L`anima e il corpo, Nannini [Filosofia dellla scienza]

L’anima e il corpo
CAPITOLO 1: LA FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE
1.1 mente, anima e spirito
I termini “mente”, “anima” e “spirito” sono uniti da un significato vicino. Dal latino e dal greco questi
termini si somigliano e ciò accade anche in altre lingue antiche come l’ebraico o l’arabo.
In origine significano “soffio” o “energia” e per estensione “vita”. Le anime che nei miti greci infatti vanno
nell’Ade sono riconducibili a questo o quell’individuo, come entità unica a caratterizzante, comprendenti
quindi anche della parte mentale (psicologica).
Allo stesso modo il percorso che ha fatto il termine “spirito” per arrivare a noi è pregno di associazioni,
come lo spirito mundi di Platone o lo Spirito Santo cristiano, intesi come una sovrannaturale energia vitale.
Lo spirito oggi si lega con il senso naturalistico delle cose e con la cultura antropologica, come un bagaglio
sovra individuale.
1.2 l’anima da Omero a Platone
le anime che descrive Omero, seppur sono l’ombra di un determinato individuo, non stanno all’origine della
nostra concezione di anima; è infatti solo con Platone che si ha la vera radice di questa concezione. Il
dualismo anima-corpo è, nei suoi scritti, già forte e chiaramente in contrasto. L’anima è prigioniera del
corpo, che si libera nel momento della morte, essa è immortale. Essa può essere educata con l’amore della
conoscenza e con la moralità, in netto declino a causa della società fortemente criticata dal filosofo.
In Platone manca una coerenza logica e un insegnamento dogmatico, poiché il suo insegnamento era un
tutto senza alcuna distinzione tra metafisica, filosofia politica, morale ecc. Quindi non si ha un’idea
realmente chiara su cosa Platone intendesse con “anima”, ma di certo le basi della nostra idea di anima,
che hanno poi trovato fortuna nel cristianesimo, hanno origine qui.
1.3 Aristotele
Il rapporto tra Platone e Aristotele, suo allievo, è da sempre uno degli argomenti più dibattuti nella storia
della filosofia. Sono un continuo o una rottura? Per quanto riguarda l’anima, sembra che siano più evidenti
le parti in “rottura”. Aristotele non tratta l’anima come Platone, in senso morale e metafisico, ma la tratta
in modo scientifico. Critica il maestro anzitutto perché non spiega come l’anima sia legata al corpo.
Per Aristotele l’anima è strettamente legata al corpo e lo fa come materia, come atto compiuto (“si indica
questa unione col temine “ilomorfismo”, dove forma e materia sono unite). L’uomo in fatti è uomo
solamente grazie all’anima, così come una sfera di bronzo è tale solo grazie alla “forma” che l’artista riesce
a imprimere. Allo stesso modo un occhio è occhio solo se ha la capacità di vedere, altrimenti è un occhio
solamente in potenza e se perdesse questa capacità non sarebbe più tale, se non per associazione (come un
occhio di vetro o dipinto). Così l’uomo è uomo in potenza, perché ha gli organi giusti, ma senza anima, che
è forma, egli non potrebbe nulla. In Aristotele quindi non esiste nessun problema dualistico di mentecorpo, sono strettamente connesse e un tutt’uno.
In Aristotele però sono presenti teorie contrastanti, ad esempio in alcuni punti in cui parla di un intelletto
separabile dal corpo e immortale; le spiegazioni e le interpretazioni sono molteplici. Risulta quindi difficile
dare un’interpretazione chiara della sua idea di anima; ma resta il fatto che il peso dei suoi scritti è ancora
oggi altissimo.
1.4 L’atomismo e lo stoicismo
Oltre al dualismo di Platone e l’ilomorfismo di Aristotele, vi è la concezione “materialistica”, che si divide in
due correnti di pensiero, l’atomismo e lo stoicismo. Gli atomisti son Democrito, Epicuro e Tito Lucrezio
Caro. Dividono l’universo in atomi e vuoto. Gli atomi comprendono tutta la materia e possono essere di
diversa entità, grandezza e peso. Gli atomi sono la causa di eventi climatici, movimento cosmici e la vita
umana. L’anima non è esule da questa distinzione, se non fosse fatta di atomi sarebbe necessariamente
vuoto e quindi inerme e senza vita. l’anima conferisce vita al corpo con il suo movimento e l’urto fra atomi
diversi (quelli dell’anima sono minuscoli, leggerissimi e veloci). Essendo materia, l’anima non è immortale
(l’idea di immortalità dell’anima è data solo dalla paura della morte, che però non va temuta, dice Epicuro,
perché in essa non c’è né il male, che il dolore, né il bene, che è il piacere).
Lo stoicismo, al contrario dell’atomismo, non è areligioso e meccanicistico, ma ha anzi una visione molto
spirituale. Infatti tutta la materia è vivente ed è parte del divino. L’anima degli animali ed in particolare
degli uomini, è solamente un concentrato si “pneuma” (spirito). Gli stoici inoltre superano Aristotele
unendo la percezione e l’intellezione, avvicinandosi molto all’idea di mente moderna e di io individuale.
1.5 La tarda antichità e il medioevo
Il pensiero di Platone e Aristotele è stato segnato dall’interpretazione che ne hanno dato i filosofi
medievale e tardo antichi. Il primo neo platonico a Roma è Plotino, che considera, come Platone, l’anima
una connessione tra il mondo sensibile e quello intellegibile ed è incorporea e immortale. L’anima
individuale fa parte dell’anima mundi e ne appartiene. La grande differenza con Platone sta nel fatto che
mentre quest’ultimo, pur riconoscendo la superiorità del mondo delle idee a quello della realtà apparente,
è essenzialmente un dualista, Plotino pone invece le prime basi dell’idealismo moderno, considerando il
corpo “dentro” l’anima, poiché ne dipende e non viceversa. Plotino inoltre da per la prima volta un’idea di
coscienza di sé e di interiorità come base del conoscere.
