European Association of Local and Regional Initiatives for Economic Development, Employment and Solidarity Cina e Unione europea sempre più vicine e integrate: il possibile impatto sulle economie italiana e pugliese L’Unione europea chiamata a decidere sullo Status di Economia di Mercato della Cina, in vista della scadenza dell’11 dicembre 2016 fissata dal Protocollo di adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio sottoscritto l’11 dicembre 2001 a cura di Emmanuele Daluiso, vice presidente Euro*IDEES-Bruxelles Bruxelles, 8 giugno 2016 Avenue Milcamps, 8 B -1030 Bruxelles, BELGIQUE TVA BE 0473.842.129 tel. +0032.02.743.84.96 fax +0032.02.743.84.91 e-mail [email protected] http:// www.euroidees.eu sede amministrativa Barletta, via Andria, SS 170, Km.24+500 c/o Centro Servizi Polo logistico Tel. 0883.330560 - Fax.0883.330560 2 Presentazione L’11 dicembre 2016 è la data in cui scadranno alcune disposizioni fissate nel 2001 nel protocollo di adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che consentirebbe al paese asiatico di acquisire lo Status di Economia di Mercato (SME) e di non essere più sottoposta a misure di difesa commerciale da parte di tutti gli altri paesi a economie di mercato aderenti all’OMC. In tal modo dovrebbero scadere anche le misure antidumping adottate dall’Unione europea nei confronti di una molteplicità di prodotti cinesi venduti sul territorio comunitario a prezzi inferiori a quelli venduti sul territorio cinese, misure tese a colmare con dazi adeguati la differenza di tali prezzi. Al riconoscimento del nuovo status per l’economia cinese si oppongono vari paesi a economia di mercato, fra cui Stati Uniti, Francia e Italia, che temono una invasione dei mercati americano ed europeo di importazioni di prodotti cinesi a basso costo. Favorevoli invece sono altri paesi, fra cui Regno Unito, Germania e Paesi nord europei, i quali ritengono che la completa liberalizzazione del commercio con la Cina favorisca l’economia europea. La questione, come si capisce, è alquanto complessa: per i suoi aspetti normativi, che potrebbero alimentare un forte contenzioso in sede OMC e nuove turbolenze sull’economia mondiale; per i suoi effettivi impatti, non ancora ben chiari, sulle economie dei paesi occidentali; per i suoi aspetti politici, a causa delle tensioni che sorgerebbero tra Ue e Stati Uniti, cioè fra le due maggiori economie mondiali, se non procederanno di comune accordo nell’atteggiamento da avere nei confronti della Cina, che ritiene che il riconoscimento sia un fatto automatico e ha già minacciato, in caso contrario, reazioni adeguate. Occorre poi tener presente che fra Ue e Cina sono fortemente aumentati gli investimenti diretti esteri, quelli europei in Cina e quelli cinesi nell’Ue, che potrebbero subire dei contraccolpi, così come occorre considerare che la Cina è stata di recente particolarmente attiva nelle operazioni di salvataggio dei debiti sovrani di taluni paesi europei. Di seguito vengono esaminati alcuni aspetti connessi al suddetto riconoscimento, fra cui le attività avviate in seno all’Unione europea per decidere l’atteggiamento che la stessa dovrà assumere entro la data dell’11 dicembre 2016. In grassetto sono citati grafici e tabelle riportate nell’allegato statistico. I termini della questione Il protocollo firmato dalla Cina nel 2001 per aderire all’OMC, in verità, contiene dei punti ambigui, frutto dei lunghi negoziati, che caratterizzarono tale adesione, ambiguità che ora alimentano diverse interpretazioni. Secondo Stati Uniti, molti paesi dell’Ue e altri paesi ancora, la Cina non ha completato le necessarie riforme per diventare una vera economia di mercato, ma occorre dire, a riguardo, che in sede OMC non sono stati fissati criteri oggetti per definire cosa sia un’economia di mercato, criteri che l’OMC ha lasciato ai singoli paesi. Così, l’Unione europea ha stabilito dei propri criteri, esattamente