08 settembre 2012 (f.f.) l’abete bianco è stato usato in interventi di recupero di zone montane apuane che lo hanno sostituito al faggio. Comunque la specie era presente sulle Alpi Apuane nel Terziario come è documentato dalla presenza in Orto di Donna di una ridottissima popolazione che deve essere salvaguardata. IL GENERE ABIES Famiglia Pinaceae Abies Miller fu classificato da Philip Miller1 nel 1754. Il nome generico Abies deriva dal latino ăbĭēs, ĕtis (= abete). Con il nome abete si designano, comunemente, piante legnose di alto fusto delle Pinaceae appartenenti a due generi distinti: Abies e Picea. Entrambi i generi sono caratteristici dell’emisfero boreale e comprendono una cinquantina di specie ciascuno. Il genere Abies è caratterizzato da foglie appuntite e strobilo (pigna) eretto, mentre nel genere Picea le foglie hanno sezione quadrangolare e lo strobilo è pendulo. Il più noto rappresentante di questo secondo genere è Picea excelsa (peccio o abete rosso) che è il tipico albero di Natale. Inoltre è conosciuto come Abete di Douglas lo Pseudotsuga menziesii di origine nord-americana, introdotto in Europa nel XIX secolo, anch’esso appartenente alle Pinaceae. Il genere Abies comprende una cinquantina di specie di piante legnose sempreverdi alte da 10 a 80 metri con tronco largo da mezzo metro a circa 4 metri. Esse hanno corteccia biancastra negli individui giovani, foglie aghiformi appiattite, inserite singolarmente e strobili eretti che si disintegrano a maturità liberando semi alati. Quindi la pigna non cade al suolo intera. Essi sono presenti in Europa, Asia, America Settentrionale e Africa settentrionale generalmente sulle montagne, ma, volte, anche più in basso. In natura non formano boschi puri, ma si associano a pini e larici a formare grandi foreste di conifere dove le condizioni climatiche lo permettono. . Il legno non è di grande qualità e risente delle intemperie, viene usato per le strutture interne, per fare imballaggi e per pasta da carta. La resina è un componente della trementina. Gli abeti sono importanti come piante ornamentali e in silvicoltura. La specie più diffusa in Italia è l’abete bianco che è l’unico spontaneo nell’Appennino, esso è presente anche nelle Alpi dove comunque predomina l’abete rosso. In alcune zone della Sicilia è presente una rara specie endemica l’Abies nebrodensis a serio rischio di estinzione. 1 Philip Miller (1691-1771) botanico britannico, a lungo fu direttore del Giardino Botanico di Chelsea (Londra) dove coltivò rare piante esotiche. Descrisse numerose piante e introdusse la coltivazione del cotone nelle colonie americane. Pagina 1 di 4 ABIES ALBA Abies alba Miller Classificata da da Philip Miller nel 1768. Conosciuta anche come: Abies pectinata (Lam.) DC. Conosciuta volgarmente come: abete, abete bianco. Il nome specifico alba deriva dal latino albus, a, um (= bianco) in riferimento al colore della corteccia. Figura 1: Abies alba L’abete bianco è una pianta slanciata con chioma conica e, con i suoi 60 metri, è tra gli alberi più alti in Europa. La radice a fittone lo ancora molto bene nel bosco e lo protegge dalle intemperie. Ha maturazione tardiva e inizia a produrre coni anche a 50 anni, è abbastanza longevo e può superare i 300 anni di età. Tende a formare boschi misti con il faggio, con cui condivide esigenze climatiche e pedologiche, e con l’abete rosso, il larice e il pino mugo. L’abete bianco ama il clima di montagna e resiste a temperature molto basse (25° C sotto zero) e al vento e tollera l’ombra. È sensibile alle gelate tardive per cui non scende nelle valli. Richiede piovosità elevata e soprattutto umidità, ma disdegna il ristagno idrico e cresce su terreni silicei. Quando viene coltivato a bassa quota con climi miti è più soggetto ad attacco da parte di parassiti. È specie europea presente sulle Alpi, ma in maniera diversa lungo la catena. Nell’Appennino settentrionale è presente sia con nuclei autoctoni di estensione ridotta sia con popolazioni impiantate dall’uomo che hanno sostituito il faggio, invece