Indice INDICE 1. Introduzione: 1.1 Anatomia e Istologia del colon .....................................…....4 1.2 Epidemiologia del cancro colorettale.....…….….................7 1.3 Patogenesi del cancro colorettale ..............................…......8 1.4 Patogenesi molecolare del cancro colorettale.....................11 1.5 Fattori di rischio ..…….………………........................... .20 1.6 Classificazione.......................................................................21 1.7 Sintomatologia del cancro colorettale.................................25 1.8 I Geni MYC e la loro Struttura…………...........................27 1.9 MYCN: Dal Gene alla Proteina N-Myc..………............. ..30 1.10 Acido peptido nucleici....................................................... 32 1.10.1 PNA: (Peptide Nucleic Acid)...............................32 1.10.2 Proprietà fisico-chimiche.....................................34 1.10.3 Sintesi e purificazione..........................................36 1.10.4. Attività anti-gene ed antisenso dei PNA............36 1.10.5 Uptake dei PNA in vivo e in vitro.......................38 1.11 Oligonucleotidi Antisenso: siRNA...................................40 2. Scopo della tesi...............................................................................44 3. Materiali e Metodi: 3.1 Linee cellulari .............................………..…….………….46 3.2 Conta cellulare e piastramento………..….……………...47 3.3 Trattamento con siRNA.....................................................48 1 Indice 3.4 Trattamento con PNA........................................................48 3.5 Estrazione dell’RNA e Retrotrascrizione……..................49 3.6 PCR Quantitativa Real-Time (qt-PCR)….….….……….50 3.7 Progettazione Primers ………................................…..…..52 3.8 Valutazione della crescita cellulare con saggio ATPlite...53 3.9 Western Blot………………………………………….....…54 3.9.1 Estrazione delle proteine totali………………..…54 3.9.2 Preparazione del gel di poliacrilamide……….....55 3.9.3. Preparazione dei campioni ed elettroforesi.........57 3.9.4 Trasferimento………………………..……………58 3.9.5. Blocking ed incubazione con gli Anticorpi…..…59 3.9.6. Detection con ECL e rivelazione al Chemidoc....60 3.10 FISH: ibridazione in situ fluorescente.............................61 3.10.1 Preparazione dell sonda ......................................61 3.10.2 Ibridazione ...........................................................63 3.10.3 Rilevazione del segnale.........................................64 4. Risultati: 4.1 FISH: valutazione dell’espressione di MYCN...................65 4.2 Quantificazione dei livelli di espressione genica di MYCN nelle linee di cancro colorettale ...............................................69 4.3 Western Blot: valutazione dell’espressione dell’oncoproteina N-Myc......................………...................…70 4.4 Trattamento con PNA anti MYCN: valutazione mediante qPCR…………………………...........……...............................71 4.5 Trattamento con siRNA anti MYCN e anti MYC: valutazione mediante Qpcr.......................................................72 2 Indice 4.6 Effetto del trattamento con siRNA anti MYCN e antiMYC sulla proliferazione cellulare..........….............................77 4.7 Il silenziamento causa un differente profilo d’espressione genica..........................................................................................80 5. Conclusioni…………………………………………..............….83 6. Bibliografia……………………………………...…...............….87 7. Ringraziamenti.............................................................................93 3 Introduzione ADENOCARCINOMA COLORETTALE Il carcinoma colorettale (CRC) include il cancro del colon, del retto e dell’appendice ed è un tumore maligno che origina dall’epitelio colorettale. 1.1.Anatomia e Istologia del colon L’intestino si ripartisce in intestino tenue, o piccolo intestino (a sua volta diviso in duodeno, digiuno e ileo) e intestino crasso, o grosso intestino (colon destro o ascendente (con l'appendice), colon trasverso, colon sinistro o discendente, sigma e retto) (Fig.1). Il colon, oltre un metro di lunghezza, insieme al retto, lungo circa 15 centimetri, formano un lungo tubo muscolare. Fig.1 Anatomia dell’intestino crasso 4 Introduzione Il colon è la parte dell'apparato digerente, attraverso la quale passa il materiale riciclato prima dell'escrezione; più nel dettaglio al colon arriva ciò che resta delle sostanze alimentari ingerite, digerite nello stomaco e assorbite nell’intestino tenue, in pratica i residui non assorbibili, come le fibre, e la funzione del colon consiste nell’assorbire una parte dell’acqua e degli elettroliti in modo da trasformare tali residui in feci solide. Il retto (passaggio posteriore) è l'estremità del colon prima dell'ano; a metà circa del retto si trova una dilatazione, l'ampolla rettale, una sorta di deposito per le feci che quando si riempie innesca un riflesso neuromuscolare che determina lo stimolo alla defecazione Osservando in sezione trasversale l'intestino, si riconosce la presenza di diversi strati: verso l'interno, a delimitare la cavità intestinale, vi è la tonaca mucosa, ossia uno strato formato dal tessuto epiteliale dell'intestino, dal sottostante tessuto connettivo e da un sottile strato di muscolatura liscia; procedendo verso l'esterno, vi è la tonaca sottomucosa, ricca di vasi sanguigni; vi è la tonaca muscolare, formata da due strati di muscolatura liscia, involontaria, responsabili dei movimenti di contrazione (peristalsi) dell'intestino stesso; la porzione più all’esterno, la tonaca sierosa formata dal foglietto viscerale del peritoneo, che si continua con il foglietto parietale il quale delimita la cavità addominale (Fig.2). 5 Introduzione Fig.2 Caratterizzazione istologica del colon La componente epiteliale della mucosa dell’intestino crasso è costituita da un misto di cellule con funzione di assorbimento e cellule muco- secernenti, disposte in invaginazioni tubulari non ramificate (cripte) che si spingono dalla superficie fino alla muscolaris mucosae. Si osservano i seguenti tipi cellulari: cellule cilindriche, cellule caliciformi mucipare, cellule staminali e cellule endocrine. Le cellule staminali sono i precursori di tutti gli altri tipi cellulari e sono localizzate alla base delle invaginazioni epiteliali: le cellule staminali proliferano e le cellule figlie si muovono verso le parti superficiali delle cripte perdendo la capacità di replicarsi e acquistando un fenotipo differenziato (S.A.Lamprecht et al. 2002). La superficie esterna del colon mostra tre formazioni a nastro, composte di cellule muscolari lisce, dette tenie coliche. Esse delimitano aree denominate austre (Fig.1). Sulla superficie interna si trovano, in corrispondenza delle tenie, le pliche mucose, dette pieghe semilunari, e in corrispondenza delle austre si trovano le tasche. 6 Introduzione La mucosa dell'intestino crasso si differenzia da quella del tenue in quanto non sono presenti i villi intestinali. Al contrario, vi sono diverse ghiandole secernenti grandi quantità di muco, la cui funzione consiste nell'unire e lubrificare le sostanze di scarto. Le pareti dell'intestino crasso sono rivestite di mucosa liscia, interrotta da pieghe solo a livello rettale: nel tratto superiore la mucosa del retto mostra infatti pliche trasversali, in quello inferiore invece esse risultano verticali (colonne di Morgagni) unite in basso a formare i seni rettali. 1.2. Epidemiologia del cancro colorettale Il cancro colorettale rappresenta i due terzi di tutti i tumori maligni gastrointestinali; l’incidenza varia nelle diverse zone del mondo, in occidente è più frequente, rappresentando la seconda più comune forma di cancro tra le donne (dopo il cancro al seno) e la terza fra gli uomini (dopo la prostata e i polmoni) (A.B. Ballinger et al. 2008). Fig.3 Incidenza annuale in Italia del cancro colorettale. 7 Introduzione Ogni anno nel nostro paese circa 37.000 persone si ammalano di tumore del colon-retto e di queste, poco più della metà muore a causa della malattia. Il 90% dei tumori riguarda individui sopra i cinquant'anni di età. Il numero dei nuovi casi è valutato intorno a 45 nuovi casi/anno ogni 100.000 abitanti. Il maggior numero di casi si registra nell'Italia centrosettentrionale. La malattia colpisce uomini e donne con uguale frequenza, sebbene i tumori del retto mostrino una maggiore prevalenza nel sesso maschile. Nella popolazione della Comunità Europea sopra i 65 anni, l'incidenza stimata per il tumore del retto è di 95 nuovi casi/anno per 100.000 uomini e di 53 nuovi casi/anno per 100.000 donne, mentre per il tumore del colon è di 167 nuovi casi/anno per 100.000 uomini e di 143 nuovi casi/anno per 100.000 donne. Il cancro colorettale causa 655.000 morti nel mondo all’anno, di cui 16.000 solo negli UK, dove rappresenta dopo il cancro ai polmoni il secondo tipo di cancro a maggiore mortalità. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento del numero di tumori, ma anche a una diminuzione della mortalità, attribuibile soprattutto a un'informazione più adeguata, alla diagnosi precoce e ai miglioramenti nel campo della terapia. 1.3. Patogenesi del cancro colorettale Il cancro colorettale è un tumore maligno che nasce dall’epitelio colorettale. La larga maggioranza dei carcinomi colorettali (95%) sono adenocarcinomi, cioè evolvono da polipi adenomatosi. I polipi (o adenomi) si sviluppano quando si verifica un cambiamento nelle cellule della parete del colon o del retto: si tratta di una crescita anormale, di tipo ghiandolare del tessuto. 8 Introduzione Il polipo può essere definito, in base alle sue caratteristiche, sessile (cioè con la base piatta) o peduncolato (ovvero attaccato alla parete intestinale mediante un piccolo gambo). Fig.4 Polipi del colon. In alcuni casi i polipi hanno un peduncolo, come quelli riprodotti nell’immagine. I polipi sono generalmente benigni, ma alcuni possono evolvere gradualmente in pre-cancerosi e infine cancerosi. La natura premaligna dei polipi è ora ben accetta: la forma più comune di comparsa del cancro al colon infatti è di natura polipoide o anulare. Più raramente si vede una lesione ulcerata e piatta. Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Ve ne sono infatti tre diversi tipi: i cosiddetti polipi iperplastici (cioè caratterizzati da una mucosa a rapida proliferazione), amartomatosi (detti anche polipi giovanili e polipi di Peutz-Jeghers; di natura malformativa per un’alterata organizzazione del tessuto epiteliale) e adenomatosi. Solo questi ultimi costituiscono lesioni precancerose e di essi solo una piccola percentuale si trasforma in neoplasia maligna. A livello istologico gli adenomi possono essere così classificati: 9 Introduzione • adenoma tubulare (già neoplastico con architettura tubulare) ha una frequenza del 64% ed è associato ad un 5% di rischio di degenerazione maligna. • adenoma villoso (struttura vascolo-stromale ricoperta da epitelio adenomatoso (villi)) ha una frequenza del 7% con il 40% di rischio di degenerazione maligna. • adenoma tubulo-villoso ha una frequenza del 27% e un rischio di degenerazione maligna del 20%. • adenoma serrato (architettura sovrapponibile al polipo iperplastico con un epitelio che presenta le caratteristiche citologiche dell’adenoma) La prognosi del polipo è legata sia alle sue dimensioni sia al grado di displasia. La probabilità che un polipo del colon si evolva verso una forma invasiva di cancro è minima (inferiore al 2%) per dimensioni inferiori a 1,5 cm, intermedia (2-10%) per dimensioni di 1,5-2,5 cm e significativa (10%) per dimensioni maggiori di 2,5 cm. Per displasia si intende un’alterazione della differenziazione cellulare, dimostrabile istologicamente, ma priva delle alterazioni citologiche tipiche del cancro. La displasia presente nei polipi adenomatosi è l'effetto dell'insorgenza di mutazioni a carico delle cellule germinali che si trovano presso il fondo delle ghiandole intestinali; queste cellule vanno incontro periodicamente a divisioni mitotiche e si differenziano nei vari citotipi dell'epitelio del colon, determinandone la sua continua rigenerazione. Una alterazione del processo differenziativo (displasia) si manifesta con l’accumulo, nello spessore dell’epitelio, di cellule che proliferano senza differenziarsi o la cui differenziazione è ritardata. L’epitelio risulta dunque ispessito per l’accumulo delle cellule non differenziate. Si è giunti quindi a codificare la sequenza “adenoma-carcinoma”: partendo da un adenoma 10 Introduzione tubulare con displasia di grado crescente (lieve, moderata e severa), si arriverebbe al carcinoma invasivo ed infine metastatico. Una volta trasformatasi in tessuto canceroso, la mucosa intestinale può presentarsi con caratteristiche diverse a seconda dell'aspetto visibile al microscopio, e di conseguenza prendere un nome diverso: adenocarcinoma, adenocarcinoma mucinoso, adenocarcinoma a cellule ad anello con castone, carcinoma (più raro). Inoltre tutti i cancri del colon-retto possono avere un aspetto a polipo, a nodulo oppure manifestarsi con ulcere della mucosa. I carcinomi polipoidi sono preferenzialmente collocati nel cieco, colon ascendente e nel retto, mentre le lesioni anulari e ulceranti sono più frequentemente viste nel colon traverso, discendente e sigmoide Fig.5 Incidenza di carcinomi nelle diverse porzioni del colon 1.4. Patogenesi molecolare del cancro colorettale I tumori colorettali di natura sporadica sono processi multistep e derivano da una serie graduale di cambiamenti istologici (la cosiddetta sequenza adenoma-carcinoma) ciascuno accompagnato da alterazioni 11 Introduzione genetiche su specifici oncogeni, oncosoppressori o geni coinvolti nella riparazione del DNA. Almeno quattro alterazioni genetiche successive sono necessarie per l’evoluzione del cancro colorettale: target classici di tali modifiche sono l’oncogene KRAS e gli oncosoppressori APC, SMAD4 e TP53. In particolar modo la mutazione inattivante di APC promuove una serie di eventi, a livello molecolare e istologico, che conducono alla trasformazione tumorale, è infatti presente nelle lesioni che compaiono più precocemente. Per lo sviluppo del cancro sono necessari in una cellula intestinale due requisiti: anzitutto la cellula intestinale deve acquisire sia un vantaggio selettivo per permettere l’espansione clonale iniziale, sia instabilità genetica per permettere hit multiplo su altri geni responsabili della progressione tumorale e della trasformazione maligna. L’inattivazione di APC sembra soddisfare entrambe le richieste. La prima indicazione funzionale relativamente al gene APC è stata l’identificazione della βcatenina come ligando interagente con APC. La β-catenina è stata originariamente identificata come componente intracellulare del complesso di adesione della caderina; tuttavia ora sappiamo che rappresenta un’importante componente del pathway Wingless/Wnt. Nelle cellule non stimolate, cioè in assenza di segnali extracellulari, la β-catenina libera è legata e fosforilata dal complesso di distruzione che consiste della proteina “scaffold” axina e conductina, GSK3b (la chinasi glicogeno sintetasi 3b) e APC. La fosforilazione della β-catenina la marca per l’ubiquitinazione e successiva degradazione proteolitica. In presenza del segnale, che lega il recettore Frizzled, si inattiva il GSK3b e il processo di inattivazione, seppure non ancora ben compreso, coinvolge la proteina intracellulare Dishevelled. Di conseguenza la β-catenina si stabilizza e si sposta nel nucleo dove lega le DNA-binding protein della famiglia del T-cell factor (TCF) fungendo da coattivatore della trascrizione (Fodde, 2002). 