Capitolo 1 Le società in generale

Edizioni Simone - Vol. 26 Compendio di Diritto delle Società
Capitolo 1Le società in generale
Sommario1. Il sistema legislativo. - 2. Nozione giuridica di società. - 3. I requisiti
essenziali del contratto di società: i conferimenti. - 4. L’esercizio in comune
di una attività economica - L’oggetto sociale. - 5. La realizzazione e la
divisione degli utili. - 6. Società e impresa: le società occasionali. - 7. Le
società unipersonali. - 8. Le società fra professionisti. - 9. Società lucrative
e società mutualistiche. - 10. Società e associazione. - 11. Le società «di
comodo». - 12. Le società costituite all’estero ed operanti in Italia.
1.Il sistema legislativo
Le società sono organizzazioni di persone e di mezzi create dall’autonomia privata per
l’esercizio in comune di un’attività produttiva. Sono le strutture organizzative tipiche,
anche se non esclusive, previste dall’ordinamento per l’esercizio in forma associata
dell’attività di impresa (CAMPOBASSO).
Le società formano un sistema composto da una pluralità di tipi. Il legislatore nazionale, infatti, pone a disposizione dell’autonomia privata otto tipi di società, cioè
otto modelli di organizzazione dell’attività di impresa in forma societaria fra i quali
le parti possono — sia pure con alcune limitazioni— liberamente scegliere. I tipi di
società previsti sono: la società semplice; la società in nome collettivo; la società in
accomandita semplice; la società per azioni; la società in accomandita per azioni; la
società a responsabilità limitata; la società cooperativa; le mutue assicuratrici. A questi
si sono affiancati altri due tipi societari regolati dal diritto europeo: la società europea
e la società cooperativa europea.
I singoli tipi di società sono diversi l’uno dall’altro. Tuttavia, presentano elementi
comuni che consentono di raggrupparli in categorie omogenee. Così, per la presenza
di alcuni aspetti comuni, la società semplice, la società in nome collettivo e la società
in accomandita semplice sono tradizionalmente definite come società di persone. La
società per azioni, la società in accomandita per azioni e la società a responsabilità
limitata sono invece definite società di capitali.
2.Nozione giuridica di società
Non è semplice trovare una definizione giuridica di «società», istituto complesso che
presenta molteplici aspetti e che ha determinato una serie di problemi interpretativi.
La società, infatti, può venire in rilievo:
— sotto il profilo genetico, ed assume prevalentemente un aspetto negoziale;
— sotto il profilo funzionale (durante la sua esistenza), ed assume un aspetto di «rapporto», atteggiandosi come organizzazione mirante al conseguimento di uno scopo
specifico.
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Sotto il profilo funzionale può affermarsi che la società è la forma più diffusa di esercizio collettivo dell’impresa: essa consiste, infatti, in un’organizzazione di persone e
di beni preordinata e coordinata al raggiungimento di uno scopo produttivo, mediante
l’esercizio in comune di un’attività economica, attuata attraverso l’apporto di conferimenti che i soci si impegnano a versare. Si realizza in tal modo una particolare
collaborazione, caratterizzata dal fatto che tutti gli associati partecipano al rischio di
gestione dell’impresa.
Sotto il profilo genetico, l’art. 2247 definisce il contratto di società specificando che
con esso «due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di
un’attività economica».
Tale attività può essere finalizzata:
— a scopo lucrativo (art. 2247), cioè allo scopo di dividerne gli utili;
— a scopo mutualistico (art. 2511), cioè allo scopo di fornire beni o servizi od occasioni di lavoro
ai contraenti a condizioni vantaggiose;
— a scopo consortile (artt. 2602 e 2615ter), cioè allo scopo di coordinare le medesime o affini
attività economiche di più imprenditori, o lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive
imprese.
Il contratto di società viene definito, dalla dottrina dominante, come un contratto a
carattere associativo, a struttura plurilaterale, qualificato da uno scopo comune.
Si tratta di un contratto di natura consensuale che, pertanto, si perfeziona con la semplice assunzione, da parte dei soci, dell’obbligo di eseguire il conferimento promesso,
mentre la materiale esecuzione della prestazione rappresenta semplicemente un atto
di adempimento.
La definizione della società come contratto, però, non è idonea a ricomprendere l’intero
fenomeno societario, poiché l’ordinamento riconosce anche società costituite mediante
atto unilaterale (es. S.p.a. unipersonali, ex art. 2328, comma 1; S.r.l. unipersonali, ex
art. 2463, comma 1).
Si può riconoscere, però, che a prescindere dalla natura dell’atto che le dà origine, la
società è caratterizzata da tre elementi, individuati dall’art. 2247: 1) i conferimenti
di beni o servizi effettuati dai soci, tramite i quali la società viene dotata di un proprio
patrimonio; 2) l’esercizio in comune di un’attività economica; 3) lo scopo di dividerne
gli utili ovvero di ripartire tra i soci il guadagno realizzato dalla società.
Si afferma, pertanto, che la compresenza di tali tre elementi sia condizione necessaria e
sufficiente per individuare una società e allo stesso tempo per distinguerla da figure affini.
Nonostante vi siano figure societarie disciplinate da norme speciali che consentono
di includere nell’oggetto attività non economiche o di assumere come scopo un fine
non lucrativo, si può concludere chiarendo che gli elementi descritti dall’art. 2477
rappresentano i tratti caratterizzanti della nozione di società quale strumento negoziale a disposizione dell’autonomia privata, alla quale non è concesso di travalicare i
confini della nozione fornita dal legislatore. All’interno di tale nozione generale, poi,
l’ordinamento disciplina i tipi sociali, con caratteri tra loro diversi, ma tutti rientranti
nella nozione generale.
