero di particelle e/o dell’energia. Facciamo ora l’ipotesi -sempre verificata nel caso di esperimenti reali- che il bersaglio, e quindi la regione di integrazione di r00 , abbia dimensioni lineari molto più piccole della distanza bersaglio-rivelatore (cioe’ di r) e che quindi potremo approssimare (vedi fig. 2) k|r − r00 | ≈ kr − k0 · r00 . In questa espressione k0 e’un vettore di modulo k e diretto come r̂0 = k̂0 . Z 1 eikr 0 00 00 (1) ik·r ψ (r) = e − d3 r00 e−ik ·r φ(r00 )eik·r (29) 4π r Definendo ora q = k − k0 (30) e la trasformata spaziale di Fourier del potenziale di interazione ridotto φ(r): Z φ̂(q) = 00 d3 r00 φ(r00 )eiq·r , (31) possiamo scrivere: ψ (1) (r) = eik·r − 1 eikr φ̂(q) 4π r (32) che rappresenta la soluzione della equazione di interazione nell’approsimazione di Born o apprassimazione di scattering singolo. Osserviamo che questa espressione ha una forma che ricorda il principio di Huygens: ψ (1) (r) = eik·r + 9 eikr f (k̂, k̂0 ) r (33) Il primo termine della (33) è l’onda incidente, la maggior parte della quale passa indisturbata attraverso il bersaglio a causa della ipotizzata debolezza dell’interazione. Il secondo termine della (33) è un’onda sferica diffusa dal bersaglio posto in r = 0, la cui ampiezza è modulata dall’ampiezza di diffusione f (k̂, k̂0 ), che abbiamo visto dipendere solo da k − k0 (= q) ed essere legata alla trasformata di Fourier del poenzile di interazione ridotto. 2e. Legame con la sezione d’urto. Nota la funzione d’onda ψ(r) (faremo cadere da ora in poi il suffisso ”(1)” che indica soluzione al primo ordine iterativo), per procedere al calcolo della sezione d’urto si deve determinare la densità di corrente di particelle uscenti dalla regione di interazione e dirette nella direzione individuata da r̂0 = k̂0 e sostituire questa nell’eq. (5). La densita’ di corrente assume la forma5 : j(r) = Re{ψ ∗ (r) p̂/m ψ(r)} (34) dove p̂ = −ih̄∇ è l’operatore impulso. Sostituendo la (32) nella (34), considerando solo il contributo dell’onda sferica -in quanto il primo addendo non fornisce corrente altro che nella direzione delle particelle incidente- e calcolando la corrente nel punto r0 , si ha6 : j(r0 ) = h̄k 1 |φ̂(q)|2 r̂0 (4π)2 m R2 (35) Per l’onda incidente risulta jo = h̄k/m. Sostiutendo nella (5), la sezione d’urto differenziale diviene µ ¶ dσ 1 = |φ̂(q)|2 (36) dΩ (4π)2 Dobbiamo ora considerare che in tutte le considerazioni fatte sin qui il bersaglio e’ stato supposto composto di particelle ferme, il che non e; ovviamente vero. La ”misura” delle particelle diffuse dal bersaglio si protrae nel tempo, e possiamo quindi pensare che la misura e’ una sequenza di istantanee, ognuna delle quali e’ relativa ad una data disposizione delle particelle bersaglio. Introduciamo quindi la media su queste disposizioni, indicandola con h..i: µ ¶ dσ 1 = h|φ̂(q)|2 i (37) dΩ (4π)2 5 Questa espressione per la densita’ di corrente puo’ essere dedotta dalla conservazione della probabilita’, che assume la forma ∂t ρ(r, t) + ∇ · j(r, t) = 0. Ricordando che ρ(r, t) = |ψ(r, t)|2 e che ih̄∂t ψ(r, t) = Hψ(r, t) = [p2 /2m + V (r, t)]ψ(r, t), l’espressione per j e’ presto derivata. 