12 Introduzione È inoltre opportuno considerare che il pathway WNT è influenzato dall’attività di antagonisti, come la famiglia sFRP (secreted Frizzled-related protein), WIF (Wnt inhibitory factor)-1 e membri della famiglia Dickkopf (Dkk), la cui funzione è spesso compromessa in caso di cancro per effetto di modifiche genetiche o epigenetiche. In condizioni normali gli antagonisti come sFRPs, e WIF-1 inattivano il pathway bloccando il legame di Wnt con il recettore; Dkk invece agisce interagendo con il co-recettore e bloccando la formazione del complesso attivo corecettore-WNT-recettore Frizzled (Y. Kawano et al., 2003). È stato visto che l’inattivazione epigenetica di tali antagonisti determina un’attivazione costitutiva del pathway WNT (J.Román-Gómez et al., 2007); studi su linee di neuroblastoma MYCN amplified (MNA) hanno evidenziato, relativamente all’antagonista DKK3, che ad alti livelli di MYCN è associata una sua riduzione con conseguente deregolazione del pathway WNT; l’espressione dell’antagonista viene ripristinata per effetto del trattamento con siRNA anti-MYCN (E.Bell et al., 2007). Oltre al ruolo nel pathway WNT, APC svolge altre funzioni: la βcatenina è una componente essenziale delle giunzioni aderenti nelle quali fornisce il link fra E-caderina e a-catenina e lega l’actina e le proteine associate all’actina. APC può così controllare l’adesione cellulare regolando la stabilità e la localizzazione cellulare della β-catenina. Assumendo che il ruolo di oncosoppressore di APC sia associato alla sua capacità di controllare i livelli di β-catenina nella cellula, i target per primi identificati a valle della β-catenina responsabili della tumorigenesi APC mediata sono MYC e la ciclina D1 la cui alterata espressione è in grado di influire sul rinnovamento dell’epitelio intestinale aumentando la velocità di proliferazione cellulare con formazione di polipi adenomatosi. L’assenza di attività della proteina APC, ha come conseguenza una sovraespressione del gene MYC e quindi un aumento della trascrizione di geni per la 13 Introduzione proliferazione cellulare attivati da tale proteina: ciò causa la proliferazione localizzata delle cellule epiteliali del colon (Fodde, 2002). Il gene per la ciclina D1, un regolatore della crescita molecolare, una volta mutato, può agire come oncogene. I livelli della proteina da esso prodotta sono anormalmente alti nel 30% dei pazienti affetti da cancro al colon, il che indica che la ciclina D1 potrebbe essere coinvolta nell'insorgenza del tumore maligno. Tuttavia il gene per la ciclina D1 trovato nelle cellule tumorali del colon appare perfettamente normale; dato il gene APC mutato, la beta-catenina si accumula e penetra nel nucleo, dove può attivare direttamente il gene per la ciclina D1, il che provoca una proliferazione cellulare incontrollata, contribuendo alla crescita di tessuto anormale e all'insorgenza del tumore (M. Shtutman et al., 1999) Nel normale epitelio intestinale, i livelli di β-catenina nucleare sono più alti nel compartimento proliferativo, mentre sono minori nei due terzi superiori della cripta. In maniera opposta APC citosolico aumenta nelle cellule post replicative delle porzioni superiori della cripta, suggerendo un aumento di espressione in concomitanza con la maturazione cellulare, mentre è virtualmente assente nella regione della cripta dove le cellule sono in attiva divisione Questo pattern di espressione è coerente con il ruolo del .pathway della β-catenina nel mantenere le proprietà delle cellule staminali. Nell’intestino TCF4 è il principale fattore di trascrizione che traduce il segnale della β-catenina nel nucleo: i bersagli a valle, quali MYC, TCF1 e la ciclina D1 sono essenziali nel mantenere la capacità proliferativa nel compartimento delle cellule staminali (Fodde, 2002). L’acquisizione della mutazione al gene APC avviene da parte di una cellula staminale e viene mantenuta dalla progenie o alternativamente avviene direttamente a carico di una cellula figlia migrante verso la superficie della cripta; la mutazione le conferisce proprietà mitotiche aberranti smettendo di inibire la sintesi di DNA nel corso della sua 14 Introduzione migrazione e raggiunta la superficie luminale viene trattenuta e può dar vita a microadenomi che esibiscono l’alterazione del gene APC (S.A.Lamprecht et al.,2002). Fig. 6 Sopra la mutazione del gene APC colpisce una cellula staminale e viene mantenuta della progenie. Sotto la mutazione si verifica in una cellula figlia al di sopra della base della cripta. Il ruolo della mutazione su APC nel deregolare il pathway Wnt non è necessariamente solo correlato alle prime fasi dell’evoluzione adenomacarcinoma. È stato osservato come la progressione da adenoma iniziale a carcinoma invasivo sia associato a un aumento dei livelli di β-catenina nucleare. Riassumendo, la perdita della regolazione della β-catenina da parte dell’APC fornisce alle cellule intestinali un vantaggio selettivo permettendo l’espansione clonale iniziale; a questo punto altri eventi genetici agiscono in modo sinergico con l’alterazione di APC promuovendo un’instabilità cromosomica (CIN) e accelerando la progressione del tumore. A riguardo, l’attivazione per mutazione (trovate nel 50% dei grandi 15 Introduzione polipi e dei casi di cancro colorettale) dell’oncogene KRAS (gene che mappa sul cromosoma 12p, coinvolto nella trasmissione al nucleo di segnali di crescita extracellulari), e l’attivazione di C-MYC come target a valle del pathway Wnt possono contribuire alla CIN e a conseguenti imbilanci allelici a livello delle regioni 17p e 18q. Altri oncosoppressori possono promuovere unitamente al gene APC aneuploidia con un progressivo avanzamento verso forme più invasive e maligne del tumore (Fodde, 2002). Fig.7 Cambiamenti sequenziali che portano all’evoluzione del cancro colorettale La comparazione con tessuti normali ha mostrato che in caso di cancro colorettale sporadico i tessuti tumorali mostrano sbilanciamenti allelici, si parla di loss of heterozigosity (LOH). Si è poi notato che specifici loci cromosomici mostrano con più elevata frequenza una perdita allelica come i cromosomi 5q, 17p e 18q. La delezione allelica del gene APC sul cromosoma 5q si verifica fino al 50% di CRC e in circa il 30% degli 16 Introduzione adenomi e la mutazione a forma troncata nel 63% e 60% di adenomi e carcinomi rispettivamente. È stato dimostrato che l’oncosoppressore sul cromosoma 17p è il gene p53. Nel 75% dei casi di cancro colorettale si riscontra una LOH a livello del locus 17p e nella maggior parte dei casi l’altro allele viene inattivato da mutazione. Il sito 18q è il sito dove più frequentemente si verifica LOH nel cancro colorettale. Dal sequenziamento della regione è stato identificato il gene DCC (deleted in colorectal carcinoma gene). La sua delezione è stata trovata nel 70% dei casi di cancro colorettale, ma l’inattivazione del restante allele non è mai stata identificata per cui il suo ruolo nella carcinogenesi multistep non è stato ancora definito. È stato trovato che i geni SMAD-2 e SMAD-4 sono deleti a livello del cromosoma 18q, geni che hanno mostrato più chiaramente di avere caratteristiche di oncosoppressori. La cellula che presenta tutte queste alterazioni continua a dividersi e la sua progenie invade la lamina basale. Alcune cellule tumorali diffondono nei vasi sanguigni raggiungendo altri siti corporei. Ulteriori mutazioni provocano la fuoriuscita delle cellule tumorali dai vasi sanguigni e la loro moltiplicazione, provocando formazione di la metastasi. I tumori che si sviluppano attraverso l’inattivazione di oncosoppressori e perdite alleliche multiple sono definiti come casi di instabilità cromosomica (CIN). Questo modello è stato quello inizialmente proposto per la tumorigenesi multistep, ma ora si è vista l’esistenza di altri meccanismi alla base dello sviluppo del CRC. Un altro tipo di instabilità genomica è la MSI: si tratta di inserzioni o delezioni in brevi sequenze ripetute chiamate microsatelliti. Il 12-15% dei casi di cancro colorettale presenta questo fenotipo di MSI. La maggior parte delle alterazioni genetiche si verifica nelle regioni introniche, ma alcune possono verificarsi a livello degli esoni il che può portare all’inattivazione di geni critici nella regolazione della crescita. La mutazione interessa geni coinvolti nel mantenimento del DNA, e la mutazione di geni del mismatch 17 Introduzione repair porta all’acquisizione di mutazioni multiple a livello dei microsatelliti. Da una analisi di 209 casi di CRC sporadico, si è osservato che il 14% sono classificabili come MSI-H (high) mentre i restanti casi come MSI-L (low) o MSS (stable). Nel 51% dei casi è stata trovata LOH mentre nel 3,4% dei casi sono stati trovati sia MSI che LOH. L’aspetto interessante è che nel 38% dei casi non è stato osservato nessuno dei due tipi di instabilità genomica (Fig.7). Pertanto si può concludere che in alcuni casi il CRC evolve per una sovrapposizione dei due pathway, mentre una buona porzione di casi sono legati a un tipo di instabilità genomica non ancora definita e compresa a livello molecolare. Si ipotizza quindi la presenza di un altro meccanismo alla base della evoluzione del CRC (C.N.Arnold et al.,2005). Fig.8 Sottotipi di instabilità genomica su 209 casi di cancro colorettale. I tumori sono stati screenati per perdita allelica (LOH) e instabilità dei microsatelliti (MSI). Il silenziamento epigenetico per metilazione del promotore di un gene è alla base dell’inattivazione di numerosi geni in diversi tipi di cancro: virtualmente in tutti i casi di CRC non ereditario l’ipermetilazione del promotore del gene hMLH1 (mismatch repair system) è responsabile della 18 Introduzione sua mancata espressione e rende conto della MSI nel cancro colorettale non ereditario. Questo diverso pathway di tumorigenesi prende il nome di CIMP (CpG island methylator phenotype). Riassumendo, nella maggior parte dei casi, il pathway wnt è deregolato da mutazioni o delezioni al gene APC o da mutazioni al gene della β-catenina. La tumorigenesi può procedere attraverso il pathway CIN, caratterizzato da mutazioni all’oncogene K-Ras o da una perdita allelica multipla per gli oncosoppressori. Alternativamente, le mutazioni ai geni MMR (come nella sindrome di Lynch) o l’inattivazione acquisita del gene hMLH1 portano al fenotipo MSI. Un altro meccanismo di carcinogenesi colorettale si verifica attraverso il CpG island methylator phenotype (CIMP), che silenzia i geni attraverso la metilazione del promotore. CIMP può progredire attraverso il silenziamento del gene hMLH1 causando il fenotipo MSI (CIMP/MSI). Oppure una serie di geni oncosoppressori possono essere silenziati attraverso la metilazione del promotore (CIMP/MSI- o CIMP/MSI-L) (C.N.Arnold et al.,2005). Fig.9 Pathway multipli nel cancro colorettale. 19 Introduzione 1.5. Fattori di rischio Molte sono le cause che concorrono a determinare la malattia: tra esse ne sono state individuate alcune di tipo non ereditario, altre legate alla dieta e altre genetiche. La più alta incidenza nei paesi sviluppati suggerisce un collegamento con fattori legati allo stile di vita come l’obesità, una dieta ricca di grassi, il consumo di carne rossa e trasformati a base di carne, come il prosciutto, pancetta, hot dog, salsicce, pastrami e salame, e il rapporto inverso con l’attività fisica e consumo di fibre (frutta e vegetali). Il rischio aumenta con l’età, è più comune nelle persone sopra i 40 anni: il 99% dei casi scolpisce la popolazione over 40; l’85% quella over 60 (Ballinger et al.,2007). Fig.10 Incidenza del CRC in relazione all’età in uomini e donne (Cancer Research UK). Inoltre è più probabile svilupparlo in caso di malattie infiammatorie croniche intestinali come la colite ulcerosa (formazione di ulcere sulla mucosa che riveste l’intestino crasso) o il morbo di Chron, una storia 20 Introduzione clinica passata di polipi del colon o di un pregresso tumore del colon-retto, dell’ovaio, dell’endometrio (utero) o della mammella. Polipi e carcinomi che non rientrano tra le sindromi ereditarie vengono definiti "sporadici", sebbene anche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino. Il rischio è ancora più elevato se a più membri della stessa famiglia è stata diagnosticata la neoplasia (in questo caso si parla di carcinoma familiare del colon). È possibile ereditare il rischio di ammalarsi di tumore del colon-retto se nella famiglia d'origine si sono manifestate alcune malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali. Tra queste sono da segnalare le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l'adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e quella che viene chiamata carcinosi ereditaria del colon-retto su base non poliposica (detta anche HNPCC o sindrome di Lynch). Si tratta di malattie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche, e che possono anche non dar luogo ad alcun sintomo. La probabilità di trasmettere alla prole il gene alterato è del 50 per cento, indipendentemente dal sesso. 