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3.I requisiti essenziali del contratto di società: i conferimenti
Al contratto di società si applica la disciplina generale dei contratti fissati dal codice
civile, nei limiti in cui essa è compatibile con i caratteri dei contratti associativi e con
la specifica normativa dettata per i singoli tipi di società.
L’ art. 2247 indica i tre elementi essenziali del contratto di società:
— i conferimenti;
— l’esercizio in comune dell’attività economica;
— la divisione degli utili.
A) Nozione ed oggetto
I conferimenti sono le prestazioni di dare o di fare cui le parti del contratto di società
si obbligano, al fine di esercitare in comune un’attività economica.
La società, come organizzazione di persone e di beni per uno scopo produttivo, non
può esistere senza la costituzione di un fondo sociale: quindi, col contratto di società,
ogni contraente si obbliga a contribuire alla formazione di tale fondo, mediante conferimento di beni o servizi (art. 2253, comma 1).
Possono costituire oggetto di conferimento:
— beni: cioè danaro, beni mobili o immobili (conferibili in proprietà o in semplice
godimento). Per effetto del conferimento il conferente non può più utilizzare individualmente il bene conferito, essendo quest’ultimo vincolato a quella specifica
destinazione che è l’esercizio dell’attività economica;
— servizi: ossia l’attività lavorativa o apporti d’opera del socio. La riforma del diritto
societario del 2003, superando il tradizionale divieto di conferimento di prestazioni
d’opera e di servizi vigente per le società di capitali, ha ammesso che nelle sole
società a responsabilità limitata possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo
suscettibili di valutazione economica (art. 2464), e dunque anche elementi immateriali, come il conferimento di prestazioni professionali o di servizi di consulenza.
Il conferimento deve essere sempre determinato nell’atto costitutivo, salvo che nella
società semplice, relativamente alla quale si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti eguali tra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto
sociale (art. 2253, 2º comma).
Dalle norme del codice civile emerge l’assoluta essenzialità dei conferimenti: non vi è contratto
di società se i soci non conferiscono; non vi è acquisto della qualità di socio senza conferimento.
Con i conferimenti i soci apprestano i mezzi necessari per l’esercizio dell’attività sociale: essi sono
perciò essenziali non solo al momento della costituzione della società ma per tutta la durata del
rapporto.
Non è necessario che il conferimento sia immediatamente eseguito, essendo il contratto di società
un contratto consensuale (che si perfeziona, cioè, col semplice consenso) con cui i soci assumono
semplicemente l’obbligo di eseguire un determinato apporto.
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B) Disciplina dei conferimenti
La disciplina dei conferimenti varia a seconda che si abbia:
a) Conferimento in denaro
È la forma base del conferimento, qualora non sia diversamente disposto nell’atto
costitutivo.
Nelle società di capitali, è previsto l’obbligo dei soci di versare almeno il 25%
dei conferimenti in denaro immediatamente, cioè al momento della sottoscrizione
dell’atto costitutivo. Soltanto nelle s.r.l., tale versamento iniziale può essere sostituito
dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza assicurativa
o di una fideiussione bancaria. A seguito dell’intervento del D.L. 76/2013, conv.
in L. 99/2013, nelle s.r.l. il versamento del 25% avviene direttamente all’organo
amministrativo nominato nell’atto costitutivo, in luogo della banca.
b) Conferimento di beni in proprietà
In questo caso:
— la forma del conferimento si determina secondo la natura dei beni conferiti (così
per gli immobili è necessario l’atto scritto);
— il passaggio della proprietà avviene normalmente alla stipula del contratto di
società;
— la garanzia dovuta dal socio è regolata dalle norme sulla vendita (artt. 2254 e
1476: il socio è tenuto alla consegna della cosa immune da vizi, etc.);
— quanto al passaggio dei rischi, si coordinano gli artt. 1465 (richiamato dall’art.
2254) e 2286, 2º comma.
Pertanto:
— può essere stabilita l’esclusione del socio che si obbliga a trasferire la proprietà, se il peri­
mento per caso fortuito della cosa (non ancora trasferita alla società) grava sul conferente;
— non si ha esclusione del socio, se il rischio grava sull’acquirente (società), come nel caso
dell’art. 1465, 2º comma (ipotesi in cui l’effetto traslativo è differito alla scadenza di un
termine stabilito).
c) Conferimento di beni in godimento
— la garanzia per il godimento è regolata dalle norme sulla locazione (art. 1585);
— il rischio della cosa conferita è a carico del socio conferente.
Ciò implica che:
— la società non risarcisce il socio del bene conferito in godimento se la perdita di questo è
avvenuta per causa non imputabile alla stessa;
— la società può escludere il socio conferente se il godimento diventa impossibile per causa
ad essa non imputabile.
d) Conferimento di crediti (artt. 2255 e 1267)
In tali ipotesi il socio è tenuto a rispondere, in caso di insolvenza del debitore ceduto,
versando alla società una somma pari alla valutazione che del credito era stata fatta
nel contratto costitutivo.
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Inoltre il socio conferente dovrà versare alla società, in caso di insolvenza del debitore ceduto, il rimborso spese, il pagamento degli interessi e l’eventuale risarcimento
del danno.
e) Conferimento della propria opera
In questo caso il rischio di impossibilità di svolgimento dell’opera (anche per causa
non imputabile) grava sul socio, che può essere escluso per sopravvenuta inidoneità.
Nelle società di capitali continua ad essere vietato il conferimento avente ad oggetto
prestazioni d’opera o di servizi (art. 2342, comma 5), al contrario di quanto è stabilito
per le società di persone. Ciò in quanto l’esigenza di una valutazione oggettiva dei
conferimenti contrasta con la difficoltà di quantificare tali prestazioni. Per le s.r.l.,
l’art. 2464, comma 2, sancisce che «possono essere oggetto di conferimento tutti
gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica», superando, quindi, il
divieto di conferimento di prestazioni d’opera e di servizi, data la caratterizzazione
personalistica della s.r.l., nella quale il contributo del socio molto spesso si qualifica
per le sue qualità personali e professionali, piuttosto che per il valore oggettivo dei
beni apportati.
Capitale e patrimonio sociale
Il capitale sociale è un’entità numerica che indica il valore in denaro della somma dei conferimenti
eseguiti (capitale versato) o promessi (capitale sottoscritto) dai soci in sede di costituzione della
società (capitale nominale).
Il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società.
Il patrimonio si distingue a sua volta in:
— patrimonio lordo, costituito dalla somma delle attività della società in un dato momento;
— patrimonio netto, risultante dalla differenza tra le attività e le passività della società (capitale
reale).
Capitale e patrimonio coincidono nella fase iniziale dell’attività, allorché unici mezzi a disposizione
della società sono i conferimenti effettuati dai soci e non esistono ancora passività. Successivamente,
mentre il patrimonio è destinato a variare a seconda delle vicende economiche della società, il capitale
sociale rimane invece immutato, a meno che non si provveda, con una delibera assembleare, ad un
aumento o ad una riduzione dello stesso.
Diversa è anche la loro funzione: il patrimonio della società svolge essenzialmente una funzione di
garanzia, in quanto rappresenta la garanzia generica (art. 2740) su cui i creditori possono trovare
soddisfazione. Il patrimonio sociale, inoltre, svolge una funzione produttiva: esso, infatti, è in quanto
tale oggetto di una gestione produttiva, cioè svolta al fine di ottenere un aumento del suo valore, il
quale è a sua volta destinato ai soci.
Il capitale sociale svolge, invece, una funzione vincolistica, in quanto (quale complesso dei conferimenti) rappresenta la parte di patrimonio sociale che i soci si sono impegnati a non distrarre dall’attività
di impresa, garantendo così la conservazione della produttività dell’impresa sociale.
Solo indirettamente, quindi, il capitale svolge una funzione di garanzia dei creditori, i quali possono
fare affidamento sul fatto che nel patrimonio (netto) della società vi siano attività per lo meno pari
all’ammontare dei conferimenti, cioè del capitale sociale.
Il capitale sociale svolge poi una funzione organizzativa, dal momento che gli utili e le perdite (nonché
il diritto di voto del socio) sono commisurati alla partecipazione dei soci a quote di capitale.
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4.L’esercizio in comune di una attività economica - L’oggetto sociale
Il patrimonio sociale risulta oggetto di una gestione produttiva, che si risolve nello svolgimento di un’attività potenzialmente in grado di aumentarne il valore complessivo, e che
proprio per ciò può dirsi economica: è questo il significato che tale espressione assume
nell’art. 2247, il quale infatti ricollega espressamente a tale attività gli utili che i soci si
ripromettono di ottenere. Per indicare il tipo di attività economica che caratterizza ogni
singola società si parla di oggetto sociale. L’attività economica esercitata può avere la più
varia natura ma deve essere, in ogni caso, rivolta alla produzione di nuova ricchezza. Deve
trattarsi, pertanto, di un’attività produttiva, di un’attività cioè a contenuto patrimoniale, condotta con metodo economico e finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
Non rientrano, pertanto, nel concetto di società i contratti posti in essere per lo svolgimento di
un’attività culturale, politica, religiosa od assistenziale, e ciò anche quando dal contratto derivino
obblighi di conferimento o la creazione di un fondo comune.
L’attività economica deve essere esercitata in comune: la gestione è comune quando
si può ricondurre alla volontà di tutti i soci. Ciò avviene in ogni società, perché, se
l’amministrazione è affidata ad un socio o ad un estraneo, ciò ha luogo pur sempre per
volontà di tutti i soci, i quali possono revocare l’amministratore ed hanno diritto di
avere il rendiconto (FERRARA jr - CORSI).
L’indicazione dell’oggetto sociale nel contratto è richiesta espressamente dall’ordinamento per tutti
i tipi di società, eccetto che per la società semplice (per la costituzione della quale non è prescritto
alcun requisito formale).
L’importanza della funzione svolta nell’ambito della società da parte dell’oggetto
sociale è evidente da un punto di vista economico, più che giuridico: infatti, ogni valutazione relativa all’opportunità di un investimento in una determinata società deve
tener conto che le aspettative di guadagno dipendono in gran parte dall’ambito nel
quale la ricchezza investita dai soci è destinata ad essere impiegata, quindi, appunto,
dalla determinazione dell’oggetto sociale.
Qual è la differenza tra società e associazione in partecipazione?
Il carattere comune dell’attività consente di fare una distinzione tra società e associazione in partecipazione, contratto con il quale «l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della
sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto».
Nell’associazione in partecipazione, infatti, l’attività di impresa resta propria ed esclusiva dell’associante, i singoli atti di impresa devono essere posti in essere solo con il suo nome e a lui sono giuridicamente
imputabili, anche se compiuti dall’associato.
A differenza di quanto accade per la società, nella associazione in partecipazione:
— non si ha formazione di un fondo comune (assoluta mancanza di un patrimonio sociale);
— l’impresa resta impresa personale dell’associante; pertanto le cose apportate dall’associato entrano
nel patrimonio dell’associante, il quale solo acquista diritti e contrae obblighi nei confronti dei terzi;
— l’associato rimane un creditore dell’associante e, come tale, è soggetto al concorso degli altri creditori
di lui;
— allo scioglimento del contratto non consegue uno stadio di liquidazione.