6 Nell’applicare l’operatore p̂ = −ih̄∇ alla funzione d’onda ψ(r) si producono due termini, l’uno proporzionale a 1/R2 e l’altro a λ/R3 . Poiche’ abbiamo ipotizzato che il rivelatore sia lontano dal bersaglio, il secondo termine e’ trascurabile srispetto al primo 10 Riassumendo,la sezione d’urto per la diffusione di particelle (siano esse fotoni o particelle massive) da un dato bersaglio e’ facilmente derivabile dalla conoscenza della trasformata di Fourier del potenziale ridotto di interazione, φ̂(q). Vedremo ora in dettaglio per alcuni casi di interesse l’espressione della sezione d’urto. Vedremo infine il legame tra queste sezioni d’urto e l fattore distruttura, S(q). 11 3 Espressione della sezione d’urto differenziale di diffusione: casi specifici 3a. Diffusione di elettroni. Nel caso della diffusione di elettroni l’accoppiamento col sistema avviene tramite il potenziale Coulombiano v(r). Vediamo come determinare questo potenziale. Partiamo dalla prima equazione di Maxwell, trascuriamo cioe’ -poiche’ abbiamo a che fare con interazioni Coulumbinae- i contributi magnetici: ∇ · E = ρ/²o (38) che riscriviamo subito in unita’ elettrostatiche: ∇ · E = 4πρ. (39) In queste equazioni ρ(r) e’ la densita’ di carica nel sitema-bersaglio. Il potenziale elettrico e’ ovviamente legato al campo elettrico, E = −∇V , per cui: ∇ · (∇v) = −4πρ. (40) ∇2 v = −4πρ. (41) o nota come equazione di Poisson. Scriviamo ora la densita’ di carica come: ρ(r) = X [Zeδ(r − Ri ) − eρ̄i (r − Ri ))] (42) i dove e è la carica dell’elettrone e Z e’ la carica nucleare e ρ̄i (r) la densita’ di numero elettronica associata al nucleo i-esimo, posto in Ri . L’equazione per l’energia potenziale, V (r) = ev(r), risulta allora: ∇2 V (r) = 4πe2 X [ρ̄i (r − Ri )) − Zδ(r − Ri )] (43) i Facendo la trasformata di Fourier spaziale della (43) si ottiene −|q|2 V̂ (q) = 4πe2 X i 12 [ρ̂i (q) − Z]eiq·Ri (44) e passando quindi al potenziale ridotto: φ̂(q) = 2m 2m 4πe2 X V̂ (q) = − [ρ̂i (q) − Z]eiq·Ri h̄2 h̄2 |q|2 i (45) Ipotizzando una densità di carica elettronica a simmetria sferica otteniamo µ ∂σ ∂Ω ¶ X =h fj∗ (q)fi (q)e−iq·Rj eiq·Ri i (46) ij avendo definito 2me2 (Z − ρ̂i (q)) (47) q2 h̄2 Poichè l’interazione coulombiana tra onda incidente e sistema non è debole, l’approssimazione di Born e quindi la (47) non sono una buona approssimazione. fi (q) = 3b. Diffusione di neutroni termici. I neutroni termici (con energie quindi dell’ordine dei decimi di elettronvolt) hanno lunghezze d’onda confrontabili con le distanze interatomiche (λ ≈ 10−8 cm); questi interagiscono con i nuclei del bersaglio mediante l’interazione forte, il cui raggio di azione è dell’ordine di ≈ 10−13 cm, molto minore della lunghezza d’onda del neutrone. Il potenziale di interazione V (r) e’ quindi approssimabile come (pseudo-potenziale di Fermi): V (r) = ´ 2πh̄2 X ³ bi δ r − Ri m i (48) e quindi il potenziale ridotto φ risulta: φ(r) = 4π X ³ bi δ r − Ri ´ (49) i dove Ri indica la posizione instantanea dell’i-esimo nucleo atomico e le lunghezze di diffusione bi sono grandezze caratteristiche del tipo di nucleo e dell’orientazione relativa degli spin del nucleo e del neutrone incidente. La trasformata di Fourier della (49) è: φ̃(q) = 4π X i 13 bi eiq·Ri (50) e la (36) diviene: µ ∂σ ∂Ω ¶ X =h b∗i bj e−iq·Ri eiq·Rj i (51) ij 3c. Diffusione di raggi X I raggi X vengono diffusi principalmente dagli elettroni del bersaglio. L’interazione, come si vedra’ in seguito e’ infatti inversamente proporzionale alla massa della particella carica, rendendo cosi’ trascurabile le interazioni raggi X-cariche positive. Nel seguito di questo paragrafo deriveremo la sezione d’urto seguendo uno schema semiclassico, studiando cioe’ il moto di un elettrone quasi libero in presenza di un campo elettrico e la conseguente riemissione di radiazione. Immaginiamo che un’onda piana elettromagnetica con un campo elettrico Eo incida su un elettrone libero, che oscilla in risposta a questo campo e che quindi si comporta come una sorgente di radiazione. Il problema allora e’ di valutare il campo elettrico irradiato in un punto di osservazione generico ma, come sempre, a distanza molto maggiore rispetto alla estensione lineare della regione nellaquale si muove l’elettrone in esame, e molto maggiore della lunghezza d’onda della radiazione. La prima di queste approssimazioni e’ detta approssimazione di dipolo, mentre la seconda assicura che possiamo interpretare gli effetti elettromagnetici nel punto di osservazione come radiazione. Partendo dalle equazioni di Maxwell, I campi elettrici e magnetici nel punto di osservazione possono essere derivati dal potenziale scalare Φ(r, t) dal potenziale vettore A(r, t): E(r, t) = −∇Φ(r, t) − B(r, t) = ∇ × A(r, t) ∂A(r, t) ∂t (52) (53) che a loro volta seguono le equazioni: 1 ∂ 2 Φ(r, t) c2 ∂t2 1 ∂ 2 A(r, t) ∇2 A(r, t) − 2 c ∂t2 ∇2 Φ(r, t) − 1 ρ(r, t) ²o 1 = − 2 j(r, t) ²o c = − (54) (55) dove ρ ej sono la densita’ di carica e la densita’ di corrente associate all’elettrone bersaglio. Il compito di valutare il campo nel punto di osservazione e’ ulteriormente semplificato se si ricorda che le onde elettromagnetiche sono trasverse, dal momento che i campi sono 14 perpendicolari alla direzione di propagazione k̂0 . Abbiamo quindi che k̂0 e’ parallelo a E(r, t) × B(r, t) e risolvendo l’equazione dell’onda puo’ essere dimostrato che |E| = c|B|. E’ di conseguenza sufficiente derivare B(r, t) da A(r, t) (Eq.53), e poi E(r, t) segue immediatamente. Il potenziale vettore e’ determinato dalla soluzione della Eq. (55): Z 1 A(r, t) = 4π²o c2 d3 r00 j(r00 , t − |r − r00 |/c) |r − r00 | (56) Il significato di questa espressione e’molto semplice. Poiche’ i campi si propagano a velocita’ finita, i campi rivelati nel punto di osservazione al tempo t dipendono dalla posizione dell’elettrone al tempo precedente t0 = t − |r − r00 |/c). per questa ragione il potenziale vettore riportato nella relazione precedente e’ conosciuto come il potenziale vettore ritardato. L’approssimazione dipolare ora ci permette di ignorare r00 rispetto ad r, cosicche’: Z 1 A(r, t) = 4π²o c2 r d3 r00 j(r00 , t − r/c) (57) Per procedere si notat che la densita’ di corrente e’ equivalente al prodotto della densita’ di carica ρ per la velocita’ v dell’elettrone bersaglio, j = ρv. Quindi, nella (57), Z Z d3 r00 j(r00 , t0 ) = d3 r00 ρ(r00 , t0 )v(r00 , t0 ) = eve (t0 ) = d(ere ) dt0 (58) L’ultimo termine e’ riconoscibile come la derivata rispetto al tempo (ritardato) del momento di dipolo elettrico p associato all’elettrone. Supponiamo ora che la radiazione incidente sia linearmente polarizzatoa lungo l’asse z cosicche’ il momento dipolo e di qui il potenziale vettore abbiano una componente solo lungo questa direzione. Cosi’ abbiamo: Az (r, t) = 1 ṗz (t0 ) 4π²o c2 r (59) e Ax = Ay = 0. Le componenti del campo B seguono quindi: ∂Az ∂y ∂Az = − ∂x = 0 Bx = (60) By (61) Bz (62) Per determinare la componente x del campo B calcoliamo la derivata parziale di Az rispetto a y come ∂Az = ∂y µ 1 4π²o c2 ¶ ∂ ∂y µ ṗz (t0 ) r ¶ µ = 15 1 4π²o c2 ¶· 1 ∂ ṗz (t0 ) ∂r ṗz (t0 ) − r ∂y r2 ∂y ¸ (63) Dal momento che siamo interessati al limite di campo lontano, possiamo trascurare il secondo termine nella relazione precedente, mentre la derivata parziale del primo termine rispetto a y puo’ essere calcolata notando che µ ¶ µ ¶ ∂ ∂ ∂t0 ∂ ∂ 1q 2 1 y ∂ = 0 = 0 t− x + y2 + z2 = − ∂y ∂t ∂y ∂t ∂y c c r ∂t0 (64) Di qui la componente x del campo B nel limite di campo lontano risulta µ ¶ µ ¶ 1 y Bx = − p̈z (t0 ) 3 4π²o c r r (65) La componente y segue scambiando x e y, e inserendo il segno meno µ By = ¶ µ ¶ 1 x p̈z (t0 ) 3 4π²o c r r (66) E’ immediato generalizzare per una qualunque direzione del momento di dipolo, µ B= ¶ 1 p̈(t0 ) × r̂. 4π²o c3 r (67) Se ora chiamo θ l’angolo formato tra la direzione di osservazione (r̂) e la direzione del campo elettrico incidente (cioe’ la direzione di p, il modulo di B puo’ essere scritto come: µ |B| = ¶ 1 p̈(t0 )sin(θ) 4π²o c3 r (68) e quindi il modulo del campo elettrico: µ |E| = ¶ 1 p̈(t0 )sin(θ) 4π²o c2 r (69) Calcoliamo infine il valore di p̈(t0 ) in temini del campo elettrico incidente E(r, t0 ) = Eo exp(iωt0 ) : eE e2 p̈ = er̈ = e = Eo eiω(t−r/c) (70) m m ricordando che ω/c = k, e inserendo nella (71), conduce a à |E| = e2 4π²o c2 m !à eikr r ! Eo eiωt sin(θ) (71) Il prefattore che appare in questa equazione e’ il raggio classico dell’elettrone, ro = e2 /(4π²o mc2 ) (o ro = e2 /(mc2 ) in unita’ elettrostatiche) cosicche’ il rapporto delle intensita’ irradiata e incidente e’ dato da I(r) 1 = ro2 2 sin2 (θ) Io r 16 (72) Infine, ricordando che il rapporto tra le intensita’ e’ uguale al rapporto tra le correnti di particelle, la sezione d’urto differenziale per la diffusione di radiazione elettromagnetica da un singolo elettrone libero risulta: µ dσ dΩ ¶ = ro2 sin2 (θ) (73) Ricordando ora il legame tra sezione d’urto differenziale e potenziale ridotto, e’semplice dedurre che, nel caso di un singolo elettrone diffusore, vale: φ̂(q) = 4πro sin(θ)eiq·Ri (74) φ(r) = 4πro sin(θ)δ(r − Ri ) (75) e quindi Generalizziamo ora al caso in cui ci siano piu’ elettroni nel bersaglio. Supponiamo il nostrobersaglio composto di atomi, e sia i l’indice di atomo, e che sia ρi (r) la densità numerica degli elettroni intorno all’atomo i-esimo, allora nell’approssimazione classica di diffusione elastica di Thomson il potenziale ridotto φ è dato da: φ(r) = 4π ´ X ³ e2 sin(θ) ρ r − R i i mc2 i (76) dove, ricordiamo, θ è l’angolo formato tra la direzione del campo elettrico dell’onda incidente e la direzione di propagazione dell’onda diffusa. La trasformata di Fourier spaziale della (76) è: X e2 φ̂(q) = 4π 2 sin(θ) ρ̃i (q)eiq·Ri (77) mc i dove Z ρ̂i (q) = d3 reiq·r ρi (r) (78) è il fattore di struttura atomico, e non dipende dalla direzione di q ma solo dal suo modulo finchè la distribuzione di carica intorno ad ogni atomo è a simmetria sferica. Questo fattore è una funzione decrescente di q ed il suo valore per q = 0 è una funzione crescente del numero atomico. L’espressione della s. in questo caso è: X ∂σ e2 = ( 2 )2 (n̂ · n̂0 )2 h ρ̂∗i (q)ρ̂j (q)e−iq·Ri eiq·Rj i ∂Ω mc ij (79) dove sin(θ) è sostituito da n̂ · n̂0 , n̂ e n̂0 essendo le direzioni dei campi elettrici dell’onda incidente e diffusa. 17 3d. Diffusione della luce. Nel caso in cui il fascio incidente sia composta da radiazione elettromagnetica di grande lunghezza d’onda (luce visibile) la trattazione della interazione non e’ piu’ analizzabile nell’ambito della teoria della risposta lineare. In particolare, l’approssimazione di elettrone libero utilizzata nella sezione precedente non e’ applicabile in questo caso a cause della energia dei fotoni incidenti che e’ comparaabile con l’energia dilegame degli elettroni atomici. In questo caso i fenomeni di diffusione della luce sono descritti dalla interazione al secondo ordine tra il campo di radiazione e le cariche componenti il bersaglio (essendo l’interazione al primo ordine responsabile dei fenomeni di emissione ed assorbimento della radiazione). E’ stato dimostrato (Born 1954) che la diffusione della luce puo’ essere ricondotta ad un fenomeno di interazione al primo ordine se si assume uno specifico potenziale (ridotto) di interazione radiazione-materia. Nel seguito daremo una giustificazione quantitativa di questo risultato e mostreremo che la forma del potenziale ridotto efficace risulta essere: X φ(r) = 4πk 2 n0 · αi · nδ(r − Ri ) (80) i dove αi e’ il tensore di polarizzabilita’ effettiva associato all’atomo (o molecola) i-esimo, il cui baricentro e ’ in Ri , e n, n0 sono i versori di polarizzazione della radiazione incidente ed uscente. Il fatto che il potenziale di interazione dipenda da k (caratteristica dell’esperimento che si sta’ conducendo) e’ conseguenza del fatto che questo e’ un potenziale ”effettivo”, ricavato dalla corretta trattazione al secondo ordine del processo di interazione radiazione-materia. La trasformata di Fourier del potenziale ridotto effettivo diviene allora: φ̃(q) = 4πk 2 X n0 · αi · n eiq·Ri (81) i e la sezione d’urto di diffusione della luce risulta: µ ∂σ ∂Ω ¶ X = k4 h (n0 · αi · n) (n0 · αj · n) ij 18 e−iq·Ri eiq·Rj i (82) 4 Conclusioni . 4a. Considerazioni generali. Possiamo osservare che in tutti i casi trattati la sezione d’urto di diffusione è scritta nella forma µ ¶ X ∂σ = < Ai (q)∗ Aj (q)e−iq·Ri eiq·Rj > (83) ∂Ω ij dove Ai (q) è una grandezza associata all’i-esimo atomo (o molecola) con le dimensioni di una lunghezza, e perciò anche detta lunghezza di diffusione. Tale grandezza, in generale, dipende dal valore di q ed è anche caratteristica del particolare tipo di onda incidente. • Neutroni : Ai (q) = bi La lunghezza di