L’idea di anima in senso cristiano prende forma con Agostino, che rifacendosi a Platone la considera come
immortale, incorporea e in senso individualistico. Agostino da un altro contributo importante per la filosofia
della mente: i concetti di autocoscienza e libero arbitrio. L’uomo, per Agostino, può scegliere tra bene e
male e subisce le conseguenze di queste scelte. L’autocoscienza è invece un luogo all’interno di noi stessi
accessibile solo a noi, è dove risiede l’anima, prodotta da Dio e che ci guida a lui. Solamente conoscendo noi
stessi e prendendo coscienza di sé quindi si ha l’illuminazione divina e la conoscenza. Essendo l’anima un
elemento spirituale, Dio è già in ogni uomo (per chi sa scorgerlo). Come l’anima, immortale e incorporea sia
legata al corpo è un mistero per l’uomo voluto da Dio, ma questo dualismo è il ponte tra il dualismo antico
(Platone) e quello moderno (Cartesio).
Nel XIII secolo una domanda tormenta i pensatori cristiani, influenzati dal De Anima di Aristotele e i
commentari arabi, cioè: se l’anima è la forma del corpo, come può sopravvivere alla morte di questo?
La risposta, per Tommaso D’Aquino, risiede nel fatto che l’intelletto o anima, agisce a prescindere del
corpo, poiché è autonomo e non serve un organo specifico. Al contempo afferma che l’anima necessita dle
corpo per le esperienza sensibili, che assimilano dati coi quali l’intelletto agisce. L’anima ha quindi bisogno
del corpo per finalizzarsi. Tommaso cerca di far coesistere due teorie inconciliabili, quella dell’ilomorfismo
aristotelico e l’idea di immortalità dell’anima.
CAPITOLO 2: LA FILOSOFIA MODERNA
2.1 Descartes (Cartesio)
Per comprendere Descartes è necessario inserirlo nel suo contesto storico, quello della rivoluzione
scientifica inaugurata da Galileo Galilei. Riguardo l’anima, Descartes rifacendosi al celebre Cogito, afferma
che se a “io penso” consegue “io esisto”, allora io SONO pensiero, cioè il mio essere pensante è la cosa
prima, la forma imprescindibile dell’essere. Posso infatti immaginare di non avere corpo e continuare a
esistere, ma senza l’io pensante cosciente non esisto. Partendo dal principio di necessari età del pensiero e
non del corpo, Descartes afferma che il corpo e la mente sono due sostanze ben distinte. [viene criticato
molto da Arnauld, il quale critica che il solo “immaginare” di non avere un corpo non dimostra affatto che
senza di esso si possa comunque pensare]. Per Descartes pensare significa essere coscienti, ecco perché è
convinto che il pensiero sia trasparente a sé stesso e totalmente accessibile.
Questo pensatore ha influenzato tantissimo la filosofia che verrà dopo di lui, con l’identificazione tra
pensiero e coscienza. La coscienza è ciò che distingue l’anima da tutto il resto delle cose. Gli animali, o un
orologio, sono dei meri meccanismi che non hanno volontà, piacere o dolore, invece l’uomo, tramite la
coscienza è collegato ad un qualcosa di immateriale la cui proprietà principale è il pensiero.
Essendo quest’oggetto immateriale nel pensiero, Descartes lo chiama “mente”, per non confondere il
termine aristotelico di anima, che ritiene fuorviante.
Alla questione sul dualismo mente-corpo, Descartes da una visione interessante dicendo che essi sono due
cose distinte ma allo stesso tempo collegate. [voglio muovere un braccio  da mente scaturisce un evento
fisico; mi taglio un braccio  provo dolore, quindi da un evento fisico ne scaturisce uno mentale]
È impossibile concepire questo dualismo perché l’uomo dovrebbe essere in grado di assimilare mente e
corpo come due cose distinte e unite allo stesso tempo, ma è impossibile.
Inoltre poco prima della sua morte, Descartes, ipotizza che la mente e il corpo interagiscono tramite la
ghiandola pineale (cioè l’epifisi) [tesi superata oggi, ma che ha lasciato una grande eredità].
2.2 Spinoza
Da Descartes a Hegel, i pensatori si possono dividere tra coloro che accettano il dualismo cartesiano e
quelli che lo rifiutano. Spinoza è però un’eccezione, poiché riesce a far coesistere il dualismo con il
monismo. Spinoza parte dal presupposto che solamente Dio è sostanza a sé, esistente senza causa o origine
e tutte le altre cose sono estensioni che partono da Dio. Da qui, la mia mente e il mio corpo sono la stessa
cosa. La mente è l’idea che Dio ha del mio corpo. Tuttavia ciò che penso, percepisco e sento, procede
parallelamente a ciò che accade nel mio corpo, quindi fra le due entità intercorre un parallelismo costante.
2.3 L’ “Occasionalismo” di Maleblanche e “l’armonia prestabilita” di Leibniz
Maleblanche è uno dei pilastri del pensiero cristiano in Francia e la sua fede influenza tutta la sua filosofia.
È infatti da Dio che, secondo Maleblanche, parte ogni cosa. Nessun oggetto creato può agire su altro
oggetto creato e allo stesso modo non possono interagire mente e corpo. Tutto parte da Dio (se mi ferisco
a un braccio, Dio mi fa provare la sensazione corrispondente, come il dolore; allo stesso modo se intendo
muovere un braccio, Dio fa sì che io riesca nel mio intento). Anche i corpi coi quali noi interagiamo, che
percepiamo, sono solo il frutto di Dio, che ci permette di vederli; l’esistenza di questi corpi non è neanche
dimostrabile, ma ci si deve affidare alla fede.
Leibniz è uno dei pensatori più importanti della sua epoca. La sua filosofia non vede un’unica sostanza,ma
infinite sostanze create liberamente da Dio. Nell’intelletto infinito di Dio esistono infiniti mondi possibili e
tra questi ha creato il migliore. Il mondo, nel dettaglio, è costituito da atomi spirituali che chiama monadi.