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5.La realizzazione e la divisione degli utili
L’art. 2247 esige che la società eserciti un’attività economica volta alla realizzazione
di utili (cd. lucro oggettivo) e che tali utili, una volta realizzati, debbano poi essere
divisi tra i soci (cd. lucro soggettivo).
Lo scopo lucrativo oggettivo consiste, dunque, nel fatto che l’attività economica
esercitata dalla società sia astrattamente idonea a procurare un lucro; lo scopo lucrativo soggettivo è, invece, il fine egoistico che il socio intende realizzare mediante la
partecipazione alla società.
Nel caso si ponga in essere un’effettiva società, il risultato economico dell’attività
svolta (cd. lucro oggettivo) non potrà che essere rivolto a vantaggio dei soci; da ciò,
tuttavia, non deriva necessariamente la conseguenza che l’utile realizzato venga diviso materialmente tra essi (cd. lucro soggettivo). L’essenzialità di tale requisito deve
essere intesa nel senso che l’attività economica da esercitare in comune deve avere,
almeno astrattamente, la capacità di produrre nuova ricchezza e che gli incrementi
patrimoniali conseguenti all’esercizio dell’attività sociale sono necessariamente di
spettanza dei soci.
Non sono qualificabili, quindi, come società:
— le imprese collettive che esercitano un’attività economica diretta dichiaratamente alla realizzazione di scopi di natura ideale, culturale, ricreativa, assistenziale, religiosa, etc.;
— le imprese collettive che esercitano un’attività economica diretta alla realizzazione di un lucro,
ma che dichiaratamente non ripartiscono tale profitto tra i soci, bensì lo utilizzano per svolgere
una ulteriore attività tesa ad uno scopo ideale.
Questa definizione di lucro, se è insita nello scopo di tutte le società di persone e di
capitali (cd. società lucrative), mal si adatta ad altri tipi che pure rientrano nella più
ampia nozione di società, quali le società cooperative dove, invece, lo scopo è quello
di far conseguire ai soci un risparmio di spesa od occasioni di lavoro a condizioni più
vantaggiose di quelle che gli stessi otterrebbero sul mercato (cd. scopo mutualistico), e
le società consortili dove lo scopo è quello di far conseguire ai consorziati una riduzione
dei costi o maggior guadagni nelle rispettive imprese.
La partecipazione agli utili (ed alle perdite) da parte dei soci costituisce un requisito
essenziale della società. Essa non deve essere necessariamente proporzionale al conferimento eseguito e può essere variamente regolamentata salvo, comunque, il rispetto
dell’art. 2265 che sancisce il divieto del cd. patto leonino, ossia del patto con il quale
uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite (art. 2265).
6.Società e impresa: le società occasionali
In genere le società sono titolari di un’impresa collettiva: esse, come tali, sono assoggettate allo statuto dell’imprenditore ed in particolare alle procedure concorsuali.
La dottrina si è chiesta però se sia possibile una società senza impresa, relativamente
soprattutto ai due fenomeni delle società occasionali e delle società tra professionisti.
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Per quanto riguarda le prime, dal confronto tra l’art. 2082 e l’art. 2247 si desume che
il requisito della professionalità è requisito essenziale dell’imprenditore e non della
società. In teoria, quindi, ben potrebbero configurarsi società costituite per l’esercizio
occasionale (non professionale) di un’attività economica, cd. società occasionali (o societas unius negotii), ossia costituite per il compimento di un singolo affare, purché tale
affare implichi lo svolgimento di un’attività economica imputabile al gruppo dei soci.
La legge, infatti, richiede l’esercizio di un’attività economica, non necessariamente
di un’impresa. L’attività deve essere lecita, possibile, determinata o determinabile.
Dottrina
Circa l’ammissibilità delle società occasionali, ed in generale di società senza impresa, dottrina
e giurisprudenza sono divise.
Per una parte della dottrina la società è necessariamente titolare di un’impresa, poiché l’esercizio collettivo dell’attività economica dà luogo di per sé all’esercizio di un’impresa (in quanto
l’esistenza di un’organizzazione societaria di durata implica la professionalità ex art. 2082).
Anche le società occasionali, quindi, sarebbero imprese. Tale orientamento è giustificato dalla
necessità di assoggettare le società che svolgono attività commerciale allo statuto dell’imprenditore commerciale e quindi alle procedure concorsuali.
Altra parte della dottrina (CAMPOBASSO, GALGANO) e la Cassazione (Cass. 10-8-1979, n.
4644) ritengono invece che nel nostro diritto positivo è possibile che vi siano società che non
sono imprenditori, ammettendo così le società occasionali (anche se nella pratica risultano
alquanto rare).
7.Le società unipersonali
Il D.Lgs. 3-3-1993, n. 88 ha espressamente previsto la costituzione di società a responsabilità limitata con unico socio, permettendo formalmente in tal caso ad un singolo
soggetto — in deroga al principio di cui all’art. 2247 — di esercitare individualmente
un’attività di impresa e di godere del beneficio della responsabilità limitata.
Sulla stessa scia il D.Lgs. 6/2003, di riforma del diritto delle società, ha ammesso la
costituzione per atto unilaterale anche della società per azioni, modificando in tal
senso il testo dell’art. 2328. Si è così normativizzata la possibilità di dar vita a S.p.a.
unilaterali, eliminandosi, sotto tale profilo, ogni differenza di disciplina rispetto alle S.r.l.
