OCCHIOPINOCCHIO di Francesco Nuti Di Riccardo Bernini Il film parte, come si può evincere dal titolo, dal romanzo di Collodi: ne prende in prestito lo spirito irriverente e formativo. La domanda che interessa il regista pratese ruota intorno all’età adulta di un ipotetico Pinocchio, costretto, dalla vita, alla responsabilità: cosa farebbe Pinocchio, una volta adulto, nel suo involucro di “bambino vero”? Da queste, difficilissime, premesse parte l’operazione di Francesco Nuti. OcchioPinocchio (1994) è stato, per Francesco, il film più importante che abbia mai realizzato ed, insieme, anche il più sfortunato: Nuti era riuscito ad imporsi come attore e regista nella commedia e nel cabaret ed i suoi film e spettacoli godevano del favore del grande pubblico. Si contendeva la palma di re della comicità toscana con Roberto Benigni, ovvio, Roberto aveva anche il favore della critica ed aveva lavorato con Jim Jarmush, era, insomma, già arrivato dove Francesco avrebbe anelato di arrivare. Una volta consolidato il suo successo artistico presso le masse che, almeno in Italia, arrivano a fermarlo per strada e amano i suoi film più dei grandi kolossal americani, Francesco è pronto per firmare un contratto con un produttore cinematografico che, da tempo, lo sta corteggiando, chiedendogli di entrare a far parte della sua squadra e questo, ovvio, attraverso offerte, molto generose, a livello contrattuale. Francesco vuole dimostrare di non essere solo il “Cecco di Narnali” dei suoi film più amati, ma intende rivelare il suo lato più autoriale. Accetta di firmare con Cecchi Gori e comincia a fare le sue richieste: un film girato quasi interamente all’estero con un cast internazionale, effetti speciale e grandi strutture e scenografie imponenti. Da qui inizia il percorso, infausto, di questo, importantissimo film. Tralasciamo, per il momento, la storia produttiva del film per concentrarci sui motivi che rendono questo film, sventurato, un esempio, unico, di commedia favolistica: Nuti rilegge il romanzo di Collodi in chiave, non soltanto moderna, ma atemporale, decidendo di collocare, in una contemporaneità capitalistica, una fiaba che parla del possesso come qualcosa che, allontanandosi da noi, ci deve liberare dal nostro, intimo egoismo. Il Pinocchio di Nuti non è più figlio di Geppetto ma è il frutto di una relazione tra un capitalista ed una cameriera: una volta nato Pinocchio viene rinchiuso, in segreto, dallo zio, in un istituto geriatrico e diventa l’angelo che si prende cura di tutti i vecchi che, negli anni, trovano ricovero nella struttura. Una volta scoperto che ha un figlio, il ricco banchiere Brando Della Valle, decide di prelevarlo e portarlo con sé: quello che era un solo un bambino è, ora, diventato un adulto che conosce soltanto quel microcosmo fatto di anziani che lo coccolano e di cui lui si occupa fino al trapasso e la sepoltura. Il contatto con il mondo esterno crea un cortocircuito strano nella mente del protagonista: un universo fatto di apparenze e smodata ricchezza, dove il decoro è più importante dei sentimenti ed il legame parentale non è facile da indossare per qualcuno che è vissuto sempre nella malinconia della vecchiaia, in un luogo dove tutte le apparenze cadono e rimane solamente la fragilità di una vita che sta giungendo al termine. Pinocchio decide di scappare, non può adattarsi ed il suo modo di agire è considerato tale da richiedere un ricovero psichiatrico, durante la fuga si innamora di una ricercata in fuga di nome Lucy Light, la maschera femminile di Lucignolo, che lo aiuterà a comprendere cosa significhi la vita reale, fatta anche di delusioni e tradimenti, cosa voglia dire essere feriti e umiliati. Tutto viene poi riletto in una chiave tragica, atipica rispetto ai film precedenti del cineasta toscano. Lucy mostra a Pinocchio anche cosa implica l’amore fisico e come questo rapporto sessuale ci immetta, in quanto esseri sentimentali, nell’età adulta ove l’innocenza bambina è smarrita per sempre. Per un Pinocchio innamorato è, allora, inaccettabile che la polizia abbia ucciso la sua Lucy, sì perché Lucy muore e si spegne come fa la luce nel suo nome. Film amarissimo dove l’amore che viene, subito, se ne va, strappato via da un padre biologico, alla ricerca del figlio che crede rapito e, così, toglie di mezzo l’unico vero amore che, un bambino, mai nato adulto, abbia mai conosciuto. Il film fu, chiaramente, un clamoroso insuccesso di pubblico e critica segnando il ritorno di Nuti alla forma commedia-cabaret. Oltre a questo bisogna aggiungere che il prodotto che vediamo non è quello concepito dal regista ma è stato ridotto, per motivi di eccessiva lunghezza, dalla produzione. OcchioPinocchio è il film che più ha tormentato Nuti, dove la maschera non voleva essere più marionetta, certo un film sul male di vivere, sull’essere rotti dentro. Dal 2006 Francesco Nuti è costretto su una sedia a rotelle ed è afasico ma questo non gli impedisce di scrivere, continuare a progettare. Certo, come fu nel 1994, si deve scontrare con un mondo che non vuole comprenderlo e pensa che nelle sue attuali condizioni non possa dirigere il film che sogna di realizzare. A chi gli diceva che OcchioPinocchio era un film sbagliato lui rispondeva che “è uno smarrimento nel malincomico” là dove il capo comico sa di non potersi e non volersi più divertire.