1.6. Classificazione I sistemi di classificazione del cancro colorettale sono di diverso tipo. • Modified Duke Staging System • TNM Staging • Stage Grouping (AJCC American Joint Commission on Cancer) Il Dukes’ system venne proposto nel 1932 dal dottor Cuthbert E. Dukes e identifica quattro distinti stadi: 21 Introduzione A –tumore confinato alla parete intestinale B – tumore che invade la parete intestinale C – coinvolgimento di linfonodi D – metastasi distanti Fig.11 Sopravvivenza di cinque anni (%) relative ai diverse gruppi Dukes Il sistema TNM (tumore/ linfonodi/ metastasi) è il sistema di classificazione più comune, sebbene molti medici usino ancora il sistema Dukes. Il sistema TNM assegna un numero per ciascun aspetto: • T – il grado di invasione della parete intestinale T0 – nessuna evidenza di tumore Tis - il cancro in situ (il tumore è presente ma non c’è invasione) T1 – invasione attraverso la sottomucosa nella lamina propria (la membrana basale invasa) T2 – invasione nella muscularis propria T3 – invasione attraverso la subsierosa T4 – invasione di strutture attorno • N – il grado di coinvolgimento dei linfonodi: N0 – non c’è coinvolgimento dei linfonodi 22 Introduzione N1 – da uno a tre linfonodi coinvolti N2 – quattro o più linfonodi coinvolti • M – il grado di metastasi: M0 – assenza di metastasi M1 – metastasi presenti Il tipo di classificazione usato dalla AJCC prevede che lo stadio del tumore venga indicato con un numero I, II, III, IV derivato dai valore TNM raggruppati per prognosi; un numero più alto è indice di cancro più avanzato e con probabile peggiore esito: Stage 0 • ♦ Tis, N0, M0 Nello stadio 0 la malattia è in fase iniziale, le cellule neoplastiche sono presenti solo nella mucosa più interna del colon. Lo stadio 0 si definisce anche carcinoma in situ Stage I • ♦ T1, N0, M0 ♦ T2, N0, M0 Nello stadio I il tumore si è esteso dallo strato più interno della parete del colon fino agli strati intermedi. Spesso il tumore del colon di stadio I si indica anche come tumore di Dukes A. Lo stadio II si divide convenzionalmente in stadio IIA e stadio IIB: Stage IIA • ♦ T3, N0, M0 23 Introduzione il tumore si è esteso agli strati intermedi del colon o ha invaso i tessuti adiacenti al colon o il retto; Stage IIB • ♦ T4, N0, M0 il tumore si è diffuso oltre la parete del colon e ha invaso gli organi adiacenti e/o il peritoneo. Spesso il tumore del colon di stadio II si indica anche come tumore di Dukes B. Lo stadio III si divide convenzionalmente in stadio IIIA, IIIB e IIIC: Stage IIIA • ♦ T1, N1, M0 ♦ T2, N1, M0 il tumore si è esteso dallo strato più interno della parete del colon fino agli strati intermedi e ha invaso fino a 3 linfonodi; Stage IIIB • ♦ T3, N1, M0 ♦ T4, N1, M0 il tumore ha invaso fino a 3 linfonodi regionali e si è diffuso: o oltre gli strati intermedi della parete del colon; oppure o ai tessuti adiacenti intorno al colon o al retto; oppure o oltre la parete del colon e ha invaso gli organi adiacenti e/o il peritoneo; • Stage IIIC ♦qualsiasi T, N2, M0 il tumore ha invaso 4 o più linfonodi regionali e si è diffuso: 24 Introduzione o a o oltre gli strati intermedi della parete del colon; oppure o ai tessuti adiacenti intorno al colon o al retto; oppure o agli organi adiacenti e/o al peritoneo. Spesso il tumore del colon di stadio III si indica anche come tumore di Dukes C. • Stage IV ♦qualsiasi T, qualsiasi N, M1 Nello stadio IV, il tumore ha invaso i linfonodi regionali e ha raggiunto altri organi, per esempio fegato e polmoni. Spesso il tumore del colon di stadio IV si indica anche come tumore di Dukes D. Fig.12 Stadiazione del tumore 25 Introduzione 1.7. Sintomatologia del cancro colorettale Al momento della diagnosi, circa un terzo dei malati presenta già metastasi a livello del fegato e, comunque, una parte delle persone colpite andrà incontro a una diffusione della malattia a livello del fegato, perché i due organi sono strettamente collegati dal punto di vista della circolazione sanguigna. I sintomi sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua estensione e la presenza o assenza di ostruzioni o emorragie. Le manifestazioni del cancro siano sovente sovrapponibili a quelle di molte altre malattie addominali o intestinali. Ecco perché i primi sintomi, generalmente vaghi, come perdita di peso e stanchezza vengono ignorati. Più nel dettaglio i sintomi possono essere divisi in locali, di costituzione e metastatici: I sintomi locali comprendono • Cambiamento nelle abitudini intestinali o Cambiamenti di frequenza (costipazione e/o diarrea) o Senso di incompleta defecazione (tenesmus) e riduzione nel diametro delle feci, caratteristico anche del tumore al retto o Cambio dell’apparenza delle feci : -feci sanguinolente o sanguinamento del retto -feci con muco -feci nere, simil catrame (melena), più probabilmente correlate a patologia gastrointestinale ad esempio a livello di stomaco o di duodeno • Ostruzione causante dolore, rigonfiamento e rigetto di materiale simil feci 26 Introduzione • Tumore nell’addome, percepito dai pazienti o dal loro dottore • Sintomi correlati all’invasione del cancro nella vescica causante ematuria (sangue nelle urine) o pneumaturia (aria nelle urine), o invasione della vagina. Questi sono gli eventi tardivi indicativi di un tumore esteso. Sintomi costituzionale (sistemici) • Inspiegabile perdita di peso, probabilmente il più comune sintomo, causato da mancanza di appetito • Anemia, causante stordimento, fatica e palpitazioni. Pallore. Analisi del sangue confermerà il basso livello di emoglobina. Sintomi metastatici • Metastasi al fegato causanti: o ittero. o Dolore all’addome, più spesso alla parte sopra dell’epigastrio o il lato destro dell’addome o allargamento del fegato, generalmente sentito dal dottore • Coaguli di sangue nelle vene e nelle arterie, una sindrome paraneoplastica correlata alla ipercoagulabilità del sangue 1.8. I geni MYC e la loro struttura La famiglia dei geni myc codifica per un gruppo di fosfoproteine nucleari coinvolte nella proliferazione cellulare, nella regolazione del ciclo 27 Introduzione cellulare, nel differenziamento, nell’apoptosi e nella trasformazione neoplastica (Zajak et al., 2001). La maggior parte degli studi sui geni MYC si focalizzano su tre membri che, quando attivati, sembrano essere importanti nello sviluppo di vari tumori umani: MYC, MYCN e L-MYC. Il gene MYC è stato scoperto per primo attraverso la sua omologia con v-MYC, il gene trasformante del virus MC29 della mielocitosi aviaria. Gli altri due, MYCN e L-MYC, sono stati scoperti più tardi attraverso la loro omologia con v-MYC nelle sequenze amplificate delle cellule, rispettivamente, di neuroblastoma e del tumore del polmone a piccole cellule . A questa famiglia appartengono almeno altri tre geni: S-MYC, B-MYC e P-MYC. S-MYC e B-MYC appaiono altamente interessanti perché, al contrario di MYC, MYCN e L-MYC, sembra che le proteine da essi codificate sopprimano la trasformazione neoplastica. Invece P-MYC è uno pseudogene che deriva da una regione di L-MYC. Studi filogenetici hanno dimostrato che una duplicazione genica avvenuta precocemente nell’evoluzione dei vertebrati, abbia prodotto MYC e un’altra linea da cui si sono originati MYCN e L-MYC. I geni MYC possono essere attivati attraverso diversi meccanismi, quali: l’amplificazione genica; la traslocazione cromosomiale; l’inserzione provirale; la trasduzione retrovirale e altri processi non ancora noti. I membri di questa famiglia svolgono un ruolo nel controllo dell’espressione genica e le evidenze di ciò sono aumentate quando si è visto che la sequenza della proteina c-myc contiene una serie di motivi simili a quelli precedentemente descritti in fattori di trascrizione noti. I primi ad essere identificati sono stati i motivi leucine-zipper, come quelli presenti nelle oncoproteine v-Fos e v-Jun, localizzati all’estremità C- terminale della proteina. Subito a monte del motivo leucine-zipper, è stato individuato un dominio definito helix-loop-helix, già visto in numerosi 28 Introduzione fattori di trascrizione, quali le proteine E12 e E47. Le proteine Myc contengono anche un tratto di aminoacidi basici a monte del motivo helixloop-helix. Tale motivo, definito “regione basica”, è stato precedentemente identificato nel fattore di trascrizione miogenico MyoD, nel quale costituisce la regione coinvolta nel legame sequenza-specifico al DNA. Inoltre si è visto che una regione, presente all’estremità N-terminale di cmyc, ha la capacità di agire come transattivatore trascrizionale . Da alcuni studi è emerso che le proteine Myc possono formare complessi con il DNA solo a concentrazioni molto elevate, indicando che queste interazioni non possono essere fisiologicamente significative. Quindi si è pensato che Myc richiedesse l’interazione con una seconda proteina per poter svolgere il suo ruolo di fattore trascrizionale. Successivamente è stata identificata una proteina denominata Max . Max, è una piccola proteina ubiquitaria contenente anch’essa motivi basici helix-loop-helix e leucine zipper; per questa similitudine strutturale con Myc, la proteina Max è stata considerata un possibile partner di dimerizzazione. Saggi in vitro hanno dimostrato che Max è in grado di formare complessi dimerici con ciascuno dei membri della famiglia Myc ad una concentrazione minore rispetto a quella necessaria per l’omodimerizzazione di Myc. Durante la fase Go l’espressione di Max è elevata e favorisce la formazione di omodimeri Max/Max che reprimono la trascrizione. Al contrario l’aumentata produzione di Myc, che si osserva durante l’ingresso nel ciclo cellulare o come risultato di amplificazione genica, induce l’eterodimerizzazione di Myc/Max. Il dimero Myc-Max così formatosi si lega al DNA in modo specifico alla sequenza palindromica CACGTG, denominata E-box (Solomon, D.L., B. Amati 1993) (fig.6). Un altro sito di legame al DNA, specifico per N-Myc è costituito dalla sequenza asimmetrica CATGTG. Queste due sequenze non sono 29 Introduzione esclusive delle proteine Myc, in quanto vengono anche riconosciute da fattori di trascrizione come USF, TFEB e TFE3. Il legame induce l’attivazione trascrizionale di una serie indefinita di geni che promuovono il passaggio dalla fase G1 alla fase S del ciclo cellulare e quindi, alla crescita cellulare (Grandori, C. R.N. Eisenman 1997). Fig 13 Struttura dell’eterodimero Myc-Max legato al DNA 1.9. MYCN: dal gene alla proteina N-Myc L’oncogene MYCN è stato identificato nel 1983 in linee di neuroblastoma grazie alla sua parziale omologia (circa il 38%) con il gene MYC (Slamon et al., 1986). L’ibridazione in situ ha permesso di mappare MYCN sul braccio corto del cromosoma 2 nella regione 2p23-24 (Schwab, M., et al.). Il gene MYCN come il resto dei geni appartenenti alla famiglia è composto da tre esoni: il primo non viene trascritto, mentre gli altri due codificano per la fosfoproteina nucleare N-Myc. La trascrizione del gene inizia in corrispondenza di diversi siti raggruppati sotto il controllo di due promotori. 30 Introduzione Vengono quindi generate due forme di mRNA che differiscono solamente nel primo esone (sequenza leader al 5’) ma non negli altri due. Entrambe le forme di mRNA sono instabili ed hanno un’emivita breve di circa 15 minuti (Shanton et al, 1987) e codificano per proteine rispettivamente di 65 kD e 67 kD localizzate nel nucleo e fosforilate da una caseina chinasi II (CKII), la cui attività è indotta in risposta a mitogeni. Similmente alle altre proteine della famiglia Myc, N-Myc è organizzata in 3 regioni (Fig.7): 1) un dominio di transattivazione all’estremità N-terminale contenente i Myc boxes I e II, regioni ricche in glutamina e prolina ed una regione acida essenziale per tutte le attività biologiche note di N-Myc; 2) una regione intermedia non strutturata; 3) una regione basica (BR) all’estremità C-terminale coinvolta nel riconoscimento e nel legame specifico con il DNA. Nonostante l’omologia strutturale e funzionale, l’espressione di MYCN e MYC è molto differente per quanto riguarda il tessuto, il periodo di sviluppo e il tipo di tumore . Per esempio MYC è abbastanza ubiquitario ed espresso nelle cellule che proliferano, mentre MYCN ha un pattern di espressione ristretto . Nello sviluppo del topo è stato visto che MYCN viene principalmente espresso durante gli stadi precoci del differenziamento: alla nascita è ancora espresso in cervello, rene, intestino, cuore e polmoni, ma in seguito viene down-regolato, e nell'adulto la sua espressione si ha soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo dei linfociti B . Nel 1997 Wakamatsu et al. hanno scoperto che, durante lo sviluppo della cresta neurale di embrioni di pollo, MYCN è inizialmente espresso nell’intera popolazione cellulare. L’espressione è spenta nel periodo successivo alla colonizzazione dei gangli e del midollo spinale, tranne che per le cellule sottoposte al differenziamento neuronale. L’elevata 31 Introduzione espressione di MYCN provoca una massiva migrazione ventrale della popolazione della cresta neurale e, successivamente, queste cellule migrate nei gangli vanno incontro a differenziamento neuronale. Quindi MYCN è coinvolto nella regolazione del destino della cresta neurale in due aspetti: migrazione ventrale e differenziamento neuronale. Inoltre mentre MYC è in grado d’indurre l’apoptosi, qualora venga espresso in modo inappropriato, poco nota è invece l’abilità di MYCN nell’indurre la morte cellulare programmata (Leonetti, C., I. D’Agnano, et al. 1996, Sakamuro, D., V. Eviner, et al. 1995; Andrea Pession and Roberto Tonelli, 2005). Autoregulation sites Post­transcriptional regulation TIE CT Sp1 Sp1 TATA E2F E2FboxOct WT1 CR2 Exon 1 (non­coding) ­200 ­146 Exon 2 Exon 3 +1 6439 Transactivation domain 1 MbI MbII 44 63 110 123 Acid region EX2/EX3 262 278 Trrap NLS BR H1 L H2 Zip 464 345 352 381 Nmi Rb Yaf2 Max Fig 14 Struttura della proteina N-Myc. Abbreviazioni: MB I, MB II, “Myc-boxes”; BR, basic region; H1–L–H2, helix1–loop–helix2; Zip, leucine zipper; Trrap, transformation/transcription domain-associated protein (Pession e Tonelli, 2005). 1.10 . ACIDO PEPTIDO NUCLEICI 1.10.1. PNA: (Peptide Nucleic Acid) Gli acidi pepdidi nucleici rappresentano una delle strategie per inibire i geni al fine di studiare la funzione delle proteine da essi codificate. 