Per le società personali, invece, non è prevista la costituzione ad opera di un unico socio.
Cosa accade in caso di sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci?
È possibile che una società originariamente pluripersonale si trasformi in unipersonale, a seguito del
venir meno della pluralità dei soci, con riunione delle quote sociali in un’unica mano. Ciò è vero per le
società a responsabilità limitata e per le società per azioni.
Per quanto concerne le società a responsabilità limitata, l’art. 2462, ferma restando la responsabilità
limitata dell’unico socio, circoscrive le ipotesi di responsabilità personale di quest’ultimo, in caso di
insolvenza della società, alla mancata effettuazione dei versamenti ancora dovuti nel termine di novanta
giorni (art. 2464, u.c.) e fino a quando non venga attuata la pubblicità dei dati relativi all’unico socio
(art. 2470).
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Anche con riguardo alle società per azioni, la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci comporta
un mutamento nel regime della responsabilità dell’unico socio che, in ipotesi di insolvenza della società,
sarà tenuto a rispondere personalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali in caso di mancato
versamento dei conferimenti ancora dovuti nel termine di novanta giorni e fino a quando non sia stata
attuata la pubblicità prescritta dall’art. 2362.
Per le società personali, invece, è sancito lo scioglimento nell’ipotesi di mancata ricostituzione della
pluralità dei soci nel termine di sei mesi (art. 2272, n. 4).
Regole particolari, infine, sono prescritte per le società in accomandita (artt. 2323 e 2458), in quanto
queste sono istituzionalmente caratterizzate dalla presenza di due distinte categorie di soci.
8.Le società fra professionisti
Si intende per società tra professionisti quella costituita da costoro esclusivamente per
l’esercizio in comune della loro attività professionale. Oggi, a seguito della L. 183/2011
(Legge di stabilità per il 2012) è consentita espressamente la costituzione di società
per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo
i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Prima dell’intervento della suddetta legge, invece, la possibilità di esercitare in forma societaria le
professioni intellettuali protette, ossia le professioni intellettuali per il cui esercizio è
necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi è stata oggetto di ampi dibattiti.
Ciò, in particolare, tenendo conto di due dati normativi:
— l’art. 2232 del codice civile, per cui «il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto»;
— la legge 23-11-1939, n. 1815 che, all’art. 2, stabiliva che «è vietato costituire,
esercitare o dirigere, sotto qualsiasi forma […] società, istituti, uffici, agenzie od
enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od a
terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale,
amministrativa, contabile o tributaria».
Alla luce di tale duplice dettato normativo la giurisprudenza prevalente ha sempre
negato l’ammissibilità delle società fra professionisti.
L’art. 24 della L. 266/1997 (cd. legge Bersani) ha abrogato espressamente il citato art.
2 della L. 1815/39 e, sovvertendo il precedente orientamento giurisprudenziale, ha
consentito l’esercizio delle professioni intellettuali in forma societaria.
Il D.Lgs. 96/2001 ha introdotto nel nostro ordinamento la società tra avvocati, avente
per oggetto esclusivo l’esercizio in comune dell’attività professionale dei propri soci
(attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio e altre attività professionali
proprie dell’avvocato, quale quella di consulenza legale).
La società tra avvocati è regolata dalle norme della società in nome collettivo ove non diversamente
stabilito dalla relativa disciplina speciale. Essa agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome
e dal titolo professionale di tutti i soci ovvero di uno o più soci e deve contenere l’indicazione, in
forma abbreviata, di società tra professionisti.
La società tra avvocati è iscritta in una sezione speciale del registro delle imprese relativa alle
società tra professionisti e l’iscrizione ha solo funzione di pubblicità notizia. È inoltre iscritta in una
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sezione speciale dell’albo degli avvocati ed alla stessa si applicano, in quanto compatibili, le norme
professionali e deontologiche che disciplinano la professione di avvocato.
La società tra avvocati non è soggetta a fallimento, in quanto non svolge attività di impresa.
Nel 2006 vi è stato un ulteriore intervento legislativo ad opera del D.L. 223/2006 (cd.
decreto Bersani bis), conv. L. 248/2006 che ha consentito la prestazione di servizi professionali interdisciplinari da parte di società di persone o di associazioni tra professionisti
(ad esempio, la medesima società potrà offrire congiuntamente ai clienti, consulenza
legale e assistenza fiscale). L’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale
deve essere esclusivo, il medesimo professionista non può partecipare a più di una
società e la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti
previamente indicati, sotto la propria responsabilità.
La riforma delle società tra professionisti
Prima dell’intervento della L. 183/2011 (Legge di stabilità per il 2012) l’Italia era ancora uno dei
pochi Stati membri che vietava ai professionisti iscritti ad Ordini o Albi professionali, salvo rare
eccezioni, di esercitare la loro professione nella forma di società di capitali.
Tale legge, invece, ha introdotto la possibilità per i professionisti di costituire società sia di persone
(s.s., s.n.c., s.a.s.), sia di capitali (s.r.l., s.p.a., s.a.p.a.) sia cooperative per l’esercizio di attività
professionali regolamentate. Quindi, ferma restando la libertà di mantenere in vita o costituire nuove
associazioni professionali nella vecchia forma degli studi professionali, i professionisti che intendono
esercitare in comune una professione protetta possono oggi optare per lo strumento giuridico della
società; non solo società di persone ma anche società di capitali e cooperative.