Ciascuna monade è una sostanza semplice e indivisibile (differenti quindi dalla materia che è divisibile
all’infinito), la cui essenza consiste nell’insieme di relazioni delle infinite monadi. Ogni monade differisce
dalle altre solo per il modo in cui percepisce l’intero mondo da un particolare punto di vista. Il legame tra
monadi consiste in una sorta di stato mentale. Ogni monade contiene perciò una rappresentazione di tutte
le altre infinite monadi. Ciò è possibile grazie all’opera di Dio che Leibniz chiama “armonia universale”.
La realtà ultima è spirituale. Le monadi sono aggregati incorporei e anche il corpo, essendo formato da
esse, è essenzialmente immateriale. Riprende quindi un neo-platonismo idealistico.
Tuttavia però permane una distinzione cartesiana tra corpo e mente. Nonostante tutto sia fatto di monadi,
esse hanno una validità differente. Ciò che ci appare come un corpo è un aggregato di monadi molto
debole e incosncio; dove le distinzioni sono più forti e sono accompagnate da memoria, allora si può
parlare di anime (dove si giunge alla conoscenza). Per Leibniz, l’anima non è riconducibile a niente di
materiale (e non si trova nel cervello, es. del cervello grande come un mulino) e le monadi che appaiono
come corpi e quelle che costituiscono lo spirito sono totalmente indipendenti, anche se a noi pare che
interagiscono. La chiave sta nell’armonia universale voluta da Dio, che pur creando monadi totalmente
autonome e indipendenti, agiscono in maniera totalmente coerente (Dio è come un abilissimo orologiaio
che creando infiniti orologi, essi segnino sempre la stessa ora esatta).
2.4 Il materialismo da Hobbes agli illuministi
L’antitesi delle teorie dualistiche mente-corpo è da individuare nel materialismo, inaugurato da Hobbes.
Hobbes da vita alla prima forma di materialismo moderno seguendo la nuova scienza che prende vita con
Galileo. Per Hobbes tutto è corpo, compreso Dio, altrimenti non potrebbe esistere. “sostanza” significa
“corpo” e dire “sostanza incorporea” equivale a dire “corpo incorporeo”, il che non ha senso. Il cogito è
sicuramente indice dell’io pensante, ma non per questo è trasmutabile in “io sono pensiero” [critica
Descartes]. Il pensiero è la proprietà di alcuni corpi e non ha niente di spirituale. Nella teoria di Hobbes ciò
che vediamo o udiamo è una “resistenza” o “contropressione” che cervello e cuore esercitano reagendo
contro altri corpi. In Descartes la distinzione tra mente e corpo gli permetteva di considerare il libero
arbitrio nell’uomo, non sottoposto alle leggi naturali; viceversa in Hobbes la volontà umana non può
sottrarsi al determinismo universale.
Il materialismo quindi sostiene che tutto ciò che esiste è materiale, e si contrappone all’idealismo che
invece sostiene che nulla di ciò che esiste sia reale.
Hobbes, pur essendo un materialista, non esclude l’esistenza di Dio; i pensatori che lo succederanno
prenderanno però le distanze da questa teoria. Materialismo e ateismo non sono infatti inseparabili, ma
nell’immaginario comune uno consegue all’altro, questo perché il divulgarsi di queste dottrine avviene
mediante la letteratura illuminista clandestina francese, che critica fortemente la chiesa.
Nell’illuminismo c’è anche il distacco dalla scienza iniziata da Galileo e proseguita da Newton (credente
convinto, che sostiene che una realtà così geometricamente e matematicamente perfetta può derivare solo
da Dio), per abbracciare la branchia più naturalistica (non regressiva, visto che ha portato alla nascita della
biologia). Seppur molto criticato nell’Ottocento e Novecento, l’illuminismo è l’origine di molte dottrine e
concezioni ancora oggi rilevanti.
2.5 L’empirismo di Locke, Berkeley e Hume
In passato si usava contrapporre al razionalismo di Descartes l’empirismo del filosofo inglese John Locke,
ma come vedremo, sono in realtà molti i punti in comune. Anzitutto la similitudine nel concetto che
possiamo conoscere non l’oggetto esterno, ma solamente l’idea che abbiamo di esso. Locke però critica
l’innatismo cartesiano, e sostiene che tutte le nostre idee (o stati mentali) derivino tutte dai sensi, quindi
dall’esperire, mediante riflessione e sensazioni. Quest’ultime percepiscono gli oggetti esterni, mentre
tramite la riflessione conosciamo le nostre attività mentali. Sensazione e riflessione sono la chiave di tutta
la conoscenza; tramite esse abbiamo idee semplici, che unite nella nostra mente formano idee complesse
(ad esempio l’oro è l’unione di idee semplici come “giallo”, “peso”, “prezioso”). Locke critica la teoria
aristotelica secondo la quale possiamo conoscere la sostanza delle cose; per lui è infatti impossibile, poiché
ai nostri stati mentali non è detto che corrisponda una determinata cosa. È un errore degli aristotelici
supporre che le nostri divisioni in categorie portino alla conoscenza delle essenze. Ciò che noi percepiamo,
dunque, è solamente la risposta di un nostro stato mentale, che non trova certezza da nessuna parte. Non
possiamo dunque sapere se l’anima sia materiale o immateriale, l’unica cosa certa è che senza Dio non
potrebbe esistere nessun essere pensante e nessuno “stato mentale”, poiché niente è ingenerato, se non
Dio. L’inconoscibilità dell’anima però non nega un chiarimento sul concetto di io: secondo Locke
l’autocoscienza è dettata solamente da un flusso di ricordi. Questa è una grande svolta per la filosofia della
mente e della psicologia, perché per la prima volta si parla di “io” non in senso cartesiano come
permanenza di una sostanza, ma come un legame di stati mentali. Questa strada porta alla cosiddetta
“anti-metafisica” del problema mente-corpo. Non è importante scoprire la natura dell’anima (è impossibile
farlo), ma interrogarsi su come funzionano le menti.