scatterig in questo caso non dipende dai valori delle lunghezze d’onda delle onde incidenti e diffuse. E’ solo una funzione del tipo di nucleo in questione e del suo stato di spin. • Raggi X : Ai (q) = (e2 /mc2 )(n̂ · n̂0 )ρ̃i (q) In questo caso la lunghezza di scattering è pari al prodotto del raggio classico dell’elettrone (e2 /mc2 ), per un fattore di polarizzazione (n̂ · n̂0 ) e per una funzione adimensionale ρ̃i (q) che dipende dal valore del l’impulso scambiato dall’onda con il sistema ed è caratteristica del numero atomico dell’atomo bersaglio. • Elettroni : Ai (q) = 2h̄2 /me2 (Z − ρ̃i (q))/(ao q)2 Anche in questo caso la lunghezza di scattering è pari al prodotto di una lunghezza caratteristica (il raggio di Bohr ao = h̄2 /me2 in questo caso) per una funzione adimensionale con struttura simile a quella dei raggi X, che dipende dal valore del l’impulso scambiato dall’onda con il sistema ed è caratteristica del numero atomico dell’atomo bersaglio. • Luce : Ai (q) = k 2 n̂0 · αi · n̂ In questo caso, a differenza dei casi precedenti, la lunghezza di diffusione è data, oltre dal termine k 2 , dalla proiezione del tensore di polarizzabilità atomica (o molecolare) effettiva sulle componenti dei campi elettrici dell’onda incidente e diffusa. Il tensore αi è una caratteristica dell’atomo in esame. 19 4b. Sezione d’urto coerente ed incoerente. Se gli atomi del bersaglio hanno diverse lunghezze di diffusione Ai , pur essendo della stessa specie (ad es. Ai può dipendere dall’orientazione dello spin nucleare rispetto allo spin del neutrone incidente) allora si possono separare le Ai in: Ai =< A > + ai con < A >= (84) N 1 X Ai N i=1 (85) Le deviazioni ai dalla media < A > sono scorrelate rispetto alle posizioni degli N atomi, per cui < ai >= 0 e < a∗i aj >= δij < |a|2 >, e si può separare la (83) in: µ con h ∂σ i ∂Ω e coe ∂σ ∂Ω ¶ = h ∂σ i ∂Ω = | < A > |2 coe X + h ∂σ i ∂Ω inc < e−iq·Ri eiq·Rj > (86) (87) ij h ∂σ i =< |a|2 > . (88) ∂Ω inc La (87) contiene la funzione di correlazione e quindi l’interferenza di tutte le coppie di atomi e quindi dà informazioni sulla struttura (es. in un cristallo la diffrazione di Bragg) del sistema. Questo tipo di diffusione è detto coerente essendo dovuto all’interferenza delle onde diffuse allo stesso modo da tutti gli atomi. La (88) è invece dovuta alle deviazioni casuali delle lunghezze di diffusione dalla media e si chiama s. incoerente; poichè contiene la funzione di correlazione di ogni particella con sè stessa, e’ una funzione triviale in questo caso. Diventara’ significativa quando, studiando le dinamica, e quindi la diffusione anelastica, questa funzione ci dara’ informazione sulla dinamica di singola particella (es. diffusività). 4c. Fattore di struttura statico. Concludiamo osservando il legame che esiste tra lasezione d’urto coerente e il fattore di struttura. Ricordando infatti la definizione di densita’ microscopica nello spazio reale, ρ(r) = X δ(r − Ri ), i 20 (89) la sua trasformata di Fourier spaziale, X eiq·Ri , (90) 1 hρq ρ∗q i N (91) = N |hAi|2 S(q) (92) ρq = i e infine la definizione di fattore di struttura S(q) = si ottiene immediatamente h ∂σ i ∂Ω coe 21