A norma dell’articolo 10 L. 183/2011, possono assumere la qualifica di società tra professionisti
le società il cui atto costitutivo preveda:
— l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci;
— l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi o collegi, nonché i
cittadini di Stati membri dell’Unione Europea in possesso del titolo di studio abilitante all’esercizio della professione; sono peraltro ammessi soci non professionisti per lo svolgimento di
prestazioni tecniche ovvero per finalità di investimento;
— criteri e modalità tali da garantire che la singola prestazione professionale sia eseguita dai soci in
possesso dei requisiti e che l’utente possa scegliere all’interno della società il professionista che
dovrà seguirlo o, in mancanza di scelta, riceva preventiva comunicazione scritta del nominativo
del professionista;
— le modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con
provvedimento definitivo.
È previsto, inoltre, che la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di società tra professionisti; che la partecipazione ad una società è incompatibile con la
partecipazione ad altra società tra professionisti e che la società tra professionisti può essere costituita
anche per l’esercizio di più attività professionali.
La Legge fa salvi i diversi modelli societari e associativi vigenti e abroga la L. 1815/1939 sulle
associazioni professionali.
Da ultimo, il D.L. 1/2012 (decreto liberalizzazioni), conv. in L. 27/2012, è intervenuto nuovamente
sulla disciplina delle società tra professionisti, modificando alcune disposizioni dell’articolo 10 della
L. 183/2011, prevedendo:
— che se la società tra professionisti assume la forma di cooperativa, la società deve essere costituita
da un numero di soci non inferiore a tre;
— per quanto riguarda la novità introdotta dalla L. 183/2011, costituita dal fatto che alla società
possono partecipare, oltre ai soci professionisti, anche soci non professionisti per la fornitura di
Le società in generale
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prestazioni tecniche o per finalità di investimento, la L. 27/2012 ha però specificato che, in ogni
caso, il numero dei soci professionisti o la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve
essere tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Il venir meno di tale condizione è causa di scioglimento della società, salvo che la società stessa
non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine di sei mesi;
— che la società deve prevedere nell’atto costitutivo la stipula di una polizza di assicurazione per
la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni causati ai clienti dai singoli
soci professionisti nell’esercizio dell’attività professionale;
— che il socio professionista può opporre agli altri soci il segreto professionale per le attività a lui affidate. Viene, quindi, tutelato il segreto professionale anche all’interno della società tra professionisti;
— che sono fatti salvi i diversi modelli societari (principalmente le società di avvocati) già previsti
dall’ordinamento e le associazioni professionali.
9.Società lucrative e società mutualistiche
Il codice civile disciplina diversi modelli di organizzazione interna ed esterna dell’operazione societaria, denominati tipi di società. Essi sono: la società semplice; la società
in nome collettivo; la società in accomandita semplice; la società per azioni; la società in
accomandita per azioni; la società a responsabilità limitata e, infine, le società cooperative.
Ciascun tipo è soggetto ad una propria disciplina legale, talvolta disposta anche mediante
rinvii a norme dettate per un altro tipo di società.
Pur rappresentando ciascun tipo un modello a sé, è possibile comunque fare diverse
classificazioni in gruppi omogenei, a seconda del punto di vista dal quale li si osservi.
In relazione allo scopo, nell’ambito dei tipi di società, si distinguono:
a) società lucrative (società semplice, in nome collettivo, in accomandita semplice,
per azioni, a responsabilità limitata, in accomandita per azioni), caratterizzate dal
fine di lucro con esse specificamente perseguito, cioè dal fine di ripartire tra i soci,
in proporzione al loro investimento, l’utile realizzato dall’attività sociale, inteso
come eccedenza dei ricavi rispetto ai costi.
Per aversi società lucrativa occorre non solo lo scopo di conseguire un lucro (lucro
oggettivo), ma anche quello di devolverlo ai soci (lucro soggettivo).
Tuttavia è sufficiente uno scopo astrattamente lucrativo: basta cioè che la società svolga
un’attività dalla quale possa ricavarsi lucro (anche se i soci prevedono che la società non
conseguirà alcun utile sociale) e che nel contratto sociale appaia formalmente perseguito lo
scopo soggettivamente lucrativo (anche se i soci si propongono, a tempo debito, di rinunciare
agli utili a ciascuno di essi spettanti);
b) società mutualistiche (società cooperativa a mutualità prevalente e non a mutualità
prevalente, società di mutua assicurazione), caratterizzate dallo scopo mutualistico
(e non lucrativo) perseguito dai soci, consistente nel poter contrattare con la società
a condizioni più vantaggiose di quanto offrirebbe il mercato. Il che può realizzarsi
secondo due modalità:
1) mediante un risparmio di spesa, permettendo ai soci di acquistare dalla società beni
e servizi a condizioni più convenienti di quelle di mercato (cooperative di consumo);
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Capitolo 1
2) attraverso la valorizzazione delle capacità lavorative dei soci, offrendo loro
occasioni di lavoro con una remunerazione maggiore di quella normalmente
praticata dal mercato (cooperative di produzione e lavoro).
L’impresa sociale
Una deroga al principio di lucratività della società è costituita dall’impresa sociale, introdotta dal
D.Lgs. 155/2006 che ha riconosciuto tale qualifica a tutte le organizzazioni private che esercitano in
via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio
di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale.
L’assenza dello scopo di lucro ed il perseguimento di finalità di interesse generale sono i tratti caratterizzanti dell’impresa sociale: è infatti preclusa la distribuzione, anche indiretta, di utili o di avanzi di gestione,
che devono essere destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio.
L’impegno operativo delle imprese sociali deve orientarsi in specifici settori tassativamente fissati
dalla legge quali: l’assistenza sanitaria e sociale, l’educazione, la formazione e l’istruzione, la tutela
dell’ambiente, la valorizzazione del patrimonio culturale, la ricerca ed erogazione di servizi culturali,
l’attività di collocamento di lavoratori svantaggiati e disabili.
