Ciclope, l`asino guercio che regna sulla cattedrale di

Ciclope, l'asino guercio che regna
sulla cattedrale di roccia
Il guardiano del faro/5. È ghiotto di limoni e radici fresche e da quando sull'isola c'è
la teleferica è dispensato dai carichi pesanti
di PAOLO RUMIZ - 2014
Il re del faro è un asino guercio, adora i limoni ed è l'unico grande mammifero dell'isola oltre ai
faristi e me. Pascola soletto, dorme in una grotta e, siccome da qualche anno c'è la teleferica per i
carichi pesanti, come tutti i re è dispensato dal lavoro che compete a quelli della sua specie. Il suo
predecessore era una femmina dal bel nome greco, Mercedes, ed era bravissima a imboscarsi
ogni volta che c'era da faticare. Una volta al mese arrivava il motoscafo ben carico per il cambio
della guardia, e lei via, si volatilizzava nella macchia. Sentiva il ronzio del motore prima di tutti. Un
giorno è scomparsa, e le sue ossa sono state trovate tempo dopo ai piedi di un faraglione. Dicono
che abbia scelto di morire perché non sopportava d'invecchiare senza dignità.
Oggi che è una giornata di sole, buona per esplorare l'isola, scendo a presentarmi come si deve,
con in dono un limone e radici di coste fresche. Lui mi sente da lontano, ha le orecchie pronte
come un radar, e mi viene incontro quietamente. Annusa e addenta il limone con sovrana lentezza
prima di darsi alle verdure e farsi strigliare per bene. Mi viene in mente che, come lui, anche il faro
ha un occhio solo, e così all'istante decido di battezzarlo Kyklops. Ovviamente so il suo nome vero,
ma chi va alla scoperta di un'isola, come tutti i conquistatori, prende il vizio di ribattezzare i luoghi e
le creature che li abitano. L'asino è per me il Ciclope, anche perché, come tutti gli asini, ha il senso
dell'humor e sa benissimo di essere l'antitesi della furia devastatrice di Polifemo.
Kyklops!, lo chiamo da lontano, e lui smette di brucare e mi guarda.
L'isola dunque, è tempo che la descriva. Che tu ci arrivi da Sud o da Nord, la vedi per il lato lungo
e sembra un coltello da tavola a punta tonda appoggiato con la lama in su. Il manico è a Est e
finisce in verticale. La metà verso il tramonto, più alta e di profilo curvilineo con il faro alla sommità,
scende affilata verso il mare e, se parlassimo di un bastimento, sarebbe indiscutibilmente la prua.
Lungo un chilometro e 200 metri e largo non più di 200, il nostro scoglio lungo è protetto quasi
ovunque da precipizi tranne un varco segnato da un sentiero che porta all'unica spiaggia sul lato
Sud e un verde piano inclinato di brughiera sul lato Nord. A Oriente, quella che per noi è la poppa
è seguita da un codazzo di isolotti e scogli minori che fanno dell'isola un piccolo arcipelago.
Si sbarca su una spiaggia dunque, sempre se si può chiamare spiaggia una distesa di ciottoli
grossi come uova ai piedi di una parete strapiombante. Non c'è nessun attracco, e per andare a
terra devi saltare con armi e bagagli sulla barchetta del farista. Non è posto per chi ama la vita
comoda, perché il telefono prende solo in posti impossibili e se vuoi un aperitivo devi farti
cinquecento gradini fino al faro. Non è nemmeno buono per calare l'ancora: se butta in
Tramontana sei abbastanza protetto, ma se gira sullo Scirocco è meglio che fili alla svelta, perché
non ci sono insenature né baie. Il nostro eremo NON è tante cose, per chi lo guarda con occhi di
terraferma. Ma è un'infinità di altre cose se lo si osserva con l'occhio pelagico.
È, per cominciare, una fantastica cattedrale di dolomia, coperta di licheni giallo-senape e segnata
da un'erosione che picchetta e incide le rocce di linee e punti che a prima vista paiono iscrizioni
micenee, danze di guerrieri del Neolitico, o le antilopi incise sulle rocce del deserto dell'Hoggar. La
fioritura primaverile è pazzesca e, in mezzo a quell'esplosione di colori, il silenzio è tale che il volo
dei calabroni pare un frastuono. Piante come gerani, ginestre, aglio selvatico, enormi cuscini di fiori
gialli: e tu non sai nulla di tutto questo, ti accorgi che in posti simili, più che apprendere, puoi solo
misurare l'abisso della tua distanza dalla natura.
Dalla sommità svela improvvisamente una muscolatura di un iguana, ed è un rettile al tal punto
che il suo baricentro, segnato da misteriosi ritrovamenti archeologici, porta un nome che in greco
vuol dire lucertola. La prima volta che la riconobbi e la feci mia fu da un aereo: traversavo il
Mediterraneo da Nord e nella visione zenitale mi parve un'altra cosa ancora, uno squalo con la
bocca storta e la pinna sul dorso. Le sue piante sono uniche, diverse da quelle di altre isole anche
vicine, e l'aggressione degli odori è così violenta che per qualche giorno resti come un ubriaco,
incapace di esplorare il territorio. Scopri tutt'al più che i fogli del tuo taccuino sono troppo piccoli
per l'enormità che ti circonda e troppo grandi per i tuoi miserabili pensieri.
Cala la sera. Porto una mezza bottiglia di bianco freddo e un taglierino di bruschette alle acciughe
sul tetto della garitta per gli strumenti meteo, subito a ovest del faro, e mi godo la cosa più
incredibile di questo posto: l'altezza. A cento metri di quota hai la vista di Zeus sul regno di
Poseidon. Da qui anche un mare forza sette può sembrare piatto. Ma anche la dorsale dell'isola mi
pare di vederla per la prima volta, carica di forza tettonica, sistemata com'è su una linea inquieta di
terremoti. Alle otto il faro comincia a roteare. È magnifico. Uno dei più potenti e alti fra Gibilterra e il
Golfo di Alessandretta e certamente il più potente e alto di uno dei mari che compongono il
Mediterraneo.
La sera è serena, il vento cala, i gabbiani gonfiano le piume, finalmente quieti. In basso, fermo
sulla scogliera, un cormorano asciuga alla brezza le ali aperte. Il sole scende veloce in mare, pare
che lanci un ultimo grido. Non trovo le parole per descrivere la processione di macchie di luce che
arriva sul mare da Est, e dall'altra parte l'arcipelago di increspature svegliate dalle ultime raffiche,
che arano il mare come una prateria. A Sud, lontanissima, una processione di navi. A Nord, ancora
più lontana, l'ombra di un'isola lunga come un capodoglio.
(5 - continua)