è meno diffuso al centro e al sud. In epoca preistorica l’abete bianco era sicuramente molto più diffuso nell’Appennino come dimostrano studi palinologici, poi la competizione con il faggio e la difficoltà di riproduzione ne hanno ridotto la diffusione in areali che sono da considerarsi relitti della flora terziaria. Attualmente si rileva una diminuzione generalizzata delle popolazioni di abete bianco sia per attività antropiche, con il conseguente inquinamento atmosferico, sia per mutamenti climatici. La sofferenza dell’abete bianco ebbe un picco negli anni settanta del secolo scorso con un’elevata moria di piante conosciuta come “moria dell’abete bianco” (in tedesco Tannensterben). I derivati dell’abete hanno sempre avuto uso nella medicina popolare per aiutare la diuresi, guarire le affezioni bronchiali e per curare ferite. La resina è balsamica, antisettica ed espettorante. L’olio prodotto dalle gemme è antisettico, allieva il dolore reumatico e viene usato come profumo. La corteccia veniva usata come componente di zuppe e per fare una sorta di pane, dalle gemme si ottiene una sorta di tè e apprezzati liquori prodotti dai frati, inoltre le api producono dai fiori un ottimo miele. Il legno è di difficile lavorazione e non è un buon combustibile poiché produce molto fumo, è usato nell’industria cartiera. Dalla corteccia si produce trementina. L’abete bianco può essere usato come albero di Natale, ma si tende a preferire l’abete rosso e l’abete del Caucaso che sono più economici Moltissimi miti riguardano questo albero sin dall’antichità, in Grecia l’abete bianco era sacro ad Artemide ed era abitudine innalzare un albero di abete nella piazza principale in riti primaverili in Pagina 2 di 4 favore del nuovo anno. In riti asiatici esso era considerato albero cosmico e per i celti era consacrato alla nascita divina. Nei paesi scandinavi e germanici, sin dal medioevo, un abete veniva decorato in casa in occasione delle feste del Solstizio d’Inverno e intorno a esso si facevano feste che potevano trascendere in orge. L’usanza dell’Albero di Natale nei paesi latini inizia invece dalla metà del secolo XIX. La popolazione relitta di Orti di Donna2 Quello che è successo in Appennino per l’abete bianco vale anche per le Alpi Apuane. In passato, fino al medioevo, esso era diffuso sulle nostre montagne e oggi la sua presenza autoctona è da considerarsi come relitto di flora terziaria. In particolare oggi è presente una popolazione residua di 14 esemplari in Orto di Donna nel versante nord del Monte Contrario (provincia di Lucca) in un habitat predominato dal faggio. Per evitare il rischio di estinzione, sin dagli anni novanta del secolo scorso, sono iniziati interventi di recupero in situ a opera del Parco delle Alpi Apuane. Nel 1993 è iniziato un intervento di conservazione sulle biocenosi di rilevante aspetto naturalistico in Orto di Donna tra cui quella di Abies alba. In questo intervento si è cercato di ripristinare un ambiente favorevole all’abete, si sono recuperate aree degradate (cave e ravaneti) e si è agito sulla regimazione delle acque superficiali3. Successivamente, in un intervento più specifico, sono stati raccolti i semi di abete e sono stati seminati in vivaio e le piantine ottenute sono state messe a dimora, nel 2003, nel versante est del Monte Grondilice presso il Rifugio Orto di Donna (a circa 1500 metri) nel vecchio sito di cava 27 sottoposto al recupero ambientale di cui sopra, un certo numero di queste piante sono sopravvissute. Invece presso il nucleo originario di abete bianco sono stati operati diradamenti selettivi per limitare lo sviluppo delle latifoglie competitrici e per creare le condizioni più favorevoli alla rinnovazione spontanea dell’abete. Purtroppo nel periodo 1986-2004 la popolazione spontanea è passata da 21 a 14 esemplari con assenza di esemplari giovani e di plantule e riduzione dei coni negli esemplari fertili per cui gli interventi diventano sempre più indispensabili. Intanto sono state trovate in zona altre piante di abete