cinque criteri, di cui solo uno oggi risulta rispettato (vedi il riquadro successivo). Associazioni industriali e Sindacati su scala europea si sono mobilitati negli ultimi mesi per spingere l’Ue ad assumere provvedimenti per prorogare l’attuale legislazione di difesa commerciale, quella adottata nel 2009 con il regolamento 1225 del Consiglio. Il grido d’allarme è stato raccolto dal Parlamento europeo che nella seduta del 12 maggio scorso ha adottato una risoluzione con cui prende posizione sulla questione, riconosce che la Cina non è oggi definibile una economia di mercato e invita la Commissione europea “a opporsi a qualsiasi concessione unilaterale alla Cina dello status di economia di mercato” e a proporre una nuova legislazione. 3 La Commissione da parte sua ha avviato una valutazione approfondita dei possibili impatti sull’economia europea derivanti dal nuovo status della Cina di economia di mercato, convinta che le varie alternative oggi immaginabili hanno tutte un costo, anche quella di lasciare le cose come stanno. Occorre poi considerare che un certo numero di paesi ha già riconosciuto alla Cina lo status di economia di mercato, fra cui l’Australia, e altri si sono impegnati a farlo, fra cui Brasile e Argentina. I cinque criteri previsti dalla Ue per il riconoscimento dello Status di Economia di Mercato (SME) ai Paesi non-Ue Regolamento (CE) 1225/2009 1. le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi, inclusi ad esempio le materie prime, le spese per gli impianti tecnologici e la manodopera, la produzione, le vendite e gli investimenti, vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali, ed i costi dei principali mezzi di produzione riflettano nel complesso i valori di mercato; 2. le imprese dispongano di una serie ben definita di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile indipendente e che siano d’applicazione in ogni caso in linea con le norme internazionali in materia di contabilità; 3. i costi di produzione e la situazione finanziaria delle imprese non siano soggette a distorsioni di rilievo derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato relativamente alle svalutazioni anche degli attivi, alle passività di altro genere, al commercio di scambio e ai pagamenti effettuati mediante compensazione dei debiti; 4. le imprese in questione siano soggette a leggi in materia fallimentare e di proprietà che garantiscano certezza del diritto e stabilità per la loro attività; 5. le conversioni del tasso di cambio siano effettuate ai tassi di mercato. I cinque criteri devono essere rispettati tutti, al fine di attribuire ai Paesi non-Ue lo Status di Economia di Mercato. In tal caso, verificandosi una situazione di parità tra UE e Paese non-Ue, non vengono applicati gli strumenti di difesa commerciali previsti dal Reg (CE) 1225/2009. Attualmente solo il criterio n. 2 risulta rispettato dalla Cina e ciò ha spinto la Ue ad adottare adeguate misure di difesa commerciale. Sono attualmente attive 56 misure antidumping. Tra i settori interessati, la chimica, la siderurgia, l’alimentare, il tessile, il legno, per cui taluni prodotti provenienti dalla Cina sono sottoposti a dazi compensativi all’ingresso nella Ue. I dati sul commercio internazionale: Cina, primo esportatore mondiale Per capire meglio i termini della questione e gli interessi economici e sociali sottostanti è opportuno dare un rapido sguardo ad alcuni dati significativi per l’evoluzione del commercio internazionale nell’ultimo quindicennio, a partire dalla fase immediatamente precedente alla adesione della Cina all’OMC. Come si vede dalla tabella 1, la Cina è diventato il principale esportatore mondiale con una quota pari al 16,5%, rispetto al 5,1% del 1999. L’Unione europea che nel 1999 risultava essere il primo esportatore mondiale con il 19% ora è scesa al 16%. Gli Stati Uniti a loro volta sono scesi dal 18% all’11,4%. Questi dati sono alla base della preoccupazione di molti paesi occidentali sul nuovo status di economia di mercato della Cina. Occorre però considerare che la Cina ha accresciuto il suo peso anche sul versante delle importazioni, passando dal 4,1% nel 1999 al 13,5% attuale (tabella 1), ragione per cui la gran parte se non tutti i paesi occidentali industrializzati hanno beneficiato di questa maggiore apertura della Cina ai prodotti provenienti dal resto del mondo. La Cina con l’adesione all’Organizzazione Mondiale del commercio si è ampiamente integrata nell’economia mondiale diventando il primo paese esportatore, ma anche il terzo paese importatore. L’interscambio Ue-Cina L’interscambio della Ue con la Cina, riferito alla sola Zona Euro, è cresciuto enormemente fra il 1999 e il 2015, passando complessivamente (importazioni più esportazioni) da 53 a 379 miliardi di euro a prezzi correnti (grafico 1). 4 Il saldo commerciale per l’UE è stato negativo per tutto il periodo, ma se consideriamo il saldo normalizzato, cioè il saldo rapportato al totale interscambio (importazioni più esportazioni), che rappresenta un indicatore di competitività1, possiamo vedere che il suo valore passa da -40,7 nel 1999, cioè prima dell’ingresso della Cina nell’OMC, a -30,8 nel 2015. Il rapporto resta sempre a favore della Cina, ma emerge una tendenza di fondo al recupero di competitività da parte della UE, un dato questo che in qualche modo va a favore della tesi dei paesi che sostengono una immediata liberalizzazione degli scambi fra UE e Cina. Di segno positivo è invece la posizione dell’Ue nei confronti dell’altra grande area economica mondiale, gli Stati Uniti. La Zona Euro infatti ha visto migliorare la sua posizione competitiva rispetto agli USA fra il 1999 e il 2015: la bilancia commerciale per la Zona Euro è stata stabilmente in surplus per tutto il periodo (grafico 2) e il saldo normalizzato è passato da +8,3 nel 1999 a +21,2 nel 2015 (grafico 3). 1 Il saldo normalizzato è un indicatore utilizzato nel commercio internazionale per definire il grado di specializzazione relativo fra due paesi e può riferirsi tanto al totale dei flussi commerciali tanto a specifici settori. L’utilizzo di questo indicatore è importante perché consente di isolare l’entità, piccola o grande, dei flussi commerciali internazionali nell’analisi di competitività. In termini matematici l’indicatore è dato dal rapporto fra il saldo commerciale (esportazioni meno importazioni) e la somma dell’interscambio (esportazioni più importazioni), moltiplicato per 100: ((E-I)/(E+I)) x 100 La normalizzazione rende i saldi misure molto utili nei confronti spaziali e intertemporali, rendendone più agevole l’interpretazione economica. Se il saldo commerciale è positivo e le importazioni sono pari a 0 l’indicatore è pari a +100, se il saldo commerciale è negativo e le esportazioni pari a 0 l’indicatore risulta pari a -100. In caso di parità fra esportazioni e importazioni, l’indicatore è pari a 0. L’indicatore è utile per valutare i “vantaggi comparati” dello scambio commerciale fra paesi, un principio che è alla base dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e della liberalizzazione degli scambi. Poiché i vantaggi comparati dipendono dai differenziali della produttività del lavoro fra paesi, relativi ai vari prodotti, ciascun paese trova convenienza a specializzarsi nella produzione di quei beni dove ha i maggiori livelli di produttività. Anche se, per assurdo, un paese dovesse avere livelli di produttività più elevati per tutti i beni prodotti rispetto ad altri paesi, dovesse cioè avere un vantaggio assoluto per tutti i beni, in base al principio dei vantaggi comparati avrebbe convenienza a specializzarsi solo nella produzione di quei beni dove ha i più alti livelli di produttività lasciando ad altri la produzione dei restanti beni che potrebbe importare a prezzi più convenienti rispetto ai propri costi di produzione. Avere un vantaggio assoluto non è quindi condizione sufficiente per produrre un bene e poi venderlo sui mercati esteri, quello che conta è il vantaggio comparato. In tal modo i vantaggi comparati spingono i paesi a produrre ciò che sanno produrre relativamente meglio e determinano benefici per tutti i paesi che scambiano. Sulla base di questi concetti elementari alla base del commercio internazionale Ue e Cina avrebbero un reciproco interesse a specializzarsi in prodotti e servizi per i quali sono più competitivi. I problemi nascono dal fatto che la specializzazione non è un fatto immediato, ma il risultato di un processo che necessita di tempo per adeguare i rispettivi sistemi produttivi, che comporta problemi di ordine sociale e politico di non facile gestione, come mostra tutta la vicenda legata all’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tuttavia, in termini puramente economici, il processo è inevitabile oltrechè di reciproco interesse per entrambe le aree geografiche. Il principio dei vantaggi comparati non è nuovo, anzi è uno dei principi di più antica data dell’economia moderna. Esso fu esposto da David Ricardo nel 1817 nella sua opera The Principles of Political Economy and Taxation, ma pur essendo un principio elementare spesso risulta di non facile comprensione, come ha riconosciuto più recentemente il Premio Nobel dell’economia Paul Samuelson il quale ha sostenuto che pur essendo un principio economicamente vero non è per nulla ovvio per le persone intelligenti. Si sostiene, per esempio, che il libero commercio è vantaggioso solo se il proprio paese è abbastanza forte da sostenere la concorrenza internazionale, ma è dimostrato, tanto teoricamente che empiricamente, che la sussistenza di un vantaggio assoluto di produttività non è condizione né necessaria né sufficiente per avere un vantaggio comparato nella produzione ed esportazione di un bene. Si sostiene spesso che la concorrenza di un paese basata su bassi salari è scorretta e danneggia altri paesi, una tesi che spinge a chiedere misure protezionistiche per la difesa di settori nazionali, ma è facile dimostrare che i bassi salari in un paese non compromettono i vantaggi di altri paesi che hanno più alti salari, ma anche più alta produttività. Si sostiene anche che i bassi salari danneggiano il paese che li pratica, come succede in molti paesi poveri, a favore di imprese che vendono i beni prodotti in tali paesi nei mercati più ricchi, ma qual è l’alternativa, quella di lasciare i lavoratori di questi paesi poveri con un salario reale ancora più basso? Per altro, evidenze empiriche mostrano che aumenti di produttività nei paesi emergenti e in via di sviluppo si sono tradotti in aumenti salariali. I vantaggi comparati non sono l’unica forza che spinge un paese ad abbandonare l’autarchia per il commercio internazionale. Molto rilevanti sono per esempio le economie di scala di produzione, che portano a concentrare la produzione in imprese di grandi dimensioni in alcuni paesi, ma i vantaggi comparati, pur essendo stati concettualizzati due secoli fa, rappresentano tuttora una spiegazione importante del commercio internazionale. 5 L’interscambio Italia-Cina Passando a esaminare la posizione dell’interscambio commerciale dell’Italia con la Cina notiamo dal grafico 4 che la crescita delle importazioni italiane dal paese asiatico fra il 1999 e il 2015 è stata più forte rispetto a quella delle esportazioni (+854% rispetto a +460%). Nel 2015 il deficit della bilancia commerciale italiana nei confronti della Cina è stato pari a circa 18 miliardi di euro (tabella 2). Il saldo normalizzato del commercio estero italiano con la Cina è peggiorato fra il 1999 e il 2015, passando da -18,5 a -46 (grafico 5). L’Italia è dunque fra i paesi europei che ha maggiormente subito l’ingresso della Cina nell’OMC, ragion per cui è oggi tra i maggiori sostenitori del non riconoscimento immediato dello status di economia di mercato al paese asiatico. Anche qui, però, dobbiamo rilevare che negli anni più recenti qualcosa è andato migliorando: il saldo normalizzato del commercio estero italiano verso la Cina che nel 2008 aveva raggiunto il suo minimo (-57,2) ha mostrato una tendenza al recupero collocandosi nel 2015, come abbiamo già detto, a -46. Per altro fra il 2013 e il 2014 si è attestato su -40 e -41 (grafico 5). Per quanto la posizione dell’Italia rispetto alla Cina resti critica sembra che qualcosa negli anni più recenti si stia muovendo in direzione di una capacità di recupero competitivo. In effetti, analizzando l’interscambio italo-cinese nella sua articolazione settoriale, notiamo che alcuni settori hanno migliorato la loro capacità competitiva, registrando nel 2015 valori positivi del saldo normalizzato, rispetto a valori negativi nel 1995 e nel 2005, cioè prima e dopo l’ingresso della Cina nell’OMC (grafico 6). E’ il caso dei settori dell’estrazione dei minerali, del farmaceutico, dei prodotti alimentari. A questi occorre aggiungere il settore dei trasporti e dei macchinari ed apparecchi non altrimenti classificati. Per quanto ancora in una posizione critica, segnali di miglioramento registrano anche i settori del legno e carta, del tessile e abbigliamento, del coke e prodotti petroliferi raffinati, dell’agricoltura, della gomma e materie plastiche. Segnali di peggioramento competitivo si registrano invece per i settori della chimica, dei metalli, degli apparecchi elettrici, dei computer, apparecchi elettronici e ottici. Il ruolo delle tecnologie e del design nell’interscambio Italia-Cina Un ruolo importante nel commercio internazionale è ricoperto dal progresso tecnologico, che è fonte di vantaggi competitivi, cioè di vantaggi comparati. Analizzando il commercio estero Italia-Cina relativamente ai settori manifatturieri, riaccorpati per livello tecnologico, emergono interessanti spunti di riflessione. Abbiamo al riguardo fatto ricorso alla suddivisione del commercio estero italiano con la Cina, relativamente ai settori manifatturieri, secondo il livello tecnologico2. Abbiamo inoltre esteso il campo di osservazione al 1991, cioè a prima che entrasse in funzione l’Organizzazione Mondiale del Commercio. I dati elaborati sono riportati nei grafici 7 e 8, che contengono la disaggregazione dei settori sino alla terza cifra della classificazione ATECO 2007, da cui possiamo trarre le seguenti considerazioni. In primo luogo, notiamo che l’interscambio dei prodotti ad alto e medio-alto livello tecnologico rappresenta attualmente il 51% dell’interscambio complessivo, rafforzatosi rispetto al 1991 quando rappresentava il 48%. In questo macro-aggregato tecnologico, dove era presumibile che l’Italia potesse migliorare la sua posizione competitiva nei confronti della Cina, notiamo invece un trend strutturale di peggioramento, accentuatosi dopo l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Notiamo, però, che con 2 Abbiamo a tal proposito utilizzato la classificazione adottata dall’OCSE e da EUROSTAT: settori ad alto livello tecnologico, settori a medio-alto livello tecnologico, settori a medio-basso livello tecnologico, settori a basso livello tecnologico. Per il raccordo di tale classificazione con la classificazione delle esportazioni italiane abbiamo fatto riferimento al lavoro di DPS-INVITALIA del 2013, riguardante le politiche regionali di ricerca e innovazione. 