32 Introduzione I PNA sono degli omologhi sintetici strutturali di DNA ed RNA, dove l’intero scheletro fosforodiesterico è sostituito da una catena pseudo­ peptidica formata da monomeri di N­(2­amminoetil)glicina (fig. 14). I PNA si legano in modo sequenza­specifico al DNA e all’RNA secondo le regole di appaiamento di Watson­Crick; ogni unità è legata ad una appropriata purina o pirimidina per creare la sequenza richiesta per poter ibridizzare l’acido nucleico bersaglio (Nielsen, Egholm et al., 1991). Si tratta di molecole non ioniche, achirali e la mancanza di repulsione elettrostatica tra i filamenti rende i duplex ibridi PNA/DNA e PNA/RNA maggiormente stabili rispetto ai naturali omo/etero­duplex (Egholm et al., 1995). I PNA non sono substrato di enzimi idrolitici, come nucleasi e peptidasi, perciò non vengono degradati nelle cellule e sono estremamente stabili nei fluidi biologici (Demidov et al., 1994). Per questo motivo i PNA possono trovare diverse applicazioni: come modello molecolare in biologia e biotecnologia (Orum, Nielsen et al., 1995), come composto guida per lo sviluppo di farmaci gene-bersaglio mediante strategie antigene e antisenso (Hanvey, Peffer et al., 1992), per scopi diagnostici e per lo sviluppo di biosensori (Carlsson, Jonsson et al., 1996; Wang, Palecek et al., 1996). . 33 Introduzione Fig. 15 Struttura chimica del PNA e del DNA. Si nota, nel backbone PNA, l’assenza del gruppo fosfato che contribuisce nelle interazioni DNA/DNA destabilizzare il legame intercatena. 1.10.2. Proprietà fisico-chimiche La stabilità chimica dei PNA differisce in modo significativo da quella del DNA, poiché non hanno gruppi funzionali in comune tranne le basi azotate. I PNA, essendo composti neutri, presentano una bassa solubilità in acqua rispetto al DNA. Le molecole neutre come i PNA hanno una tendenza a formare aggregati in modo dipendente dalla sequenza dell’oligomero. La solubilità del PNA è anche collegata alla lunghezza dell’oligomero e alle purine: rapporto pirimidinico (Hyrup e Nielsen, 1996). Ci si aspetta che i PNA oligomeri abbiano coefficienti di estinzione differenti dalle loro controparti DNA ed RNA, poiché scheletri diversi dovrebbero perturbare molto il sistema π dei nucleotidi. Poiché i coefficienti di estinzione dei diversi monomeri di PNA non sono ben caratterizzati, per tutti gli scopi pratici la concentrazione degli oligomeri di PNA è determinata misurando l’assorbanza a 260 nm a 80°C (Tomac, Sarkar et al., 1996; Kuhn, Demidov et al., 1998). A tale temperatura, le 34 Introduzione basi azotate sono considerate completamente distaccate dallo scheletro che non può più perturbare il sistema π delle basi (a 260 nm il contributo dello scheletro all’assorbanza è molto piccolo). I PNA possono ibridizzare con i complementari nucleici in modo sequenza dipendente, seguendo due schemi: - quello classico con i legami idrogeno Watson-Crick, formando così un duplex PNA/DNA; - quello triplo dove lo schema Watson-Crick è accoppiato allo schema Hoogsteen, si forma dunque un triplex PNA/DNA/PNA (Nielsen, Egholm et al., 1994; Wittung, Nielsen et al., 1996; Peffer, Hanvey et al., 1993). Poiché i PNA hanno uno scheletro neutro, la loro ibridazione non è influenzata dalla repulsione elettrostatica tra i filamenti che caratterizza, invece, i duplex DNA ed RNA. La temperatura di melting (Tm), definita come la temperatura alla quale il 50% dei complessi sono dissociati, fornisce un’idea della stabilità dei duplex PNA-DNA o PNA-RNA. Per esempio il PNA con sequenza HTGTACGTCACAACTA-NH2 può formare un duplex antiparallelo con il DNA complementare, che ha una Tm pari a 70°C, mentre il corrispondente duplex DNA-DNA presenta una Tm pari a 53°C. Inoltre la stabilità termica del duplex PNA-RNA è maggiore di quella del duplex PNA-DNA (Jensen, Orum et al., 1997). Le associazioni PNA-DNA sono estremamente sensibili; l’impatto di un mismatch sulla Tm è significativo ed è tanto più significativo quanto più la lunghezza del PNA è breve. Nella tabella 1 viene mostrato l’effetto di alcune modificazioni sulla Tm di associazione di un duplex DNA-PNA; si nota come la sola sostituzione di una G con una A riduca di ben 14.2°C la temperatura di melting (Ray e Norden, 2000). Gli acidi peptico nucleici possono anche legarsi a sequenze complementari di PNA stesso per formare duplex estremamente stabili di PNA-PNA. L’incremento della stabilità termica del duplex PNA-PNA rispetto al 35 Introduzione corrispondente duplex DNA-DNA è fondamentalmente dovuta all’assenza di una significante repulsione elettrostatica tra i due filamenti nel formare il complesso. I PNA ricchi in purine tendono ad aggregare, per evitare problemi simili è necessario che all’interno di una finestra di 10 basi siano presenti al massimo 7 purine. Tabella 1. Stabilità termica di un duplex PNA/DNA PNA sequenze H-egl-GGCAGTGCCTCACAANH2 H-egl-GGCAGCGCCTCACAANH2 DNA sequenze 5’TTGTGAGGCACTGCC-3’ 5’TTGTGAGACACTGCC-3’ 5’TTGTGAGGCGCTGCC-3’ 5’TTGTGAGGCACTGCC-3’ Tm 72.3°C 58.1°C >85°C 69.9°C 1.10.3. Sintesi e purificazione I PNA possono essere preparati seguendo i protocolli standard di sintesi in tafase solida per i peptidi (Merrifield, 1963; Merrifield, 1986), utilizzando resine come supporto. Modificazioni post­sintetiche dei PNA possono essere introdotte accoppiando i gruppi desiderati a residui di lisina o cisteina inseriti nel PNA (Christensen et al., 1995; Thomson et al., 1995). Gli amminoacidi possono essere coniugati durante la sintesi in fase solida e composti contenenti un gruppo carbossilico possono essere attaccati al gruppo ammino­terminale esposto del PNA. I PNA possono contenere anche modificazioni dello scheletro o una struttura chimerica. Ad esempio, le chimere PNA/DNA sono costituite da 36 Introduzione un oligomero PNA fuso ad un oligomero DNA (Uhlmann et al., 1998). Dopo la sintesi, la procedura prevede il distacco del PNA dal supporto solido e la purificazione tramite HPLC. 1.10.4. Attività anti-gene ed antisenso dei PNA I PNA trovano diverse applicazioni per: l’amplificazione attraverso PCR; nell’ibridazione Southern; per valutare la lunghezza del telomero; nell’analisi di mutazioni genetiche; per l’inibizione della telomerasi umana; per marcare i plasmidi con fluorofori. In questa tesi sono stati utilizzati come antigeni. Da esperimenti condotti in vitro è stato rivelato che i PNA hanno significativi effetti sui processi di replicazione, trascrizione e traduzione, perciò possono essere impiegati sia come antigeni (interferiscono con la trascrizione di un particolare gene) che come antisenso (inibiscono la traduzione del mRNA) (fig. 15). a Fig. 16 Strategie antigene (a) e antisenso (b) dei PNA. Il blocco della trascrizione può avvenire mediante due differenti modi: - attraverso la formazione di una tripla elica stabile; 37 b Introduzione - attraverso l’invasione della doppia elica denaturando localmente il duplex DNA/DNA. La formazione del complesso PNA/DNA inibisce l’accesso al DNA da parte della RNA polimerasi. Se il PNA viene indirizzato contro un sito promotore si impedisce l’associazione della polimerasi e quindi si impedisce la formazione di RNA eteronucleare. Se il complesso viene spostato a valle del sito promotore si blocca la progressione dell’enzima e si ottengono degli hnRNA troncati (Hanvey, Peffer et al., 1992; Praseuth, Grigoriev et al., 1996; Cutrona, Carpaneto et al., 2000). I PNA agiscono come antisenso attuando un blocco sterico nel processo di trasporto nel citoplasma dell’RNA o dell’apparato di traduzione. Il PNA è in grado di inibire la traduzione se viene progettato contro il codone di start AUG del trascritto (Knudsen e Nielsen, 1996). Mediante l’utilizzo di tre differenti tipi di PNA è stato possibile bloccare l’attività in vitro dell’espressione del gene PML/RARα (Mologni, leCoutre et al., 1998) Il primo era complementare al sito di inizio AUG, il secondo si legava a una sequenza nella regione codificante AUG e il terzo era complementare alla regione 5’-UTR. Insieme questi PNA raggiungevano una inibizione superiore al 95%; inoltre il PNA progettato contro la regione 5’-UTR risultava il più efficace se impiegato da solo, dato che impedisce il legame del ribosoma. I PNA possono bloccare anche i siti di splicing e alterare la produzione delle varianti di splicing. In questi meccanismi, l’mRNA rimane intatto e l’efficacia dell’approccio può essere valutata osservando la diminuita o alterata espressione della proteina. Si è anche visto che miscele di diversi PNA sono in grado di inibire la traduzione anche a concentrazioni molto inferiori rispetto a quelle usate se ciascuno di essi venisse utilizzato da solo (Mologni, L., P. Le Coutre, et al. 1998). 38 Introduzione 1.10.5. Uptake dei PNA in vivo e in vitro Lo scarso uptake cellulare dei PNA è considerato il maggiore ostacolo nella prospettiva di utilizzarli come agenti terapeutici. Usando vescicole fosfolipidiche (liposomi), come modello di membrane cellulari, Wittung e collaboratori hanno dimostrato che i PNA hanno una velocità di efflusso dai liposomi molto lenta (t1\2 di 5,5 e 11 giorni per due PNA di 10 nucleotidi) (Wittung P., Kajanus J. et al. 1995). Da questi esperimenti si è quindi concluso che l’entrata dei PNA nelle cellule, per diffusione passiva, è particolarmente lenta. Anche altri studi, hanno evidenziato che l’entrata dei PNA in alcune cellule e linee cellulari è eccessivamente lenta se non addirittura non individuabile. In contrasto a ciò però numerosi gruppi hanno riscontrato che alcune cellule sono soggette all’entrata dei PNA grazie a specifici meccanismi di trasporto per queste molecole (Tyler B.M., Jansen K. et al. 1999). Ciò è stato riportato, sia in studi in vitro che in vivo, applicati a cellule neuronali di ratto. Nei neuroni di ratto in coltura, non solo i PNA venivano assorbiti dalle cellule ma mostravano anche un’inibizione dell’espressione dei geni target, dipendente dal tempo e dalla dose applicata (Aldrian-Herrada G., Desarmenien M.G. et al. 1998). L’uptake da parte dei neuroni è stato mostrato anche in vivo, infatti quando i PNA venivano iniettati nel cervello del ratto, questi erano in grado di diminuire l’espressione del gene target mostrando un’azione antisenso (Tyler B.M., McCormick D.J. et al. 1998). Inoltre, numerosi gruppi hanno dimostrato che se iniettati per via endovenosa o intraperitoneale, i PNA potevano attraversare la barriera ematoencefalica ed entrare nei neuroni, provocando così una risposta antisenso. Quindi l’uptake dei PNA sembra dipendere dal tipo cellulare. Infatti successivamente si è visto che usando elevate concentrazioni di PNA e lunghi tempi di incubazione, è possibile indurre l’uptake dei PNA 39 Introduzione anche da parte di mioblasti, fibroblasti, linfociti e altri tipi cellulari (Ray, A. and B. Norden 2000; Sei S., Yang Q.E. et al. 2000). Per facilitare l’uptake dei PNA nelle cellule eucariotiche sono stati proposti numerosi metodi, quali: - permeabilizzazione della membrana cellulare con lisolectina (Boffa L.C., Morris P.L. et al. 1996) o detergenti come Tween (Norton J.C., Piatyszek M.A. et al. 1996) ; - temporanea permeabilizzazione con streptolisina 0 (Faruqi A.F., Egholm M. et al. 1998); - modificazioni dei PNA con motivi idrofobici (Branden U., Mohamed A.J. et al. 1999); - impiego di vescicole di trasporto, quali i liposomi; - coniugazione del PNA a ligandi recettoriali o ad anticorpi che inducono l’endocitosi recettore-mediata dei rispettivi coniugati (Basu S. and Wickstrom E. 1997); - coniugazione con peptidi che promuovono la traslocazione attraverso la membrana cellulare e il targeting in compartimenti specifici, la classe dei cosiddetti CPP (Cell Penetratine Peptides) che sta crescendo rapidamente. Ad esempio studi differenti hanno dimostrato che penetratina (Derossi D., Joliot A.H. et al. 1994) e trasportàno sono in grado di trasportare i PNA attraverso la membrana citoplasmatica in cellule eucariotiche. Inoltre costrutti PNA-NLS (Nuclear Localisation Signal) aumentano l’uptake cellulare dei PNA e facilitano il loro trasporto dal citoplasma al nucleo (Cutrona, G., E. M. Carpaneto, et al. 2000 ; R.Tonelli, A. Pession, 2005); - legame del PNA ad una sequenza di DNA in una catena oligonucleotidica lineare e coniugazione della chimera PNA\DNA con lipidi cationici (Hamilton S.E., Simmons C.G. et al.1999); 40 Introduzione - microiniezione (Hanvey, J. C., N. J. Peffer, et al. 1992); - elettroporazione. 1.11. Oligonucleotidi Antisenso: siRNA Uno small interfering RNA (detto anche breve RNA interferente), comunemente conosciuto come siRNA, è una molecola di RNA lunga tra i 20 ed i 25 nucleotidi in grado di svolgere numerosi ruoli biologici. Più precisamente, gli siRNA sono coinvolti anzitutto nel pathway della RNA interference, che conduce alla inibizione dell’espressione di singoli geni. Gli siRNA hanno una struttura ben definita, che consiste in un breve RNA a doppio filamento (RNAds), composto solitamente di 21 nucleotidi, con due nucleotidi sporgenti ad ognuna delle due estremità 3’. Questa struttura è il risultato del processamento dell’enzima Dicer, che converte lunghe molecole di RNAds o shRNA (molecole di RNA che formano una forcina) in siRNA. Gli siRNA possono essere introdotti artificialmente dall’esterno attraverso specifici metodi di trasfezione, per indurre il silenziamento di geni specifici. Qualsiasi gene la cui sequenza sia nota può essere scelto come bersaglio di un siRNA. Questo ha reso gli siRNA uno strumento importante per studi sulla funzione genica e sullo sviluppo di nuovi farmaci. Gli siRNA hanno un cuore a doppio filamento e due code a entrambi i siti 3’. Sono sequenze dirette verso regioni del gene prive di sequenze ripetute e di sequenze introniche. Ogni regione può fungere da bersaglio ma ci sono regioni da evitare come: - siti di legame per mRNA binding proteins della regione 5’ non tradotta - 3’ UTR - codone di inizio 41 Introduzione - regione di connessione esone/ esone In genere uno siRNA è rivolto verso 50 o 100 nucleotidi a valle del codone di inizio, e il contenuto medio di GC varia tra il 30 e il 70%. Il 50-60% dei siRNA offre una riduzione dell’RNA messaggero pari al 70% dopo 48 h. Ci sono dei miglioramenti legati a fattori termodinamici quali il contenuto in GC, un debole appaiamento al 5’ del filamento antisenso che favorisce l’inserzione di questo filamento rispetto al senso nel RISC. Il disegno degli siRNA avviene in questo modo: 1) identificazione delle sequenze di AA nel gene 2) disegno di sequenze di AA + 19 nucleotidi 3) verifica della specificità 4) costruzione di oligo complementari al promoter primer 5) annealing con i promoter primer 6) si usa una DNA polimerasi per formare molecole a doppio filamento che vengono poi trascritte dalla RNA polimerasi 7) l’ibridizzazione dei trascritti a RNA determina la formazione di dsRNA 8) si eliminano con ribonucleasi specifiche le sequenze leader e il DNA templato con deossiribonucleasi 9) Gli siRNA vengono poi purificati mediante legami a filtri di fibre di vetro e poi eluiti. I siRNA possono essere preparati mediante sintesi chimica, con in vitro transcription, attraverso digestione di lunghi RNA a doppio filamento ( 200-1000nt ) mediante un enzima della famiglia delle Rnasi 3 (Dicer). 