Geroge Berkeley è un vescovo anglicano e si rifà all’empirismo di Locke per combattere l’ateismo e
l’irreligiosità dilagante del suo tempo. Berkley intende la materia come esistente solo se percepita, poiché
noi possiamo conoscere e percepire solamente le nostre idee. La materia non esiste, esiste solo quando
qualcuno la percepisce. Cosa esiste, dunque, in modo indipendente? Non le idee, perché esse possono
esistere solo se pensate da una mente. L’unica cosa che esiste in modo indipendente sono i “percepenti”(le
menti o anime). Tutta la realtà quindi è fatta di spirito.
Un filosofo che riprende l’empirismo di Locke in modo totalmente diverso è David Hume. Hume riprende il
concetto che non possiamo conoscere l’essenza delle cose, ma solo le “percezioni” che arrivano alla nostra
mente tramite riflessioni e sensazioni (come in Locke). Le idee possono essere semplici o complesse ed è la
nostra immaginazione che le associa secondo criteri di contiguità, somiglianza o interazioni causali. Fin qui
Hume segue Locke; la differenza sta nella causa delle impressioni, che mentre per Locke sono innescate da
oggetti esterni, per Hume nascono spontaneamente dall’animo per ragioni ignote, anche perché non
possiamo conoscere nient’altro se non, appunto, le nostre impressioni. In seguito estenderà questo
principio affermando che la convinzione dell’esistenza degli oggetti esterni è dovuta alla “coerenza” e
“costanza” della nostra immaginazione, ma non vi è alcun fondamento razione per cui gli oggetti esterni
esistano anche quando noi non li percepiamo. Sembrerebbe quindi che Hume sia un immaterialista e un
idealista. Si distacca però (ad esempio da Berkeley) sotto due aspetti: anzitutto perché accetta che la
mente umana venga “ingannata” dall’immaginazione, definendo il pensiero dell’inesistenza degli oggetti
esterni anche quando non percepiti “forzato e ridicolo” nella vita pratica quotidiana; in secondo luogo
esclude tutto lo spiritualismo, perché l’essenza della mente ci è tanto ignota quanto gli oggetti esterni.
Hume fonda quella che oggi viene chiamata Bundle-Theory (teoria del fascio), ovvero la concezione che la
mente come sostanza unica non esiste, ma che sia costituita da una serie di stati mentali. Così viene
azzerata tutta la metafisica della mente: non ci si chiede più cosa sia, ma empiricamente, come agisce,
come vengono associati gli stati mentali.
2.6 L’idealismo trascendentale di Kant
[…] P.44-50
CAPITOLO 3: LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA: DA HEGEL A HEIDEGGER
3.1 Lo spirito in Hegel
[…] P.52-55
3.2 L’Ottocento tra spiritualismo e positivismo
Il problema mente-corpo deriva dalla filosofia di Descartes ed è oggetto soprattutto nel Seicento, epoca
d’oro della metafisica. Il secolo successivo vede invece, con Hume in particolare, una tradizione antimetafisica, che pone come oggetto di analisi l’io, inteso come fascio di percezioni. In seguito Kant, che
sente il peso della metafisica, la ripristina in parte, ma di nuovo ci si concentra sull’io trascendentale che
Kant intende come attività di sintesi delle intuizioni sensibili. Gli idealisti tedeschi hanno quindi due
influenze: una è quella di Kant e del suo idealismo, l’altra è quella anti-illuministica e il contesto che ha
portato alla rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche. Hegel ripudia, come Kant la “vecchia
metafisica” e cerca di ripristinare la priorità della filosofia alle scienze empiriche e critica l’irreligiosità e il
materialismo. I concetti di natura, spirito ecc vengono rivoluzionati, e a essi si aggiungono concezioni
culturali che influenzano l’io, cos come il contesto storico. Con l’affermarsi di scienze come la fisica, chimica
e biologia da una parte e sociologia o psicologia dall’altra, l’Europa si divide in due. Da una parte ci sono
filosofi che vedono nella scienza la chiave della conoscenza, che tutto sia da essa spiegabile come ha fatto
(ad esempio) la fisica o la biologia con la natura. Dall’altra ci sono invece filosofi che rifiutano l’idea che
tutto sia riducibile a un mondo meccanicistico e materiale, e hanno un punto di vista più spirituale,
naturalistico, immateriale e religioso/etico. I primi prenderanno il nome di positivisti, i secondi spiritualisti.
Di particolare rilievo è il pensiero di Schopenhauer, che fonde la filosofia kantiana con filosofie e religioni
orientali. La differenza cruciale con Kant è che, secondo Schopenhauer, il noumeno, la cosa in sé, è
conoscibile; lo è tramite il corpo. La realtà è coperta da un “velo di Maya”, che ci nasconde l’essenza delle
cose, ma tramite l’ascesi posso accedervi.
Da una parte abbiamo importanti pensatori della “schiera” dell’idealismo e spiritualismo, come
Schopenhauer, Kierkegaard o Herbart; ma non manca la controparte, che vede protagonisti Comte o
Feuerbach. A loro si accosta la filosofia di Marx, che si concentra sullo stato, sulla società ed è quindi di
stampo storico-culturale. Al diffondersi del marxismo si accosta il progresso tecnologico e importanti
risultati scientifici e l’unione di tutto ciò porta alla supremazia della filosofia positivistica, esprimendosi nei
rivoluzionari pensieri di Spencer e Darwin e nelle loro filosofie dell’evoluzione.
Per Spencer la materia è naturalmente propensa a divenire da semplice a complessa, e quindi dalla materia
è nata la vita, dalla vita il pensiero, la coscienza fino al moderno mondo industriale.
L’immensa rivoluzione scientifica e filosofica espressa da Darwin, invece, non è nella mera teoria
dell’evoluzione (che non era nuova, ma già formulata da Lamarck), ma il principio secondo cui essa non è il
frutto di una “lotta alla sopravvivenza”, ma di una semplice e cieca evoluzione casuale.
3.3 Lo psicologismo e la nascita della psicologia scientifica
Nel corso di tutto l’Ottocento le varie correnti filosofiche si intrecciano attorno l’analisi dell’io e della
mente, dando vita a una scienza autonoma dalla filosofia: la psicologia.