bianco e una ventina di esemplari sono presenti presso l’ex-rifugio Donegani la cui origine è, al momento, sconosciuta. Sono in corso studi genetici su tutti i nuclei di abeti presenti in Orto di Donna per valutarne l’autoctonia e al momento è stata confermata la somiglianza genetica con le popolazioni appenniniche. Per il futuro, fortunatamente, sono confermati gli interventi già descritti: • • • • 2 3 Miglioramento delle condizioni presso il nucleo originario con tagli, diradamenti e interventi fitosanitari sugli individui in cattivo stato di salute. Attenta cura del nuovo nucleo di cava 27 con sostituzione delle piante morte e miglioramento della condizione idrica del sito. Produzione di nuove piantine sia da seme che con metodi vegetativi dal nucleo originario. Individuazione di nuovi nuclei di reintroduzione non solo in Orto di Donna e Val Serenaia, ma anche in zone idonee delle Alpi Apuane dove vi è documentazione storica della specie ad esempio nel Retrocorchia. Alcune delle notizie riportate sono tratte dal sito Apuanebiopark.it (biodiversità). C’è da aggiungere, comunque, che al contempo l’attività estrattiva in zona è notevolmente aumentata. Pagina 3 di 4 Al momento attuale la situazione rimane comunque critica sia per il basso numero di esemplari che per le loro precarie condizioni fitosanitarie. Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini4: 1350. – Abies pectinata – D.C. [Abies alba Miller] = Pinus picea L. = Pinus Abies Dur. = Abies alba Mill. (luoghi in cui è stata osservata:) indicato nelle Alpi Apuane sopra Vinca dietro il garnerone (Bert.), trovasi qua e là anche coltivato nei giardini e parchi della Provincia. Volg. Abete, abete bianco, abete nostrale. Fiorisce in maggio. Pianta legnosa LA PIANTA Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Pinophyta; Classe: Pinopsida; Ordine: Pinales; Famiglia: Pinaceae; Genere: Abies; Specie: Abies alba Forma biologica: fanerofita arborea (P scap). Fanerofita (simbolo: P) è una pianta perenne e legnosa con gemme svernanti poste a più di 30 cm dal suolo. Scaposa (simbolo Scap): pianta dotata di asse fiorale eretto e spesso senza foglie. Descrizione: Pianta arborea sempreverde di grandi dimensioni che può superare i 50 metri di altezza e i 2 metri di diametro. La chioma è densa, verde-scuro con riflessi argentei per il colore della pagina inferiore degli aghi. Essa ha aspetto piramidale fino a circa 70 anni poi la sommità tende ad appiattirsi. Il tronco è diritto e cilindrico con corteccia bianco-grigiastra che si fissura e si scurisce con l’età. I rami sono presenti sin dalla base anche negli esemplari adulti isolati, ma nel bosco essi sono spogli. Le foglie sono semplici e aghiformi con punta arrotondata non pungente e sono disposti a formare un doppio pettine. È pianta monoica con fiori (coni) maschili piccoli e gialli e femminili un po’ più grandi e rosso-violaceo. I frutti (strobili o pigne) maturi sono cilindrici lunghi fino a 18 cm e rosso-bruni a maturazione, non cadono interi, ma si sfaldano lasciando cadere sia le squame che i semi alati e sulla pianta rimane solo la parte basale e l’asse centrale. Antesi: aprile – maggio. Tipo corologico: è specie orofila ben diffusa sulle montagne nel sud-est europeo fino al Caucaso, nel centro Europa e nel nord. In Italia è spontanea sull’arco alpino e su quasi tutta la dorsale appenninica, anche se non è molto diffusa. Manca solo in Puglia e in altre regioni non è specie autoctona. Habitat: boschi montani freschi da 400 fino a 1800 metri. Conservazione: la specie non è compresa nella LRT (Lista Rossa Toscana) delle specie vegetali protette. Mentre risulta protetta in altre regioni italiane. Comunque la popolazione autoctona delle Alpi Apuane è a rischio ed è sottoposta a interventi di recupero. 4 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 270. Licenza Creative Commons Eccetto dove diversamente indicato, i contenuti di questo sito sono distribuiti con Licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate Italia 3.0 Pagina 4 di 4