Le finalità di interesse generale realizzate dalle imprese sociali vengono favorite dal legislatore con un
privilegio sul piano civilistico: quello di potersi organizzare non solo in forma di associazione, bensì
di poter usufruire di qualsiasi forma di organizzazione privata. Se viene adottata la forma societaria,
resta fermo il divieto di distribuire utili.
10.Società e associazione
Mentre l’art. 2247 fornisce una nozione di società, manca nel codice la nozione di associazione: si è così cercato di ricostruire tale concetto in termini negativi, rinvenendo
un’associazione in tutti i casi in cui un ente collettivo non rientri nello schema societario.
Secondo una prima teoria, il criterio distintivo sarebbe da ricercarsi nella natura dell’attività esercitata: in tutti i casi in cui l’ente collettivo svolge un’attività economica, si
avrebbe società, indipendentemente dalla presenza o meno di uno scopo di lucro, mentre
l’associazione sarebbe caratterizzata dalla natura non economica dell’attività esercitata.
Secondo altra teoria, invece, l’elemento distintivo si rinviene nel diverso scopo perseguito:
— vi è così società in tutte le ipotesi in cui l’esercizio in comune di un’attività economica è a scopo non dichiaratamente ideale;
— vi è associazione in tutte le ipotesi in cui l’esercizio in comune di un’attività (anche
economica) è a scopo espressamente e dichiaratamente ideale.
Più in particolare, per CAMPOBASSO non sarebbe tanto rilevante lo scopo lucrativo oggettivo,
che ben può essere perseguito anche dall’associazione (si pensi all’associazione che gestisce
un’impresa a scopo di lucro per destinare gli utili in beneficenza), quanto piuttosto il lucro soggettivo.
In sostanza, ciò che distingue la società dall’associazione è il fatto che tipico della prima è il lucro
soggettivo, per il quale gli utili conseguiti con l’attività economica devono necessariamente (o almeno
istituzionalmente) essere divisi tra i soci (autodestinazione), mentre le associazioni che svolgono
attività economiche produttive di utili sarebbero prive di tale connotazione (eterodestinazione).
Incompatibile con lo schema causale dell’associazione è solo lo scopo di lucro in senso soggettivo, non
lo svolgimento di attività di impresa né la realizzazione di utili (lucro oggettivo) attraverso tale attività.
Le società in generale
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La legge peraltro prevede la possibilità di costituire società di capitali senza scopo di
lucro: sono tali le società consortili previste dall’art. 2615ter o le società di gestione
dei mercati regolamentati ex art. 61 D.Lgs. 58/1998.
Qual è la differenza tra la società e la comunione?
Secondo la giurisprudenza e la dottrina, il criterio discriminante tra le due figure è dato dalla presenza
dell’impresa.
La società, come abbiamo visto, è caratterizzata dall’esercizio in comune di un’attività economica
diretta alla realizzazione di un profitto; nella comunione di mero godimento, invece, i titolari dei beni
in comunione non si propongono alcuna attività economica a scopo speculativo, ma si accontentano
semplicemente di godere dei frutti di questi beni.
Tale distinzione è contenuta nell’art. 2248, che rinvia alle norme dettate dal codice in materia di comunione per le ipotesi di «comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose».
Assai diversa è la disciplina dei beni facenti parte del patrimonio sociale, rispetto a quella dei beni in
comunione. Le maggiori differenze si riscontrano:
a) nel confronto tra l’art. 2256 (il singolo socio non può liberamente servirsi dei beni del patrimonio
sociale per scopi estranei da quelli sociali) e l’art. 1102 (ciascun comproprietario può servirsi della
cosa comune);
b) nella diversa disciplina dello scioglimento contenuta, per le società, negli artt. 2272 e 2484 e, per la
comunione, nell’art. 1111;
c) nell’autonomia patrimoniale che, presente nelle società, manca nella comunione.
Tuttavia, se l’attività di mero godimento delle cose comuni è esercitata in forma d’impresa, ossia è diretta alla produzione di nuova ricchezza e c’è la volontà delle parti di sottoporre i beni comuni al regime
del patrimonio sociale, si potrà dare luogo ad una società. Nulla esclude, infatti, che dal regime della
comunione si possa passare a quello della società e viceversa.
L’art. 2248 sancisce indirettamente l’inammissibilità di una comunione di impresa, di una situazione
cioè in cui più persone esercitino un’impresa collettiva, ferma restando l’applicabilità delle norme del
libro III del codice sui diritti reali. In questo caso, infatti, la situazione di pura contitolarità di un diritto
reale si trasforma in una società di fatto, con l’assoggettamento alla disciplina del libro V.
Sono inammissibili anche le società di mero godimento, ossia quelle società aventi ad oggetto il mero
godimento di beni; ciò per impedire che lo schema societario possa trasformarsi in strumento a danno
dei creditori dei soci (comproprietari).
DI SABATO propende, invece, per l’ammissibilità di tali società.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3028 del 6-2-2009 ha stabilito che l’elemento discriminante tra
comunione a scopo di godimento e società è costituito dallo scopo di lucro perseguito tramite un’attività imprenditoriale, che si sostituisce al mero godimento ed in funzione del quale vengono utilizzati beni comuni.
11.Le società «di comodo»
Anche se in evidente contrasto con il disposto dell’art. 2248, nella pratica è diffuso il fenomeno delle cosiddette società di comodo, per lo più finalizzate a nascondere ai creditori
o al Fisco la proprietà di immobili, autoveicoli e natanti, ovvero per sottrarli, in caso di
morte del proprietario, all’imposta di successione (mediante fittizie scritture di vendita
della quota sociale predisposte tra le parti e da utilizzare dopo il decesso del suo titolare).
