Economia Finanziaria e Monetaria Lezione 7 - Efficacia e desiderabilità di politiche monetarie discrezionali – Indipendenza BC, Inflation Targeting, