17 Anno XI n.16 - 9 ottobre 2015 www.corcom.it La rivista scientifica britannica Nature (la più importante al mondo, insieme all’americana Science) ha calcolato che il numero delle pubblicazioni di carattere scientifico raddoppia ogni nove anni. Solo in Italia siamo passati dalle 37.726 pubblicazioni scientifiche del 1996 alle 93.064 del 2014 Come cambia il sapere nell'era digitale I GIGANTI del pensiero «I fenomeni della natura sono così diversi, e i tesori nascosti nei cieli così opulenti, per fare in modo che alla mente umana non manchi mai il nutrimento». Johannes Kepler (1571-1630) «Uno scienziato nel suo laboratorio non è soltanto un tecnico: è un bambino messo davanti a un fenomeno naturale che lo impressiona come una fiaba». Marie Curie (1867-1934) conosciamo. Eppure, mezzo secolo più tardi quelle stesse proprietà hanno reso possibile il microchip, il laser, il microscopio elettronico e la risonanza magnetica, tutte invenzioni che hanno beneficiato il genere umano e la sua scienza. Le quali sono il frutto non di decine, ma di migliaia di cervelli. Non a caso, un secolo dopo Niels Bohr, la meccanica quantistica ha ancora un sacco di promesse da mantenere, a cominciare dal fantomatico ma non impossibile computer quantistico. La competizione, ma anche la collaborazione, fra le menti di tutto il mondo è destinata a crescere a dismisura in questo secolo, moltiplicata dalla tecnologia. Solo nell’area Ocse, si stima che i ricercatori siano passati da 4,2 milioni nel 2007 a 8,4 milioni nel 2011. Ma anche nei Paesi in via di sviluppo, l’Onu prevede un sensibile aumento degli investimenti in ricerca. Per non parlare della Cina che, secondo le ultime proiezioni, supererà gli Stati Uniti in produzione scientifica intorno al 2020. In questo scenario, è ben difficile immaginare cosa ci sarà scritto nei libri scolastici di scienza del 2065, fra cinquant’anni, quando l’LHC sarà un ricordo del passato e avrà già svelato qualche altro segreto della fisica della materia. Tuttavia, per stimare cosa potrà succedere, basta calcolare cosa non dicevano i libri del liceo di cinquant’anni or sono, nel 1965, quando la scoperta della doppia elica del Dna, e l’invenzione del laser o del circuito integrato erano talmente recenti da non essere, forse, neppure menzionate. Se moltiplichiamo per otto (due alla terza: ipotizziamo che la conoscenza raddoppi per tre volte nell’arco di cento anni), otteniamo il risultato finale. Sì, d’accordo, si tratta di un calcolo improbabile, e per nulla scientifico. Però dà almeno un’idea di quel che sta per succedere. «Una volta raggiunto un alto livello di abilità tecniche, la scienza e l’arte tendono a fondersi nell’estetica, nella plasticità, nella forma. I più grandi scienziati sono anche artisti». Lo scenario Ma cosa c’entra Google-Alphabet con le psicopatologie? Il gruppo californiano ha assunto un luminare per «affrontare la sfida delle malattie mentali» È la convergenza di scienza e tecnologia D opo 13 anni, Thomas Insel, direttore del National Institute of Mental Health americano, abbandona il servizio pubblico per passare all’industria privata. La notizia, di qualche settimana fa, sarebbe passata inosservata se Insel fosse andato a lavorare per qualche gigante farmaceutico, come Pfizer e Novartis, oppure per qualche astro della biotecnologia, come Amgen o Genzyme. Invece la notizia ha fatto rumore perché il neurologo, esperto di malattie mentali, è andato a lavorare per Google. Anzi, per Google Life Sciences, che è parte di Alphabet, la nuova holding del gruppo di Mountain View. Ma che c’entra Google con le psicopatologie? Una possibile risposta, l’ha data lo stesso Insel nella sua lettera di addio all’Institute of Mental Health: «La filosofia di Google è stata quella di affrontare problemi difficili con un impatto di dieci Albert Einstein (1879-1955) «La nostra immaginazione è messa a dura prova non, come nei romanzi, per immaginare cose che non esistono, ma solo per comprendere le cose che ci sono per davvero». Richard Feynman (1918-1988) La filosofia dell'azienda è quella di affrontare problemi difficili con un impatto dieci volte superiore al normale «È la tensione fra creatività e scetticismo, che ha prodotto i meravigliosi e inaspettati frutti della scienza». Carl Sagan (1934-1996) La cosa triste è che oggi la scienza accumula conoscenza molto più rapidamente di quanto la società accumuli saggezza. Isaac Asimov (1920-1992) Soltanto nell'area Ocse secondo le stime, il numero dei ricercatori è passato dai 4,2 milioni del 2007 agli 8,4 milioni del 2011 volte [rispetto al normale]. Io punto a colpire, dieci volte più intensamente, il problema della salute mentale». Così come Larry Page e Sergey Brin, hanno trasformato il web con il loro celebrato algoritmo, così la nuova Alphabet vuole trasformare il trasformabile. Cervello umano incluso. La narrativa di «cambiare il mondo» è stata inaugurata molti anni fa da Steve Jobs, che attribuiva il pomposo obbiettivo già alle sue prime creature tecnologiche. Senonché, con la sequenza Mac-iPod-iPhone-iPad, c’è riuscito per davvero. Google, come dicevamo, ha bissato il successo. Al punto che quella narrativa è diventata parte della cultura internazionale dell’innovazione. La professano un po’ tutti, dalla cinese Xiaomi – l’astro nascente della telefonia cellulare – al business plan dell’ultima startup. Nel ventunesimo secolo però, il concetto – una volta epurato dalle esasperazioni (e dal marketing) – ha un senso. La contemporanea esplosione della tecnologia applicata alla scienza e della scienza applicata alla tecnologia, può oggettivamente moltiplicare le chance di impatti epocali sulla civiltà umana. Le frontiere della microelettronica, di big data, della genetica, della biologia sintetica, o delle neuroscienze a cui Google Life Sciences vuole dedicarsi, si stanno allargando e intrecciando così rapidamente che l’idea di moltiplicare per dieci l’impatto finale su prodotti e servizi non è poi così peregrina. Dopo Google News, i Google Glass e la futura Google Car, possiamo attenderci Google Brain?