6 riferimento all’alta tecnologia, in particolare nel campo della farmaceutica, negli anni più recenti si registrano segnali di inversione di tendenza. In secondo luogo, osserviamo che il macro-aggregato della medio-bassa e bassa tecnologia che nel 1991 rappresentava il 52% dell’interscambio complessivo, nel 2015 scende al 49%. In particolare, i settori a bassa tecnologia, che nel 1991 rappresentavano l’aggregato più importante con oltre il 44%, nel 2015 sono scesi al 34%. In questo macro-ambito tecnologico la posizione competitiva dell’Italia resta generalmente negativa, pur osservando che è strutturalmente peggiorata per l’aggregato della medio-bassa tecnologia e ha registrato segnali di recupero nell’aggregato della bassa tecnologia. In altri termini, è proprio nel campo della bassa tecnologia che l’Italia mostra i segnali più recenti di recupero di competitività, un dato che ci porta a fare ulteriori analisi e considerazioni. Ci sono in effetti settori, che pur essendo classificati a bassa tecnologia, in cui la competizione più che sulla tecnologia in senso stretto, può essere giocata su altri fattori, come il capitale umano e la capacità di design. Possiamo così vedere che in un comparto come quello calzaturiero l’interscambio fra Italia e Cina mostra una forte importazione dalla Cina di calzature a basso valore aggiunto, prodotti destinati al largo consumo per i quali è rilevante la produzione su larga scala per ridurre i costi medi di produzione e di trasporto. Contestualmente si verifica una significativa esportazione verso la Cina di calzature ad alto valore aggiunto per l’alto contenuto di design, grazie alla presenza di un elevato capitale umano, prodotti destinati a una fascia ristretta di mercato ad alto reddito. I dati relativi a questo comparto, in effetti, mostrano chiaramente questa situazione. Nel grafico 9 sono riportati i dati dell’interscambio di calzature fra Italia e Cina dal 1995 al 2015, da cui emerge che tale interscambio è cresciuto, a prezzi correnti, del 1370%. Però, se le importazioni dalla Cina sono cresciute del 1157%, le esportazioni verso la Cina sono cresciute del 4953%. In altri termini le esportazioni verso la Cina sono cresciute oltre 4 volte rispetto alle importazioni. E’ vero che il saldo commerciale per l’Italia rimane fra il 1995 e il 2015 sempre negativo, ma notiamo che il saldo normalizzato, ricordiamo l’indicatore qui usato per misurare la competitività fra i due paesi, si riduce da -88,8 a -59,5, segno evidente di una certa capacità di recupero competitivo che l’Italia ha mostrato nel ventennio esaminato. La questione risulta più chiara se prendiamo in esame i dati relativi ai principali distretti produttivi di calzature, come mostrato nel grafico 10. Nel grafico sono riportati i dati del saldo normalizzato delle province di Milano, Firenze, Fermo, AscoliPiceno, Forlì-Cesena, che complessivamente rappresentano quasi l’80% dell’export di calzature italiane in Cina. Si tratta di distretti produttivi notoriamente specializzati nella produzione di calzature di moda di livello alto e medio-alto. Milano, in realtà, non è un vero distretto produttivo di calzature, ma conta la presenza di operatori commerciali di esportazione specializzati nella vendita di prodotti moda. I dati evidenziano che questi cinque distretti hanno complessivamente avuto una significativa evoluzione competitiva nei confronti della Cina, passando da un valore negativo del saldo normalizzato, pari a -78,6 nel 1995, a uno positivo, pari a +9,1 nel 2015. Se poi guardiamo nel dettaglio i singoli distretti vediamo che quello di Forli-Cesena raggiunge nel 2015 il valore di +83,8, seguito da Ascoli Piceno con +38,2, Firenze con +12,3 e Fermo con +10. Milano è l’unico fra i cinque a registrare un valore negativo, ridottosi però fra il 1995 e il 2015 da -96,5 a -8,5. Per Milano vale tuttavia quanto detto poc’anzi. Il grafico riporta anche il distretto produttivo di Barletta-Andria-Trani, notoriamente specializzato in produzioni di calzature non di moda, o comunque non di classe, che a differenza dei precedenti mostra nei confronti della Cina una scarsa capacità competitiva. Il valore del saldo normalizzato nel 2015 è ancora molto basso, pari a -86,7. 7 In sintesi, per quanto l’interscambio di calzature fra Italia e Cina risulti in termini assoluti fortemente sbilanciato a favore della Cina, con un saldo negativo per l’Italia nel 2015 pari a oltre 700 milioni di euro, emergono tuttavia distretti produttivi che hanno saputo innovarsi e specializzarsi in prodotti di medio-alta moda, molto richiesti dal mercato cinese. Una conferma che i vantaggi comparati di antica memoria continuano ad avere ancora la loro validità. L’interscambio della Puglia e delle province pugliesi con la Cina Passando ad esaminare i dati dell’interscambio pugliese con la Cina possiamo fare più o meno le stesse valutazioni fatte per l’Italia. La bilancia commerciale pugliese con la Cina è rimasta sostanzialmente in deficit per tutto il periodo esaminato, dal 1995 al 2015 (tabella 3), evidenziando in tal modo che la posizione di deficit commerciale della Puglia nei confronti della Cina risale a ben prima dell’ingresso del paese asiatico nell’OMC e che dopo tale ingresso il saldo normalizzato dell’interscambio Puglia-Cina, pur rimanendo negativo, è sensibilmente migliorato, passando da -80,5 a -44,2 (grafico 11), grazie a un miglior andamento delle esportazioni rispetto alle importazioni (grafico 12). La Puglia, insomma, mostra di avere le potenzialità per poter recuperare posizioni competitive nei confronti del drago cinese. In effetti, se guardiamo i dati settoriali (grafico 13), notiamo che la Puglia ha capovolto la situazione a suo favore in settori quali quelli del coke e prodotti petroliferi, del farmaceutico, dei prodotti estrattivi, della chimica, dei prodotti alimentari. Resta negativa la posizione competitiva, pur con un certo miglioramento nel settore dei computer, apparecchi elettronici e ottici. Critica con trend negativi è la posizione degli altri settori, in particolare quella relativa ai prodotti metallurgici, ai mezzi di trasporto, ai prodotti della moda, ai prodotti agricoli, ai prodotti degli apparecchi elettrici, ai prodotti del legno e della carta. L’analisi per settori aggregati per livello tecnologico (grafici 14 e 15), negli stessi termini fatta per l’Italia, evidenzia innanzitutto una crescita di peso del macro-aggregato dell’alta e medio-alta tecnologia, che passa dal 14,5% nel 1995 al 37,6% nel 2015, dopo aver toccato la punta del 41% nel 2010. Analizzando la competitività regionale per tale macro-aggregato, notiamo, per un verso, un netto miglioramento competitivo nell’alta tecnologia, soprattutto nel comparto farmaceutico, per altro verso, un peggioramento competitivo nel campo della medio-alta tecnologia. L’aggregato più rilevante dell’interscambio fra Puglia e Cina continua a essere quello dei settori a bassa tecnologia, che rappresenta quasi la metà dell’interscambio dei prodotti manifatturieri, soprattutto per la rilevanza che continua ad avere il settore del tessile-abbigliamento. L’analisi competitiva dell’aggregato della bassa tecnologia evidenzia una fase dal 2005 di sostanziale stabilità negativa. Nel complesso il commercio estero della Puglia verso la Cina mostra nell’ultimo ventennio e con particolare riferimento all’ultimo quinquennio uno sforzo di riposizionamento competitivo da settori a medio-basso livello tecnologico verso settori a medio-alta e alta tecnologia. Le province che maggiormente stanno contribuendo a tale sforzo di riposizionamento competitivo sono la provincia di Bari per le alte tecnologie e la provincia di Brindisi per le medio-alte tecnologie (tabelle 4, 5, 6, 7). Interessante è anche l’aumento di interscambio della provincia di Lecce con la Cina per quanto riguarda il campo delle tecnologie medio-alte, in particolare per l’accresciuto peso dei comparti dei mezzi di trasporto e dei macchinari ed apparecchi non altrimenti classificati. Tuttavia si tratta di settori non competitivi dove prevalgono le importazioni. Si segnala però un significativo valore positivo di competitività nel campo alimentare. Anche la provincia di Foggia, che mostra segnali di rafforzamento dell’interscambio dei settori a basso livello tecnologico, si caratterizza per una significativa capacità di recupero di competitività nel comparto alimentare. 