In Gran Bretagna, dalle rappresentazioni di Hume, emergono pensatori importanti come Mill o Bain, con le
conseguenti teoria sull’associazionismo.
Altro filosofo di rilievo è Frenz Brentano, che da al dualismo una nuova versione: secondo Brentano mente
e corpo sono entità distinte per via dell’intenzione del pensiero. Mentre nessun corpo ha una intenzione,
tutti i pensieri, al contrario, hanno una “direzione”, sono cioè diretti ad un determinato oggetto, reale o
irreale che sia. Tutti questi pensatori non hanno però ancora l’idea di psicologia come scienza sperimentale.
Per questo si dovranno attendere anzitutto Wundt e in poi Fechner. Quest’ultimo grazie a degli esperimenti
svolti su volontari, valuta come a seconda di uno stimolo corrisponde una diversa “ intensità qualitativa”.
Fechner non ha nulla di metafisico, ma intende indagare la correlazione tra stati mentali e fisicità.
Wundt fonda a Lipsia il primo laboratorio di psicologia sperimentale. Fonde diverse e contrastanti teorie
(dallo spiritualismo, Schopenhauer, il positivismo evoluzionistico e Fechner) in una sua personalissima
metafisica, che non viene mai in contrasto, però, con la sua idea di psicologia sperimentale.
Tra i giovani studiosi riuniti a Lipsia c’è Titchner, che trasferitosi negli Stati Uniti fonda un laboratorio di
psicologia strettamente sperimentale. Il suo pensiero prende il nome di “strutturalismo”, per via
dell’intenzione di Titchner di ricostruire la struttura dei vari stati mentali tramite la combinazione di pochi
stati di coscienza.
Lo strutturalismo si scontra con il “funzionalismo psicologico” di James (giudicato da Titchner troppo
filosofico e poco scientifico). Effettivamente le idee di James hanno un fondamento in quella filosofia che in
America veniva definita “pragmatismo”. Il pragmatismo sostiene che non è la conoscenza il fine ultimo
dell’uomo (come sosteneva invece Aristotele), ma è solo un metodo per agire sul mondo: non viviamo per
conoscere, ma conosciamo per vivere. James definisce la mente coscienza come un “flusso” di esperienze,
continuo e indivisibile (critica allo strutturalismo).
Tutte queste teorie contrastanti hanno però un punto comune, ovvero il vedere nel mentale la coscienza,
analizzabile e decifrabile solamente dal soggetto stesso.
Questa base viene ribaltata da Sigmund Freud che parla per la prima volta dell’inconscio, una parte
fondamentale dei nostri stati mentali e dei nostri desideri.
Fondamentali furono in seguito Watson, che portò alla nascita del comportamentismo; Piaget, che affermò
che nell’età dello sviluppo costruiamo le categorie con le quali percepiamo la realtà e interagiamo con essa;
e Vygotskij con i suoi studi condotti sulla psicologia dello sviluppo e nell’ambito del linguaggio.
3.4 Bergson, Husserl e Heidegger
La crisi del positivismo del ‘900 non impedisce ad alcuni filosofi di proseguire determinate filosofie
ottocentesche. Uno di questi esempi è Bergson, che si rifà allo spiritualismo (unito al pensiero di Spancer).
Per Bergson l’evoluzione è dettata da ciò che chiama “slancio vitale”, ovvero un’energia spirituale, in
contrapposizione a una cieca evoluzione meccanicistica darwiniana.
Husserl è un pensatore che si identifica come “idealista trascendentale” e segue l’empirismo e Kant.
Critica tutto lo psicologismo e lo separa nettamente dalla matematica (2-2=4 è una realtà oggettiva a
prescindere da ogni stato mentale che porti a questa conclusione).
Riguardo la realtà, Husserl afferma che non esiste realtà oggettiva, anzi, non esiste realtà alcuna se non per
il soggetto che la percepisce. Da un lato non si preoccupa di nessuna metafisica dando importanza
all’esperienza empirica, dall’altra riconosce come un oggetto è posto unicamente da un soggetto pensante
che lo percepisce (che proprio per questo non fa parte del mondo reale, perché in quanto soggetto non può
identificarsi come oggetto tra gli oggetti).
Altro pensatore fondamentale e allievo di Husserl è Heidegger.
Heidegger si distacca dal suo mentore per un punto cruciale: chi può rispondere sul’essenza dell’Essere,
non è l’io trascendentale, ma l’io stesso, in carne ed ossa. L’io in quanto esistere in un determinato
momento storico-culturale.
CAPITOLO 4: LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA: Filosofia analitica e post-analitica
4.1 La filosofia analitica classica
4.1.1 Frege e la “svolta linguistica”
La filosofia analitica intende filosofare delucidando tramite un’analisi del linguaggio concetti ambigui
presenti nella filosofia e nei suoi significati. Il primo a compiere questa operazione è Frege. Per spiegare le
sue intenzioni ed il suo pensiero, basti riprendere l’esempio del Fosforo e L’Espero. Per gli antichi il primo
significava “Stella del mattino” e il secondo “stella della sera”. Col passare dei secoli, gli astronomi hanno
scoperto che questi concetti sono in realtà riferiti ad unico corpo celeste: Venere.
Da qui Frege distingue il “senso” dal “significato”, poiché anche due parole che hanno un senso diverso,
possono avere lo stesso significato e viceversa, come appunto nell’esempio di “Fosforo è Espero”.
4.1.2 Il monismo neutrale di Russel
Il “tradurre” il complesso significato filosofico in una “lingua perfetta” della logica, porta a ciò che oggi
definiamo propriamente “filosofia della mente”. Il primo filosofo che ha cercato di chiarire i concetti di
“anima, spirito, verità e falsità, desiderio, sentimento, introspezione ecc. è Russel.
Russel, già dalla prefazione del suo 1° libro, spiega come intenda “risolvere” il problema mente-corpo grazie
al pensiero monistico di James. Un paradosso del suo tempo era il “materialismo” degli psicologi con il
comportamentismo e l’abbandono del concetto di materia da parte dei fisici (con la teoria della relatività).