42 Introduzione Fig.17 Meccanismo di funzionamento degli siRNA 43 Scopo della tesi SCOPO DELLA TESI È noto il ruolo dell’oncogene MYC nella patogenesi di molteplici tumori e dell’oncogene MYCN in tumori principalmente pediatrici, quali il neuroblastoma e il medulloblastoma, ruolo derivante da una amplificazione o da una sovraepressione di tali oncogeni a livello nucleare. Seppure il cancro colorettale non sia un tumore caratteristico dell’età pediatrica, studi condotti su campioni di colon provenienti da pazienti hanno mostrato che è presente un’amplificazione di MYCN significativamente più comune per frequenza (52% vs 6%) ed intensità (12% vs 3%) nel tessuto tumorale piuttosto che in quello normale. Da letteratura è stato anche osservato che tutti gli adenocarcinomi hanno più alti livelli di proteine Myc rispetto alla normale mucosa del colon. Il pathway principalmente coinvolto nella patogenesi del cancro colorettale, il pathway WNT, si è visto da studi sul neuroblastoma essere collegato con l’oncogene MYCN: l’amplificazione di quest’ultimo, infatti, si traduce in una riduzione di DKK3, regolatore negativo del pathway, con una conseguente deregolazione dello stesso. Partendo da tali presupposti si vuole verificare e validare il ruolo degli oncogeni MYCN e MYC come potenziali target per il trattamento del cancro colorettale. Saranno studiate e caratterizzate delle linee di cancro colorettale, derivate da pazienti a differente stadio tumorale, per MYCN e MYC, da un punto di vista trascrizionale, proteico e citogenetico. Verrà testato l’effetto del trattamento con il PNA e gli siRNA per valutare la capacità inibente di tali molecole su MYC e MYCN nella linee analizzate. 4 Scopo della tesi Saranno valutate l’inibizione della proliferazione ed il blocco della trascrizione dell’oncogene MYCN e MYC mediante Real-Time PCR, in modo da determinare l’espressione differenziale dei due geni nelle cellule trattate e non trattate. In risposta ai trattamenti effettuati sarà inoltre valutata la variazione di espressione di alcuni geni: geni relativi al pathway WNT e geni reputati importanti nel pathway di attivazione dell’apoptosi. Da letteratura, infatti, risulta che l’amplificazione di MYC e MYCN o la loro iperespressione si riflette in un’anormale espressione di diversi gruppi di geni fra i quali quelli che regolano l’apoptosi. 4 Materiali e metodi MATERIALI E METODI 3.1. Linee cellulari Le linee di carcinoma colorettale usate sono le seguenti: • COLO 205 adenocarcinoma colorettale Duke’s D • SW-480 adenocarcinoma colorettale Duke’s B • SW-620 adenocarcinoma colorettale Duke’s C • SW-948 adenocarcinoma colorettale Duke’s C (grado III) • HCT-116 adenocarcinoma • CACO-2 adenocarcinoma colorettale • LoVo adenocarcinoma colorettale Duke’s C (grado IV) • VACO5 ceco Duke’s C2 • HT-29 adenocarcinoma colorettale Le linee cellulari utilizzate sono stabilizzate da tumori in diverso stadio di avanzamento o si distinguono per la diversa sede anatomica di origine del tumore. Tali linee risultano eterogenee da un punto di vista morfologico; alcune si presentano adese, altre mostrano una popolazione mista in parte adesa in parte in sospensione come le cellule VACO5 e le COLO 205. Ulteriore caratteristica distintiva tra le linee utilizzate, è data dal mezzo di coltura, ognuna delle linee presenta un proprio terreno di sviluppo in cui l’aggiunta di FBS (Fetal Bovin Serum) al 10%, P\S (Penicillina e Streptomicina) all’1% e L-glutammina all’1% sono costanti mentre cambiano i terreni di base : 4 Materiali e metodi CACO2- COLO205- HCT116- HT29 : RPMI-1640 MEDIUM SW48- SW480- SW620- SW1116- SW948 : LEIBOVITZ L-15 MEDIUM SW1116- SW948 : ISCOVE’S MODIFIED DULBECCO’S MEDIUM Tutte le linee cellulari sono state coltivate in fiasche di polistirene T25 (Falcon) e conservate in incubatori alla temperatura di 37°C e ad una concentrazione di CO2 nell’ambiente pari al 5%. 3.2. Conta cellulare e piastramento Per staccare le cellule dalle rispettive fiasche è stato utilizzato CITRATO 1X (1,5 ml), le cellule sono state messe in incubazione per 5 minuti e poi il citrato è stato neutralizzato con 1,5 ml di PBS. Dal pellet di cellule ottenuto dopo centrifugazione sono stati prelevati 20μl di cellule e uniti a 20μl di Tripan-blu, poi si è proceduto con la conta cellulare effettuata attraverso camera di Burker. Le cellule sono state risospese in un volume finale di 1ml in piastre da 6 pozzetti con mezzo RPMI 10% FBS, 1% L-Glutammina, ma senza Penicillina/Streptomicina per il trattamento con siRNA e terreno RPMI 10% FBS, 1% L-Glutammina, 1% Penicillina/Streptomicina per il trattamento con PNA. 4 Materiali e metodi 3.3. Trattamento con siRNA Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando siRNA per N MYC e C MYC, e gli effetti della stessa molecola sono stati valutati dopo 24 e 48 ore Per ognuno dei trattamenti è stato usato come agente trasfettante la lipofectamina: • Ctrl + lipofectamina • 1 μM • 500 nM • 250 nM • 100 nM • Scrambled Il terreno utilizzato per effettuare il trattamento è RPMI senza FBS e senza P/S. Dopo 6 ore dal trattamento si procede con l’aggiunta di FBS e Penicillina/Streptomicina. 3.4. Trattamento con PNA Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando PNA contro N MYC e gli effetti della stessa molecola sono stati valutati dopo 12 ore. Parallelamente al trattato sono stati allestiti due controlli: • CTRL • PNA mutato Il terreno utilizzato per effettuare il trattamento è RPMI senza FBS la cui aggiunta viene fatta alle 6 ore dal trattamento. 4 Materiali e metodi 3.5. Estrazione dell’RNA e Retrotrascrizione mediante RTPCR Dopo 24 e 48ore dal trattamento si procede con l’estrazione dell’RNA totale dalla piastra (attraverso RNAspin Mini RNA Isolation kit, GE Healthcare). Le cellule sono state centrifugate per una prima volta nel terreno a 1100rpm, poi sono state lavate in PBS, centrifugando di nuovo alla stessa velocità, per eliminare ogni residuo di terreno che avrebbe potuto ridurre l’efficienza di estrazione. Il pellet è stato risospeso in 350μl di soluzione lisante Buffer RA1. Il lisato di cellule è stato omogeneizzato aspirandolo per 20 volte con una siringa con un ago 20 G (0.9 mm di diametro) ed è stato aggiunto ad esso un volume di etanolo al 70%, per aggiustare le condizioni di legame. Successivamente 700μl di campione sono stati trasferiti in una colonnina (RNAsi mini column) posta in un collection tube e centrifugati per 30 secondi a 8000 x g, affinché l’RNA fosse adsorbito dalla membrana. Segue l’aggiunta di 350μl di MDB (membrane desalting buffer) e centrifugazione per 1 minuto a 11000 x g e di 95μl di Dnasi reaction mixture ottenuta dall’unione tra 10μl di Dnasi 1 e 90μl di Dnasi reaction buffer. Inizia poi la serie di lavaggi: • 200μl buffer RA2 + centrifuga per 1 minuto a 11000 x g • 600μl buffer RA3 + centrifuga per 1 minuto a 11000 x g • 250μl buffer RA3 + centrifuga per 2 minuti a 11000 x g L’ RNA poi va diluito con 22μl di H20. 4 Materiali e metodi L’RNA totale così recuperato da ciascun campione è stato quantificato tramite una doppia lettura effettuata mediante lo spettrofotometro NanoDrop ND-1000 (NanoDrop Technologies, Wilmingon,DE). L’RNA ottenuto è stato retrotrascrtto a cDNA utilizzando la retrotrascrittasi inversa “SuperScript ™ II” (Invitrogen ™). La reazione di retrotrascrizione prevede la preparazione di una prima mix contenente, per ogni campione, 1µl di dNTPs 10mM, 1µl di Oligo dT 500µg/ml, 1µg di RNA totale e acqua sterile fino a raggiungere un volume di 12µl. Tale mix è stata posta nel termociclatore (PTC 225; Mj research, Watertown, MA) a 65°C per 5 minuti (al fine di denaturare l’RNA e gli Oligo dT) e poi a 4°C per 1 minuto. A questo primo step, definito STEP 2RT, ne segue un secondo, STEP 4RT, in cui viene aggiunta una seconda mix, costituita da 4µl di Buffer 5X, 2µl di DTT 0,1M e 1µl di Rneasy Out 40U/µl. Il tutto viene posto nel termociclatore a 42°C per 2 minuti. Successivamente alla miscela di reazione è stato aggiunto 1µl di SuperScript II (50U/µl), STEP 6RT, e la retrotrascrizione è stata effettuata con il seguente programma: 42°C per 50 minuti, 70°C per 15 minuti e 4°C fino allo step successivo. I campioni ottenuti vengono poi conservati ad una temperatura di -20°C. 3.6. PCR quantitativa Real-Time (qPCR) La PCR quantitativa Real-Time (qPCR) è stata realizzata utilizzando la metodica SYBR Green. Questo saggio di quantificazione si basa sull’incremento della fluorescenza, in seguito ad amplificazione del templato, causato dal legame della molecola SYBR Green al solco minore del DNA a doppio filamento. Non è possibile misurare i primi cicli, poiché il segnale emesso è troppo basso, ma è comunque possibile misurare la 5 Materiali e metodi fluorescenza dei cicli all’interno della fase di crescita esponenziale. Per ogni campione si otterrà un grafico con la sua curva di amplificazione, questa curva si distinguerà dal segnale di background tanto prima quanto maggiore era la quantità di templato di partenza. La miscela di reazione per l’amplificazione è quindi costituita da 7.5μl SYBR Green Master Mix 1X (Applied Biosystem), 300 o 900 μM di ciascun primer, 10ng di cDNA e H2O sterile fino al volume finale di 15 μl. Viene allestita una reazione in duplicato per ogni coppia campione-primer e, sempre in duplicato, controlli negativi per ogni coppia di primer. A PCR completata vengono generate delle curve di melting che forniscono una indicazione della purezza del prodotto di reazione e rivelano l’eventuale formazione di dimeri di primer. I dati ottenuti vengono poi trasportati su un foglio di lavoro Excel in cui vengono calcolati la media dei duplicati, ΔCt, ΔΔCt e Log Ratio e i risultati vengono riportati su un grafico per vedere l’efficacia dei trattamenti con siRNA e PNA nel far diminuire i livelli di espressione dei geni di interesse, in questo caso di NMYC e MYC. Le coppie di primers utilizzati sono state: • MYCN senso (900nM): 5’- CGA CCA CAA GGC CCT CAG T -3’ • MYCN antisenso (900nM): 5’- TGA CCA CGT CGA TTT CTT CCT -3’ • β-actina senso (300nM): 5’- TCA CCC ACA CTG TGC CCA TCT ACG A -3’ • β-actina antisenso(300nM):5’- CAG CGG AAG CGC TCA TTG CCA ATG G-3’ • GAPDH senso (300nM): 5’- CCA ATA TGA TTC CAC CCA TGG C -3’ 5 Materiali e metodi • GADPH antisenso (300nM): 5’- CTT GAT TTT GGA GGG ATC TCGC -3’ • ATPs senso (300nM): 5’- GTC TTC ACA GGT CAT ATG GGG A -3’ • ATPs antisenso (300nM): 5’- ATG GGT CCC ACC ATA TAG AAG G -3’ • MYC senso (900nM): 5’- CAC CTC AGA CTG AAA CCG TAC AA -3’ • MYC antisenso (900nM): 5’- CTT CTG CAA ATC TGG ATG GC -3’ 3.7. Progettazione primers La scelta delle sequenze è stata effettuata con l’ausilio dei programmi (per elaboratore Macintosh) Amplify 1.2 ed Oligo 6.6. Il programma Oligo 6.6 è in grado di leggere una sequenza di DNA e di progettare su di essa i primers senso e antisenso. Tali sequenze vengono successivamente analizzate con il programma Amplify 1.2, che mostra il match tra i primer ed il DNA, la lunghezza del trascritto risultante e la presenza di eventuali dimeri di primers o bande aspecifiche. Per ogni coppia di primers è stato verificato che non ci fossero regioni di autocomplementarietà, o di complementarietà reciproca, e che la temperatura di Melting (Tm) dei 2 primers fosse simile. Tramite i programmi del gruppo Blast (Basic Local Alignment Search Tool, www.ncbi.nlm.nih.gov\blast\Blast), si è verificato che le sequenze identificate tra tutte quelle note e conservate nella banca dati UCISC, fossero specifiche per il gene studiato e non si appaiassero in altri punti del genoma. 5 Materiali e metodi 3.8. Valutazione della crescita cellulare con saggio ATPlite Il Saggio ATPlite (luminescente ATP detection Assay sistem, Perchin Elmer) rappresenta un sistema di monitoraggio della crescita cellulare basato sulla luciferasi della lucciola Photinus Pyralis. Questa tecnica è stata utilizzata per realizzare curve di crescita di 24, 48, 72 ore sulle linee cellulari di cancro colorettale. L’ATP può essere considerato un valido marker della vitalità cellulare, essendo presente in tutte le cellule metabolicamente attive e mostrando un rapido calo di concentrazione nel caso in cui le cellule vadano in contro a necrosi o apoptosi. Conseguentemente ne deriva che valutando la presenza di ATP all’interno della cellula è possibile capire quante cellule siano vive e quante morte. Una volta aggiunto l’enzima D-luciferasi alle cellule lisate, l’ATP fuoriuscito da queste reagisce con la D-luciferina producendo una quantità di luce che è proporzionale alla concentrazione di ATP presente, e quindi in maniera indiretta, si riesce a risalire al numero di cellule presenti. ATP + D-luciferin +O2 Mg++ ---------------------------- > Oxyluciferin + AMP + PPi +CO2 +LUCE D-Luciferasi Figura 18 Schema della reazione La luce prodotta viene rivelata mediante l’uso dello strumento Tecan Infinite F200. 5 Materiali e metodi L’inizio di tale valutazione ha luogo con la semina delle cellule (in terreno completo) fino a raggiungere un volume finale di 100μl\pozzetto. Le cellule vengono seminate su piastre P96 caratterizzate da pozzetti con fondo trasparente e bordi opachi al fine di ridurre la dispersione della luce emessa durante la reazione. Per ogni tempo di semina sono stati piastrati almeno 5-6 pozzetti, per avere un numero di repliche statisticamente valido. Alla fine di ogni periodo di semina la piastra è stata così trattata: 1) Sono stati aggiunti a tutti i pozzetti 50μl di Mammalian Cell Lysis Solution necessario per far fuoriuscire l’ATP dalle cellule e inattivare le ATPasi endogene. Le piastre sono poi state agitate per 5 minuti a 700rpm; 2) Sono stati infine aggiunti 50μl di SUBSTRATE SOLUTION, che permette di stabilizzare la reazione dell’ATP, e di nuovo seguirà l’agitazione delle piastre per 5 minuti a 700rpm; 3) La piastra viene posta al buio per 10 minuti, dopo di che avviene la rivelazione nello strumento atto a stabilire la luminescenza prodotta. I dati ottenuti sono stati elaborati con il programma GraphPad Prism 4.0 e con Microsoft Excel. 