8 La provincia di Barletta-Andria-Trani presenta un interscambio fortemente concentrato nel campo delle basse tecnologie, in particolare nel tessile-abbigliamento-calzaturiero, per cui mostra notevoli svantaggi competitivi. La provincia di Taranto, infine, rafforza anch’essa l’interscambio nei settori a bassa tecnologia e a medio bassa tecnologia, per i quali mostra prevalenti segnali di svantaggio competitivo: nel caso della metallurgia, si registrano esclusivamente importazioni. Quali conseguenze dal riconoscimento dello status di economia di mercato della Cina? Alcuni studi circolati nei mesi scorsi, in particolare quello dell’associazione degli industriali europea Aegis, hanno delineato, con il riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato, uno scenario apocalittico, con la perdita di diversi milioni di posti di lavoro e una caduta significativa del PIL europeo. E’ questa una preoccupazione non condivisa dalla Commissione europea, che recentemente per bocca del Commissario al Commercio Cecilia Malmstrӧm, ha parlato di un possibile impatto limitato fra 73 mila e 188 mila posti di lavoro, su tre milioni di posti di lavoro concentrati in settori legati al mercato cinese. Si tratta di un impatto concentrato in Italia, Germania, Spagna, Francia, Portogallo e Polonia, in settori oggi coperti da misure anti-dumping, cioè misure per combattere la concorrenza sleale cinese. Il Commissario Malmstrӧm ha sottolineato l’interesse sia dell’Ue che della Cina a consolidare un rapporto attualmente importante in termini commerciali, considerato che in termini di esportazioni la Cina rappresenta, dopo gli Stati Uniti, il secondo partner commerciale dell’Ue e per la Cina l’Ue rappresenta, sempre in termini di esportazioni, il primo partner commerciale. Occorre in effetti considerare che, sia per le regole imposte dall’adesione all’OMC che per il rallentamento della crescita mondiale dopo la grave crisi finanziaria mondiale del 2007-2008, la Cina sta cambiando il suo modello di sviluppo economico tutto incentrato sulla crescita delle esportazioni sovvenzionate dal governo a favore di un modello più centrato sulla crescita della domanda interna (consumi e investimenti), che conseguentemente favorisce un maggior afflusso di importazioni, come mostra per altro la forte crescita dell’import cinese nell’ultimo quindicennio. Questa evoluzione strategica del modello di sviluppo cinese ovviamente tende a demolire la tesi di chi vuole ostacolare il riconoscimento immediato dello status di economia di mercato. Comunque, un quadro più chiaro sui costi e benefici per l’economia europea e dei singoli paesi lo avremo quando la Commissione europea avrà terminato il lavoro di valutazione avviato nei mesi scorsi e proporrà le eventuali misure che dovrebbero sostituire quelle in scadenza l’11 dicembre. Quello che si prospetta per l’Italia e la Puglia è la necessità di accelerare il processo di adeguamento della propria specializzazione produttiva al nuovo scenario dell’economia mondiale, sempre più globalizzata, sempre più caratterizzata dalla presenza di nuovi paesi, che rappresentano nuove economie che portano nuovi problemi competitivi sulla scena internazionale, ma anche nuove opportunità di mercato per le tradizionali economie avanzate occidentali. Il riconoscimento dello status di economia di mercato da parte della Ue alla Cina potrebbe anche essere rinviato o ancorato a una nuova normativa dopo l’11 dicembre, ma questo nulla toglie a una prospettiva futura da tempo segnata. 9 Allegato statistico 10 13 14 15 16 17 18 21 22 23 25 26 27 Avenue Milcamps, 8 B -1030 Bruxelles, BELGIQUE TVA BE 0473.842.129 tel. +0032.02.743.84.96 fax +0032.02.743.84.91 e-mail [email protected] http:// www.euroidees.eu sede amministrativa Barletta, via Andria, SS 170, Km.24+500 c/o Centro Servizi Polo logistico Tel. 0883.330560 - Fax.0883.330560