La spiegazione, per Russel, è proprio nel pensiero di James, dove spirito e materia non sono affatto distinti.
Corpi e menti sono solo diverse “collezioni” di particolari.
Il suo pensiero si accosta molto all’idealismo di Berkeley; Russel infatti afferma che se anche molti soggetti
vedono un tavolo, esso non è un oggetto indipendente, ma la coincidenza di determinate percezioni
sensoriali da parte di più soggetti. Russel intende così evitare lo scoglio del dualismo mente-corpo: essi
sono costituiti da medesimi particolari (cioè dati sensoriali), e questo comporta a reazioni causali proprio
come l’interazione di corpo e corpo.
4.1.3 Il comportamentismo logico degli empiristi logici
Con gli empiristi logici si ha una ripresa del positivismo e fiducia nella scienza, nonché un netto
distaccamento dalla metafisica. Uno degli empiristi logici più importanti è Carnap. Il suo pensiero essenziale
è il poter ridurre scientificamente gli stati mentali ad un determinato comportamento visibile e
riscontrabile, come accade nella fisica. Se affermo che il sostegno di un tavolo è solido, ciò è dovuto a
determinate caratteristiche fisiche, riscontrabili e non criticabili. Nessun fisico ribatterebbe che un oggetto,
per essere definito solido, deve avere in sé il concetto di solidità. Allo stesso modo, se il paziente A può
essere definito eccitato, questo è perché posso vedere in lui determinate risposte fisiche, come il polso
accelerato, un battito veloce ecc. Se gli psicologi non riescono a ridurre questo stato mentale è solo perché
non sono ancora riusciti a distaccarsi dalla metafisica. Gli stati mentali sono la risposta a un fisicalismo
osservabile.
4.1.4 Processi psichici e “linguaggio privato” dell’ultimo Wittgenstein
[…] P. 82-90
4.1.5 Il comportamentismo analitico di Ryle e i neo-wittgensteiniani
[…] P.90-97
Wittgenstein e Ryle riducono gli stati fisici a ciò che è manifesto, come gli empiristi logici. Ma questi filosofi
analitici riducono tutto ad una questione di terminologia, la grammatica infatti è ingannevole e fuorviante.
Ryle afferma che il problema della psicologia risiede nell’essere stata fondata due secoli prima,con
credenze e quindi linguaggi “propri” che si fondavano sulla credenza dell’esistenza di “due mondi”: quello
fisico e quello mentale. Svelare che in realtà esiste solo il mondo fisico da cui scaturisce il mentale tramite
ciò che è manifesto, chiarisce, per Ryle, gli equivoci e problemi metafisici che la filosofia della mente ha.
4.2 Gli anni della svolta cognitiva
4.2.1 La crisi dell’empirismo logico: Quine e i post-empiristi
La crisi dell’empirismo logico non è dovuto alle critiche esterne, ma è proprio dal suo interno che nascono i
vero dubbi. La causa delle prime crepe è Quine, che rivoluziona il modo di intendere la metafisica.
Gli empiristi logici hanno fede nella scienza e reputano gli interrogativi metafisici né giusti né sbagliati, ma
semplicemente illogici. Quine concorda con questa visione, eccezione fatta per l’ontologia (o teoria
dell’essere). Nel suo particolare pensiero, Quine fonde scienza e ontologia, perché nessuna teoria
scientifica è prova di una “teoria dell’essere”. L’ontologia è quindi la cornice di ogni enunciato scientifico.
Quine resta ancora all’idea che bisogna conoscere il mondo per come è, e non per come lo intendo io, ma
questa ricerca della conoscenza è forse impossibile, poiché tutte le dottrine sono momentanee, criticabili e
abbandonabili, anche le più solide. Questo non perché fossero sbagliate o completamente erronee, ma
semplicemente col tempo può cambiare il modo di intendere la realtà e le teoria vanno riviste e aggiornate.
L’epistemologia diviene quindi, insieme all’ontologia, parte stessa della scienza, vengono fuse in un
continuum del conoscere.
4.2.2 La filosofia della mente e le scienza cognitive
Alla fine degli anni ’60, negli Stati Uniti ma più frequentemente anche in Europa, sono sempre di più i casi in
cui un filosofo della scienza non è più distinguibile da un fisico teorico, per quanto riguarda la fisica, e da
uno psicologo o linguista, per quanto riguarda la filosofia della mente.
Questa convivenza tra scienza e filosofia sfocia nel cognitivismo e nel funzionalismo. Protagonisti di queste
nuove correnti sono l’avvento dell’intelligenza artificiale e Chomsky con la sua “linguistica
trasformazionale” o “generativa” . L’AI porta i filosofi della mente a paragonare la mente umana al
software di un computer, affermando che la mente codifica, analizza ed elabora i dati sensoriali
esattamente come una macchina. Da qui, il compito degli psicologi cognitivi diviene quello di ricostruire il
“programma” che permette all’uomo di agire nell’ambiente esterno tramite dati sensoriali.
La linguistica di Chomsky nasce alla fine degli anni ’50. Grande notorietà arriva dalla recensione fortemente
critica che Chomsky rivolge a Skinner, fondamentale esponente del comportamentismo che sosteneva che
il linguaggio è spiegabile, come molte altre cose del comportamento umano, con i metodi “stimolo”,
“rinforzo”. Chomsky obietta con decisione questa idea, sostenendo al contrario che l’uomo è ben più
complesso e che il comportamentismo sbaglia clamorosamente a non considerare la parte interna”
dell’uomo, della sua intenzionalità. Chomsky considera la lingua come un “oggetto astratto”, in quanto
esiste solamente perché diverse parsone sanno parlarla, ma è un costrutto puramente teorico. È
importante sottolineare come Chomsky parli sempre di “cervello/mente” come organo nella quale è
custodito il linguaggio, chiarendo un distacco enorme dal concetto dualistico di mente-corpo.