3.9. Western Blot Il Western Blot è un particolare procedimento teso ad evidenziare la presenza di una determinata proteina all’interno di una miscela di queste. 3.9.1. Estrazione delle proteine totali 5 Materiali e metodi Le cellule in coltura vengono raccolte e centrifugate per 5 minuti alla velocità di 1100 rpm in modo tale da ottenere un pellet di cellule al quale viene aggiunto un volume di soluzione lisante, generalmente 200µl per 5 x 106 cellule. Tale soluzione è composta da KH2PO4 0,1M a pH 7.5, Igepal 1%, β-glicerolfosfato 0.1mM e Complete 2X (Roche). Il lisato viene lasciato in ghiaccio per circa 10 minuti e nel frattempo viene vortexato più volte. Al termine di questo periodo la mix viene centrifugata per 3 minuti a 14000 x rpm, questo procedimento è atto a separare le proteine dal resto del lisato. Una volta ottenuto il sovranatante, nel quale sono presenti le proteine, questo può essere congelato a -80°C in piccoli volumi (10-15µl). I campioni ottenuti, prima di essere caricati sul gel vengono quantificati, mediante metodo di Lowry, allo spettrofotometro a 660nm al fine di determinare la concentrazione delle proteine presenti. A questo punto quantificata la concentrazione di proteine presenti nei campioni, questi vengono caricati su un gel di poliacrilamide al 10% per effettuare una corsa elettroforetica, che consenta alle proteine presenti di separasi secondo i propri pesi molecolari. 3.9.2 Preparazione del gel di poliacrilamide Il gel di poliacrilamide (Tabella 3) utilizzato consta di due parti: 1) Main gel, sottostante e più esteso, nel quale si verifica la corsa elettroforetica delle proteine; 2) Stacking gel, di minore spessore nel quale viene inserito uno speciale pettinino che consente la formazione dei pozzetti, nei quali verranno caricati i campioni 5 Materiali e metodi REAGENTI MAIN GEL STACKING GEL H2O distillata 4 ml 2,83 ml TRIS-HCl 1 M 500 µl pH 6,8 TRIS-HCl 1,5 M 2,5 ml pH 8,8 SDS 10% 100 µ l 40 µ l Acrylamyde30% 3,3 ml 540 µ l 10 µ l 4µ l 100 µ l 40 µ l 10 ml 4 ml (29:1Acrylamyde: Bis-Acrylamyde) TEMED Ammonio Persolfato 10% VOLUME TOT. Tabella 1. Composizione del gel di poliacrilamide Il Main gel viene colato all’interno di due vetri separarti tra loro da un sottile spessore e lasciato a polimerizzare. Per evitare che nella parte superiore si formino delle onde viene aggiunto superiormente 1ml circa di acqua al fine di allineare il gel. Una volta che questo si è polimerizzato si procede alla rimozione dell’acqua e all’aggiunta dello Stacking gel in associazione con l’inserimento tra lo spessore dei due vetri di uno speciale 5 Materiali e metodi pettinino la cui funzione è quella di favorire la formazione dei pozzetti una volta che anche lo Stacking gel si sia polimerizzato. Il gel così preparato viene posto all’interno di una vasca elettroforetica precedentemente riempita di una soluzione di Electrophoresis Buffer 1X, formato da: - Tris base 125mM - Glicina 0,960M - SDS 0,5% - H20, fino ad un volume di 1litro 3.9.3. Preparazione dei campioni ed elettroforesi Nel frattempo si preparano i campioni di proteine, solitamente dai 10-50µg, nei quali si aggiunge una soluzione detta Loading buffer e acqua, fino al raggiungimento di un volume finale di 16µl. Loading buffer 2x: 3) SDS 10%, 4ml; 4) Tris 1M pH 7, 2 ml; 5) Glicerolo, 1 ml; 6) β-mercaptoetanolo, 1ml; 7) H2O, 2ml; 8) Blu di bromofenolo; I campioni così preparati vengono posti nel termociclatore a 95°C per 5 minuti, dopo di che caricati sul gel di elettroforesi già preparato. Per primi si caricano 6μl di marker poi i campioni con un volume non superiore ai 14μl. La corsa viene effettuata a 160V per circa due ore. 5 Materiali e metodi 3.9.4. Trasferimento Terminata la corsa si procede al trasferimento delle proteine dal gel ad una membrana in PVDF utilizzando il sistema con procedura per trasferimento umido. Per tale metodica occorre per prima cosa attivare la membrane in PVDF, ciò è possibile mediante l’immersione di questa in metanolo, per non più di 10 secondi, quindi riequilibrata in H2O per 5 minuti. Si procede poi al trasferimento appoggiando sulla parte dell’anodo della cassetta di trasferimento: • una speciale spugna • un foglio di carta da filtro che ricalca le medesime dimensioni della membrana in PVDF • il gel di migrazione, dopo aver rimosso lo Stacking gel • la membrana in PVDF • un foglio di carta da filtro • una speciale spugna E’importante che nella preparazione del sandwich venga rispettata la giusta sequenza, affinché le proteine caricate negativamente possano migrare dall’anodo al catodo e quindi si trasferiscano dal gel alla membrana in PVDF. Preparato il tutto si chiude la cassetta di transfer e la si inserisce nell’apposita vasca, riempita di Transfer Buffer. Questo liquido di trasferimento è formato da: 9) Tris Base 25mM 10)Glicina 192mM 5 Materiali e metodi 11)Metanolo al 90% 12) H20, fino ad un volume di 1 litro Il trasferimento del gel di poliacrilamide sulla membrana in PVDF avviene ad una densità di corrente di 250mA per due ore. 3.9.5 Blocking e incubazione con gli anticorpi Successivamente al trasferimento si procede con il Blocking, passaggio necessario per saturare la membrana e ridurre l’eventuale evidenziazione di aspecifici durante la fase di lettura. Questa fase prevede l’immersione della membrana per più di 2 ore a temperatura ambiente in 10 ml di soluzione Blocking buffer formata da un 5% di latte condensato scremato che viene sciolto in 10ml di Buffer PBS-TWEEN 20 composto da PBS 1X e TWEEN20 0,2%. La membrana viene tenuta per un’ora in agitazione a temperatura ambiente, dopo di che si procede all’incubazione dell’anticorpo primario antiN-Myc (monoclonale mouse Santa Cruz). Il processo di incubazione prevede l’inserimento della membrana in una falcon da 50ml, alla quale verranno aggiunti 3ml di una soluzione contenente l’anticorpo I opportunamente diluito. Il processo di diluizione avviene secondo un rapporto che varia a seconda dell’anticorpo utilizzato, nel nostro caso è necessario una diluizione di 1:200 con una soluzione formata da PBS 1X-TWEEN 0,2% e 3,5% BSA (Bovin Serum Albumin). La falcon così preparata, viene posta per circa 1 ora a temperatura ambiente, su speciali rulli che ne assicurano il continuo movimento. Al termine di questo periodo si effettuano 3 lavaggi, della durata di 5 minuti ognuno, con PBS 1X e TWEEN 0,2%, affinché tutto l’anticorpo in eccesso venga rimosso. 5 Materiali e metodi Si procede poi con l’incubazione dell’anticorpo II, monoclonale antimouse, che richiede una diluizione 1:10000 con la medesima soluzione utilizzata per l’anticorpo I, in questo caso però tale rapporto viene condotto su un volume finale di 10ml di soluzione. Il processo di incubazione avviene per un ora a temperatura ambiente con il mantenimento della membrana in continuo movimento. Al termine di questo secondo evento di incubazione si procede nuovamente con i 3 lavaggi di PBS 1X-TWEEN20 0,2%. 3.9.6 Detection con ECL e rivelazione al Chemidoc Terminati i lavaggi si procede con la rivelazione della membrana mediante Detection, utilizzando una soluzione di ECL (Amersham Bioscence). Per prima cosa si uniscono in un rapporto di 1:1 le soluzioni ECL1 e ECL2 Si espone la membrana a questa miscela per 5 minuto al buio e dopo averla ricoperta con un film Saran, viene posta all’interno dello strumento di rivelazione ChemiDoc. Una volta effettuata la rivelazione al ChemiDoc è possibile ripetere per una seconda volta l’incubazione degli antiticorpi I e II. Questo evento è possibile solo a seguito dell’immersione della membrana, per almeno mezzora, in una soluzione di Streeping Buffer (soluzione che consente la rimozione dell’anticorpo presente dalla membrana di PVDF). Il secondo procedimento di incubazione prevede l’utilizzo di anticorpi specifici per la β-actina, essendo questa una proteina espressa costitutivamente da parte delle cellule. L’incubazione della membrana con anticorpi specifici per questa seconda proteina, rappresenta un utile mezzo di controllo, grazie al quale è possibile verificare l’effettivo calo di N-Myc nei 6 Materiali e metodi trattati e poter così normalizzare i dati ottenuti, mediante l’uso del programma Quantity One. 3.10. FISH: Ibridazione in situ fluorescente L' ibridazione in situ fluorescente (FISH) è una tecnica di citogenetica che consente la localizzazione di una specifica sequenza di DNA su preparati fissati di cromosomi, nuclei interfasici e sezioni di tessuto attraverso un processo di denaturazione. Tale processo si ottiene sottoponendo il DNA ad elevate temperature in modo tale da consentire ai due filamenti, che costituiscono la doppia elica, di separarsi. Si tratta di un processo reversibile per cui è possibile riformare la doppia elica abbassando la temperatura (rinaturazione). Se il processo di riappaiamento avviene in presenza di una sonda, cioè di una sequenza di DNA nota e marcata, a sua volta denaturata, quest’ultima durante il processo di rinaturazione si legherà al DNA cromosomico e sarà così possibile individuare il sito di ibridazione con un microscopio a fluorescenza. La tecnica FISH si suddivide in tre fasi: - preparazione della sonda; - ibridazione; - visualizzazione del segnale. 3.10.1. Preparazione della sonda 6 Materiali e metodi La sonda è rappresentata da una specifica sequenza di DNA marcato che andrà a legarsi alla sua sequenza complementare sul cromosoma, permettendone la visualizzazione. Nella FISH vengono utilizzate sonde di DNA marcate mediante l’incorporazione di nucleotidi modificati, in grado di legare direttamente molecole fluorescenti. Esistono diverse tipologie di sonde, le più usate sono: - sonde CEP, alfoidi, costituite da brevi sequenze di DNA ripetute in tandem; queste sono specifiche delle regioni centromeriche dei cromosomi; - sonde WCP, painting, costituite da un intero cromosoma; i cromosomi vengono isolati mediante citometria a flusso, oppure da ibridi di cellule somatiche contenenti un solo cromosoma umano; - sonde sub-cromosomiche, possono essere di diverse dimensioni, alcune marcano l’intero braccio lungo o il braccio corto di un cromosoma, mentre altre si legano ad una regione più o meno estesa di un braccio cromosomico; - sonde LSI, locus-specifiche, di ridotte dimensioni; possono essere ottenute dal clonaggio di segmenti di DNA in fagi PAC, BAC o YAC, oppure dall’amplificazione del DNA mediante PCR. Queste sonde sono marcate con fluorocromi, molecole che, dopo aver assorbito una radiazione luminosa di una certa lunghezza d’onda, emettono 6 Materiali e metodi un’altra radiazione di lunghezza d’onda maggiore, dando origine al fenomeno della fluorescenza (Tabella 2). Fluorocromo Max Max eccitazione emissione (in DAPI FITC CY3 TRITC (in nm) 372 495 552 555 nm) 456 525 565 580 Colore di emissione blu verde arancione rosso Tabella 2 La tabella riporta i fluorocromi attualmente utilizzati nella FISH. 3.10.2. Ibridazione In questa fase si cerca di ottenere il miglior legame possibile della sonda con la sequenza bersaglio, con una minima percentuale di legami aspecifici. Questo risultato si ottiene mediante un controllo di tutte le variabili e raggiungendo un buon equilibrio tra i vari componenti della miscela di ibridazione. Prima di procedere all’ibridazione è necessario denaturare sia il campione che la sonda, in modo da separare i due filamenti della doppia elica di DNA e consentire il riconoscimento delle sequenze complementari tra la sonda e la sequenza bersaglio. La denaturazione si può ottenere mediante trattamento con basi, acidi o con alte temperature, la scelta del metodo dipende dal tipo di ibridazione che si deve realizzare. Nel caso 6 Materiali e metodi dell’ibridazione su preparati citogenetici, si trasferisce una coupling jar, contenete una soluzione di formammide (agente denaturante) e il vetrino, all’interno di un bagnetto riscaldato, nel quale si raggiungeranno elevate temperature. Successivamente, per bloccare la denaturazione, il vetrino verrà immerso in alcool ghiacciato, mentre la sonda verrà denaturata per diluizione con una soluzione contenente hybridization buffer e acqua sterile, e posta in un bagnetto ad elevata temperatura. Per permettere l’appaiamento delle sequenze omologhe tra DNA e sonda, quest’ultima viene trasferita sul vetrino e, per favorire il processo, si lascia incubare per una notte a 37°C. A questo seguiranno poi una serie di lavaggi il cui numero, durata e temperatura di denaturazione saranno i fattori che influenzeranno la selettività del legame tra la sonda e il preparato. 3.10.3. Visualizzazione del segnale Per visualizzare il segnale emesso dalle sonde fluorescenti, viene eseguita una controcolorazione per il riconoscimento dei cromosomi. I preparati così ottenuti vengono montati ed osservati direttamente mediante un microscopio a fluorescenza dotato di appositi filtri. 