In genere tali società, costituite al dichiarato scopo di esercitare un’attività di compravendita immobiliare (cd. società immobiliari di comodo), in realtà si limitano ad
amministrare le proprietà dei soci e a distribuire loro, in forma di utile, le rendite. In
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Capitolo 1
tali società, che non svolgono alcuna attività economica, i beni conferiti vengono così
a costituire un patrimonio autonomo, sottratto alle pretese dei creditori dei singoli
conferenti (GALGANO).
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il contratto costitutivo di una società di
comodo è nullo per simulazione; alcuni Autori, invece, giustificano la nullità parlando
di contratto in frode alla legge (art. 1344).
12.Le società costituite all’estero ed operanti in Italia
Il diritto delle società è un diritto essenzialmente nazionale, in quanto ogni Stato provvede a dettare un proprio sistema di regole relative alle società. In ogni caso il carattere
nazionale del diritto societario impone di individuare in ogni ordinamento criteri di
collegamento idonei a determinare quando, o a quali società, si applichi quella legge.
Nel diritto italiano a ciò provvede l’art. 25 della L. 218/1995 (di riforma del sistema
italiano del diritto internazionale privato), che adotta, come criterio prevalente per la
determinazione della nazionalità delle società, il criterio dell’incorporazione, secondo
cui la nazionalità di una società è data «dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato
perfezionato il procedimento di costituzione». Il successivo secondo comma pone,
tuttavia, un’importante eccezione a questo principio e assoggetta alla legge italiana le
società straniere che abbiano in Italia «la sede dell’amministrazione» e quelle il cui
«oggetto principale» si trovi in Italia. Si tratta della cd. teoria della sede reale, secondo
cui gli internal affairs di una società sono regolati dalle norme proprie dell’ordinamento
nella cui giurisdizione l’ente è concretamente amministrato o esercita effettivamente
la propria attività di impresa.
Applicando congiuntamente questi criteri di collegamento si individuano le società
soggette al diritto italiano; le altre società sono allora a dirsi estere (o straniere).
Anche le società estere, tuttavia, possono essere soggette alla legge italiana a determinati fini. In particolare, una società estera che stabilisce nel territorio italiano una sede
secondaria con rappresentanza stabile (non la sede principale dell’attività produttiva
o la sede dell’amministrazione, perchè in tal caso diverrebbe una società di diritto
italiano) è soggetta alla disciplina italiana sulla pubblicità degli atti sociali ed è tenuta
a pubblicare nel registro delle imprese anche le generalità e i poteri rappresentativi
delle persone che la rappresentano in Italia (art. 2508 c.c.).
L’Unione Europea ha intrapreso, già da tempo, un percorso di armonizzazione dei
diritti societari dei singoli Stati membri e ciò per attuare il principio della libera
circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali (artt. 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).
Ciò è avvenuto con particolare riferimento alle società di capitali, attraverso lo strumento delle direttive, mediante le quali l’Unione Europea impone ai singoli Stati di
adottare norme omogenee in determinati ambiti del diritto societario. Fino ad oggi ne
sono state recepite numerose nel nostro ordinamento, in tema di pubblicità e di nullità
della società di capitali, in tema di costituzione, conferimenti e capitale delle società
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Le società in generale
azionarie, in tema di fusioni, in tema di bilancio d’esercizio delle società di capitali, in
tema di bilancio consolidato, di revisione legale dei conti, di fusioni transfrontaliere etc.
Accanto allo strumento delle direttive, inoltre, l’Unione Europea ha introdotto, con lo
strumento del regolamento, tipi sociali disciplinati in modo unitario e uniforme in tutta
l’Unione a prescindere dal luogo di costituzione, di stabilimento della sede sociale e di
esercizio dell’attività. Si pensi alla Società europea e alla Società cooperativa europea.
«Spiegare le norme»
il conferimento è il
contributo che tutti i soci devono
dare alla società per costituire il capitale
sociale, ossia il fondo inizialmente a
disposizione della società per l’esercizio
dell’attività imprenditoriale
2247. Contratto di società. — Con il
contratto di società due o più persone
conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica
allo scopo di dividerne gli utili.
ciò che i soci si
prefiggono di realizzare attraverso la costituzione di una società, ossia
la realizzazione di un utile (lucro) da
dividersi tra i soci stessi
ciò che la società
ha guadagnato nell’esercizio
dell’attività imprenditoriale, detratte
le spese
Questionario
1. Qual è la natura giuridica del contratto di società? (§2)
2. Quali sono gli elementi essenziali del contratto di società? (§3)
3. È possibile conferire prestazioni d’opera o di servizi nelle società di capitali? E
nelle s.r.l.? (§3)
4. In quale momento capitale e patrimonio sociale coincidono? Perché? (§3)
5. Cosa si intende per attività economica esercitata in comune? (§4)
6. Cosa sono il lucro oggettivo e il lucro soggettivo? (§5)
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Capitolo 1
7. Come è regolata la partecipazione dei soci agli utili e alle perdite della società?
(§5)
8. Cosa accade, nelle società per azioni, in caso di sopravvenuta mancanza della
pluralità di soci? (§7)
9. È possibile costituire una società tra professionisti? (§8)
10. Come si distinguono le società in relazione allo scopo? (§9)
11. Quali sono i tratti caratterizzanti dell’impresa sociale? (§9)
12. Cosa si intende per scopo mutualistico? (§9)
13. Sono lecite le società di comodo? (§11)