Cruciale è inoltre l’innatismo che Chomsky sostiene con sicurezza (come Platone, Descartes e Leibniz
opponendosi all’empirismo di Aristotele, Locke e Hume). Come può un bambino imparare un complesso
linguaggio in soli due anni di vita, nonostante le capacità intellettive ancora limitate? Chomsky trova la
risposta nella convinzione che esiste un qualche “organo del linguaggio” capace di decodificare e fare
apprendere al bambino una determinata lingua (a seconda del contesto in cui vive); questo perché tramite
un’evoluzione biologica, l’uomo ha in sé un “linguaggio universale” innato.
Da questa base Chomsky ipotizza, molto cautamente, che la struttura della mente possa essere similare
anche per tutte le altre facoltà, e che ad una determinata attività corrisponda una propria area cognitiva.
Nonostante le premesse per una interpretazione volubile a questa ipotesi, molti successori di Chomsky
useranno questa base per studiare la mente in generale.
4.2.3 Il fisicalismo e la teoria dell’identità: Feigl, Place e Smart
[…] p. 107-112
La teoria dell'identità sostiene che ci sia solo una realtà sostanziale: la realtà fisica, materiale. Perciò
la mente non può che essere qualcosa di materiale. La mente quindi viene considerata come identica
al cervello: tutti i fenomeni mentali in realtà si identificherebbero con particolari stati o processi neurali.
Così un preciso stato cerebrale è un preciso stato mentale. In questo modo si pensava di poter risolvere
l'annoso problema dell'interazione mente-corpo.
I più importanti teorici della teoria dell'identità, diffusa negli anni cinquanta, sono stati Ullin Place e John J.
C. Smart. Tra i simpatizzanti troviamo anche Gilbert Ryle e B.F. Skinner. Non stupisce pertanto se la teoria
dell'identità abbia trovato grande appoggio dal cosiddetto comportamentismo.
Gli attacchi critici dei teorici dell'identità erano rivolti soprattutto contro il dualismo di René Descartes, il
quale, a loro avviso, non risolveva il problema mente-corpo in quanto si limitava a spiegare la mente con il
concetto ad hoc di res cogitans (o, in senso lato, "mente", "coscienza", etc.). Esso infatti non spiegava come
fosse possibile che una sostanza immateriale ed inestesa (res cogitans) potesse agire su qualcosa di esteso
e materiale (res extensa) e come, a sua volta, una sostanza corporea potesse influenzare una sostanza
incorporea.
I teorici dell'identità, al contrario, pensano di superare questo problema affermando che gli stati mentali
non sono altro che stati cerebrali e quindi tutte le proprietà della mente sono in realtà possedute dal
cervello.
4.2.4 La teoria causale della mente e il materialismo dello stato centrale: Lewis e Amstrong
4.2.5 Il funzionalismo del primo Putnam
Critica l’empirismo logico con l’esempio dei superspartani: se un uomo per cultura, è abituato a non
mostrare alcun segno di dolore e non ammettere di provarlo anche se lacerato da esso, noi non potremmo
vedere alcun dolore. Se questo esempio non ricade in contraddizione logica, il vedere un comportamento
riconducibile al dolore, non comporta l’esistenza di quest’ultimo, esiste a prescindere e con tale parola non
intendiamo un comportamento manifesto, ma uno stato interno. Putnam crea il funzionalismo per
superare il dilemma mente-corpo e paragona il cervello a un computer. Gli stati cerebrali determinano stati
mentali, così come l’hardware determina il software. Materialismo e funzionalismo differiscono per un
dettaglio fondamentale: per Putnam gli stati cerebrali possono essere implementati e dovuti da diversi
fattori fisici, quindi uno stato cerebrale non è identico a uno stato mentale; per Lewis e Amstrong invece
sono gli stati cerebrali a determinare gli stati mentali.
4.2.9 Le critiche di Kripke, Nagel e Jackson al materialismo
Kripke […P.136]
Nagel critica il materialismo col suo celebre saggio “che si prova a essere un pipistrello?” egli mostra come
pur conoscendo in biologia con esattezza come vede un pipistrello, non possiamo immaginare come gli
appaia il mondo. L’esperienza e la visione del mondo sono quindi soggettive e non oggettive, come gli stati
cerebrali. Allo stesso modo l’esperimento mentale di Jackson dimostra che i qualia non sono riconducibili a
una visione materialistica. Mary è una neuroscienziata dl futuro, che conosce tutto, ma è stata prigioniera
dalla nascita in una stanza in bianco e nero. Quando fa l’esperienza dei colori, una volta liberata, ella ha
appreso un qualcosa di nuovo. Il rosso adesso è un’altra cosa, è un qualia vero e proprio e non una
rappresentazione inconsistente.
Le risposte dei materialisti a queste critiche si riassumono così: non è un’altra cosa l’esperienza
fenomenologica, ma solo un altro modo della coscienza.
4.2.10 Le critiche al funzionalismo e alla teoria computazionale della mente
Bloch e Fodor tramite l’esperimento mentale detto “dei qualia invertiti” vollero dimostrare l’insostenibilità
del funzionalismo. Noi siamo convinti di interagire correttamente per quanto riguarda un tramonto perché
chiamiamo rosso ciò che vediamo rosso e verde ciò cge vediamo verde. Ma se un giorno venisse creato un
macchinario che collegherebbe i nostri cervelli potremmo scoprire che ciò che tu chiami rosso io lo vedo
verde e viceversa. La nostra esperienza oggettiva diverrebbe così soggettiva e diversa, anche con una
identica attività esperienziale.
In seguito Bloch fece un altro esperimento mentale: se fosse possibile collegare il popolo cinese al mio
cervello e per un’ora intera esso facesse tutto ciò che il mio cervello gli impone, allora l’intera popolazione
cinese dovrebbe essere me. Ma ciò non è reale, perché noi siamo ben più di semplici reazioni e
comportamenti connessi con stati cerebrali.