6 Materiali e metodi Figura 19 Rappresentazione schematica della FISH. 6 Risultati RISULTATI 4.1. FISH: valutazione dell’aplificazione genica di MYCN La FISH (Ibridazione in situ fluorescente) è una tecnica di citogenetica che permette di valutare l’assetto cromosomico delle cellule, individuare l’organizzazione del loro genoma, ed eventuali anomalie numeriche e strutturali dei cromosomi. Questa tecnica si avvale dell’utilizzo di una sonda colorata, specifica per un dato segmento di DNA che viene ibridata con i cromosomi metafasici, profasici o interfasici, e quindi visualizzata con un microscopio a fluorescenza. Per valutare l’espressione dell’oncogene MYCN è stata utilizzata la sonda LSI MYCN (2p24.1), che contiene al suo interno una sequenza di DNA specifica, localizzata nella regione 2p24.1 del cromosoma 2. Il suo utilizzo è fondamentale nella determinazione del numero di copie dell’oncogene all’interno di una cellula. La sonda, se colpita da una radiazione luminosa, emette una radiazione di lunghezza d’onda maggiore rispetto quella assorbita, consentendole così l’emissione di una radiazione di 200Kb che nel visibile corrisponde ad una fluorescenza di colore rosso. In condizioni normali, all’interno di un nucleo ibridato, la sonda LSI NMYC dà luogo a due segnali di fluorescenza, ognuno dei quali corrisponde all’ibridazione con il gene MYCN. Infatti all’interno di cellule normali, sono presenti due cromosomi 2 (uno di origine paterna e l’altro di derivazione materna), ognuno dei quali a sua volta, in posizione distale del proprio braccio corto nella regione 2p23-24, presenta il proprio gene MYCN. Al 6 Risultati contrario, nelle cellule trasformate maggiore è l’amplificazione dell’oncogene e maggiore saranno i segnali di fluorescenza emessi. Per quanto riguarda le linee cellulari di cancro al colon analizzate, il segnale emesso varia a seconda del grado di amplificazione del gene al loro interno. Dall’analisi fatta, si è rilevata un’amplificazione dell’oncogene MYCN nella linea cellulare CACO-2, infatti come dimostrato nella foto 1 sono presenti più segnali dati dall’ibridazione della sonda. Foto 1. Nucleo di una cellula di CACO-2 durante il periodo di interfase. Ugualmente visibile è l’amplificazione nelle cellule COLO 205 (foto 2) e SW-948 (foto 3); anche se per quest’ultima linea non si dispone di cromosomi in metafase, ne sono un esempio i nuclei in interfase con presenza di più segnali. 6 Risultati Foto 2. Cromosomi di cellila di COLO 205 in metafase con poliploidia. Foto 3 Nuclei di cellule SW-948 durante il periodo di interfase Dall’analisi sulle linee cellulari SW-480 (foto 4), SW-620 (foto 5) e HT-29 (foto 6) nella maggior parte delle cellule non si osserva un’amplificazione dell’oncogene, solo una piccola frazione risulta tri e tetraploide, rispettivamente il 25% e il 5% delle cellule SW-480, l’11% e l’8% delle cellule SW-620 e il 17% e il 3% delle cellule HT-29. Foto 4. Nuclei di cellule SW-480 durante il periodo di interfase. 6 Risultati Foto 5. A sinistra nuclei di cellule SW-620 durante il periodo di interfase. Foto 6. Nuclei di HT-29 durante il periodo di interfase Dall’analisi sulle linee cellulari LoVo, HCT-116 e VACO5 si possono osservare solo due segnali di fluorescenza, non vi è dunque amplificazione dell’oncogene MYCN (immagini non riportate). 6 Risultati 4.2. Quantificazione dei livelli di espressione genica di MYCN in linee di cancro colorettale Per quantificare l’espressione genica dell’oncogene MYCN nelle linee cellulari di cancro colorettale è stata utilizzata l’analisi quantitativa PCR Real-Time (qPCR) al fine di confrontare i dati ottenuti tramite FISH. L’analisi è stata realizzata normalizzando la media dei Ct di MYCN sui valori di Ct del gene housekeeping, la β-actina, utilizzato come controllo endogeno perché normalmente espresso in maniera quasi costante in tutte le cellule dell’organismo. I dati sono stati ottenuti confrontando l’espressione basale del gene MYCN e MYC nelle linee cellulari di cancro colorettale utilizzate. Ct ESPRESSIONE BASALE DI mRNA DI MYCN 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 MYCN MYC media housekeeping SW 0 48 SW 0 62 CO LO 5 20 CA CO 2 Vo o L VA CO 5 SW 8 94 6 29 11 T T H HC CELL LINES Grafico 1. Ct delle linee cellulari di cancro colorettale usate negli esperimenti. Inoltre è stato valutato il LogRatio che esprime la quantità relativa d’espressione del gene MYCN nelle linee cellulari di cancro colorettale relativamente alla linea cellulare di riferimento H526, linea di Small Cell Lung Cancer che sovraesprime MYCN (Ct=24). 7 Risultati Log Ratio Espressione MYCN 0 -2 -4 -6 -8 -10 -12 -14 -16 5 20 LO CO 0 48 SW 29 HT 8 94 SW 0 62 SW 2 CO CA Vo Lo 5 CO VA 16 T1 HC Cell lines Grafico 2. Espressione basale di mRNA di MYCN nelle linee cellulari di CRC. Analogamente a quanto fatto per l’oncogene MYCN, si è valutata l’espressione dell’oncogene MYC relativamente alla linea di riferimento H82, linea di Small Cell Lung Cancer, che sovraesprime MYC (Ct=18,1) (Grafico 3). Log Ratio Espressione MYC 0 -2 -4 -6 -8 -10 -12 -14 -16 -18 CA CO 2 SW 94 8 HT 29 Lo Vo CO LO 20 5 VA CO 5 HC T1 16 SW 62 0 SW 48 0 Cell lines Grafico 3. Espressione basale di mRNA di MYC nelle linee cellulari di CRC. 4.3. Western Blot: valutazione dell’espressione dell’oncoproteina N-Myc Per verificare l’effettiva corrispondenza tra livelli genici e proteici relativi all’oncogene MYCN si è valutata, mediante Western Blot, l’espressione basale della proteina N-Myc nelle diverse linee cellulari di cancro colorettale utilizzate (fig. 9-10). 7 Risultati Verificata l’espressione di tale proteina nelle linee cellulari, si è valutata una seconda proteina, la β-actina, in quanto quest’ultima viene costitutivamente espressa nelle cellule per cui rappresenta un utile mezzo di controllo al fine di esaminare che sia stata caricata un uguale quantità di proteine sul gel (fig. 9-10). SW480 SW620 SW948 LoVo 65 kDa N-Myc 50 kDa β-actina Fig. 9 Visualizzazione dell’oncoproteina N-Myc e della proteina β-actina nelle linee di CRC VACO5 COLO205 CACO2 HT29 HCT116 65 kDa N-Myc β-actina 50 kDa Fig. 10 Visualizzazione dell’oncoproteina N-Myc e della proteina β-actina nelle linee di CRC 4.4. Trattamento con PNA anti MYCN: valutazione mediante qPCR Dopo aver analizzato i livelli basali d’espressione relativi agli oncogeni MYCN e MYC si è passato al trattamento alle 12 ore con PNA anti-MYCN sulla linea COLO 205 per testarne l’effetto sul trascritto. Come si può notare in grafico 4, non si riscontra alcuna significativa risposta nè a seguito del 7 Risultati trattamento con PNA mutato nè dopo trattamento di PNA anti-MYCN (i valori di LogRatio inferiori all’unità sono infatti trascurabili). LIVELLO DI ESPRESSIONE DI N-MYC E C-MYC DOPO TRATTAMENTO CON PNA 12 ore 0,8 LOG RATIO 0,6 0,4 0,2 N MYC C MYC 0 -0,2 -0,4 -0,6 PNA PNA mutato Grafico 4. Livello di trascritto degli oncogeni MYCN e MYC nella linea COLO205 alle 12 ore dopo trattamento con PNA. 4.5. Trattamento con siRNA anti-MYCN e anti-MYC: valutazione mediante qPCR Dopo aver valutato gli effetti del trattamento con il PNA, si è passati al trattamento con siRNA anti-MYCN e anti-MYC sulla linea COLO 205 per testarne l’effetto sul trascritto. Come si può notare nei grafici 5 e 6, vi è una significativa inibizione per MYCN e MYC specifica in relazione al tipo di siRNA utilizzato. Il trattamento con il siRNA anti-MYCN è stato condotto a diverse concentrazione e a diversi tempi (24 e 48 ore). Di seguito sono riportati i risultati: 7 Risultati LIVELLI DI EPRESSIONE DI MYCN DOPO TRATTAMENTO CON siRNA anti-MYCN 0 LOG RATIO -0,5 -1 24h -1,5 48h -2 -2,5 -3 siRNA NMYC 100nM siRNA NMYC 250nM siRNA NMYC 500nM siRNA NMYC 1μM scramble Grafico 5. Analisi dell’attività dei siRNA anti-MYCN in funzione delle dosi e dei tempi di trattamento. Le concentrazioni 100nM, 250nM, 500nM e 1μM evidenziano una significativa risposta in termini di calo del trascritto; quella che meglio di tutte esplica l’effetto inibente è la concentrazione 1μM, con un buon effetto già alle 24 ore e un incremento dell’azione alle 48 ore (LogRatio rispettivamente di -1,8 e -2,4). Analogamente per i siRNA anti-MYC sono state saggiate varie concentrazioni alle 24 e 48 ore. LIVELLI DI EPRESSIONE DI MYC DOPO TRATTAMENTO CON siRNA anti-MYC 0,5 0 LOG RATIO -0,5 -1 24h -1,5 48h -2 -2,5 -3 siRNA CMYC 100nM siRNA CMYC 250nM siRNA-C MYC siRNA-C MYC 500nM 1μM scramble Grafico 6. Analisi dell’attività dei siRNA per MYC in funzione delle dosi e dei tempi di trattamento. 7 Risultati Anche in questo caso, è stata determinata la concentrazione a maggiore capacità inibente, che risulta essere la 100nM (con valori di LogRatio pari a -1,1 e -2,5 rispettivamente alle 24 e 48 ore). Come visibile nei grafici 5 e 6, sono stati usati siRNA a sequenza casuale (scrambled) come verifica della specifica azione dei siRNA progettati su MYC e MYCN. Tale specificità è inoltre verificata dal fatto che il trattamento con siRNA anti-MYCN non porta al silenziamento di MYC e la stessa cosa vale anche per il siRNA anti-MYC (Grafico 7 e 8). LOG RATIO LIVELLI DI EPRESSIONE DI MYC DOPO TRATTAMENTO CON siRNA anti-MYCN 0,4 0,2 0 -0,2 -0,4 -0,6 -0,8 -1 -1,2 -1,4 -1,6 -1,8 -2 24h 48h siRNA NMYC 100nM siRNA NMYC 250nM siRNA NMYC 500nM siRNA NMYC 1μM scramble Grafico 7. Analisi dell’effetto su MYC dei siRNA anti-MYCN LOG RATIO LIVELLI DI EPRESSIONE DI MYCN DOPO TRATTAMENTO CON siRNA anti-MYC 0,8 0,6 0,4 0,2 0 -0,2 -0,4 -0,6 -0,8 -1 -1,2 -1,4 -1,6 -1,8 -2 24h 48h siRNA CMYC 100nM siRNA CMYC 250nM siRNA-C MYC siRNA-C MYC 500nM 1μM scramble Grafico 8. Analisi dell’effetto su MYCN dei siRNA anti-MYC 7 Risultati Il trattamento con i siRNA è stato effettuato anche sulle linee cellulari SW480 e SW620 alle 24 ore a diverse concentrazioni con i seguenti risultati: TRATTAMENTO siRNA anti-MYCN ALLE 24 ORE MYCN MYC LOG RATIO 1,5 1 0,5 0 -0,5 -1 -1,5 -2 -2,5 -3 N si R C1 MY AN M M M 50n 00n C2 C5 Y Y NM NM NA NA si R siR 00n scr ble am Grafico 9. Analisi dell’attività dei siRNA anti-MYCN in funzione della dose sulla linea SW480 LOG RATIO TRATTAMENTO siRNA anti-MYC ALLE 24 ORE MYCN MYC 1 0,5 0 -0,5 -1 -1,5 -2 M M M 100n 250n 500n MYC MYC MYC A A A N N N siR siR siR mble scra Grafico 10. Analisi dell’attività dei siRNA anti-MYC in funzione della dose sulla linea SW480 Le concentrazioni che mostrano efficacia sulla linea cellulare SW480 sono sono la 100nM per il siRNA anti-MYCN, mentre per il siRNA anti-MYC 7 Risultati la concentrazione inibente è la 500nM (con un LogRatio rispettivamente di -2,5 e-1,5). Per la linea SW620, invece, le concentrazioni efficaci sono la 100nM per il siRNA anti-MYCN e le 250 e 500 nM per il siRNA anti-MYC (con un LOG RATIO LogRatio rispettivamente di -1,3, -1,2 e -1,5) 1 0,5 0 -0,5 -1 -1,5 TRATTAMENTO siRNA anti-MYCN ALLE 24 ORE MYCN M nM nM 00n 250 500 C1 C C Y MY MY NM AN AN NA N N R i R R s si si am scr MYC ble Grafico 11. Analisi dell’attività dei siRNA anti-MYCN in funzione della dose sulla linea SW620 TRATTAMENTO siRNA anti-MYC ALLE 24 ORE MYCN LOG RATIO 1 0,5 0 -0,5 -1 -1,5 -2 M nM 0n M 50n 0 2 500 1 C C C Y Y MY AM AM NA N N R R R i s si si 7 le mb a r sc MYC Risultati Grafico 12. Analisi dell’attività dei siRNA anti-MYC in funzione della dose sulla linea SW620 4.6. Effetto del trattamento con siRNA anti MYCN e antiMYC sulla proliferazione cellulare Le cellule sono state piastrate (circa 15000 per pozzetto) e sono state trattate con siRNA anti-MYCN ed anti-MYC a diverse concentrazioni. Ad una prima analisi delle cellule al microscopio ottico è già visibile l’effetto del trattamento; si può infatti notare una ridotta densità cellulare nel caso dei trattati se confrontati con le cellule di controllo (non trattate), che tendono a formare aggregati con presenza di cellule morte (Fig.11-12). Fig 11. A.Cellule di controllo alle 24 ore. B.Cellule di controllo alle 48 ore Fig 12.A. Cellule trattate alle 24 ore. B.Cellule trattate alle 48 ore 7 Risultati Per valutare l’effettiva vitalità cellulare è stato fatto il saggio ATPlite e, come evidente dal grafico 13, per le concentrazioni efficaci l’effetto del trattamento è già visibile alle 24 ore e raggiunge un picco di intensità alle 48 ore, per poi iniziare a decadere. 24h 48h 72h AM BL si E M YC N 10 si 0 M YC N 25 si 0 M YC N si 50 M 0 YC N 10 00 si M YC 10 0 si M YC 25 0 si M YC 50 si 0 M YC 10 00 100 80 60 40 20 0 SC R % proliferazione Effetto siRNA su COLO205 siRNA Grafico 13. Percentuale di proliferazione nei tre giorni dopo trattamento con siRNA anti-MYCN e anti-MYC a diverse concentrazioni La percentuale d’inibizione maggiore per i siRNA anti-MYCN è quella osservata alla concentrazione di 1μM che risulta del 26% alle 24 ore per arrivare al 55% alle 48 ore e calare al 39,5% alle 72 ore. Tuttavia sono particolarmente significativi anche i dati osservati per le concentrazioni 100nM, 250nM e 500nM che raggiungono rispettivamente il picco del 46% 38%, 52,5% di inibizione alle 48 ore. 7 Risultati Curva di crescita 280000 240000 CTRL siMYCN 100 siMYCN 1000 siMYCN 250 siMYCN 500 SCRAMBLE 200000 Cps 160000 120000 80000 40000 0 24h 48h 72h Tempo (h) Grafico 14. Curva di crescita nei tre giorni dopo trattamento con siRNA anti-MYCN a diverse concentrazioni Per ciò che concerne i siRNA anti-MYC l’unica concentrazione efficace risulta essere la 100nM che porta ad un calo della proliferazione del 31% alle prime 24 ore fino al 49% alle 48 ore. Curva di crescita 280000 240000 Cps 200000 CTRL siMYC 100 siMYC 1000 siMYC 250 siMYC 500 160000 120000 80000 40000 0 24h 48h 72h Tempo (h) Grafico 15. Curva di crescita nei tre giorni dopo trattamento con siRNA anti-MYC a diverse concentrazioni 8 Risultati 4.7. Il silenziamento causa un differente profilo d’espressione genica Effettuato il trattamento sulle cellule COLO 205 con gli siRNA antiMYCN alle diverse concentrazioni e osservato il decremento a livello trascrizionale di MYCN, sono stati analizzati alle 24 e 48 ore dopo il trattamento i profili di espressione di alcuni geni importanti nella regolazione del processo apoptotico. I geni presi in considerazione sono stati DR5, TRAIL, TNF, TNFAIP3, DDIT3, GADD45A e SURVIVINA con i seguenti risultati: . 24 ORE siRNA NMYC 100nM siRNA NMYC 250nM siRNA NMYC 500nM siRNA NMYC 1μM 3 LOG RATIO 2 1 0 RV IV IN A SU FA IP 3 TR AI L TN TN F 5 DR IT 3 DD 45 A AD D K3 G DK BE TA CA TE N -2 IN A CI CL IN A D -1 GENES Grafico 16. Effetto del trattamento con siRNA anti-MYCN alle 24 ore sulla linea cellulare COLO 205. 