[…P. 143]
4.3 Il ritorno al dualismo e la naturalizzazione della mente alla fine del XX secolo
4.3.1 Il ritorno del dualismo: Popper, Eccles e Chalmers
Nonostante il grande successo del funzionalismo, comportamentismo e cognitivismo, il dualismo non è
morto tra filosofi e neuro scienziati. Popper è il primo di questi esempi, che con la sua filosofia torna al
dualismo dividendo la realtà in 3 mondi. Il primo è quello biologico, il secondo è quello mentale proprio
degli uomini e il terzo è quello delle idee astratte (platonico). Per Popper i mondi sono scaturiti dall’uno al
due e dal due al tre, ma possono influenzarsi vicendevolmente. la tecnologia è un prodotto del terzo
mondo, scoperto dal secondo che influenza il primo. L’uomo non crea, ma scopre ciò che risiede nel mondo
3, come le formule matematiche, esse sono sempre lì e l’uomo da credenza soggettiva, una volta scoperta
passa a una credenza oggettiva.
Chamlers critica il funzionalismo con il celebre esempio degli zombie: potrebbe esistere un mondo identico
al nostro in tutto per tutto, differendo solo che al posto degli uomini ci fossero zombie, ovvero esseri privi
di coscienza ma dal medesimo aspetto e comportamento? È naturalmente impossibile ma non
logicamente. Se in un mondo ipotetico è plausibile questa ipotesi, allora gli stati cerebrali non
corrispondono a un comportamento e non sono quindi funzionali.
4.3.2 Neuroscienze e connessionismo
Edelman e il Darwinismo neurale; Damasio; Ledoux; Rizzolati [v.app]
4.3.3 Il naturalismo biologico di Searle
Searle con il suo esperimento mentale della stanza cinese si oppone al funzionalismo e al materialismo,
dando vita al suo particolare naturalismo biologico.
In una stanza in Cina viene messo un uomo americano che non conosce assolutamente la lingua cinese o i
simboli. Tramite una fessura su una porta gli vengono dati dei fogli con delle scritte, che per lui non hanno
però alcun senso. Tramite un manuale egli riesce però, con una sequenza particolare a lui illustrata, a
scrivere dei segni su un foglio e rispondere ai cinesi fuori la porta. Ora, lui ha comunicato un messaggio con
dei simboli che gli sono estranei in una lingua che non conosce, eppure è stato in grado di mandare un
messaggio. Ha agito, per così dire, come la CPU di computer. Il fatto che egli non abbia coscienza di ciò che
ha detto dimostra che lo svolgere un compito computazionale non rende coscienti, così come le macchine
non sono coscienti. Alle numerose critiche, Searle risponde sempre minuziosamente ribadendo il proprio
punto di vista. Anche quando gli viene detto che la mente non è composta da singole parti, ma di un
complesso che in questo caso può essere l’uomo insieme al manuale, Searle risponde che di certo, anche in
questo caso, l’intera stanza che sarebbe la mente, non è cosciente del messaggio inviato.
Per Searle non sono una serie di simboli che possono determinare la nostra coscienza, ma essa è in
relazione con l’ambiente.
4.3.4 Dannet tra neo-comportamentismo e funzionalismo
Dannet è allievo di Ryle e rifiuta sia il dualismo che il materialismo. Il dualismo è insostenibile perché va
contro la legge della conservazione dell’energia, il secondo è rozzo e criticabile. Il difetto di entrambi è nelle
fondamenta stesse, nel chiedersi cioè se gli stati cerebrali corrispondo a stati mentali. Questo quesito è mal
posto. il linguaggio della fisica non è compatibile con quello della psicologia.
Dannet si muove tra il c comportamentismo analitico di Wittengstain e Ryle e il funzionalismo di Putnam,
fino a trovare la propria dimensione nel “neo-comportamentismo funzionale” o “funzionalismo
omuncolare”. In questa teoria, Dannet abbraccia l’analogia mente-computer estendendola al concetto di
“omuncolo”, una sorta di essere intelligente che opera nel nostro cervello. Proprio come un programma in
un pc è “mosso” da più componenti, le quali a loro volta sono spinte da componenti più semplici, allo
stesso modo il mio io è manovrato da un omuncolo, che a sua volta dipende da altri omuncoli più semplici e
stupidi e così via, fino ad arrivare a degli omuncoli così semplici che coincidono con i basilari compiti e
biochimici del cervello (così risponde anche alla celebre critica di Ryle che affermava che ogni omuncolo
avrebbe dovuto avere al suo interno un altro omuncolo e così all’infinito).
Per concepire meglio questo funzionamento, è necessario ipotizzare che macchine e uomini siano identici e
che le macchina agiscano, effettivamente, come se avessero intenzione e desiderio. A questo punto ci si
chiede se anche le persone abbiano effettivamente delle intenzioni e dei desideri, se funzionano come un
macchina. A questa domanda Dannet risponde che ce l’hanno, in termini psicologici; no, se ci esprimiamo in
termini neurofisiologici.
Dannet più avanti sfocerà anche in un naturalismo e in un intenso rapporto mente-mondo, che spiega
l’assenza di intenzionalità. È Madre Natura che ci fa vedere ciò che noi vediamo e intendiamo come simili
per farci comportare in modo simile verso determinati oggetti. Il modo in cui noi interagiamo è il cieco
“volere” del ostro cervello che detta i nostri impulsi in relazione al mondo.
La coscienza è una complessa macchina virtuale, pronta a rispondere agli stimoli del mondo tramite istinti
cablati nel cervello ed ereditati coi geni. Esiste infatti una grane correlazione tra l’evoluzione del mondo e
quella della mente. infine per Dannet l’io non esiste, è fittizio. Nessuna parte del cervello è “me” come
entità soggettiva. Al posto di “me” ci sono miliardi di processi cerebrali che determinano ciò che dico o
faccio. Ogni sistema funziona però in modo diverso, con diversa rigidità o velocità e quindi siamo diverso
l’uno dall’altro.
4.3.5 Il neo-eliminativismo di Paul e Patricia Churchland
[… P.197]
4.4 La naturalizzazione dell’io all’alba del XXI secolo