8 Risultati 48 ORE siRNA NMYC 100nM siRNA NMYC 250nM siRNA NMYC 500nM siRNA NMYC 1μM LOG RATIO 5 3 1 -1 SU A IN IV RV L AI TR 3 IP FA TN F TN 5 DR 3 IT DD 5A D4 AD G K3 DK D A IN NA CL NI CI TE CA -5 TA BE -3 GENES Grafico 17. Effetto del trattamento con siRNA anti-MYCN alle 48 ore sulla linea cellulare COLO 205. . Alle 24 ore, l’unico gene che mostra una significativa risposta è DR5 che presenta un aumento di espressione superiore alle 2 unità di LogRatio alla concentrazione di siRNA 1μM con una variazione superiore alle 48 ore (LogRatio pari a 3,3). Alle 48 ore anche gli altri geni in analisi modificano in modo significativo la loro espressione. TRAIL mostra una variazione pari a 3,2 unità di LogRatio per i siRNA a concentrazione 100nM e 1μM. Il gene GADD45A mostra un aumento del livello di espressione pari a 2,3 unità per la concentrazione di siRNA 1μM. Il gene DDIT3 (DNA-damage-inducible transcript 3) mostra alle 48 ore un aumento importante che nel caso del siRNA alla concentrazione 1μM è pari a 3,3 unità di LogRatio. Il gene TNF e TNFAIP3 mostrano rispettivamente un incremento e una riduzione nell’espressione dopo il trattamento con un valore di LogRatio rispettivamente di 1,7 e -1,3 alla concentrazione di siRNA 1μM. 8 Risultati Infine la survivina evidenzia un’importante diminuzione del livello di trascritto (con un LogRatio di circa -3 unità per tutte le concentrazioni di siRNA usate). Sono stati inoltre studiati geni che codificano per proteine agenti a diverso livello nel pathway WNT: il gene codificante DKK3, il gene per la beta-catenina e per la ciclina D. La beta-catenina e la ciclina D, mostrano alle 48 ore un’evidente riduzione del trascritto (rispettivamente di -3,3 e -3,8 unità di LogRatio per la concentrazione 1μM); l’antagonista del pathway WNT, DKK3 (Dickkopf homolog 3), mostra invece in risposta al trattamento un incremento di espressione (1,8 unità di LogRatio per la concentrazione 1μM). I dati osservati sono specifici per il trattamento con siRNA anti-MYCN; infatti l’utilizzo del siRNA scrambled non determina alcuna risposta significativa sui geni analizzati (dati non riportati in grafico). 8 Conclusioni CONCLUSIONI Il cancro colorettale rappresenta i due terzi di tutti i tumori maligni gastrointestinali. A monte del processo di tumorigenesi c’è la deregolazione del pathway WNT. Da studi sul neuroblastoma si è visto che tale pathway è collegato con l’oncogene MYCN mediante l’antagonista DKK3. Si può pensare ad un analogo collegamento anche nel CRC e ipotizzare che la sovraespressione di MYCN agisca in questo tumore, in modo sinergico con la ricorrente inattivazione di APC, nel deregolare il pathway WNT. Studi condotti su campioni di colon provenienti da pazienti hanno mostrato che è presente un’amplificazione di MYCN significativamente più comune per frequenza ed intensità nel tessuto tumorale piuttosto che in quello normale ed è inoltre stato osservato che tutti gli adenocarcinomi hanno più alti livelli di proteine Myc rispetto alla normale mucosa del colon. Alcune delle linee usate in questo studio hanno mostrato un’amplificazione e una relativa sovraespressione di MYCN il che le rende un buon modello rappresentativo di quella percentuale di campioni provenienti da pazienti in cui è stata trovata un’amplificazione e una sovraepressione dell’oncogene stesso. In questo lavoro si è focalizzata l’attenzione sulla valutazione e validazione del ruolo degli oncogeni MYC come potenziali bersagli farmacologici per il trattamento del cancro colorettale. Dopo un’iniziale caratterizzazione delle diverse linee cellulari da un punto di vista citogenetico, trascrizionale e proteico si è voluto valutare l’effetto derivante dall’inibizione degli oncogeni di interesse. Lo studio si è inizialmente avvalso dell’utilizzo di una molecola inibitrice, il PNA anti-gene anti-MYCN: la linea COLO 205 è stata sottoposta 8 Conclusioni al trattamento per valutarne gli effetti a livello trascrizionale, tuttavia non si è osservata alcuna risposta. Probabilmente le cellule in questione sono molto resistenti e l'ingresso del PNA è risultato di conseguenza difficoltoso; per questo motivo per saggiare gli effetti di un’inibizione su MYCN si è passati al trattamento con gli siRNA. Le cellule COLO 205 sono state trattate con siRNA anti-MYC e antiMYCN a diverse concentrazioni. È stato valutato l’effetto del trattamento sulla proliferazione e avendo osservato che per le concentrazioni efficaci c’è una riduzione della capacità inibitoria dopo le 48 ore, si è studiata la risposta in termini trascrizionali al trattamento alle 24 e 48 ore, con risultati compatibili con quanto osservato per la crescita cellulare. L’azione degli siRNA è stata inoltre valutata sulle linee SW-480 e SW-620, tale da ottimizzare la concentrazione efficace di siRNA su tali cellule. Si è poi valutato se l’inibizione dell’oncogene MYCN con gli siRNA, oltre a influenzare la crescita cellulare, abbia avuto effetto su altri aspetti cellulari e a tal fine si è analizzata, dopo il trattamento, la risposta trascrizionale di alcuni geni coinvolti nel pathway apoptotico. Da letteratura è stato visto che uno stress chimico indotto da farmaci provoca una transattivazione di alcuni dei geni come DR5, GADD45A e DDIT3, con successivo innesco del pathway apoptotico. I risultati evidenziano che alle 24 ore l’unico gene fra quelli analizzati che subisce una modifica importante in termini trascrizionali è il gene DR5 con un aumento del segnale alle 24 ore e un ulteriore incremento ale 48 ore. Il recettore DR5 (Death receptor 5) è uno dei recettori di TRAIL (tumor necrosis factor-related inducing apoptosis ligand); quest’ultimo è un membro della famiglia di citochine TNF e promuove l’apoptosi in modo mitocondrio dipendente o indipendente. Per gli altri geni si è osservata una variazione in termini di espressione solo alle 48 ore. Lo stesso TRAIL subisce un aumento del trascritto a seguito del 8 Conclusioni trattamento, dopo 48 ore; analogamente, GADD45A presenta valori di LogRatio positivi: i geni GADD45 (Growth Arrest and DNA Damage) sono GADD45B, GADD45A, GADD45G, sensori di stress che modulano la risposta a stress di varia natura e il loro livello trascrizionale tende ad aumentare a seguito di condizioni stressorie o dopo il trattamento con agenti danneggianti il DNA. DDIT3 è il principale protagonista indotto da stress a livello del reticolo endoplasmatico e anche in questo caso si osserva un’importante aumento di espressione alle 48 ore. TNF e TNFAIP3 hanno risposte opposte al trattamento: il primo mostra un aumento, mentre il secondo una riduzione del trascritto. TNF è una citochina coinvolta in diversi processi cellulari fra i quali l’induzione dell’apoptosi a seguito del legame al recettore TNF-R1, con successiva attivazione a cascata delle caspasi. TNFAIP3 (TNF alpha-induced protein 3) codifica per una zinc-finger protein responsabile dell’inibizione trascrizionale del gene NF-kB e dell’apoptosi TNF mediata. La survivina, infine, membro della famiglia di geni inibitori dell’apoptosi, risponde al trattamento con un calo dell’mRNA di varie unità. Riassumendo, i geni in analisi, in diverso modo coinvolti nel processo apoptotico, mostrano un’importante risposta a seguito del trattamento, evidenziando una risensibilizzazione delle cellule all’apoptosi. Sono inoltre stati presi in analisi geni relativi al pathway WNT. La βcatenina e la ciclina D mostrano una marcata riduzione a livello trascrizionale a seguito del trattamento, mentre DKK3 risponde con un incremento. Tali osservazioni sono compatibili e supportano la possibilità di una connessione, nel CRC, fra MYCN e il pathway WNT analoga a quella riportata in letteratura per il neuroblastoma. La prospettiva futura è anzitutto quella di investigare l’effettiva motivazione del mancato effetto del PNA sulla linea COLO 205, ad esempio 8 Conclusioni con l’utilizzo di un PNA-NLS rodaminato valutando il suo uptake da parte delle cellule mediante microscopio a fluorescenza. Data la risposta in termini trascrizionali al trattamento con gli siRNA ci si propone di andare a verificare l’efficacia anche a livello dell’oncoproteina. Il prossimo passo sarà inoltre quello di proseguire lo studio sulle linee tumorali che ancora non sono state valutate o sulle quali il lavoro è stato solo iniziato (SW-480 e SW-620) e cercare così di avere un quadro il più completo possibile. Sarà anche importante una caratterizzazione di MYCN nel CRC in funzione dell’avanzamento del tumore con uno studio critico del ruolo dell’oncogene e con una valutazione della sua inibizione in linee cellulari derivate da pazienti a differente stadio oncologico. Il ruolo di MYCN come oncogene nel CRC deve essere dunque ulteriormente esplorato, tuttavia i preliminari risultati ottenuti sono incoraggianti: l’efficacia inibitoria degli siRNA, con conseguente riduzione della proliferazione cellulare e variazione nell’espressione di geni coinvolti in diversi pathway cellulari, rappresentano buoni presupposti per il proseguimento degli studi, schiudendo gli orizzonti alla possibilità di sviluppo di un agente terapeutico basato sull’azione inibente dello siRNA anti-MYCN, orientato al trattamento di quella percentuale di casi che mostrano sovraespressione e amplificazione di tale oncogene. 8 Bibliografia BIBLIOGRAFIA Ballinger, A.B. and C. Anggiansah (2007). Colorectal cancer. BMJ; Volume 335 Fodde, R. (2002) The APC gene in colorectal cancer. European Journal of Cancer 38; 867-871. Arnold, N.C., A.Goel et al. (2005) Molecular pathogenesis of Colorectal Cancer. American Cancer Society; volume 104; number 10 Lamprecht, S.A., M. 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Tomlinson(1996) Genetic pathways in colorectal cancer. Histopathology 28, 389-399. 9 Ringraziamenti RINGRAZIAMENTI Eccoci qua alla fine di queste sudate pagine..eccoci qua alla fine di tutto questo percorso.... malinconia per quanto ormai rimane alle spalle....curiosità per quello che c’è dietro l’angolo.... l’impazienza di gettarsi in ciò che arriverà....malinconia perchè come succede in questi casi è piu forte il ricordo dalle sfumature rosa, quello positivo e dolce del passato che non il pensiero delle difficoltà e delle crisi attraverso le quali inevitabilemnte si è passati.... d’altro canto ci si inizia a chiedere cosa ci aspetti al di là di questo piccolo grande traguardo.... Arrivati a questo punto come poter fare a meno di chiamare in ballo tutte le persone importanti che ci sono state a fianco a me per una piu o meno grande parte di questo lungo percorso e quelle che ancora mi accompagnano, essenziali per me ognuna a suo modo. Anzitutto grazie alla mia famiglia, in particolar modo ai miei genitori e al mio fratellone. Grazie per tutto, grazie perchè in un modo o nell’altro sono sempre presenti nei momenti migliori pronti a condividere con me le gioie ma soprattutto nei momenti più duri pronti a farmi sentire il loro affetto e il loro essenziale e indispensabile supporto. Ringrazio il laboratorio che mi ha “ospitato” per un anno. Anzitutto ringrazio il Prof. Andrea Pession, direttore medico del “Laboratorio di Oncologia ed Ematologia Pediatrica del Policlinico Sant’Orsola – Malpighi” dove ho svolto il tirocinio durante quest’ultimo anno e dove ho imparato tante cose tecniche e non solo. 9 Ringraziamenti Ringrazio il Dott. Roberto Tonelli per avermi seguito con serietà nel lavoro svolto. Ringrazio tutte le persone del laboratorio di Oncoematologia Pediatrica alle quali in un modo o nell’altro devo qualcosa di quello che ho imparato nel corso di questi mesi. Un grazie speciale a Consu, Ester, la Berganza ed Erika che sono riuscite con gran premura ad essermi vicino, ad essere vicino a noi tesisti e che non solo ci hanno supportato nella nostra formazione in laboratorio ma ci hanno offerto tutta la loro disponibilità e il loro affetto, hanno sempre cercato di alleggerire con una risata o con una parola consolatoria il peso di queste ultime settimane. Grazie anche a Valeria per tutte le indimenticabili pause caffè vissute insieme e per tanti tentativi (puntulamente falliti) di organizzzazione di incontri extralab. Ringrazio i miei compagni di avventura Marco, Elena e Antonio per lo scambio e il confronto costante su preoccupazioni dubbi e quant’altro, senza il quale sarebbe stata molto più dura soppportare la fatica soprattutto di quest’ultimo mese. In particolar modo ringrazio Elena per avermi permesso di riscoprirla e di apprendere di lei molte piu cose in questa manciata di mesi piuttosto che negli anni passati e malgrado incomprensioni incontrate lungo la via spero le nostre strade non si tornino a separare e di mantenere il legame con le speciale persona che si è rivelata. Ringrazio Fascio per il reciproco scambio di idee e preoccupazioni, per i pichhi di euforia e i momenti di immensa agitazione condivisi....ringrazio il mio amico perche spesso ha avuto la parola giusta al momento giusto, per avermi in più e più momenti davvero sopportato...grazie Fascio di tutto. 9 Ringraziamenti Un particolare ringraziamento va al Prof. Giorgio Gallinella per la sua immensa umanità e disponibiità e per aver creduto in me ed essere stato capace di infondermi fiducia nelle mie possibiità anche nei momenti in cui ero io per prima a dubitarne. Ringrazio tutti gli amici che si sono susseguiti in momenti diversi per la loro immensa pazienza, per il loro affetto e per essermi stati a fianco in questi ultimi tempi o in qualche modo lungo il cammino. Ringrazio la mia Carmenuzza che dopo così tanti anni c’è ancora, sempre presente allo stesso modo, anche se i chilometri ci sono avversi....sempre e incondizionatamente. Ringrazio Marco, Simone, Saretta Petta, Federica e i piu lontani Alessia Alessandra e Alberto, compagni di tante serate, risate, bevute in compagnia, pomeriggi di studio insieme e di tutti gli altri bei momenti vissuti in questi ultimi anni. Ringrazio Vale, Fra e Sabrina per essermi state vicino in quest’ultimo periodo e avermi sopportato, per aver condiviso con me piacevoli serate e per aver sopportato le mie fasi diciamo di “latitanza”. Ringrazio inoltre persone che mi hanno dato tanto....grazie e Chiara e Anissa con i nostri incontri sporadici ma tanto piacevoli ...ringrazio Nicoletta compare di tanti bei momenti e parte importante di tanti miei bei ricordi di questi anni. Ringrazio Daniela.. così capita che due strade che sembrano imboccare direzioni diverse possano tornare a riavvicinarsi. 9 Ringraziamenti Ringrazio fra gli altri (riportati solo ora ma nn perchè meno importanti) amici che ci sono sempre stati o ultimamente riscoperti ...Carmela, Luigi, Pio, Mariachiara, Roberto, Ilaria. Infine poche parole ma preziose per ringraziare una persona speciale lasciata per ultima perchè particolarmente importante per me...una pesrona che nella sua discrezione mi è stata e mi è immensamente vicina...che a modo suo mi ha supportato in questo periodo davvero più di quanto potessi credere aiutandomi a sentire tutto un pò più leggero, un pò più semplice. Un GRAZIE per esserci e forse ancora un piu grande SCUSA per aver messo a dure prova la tua pazienza....GRAZIE PER TUTTO!! Grazie a tutti!!!!!!! 26 marzo 2009 9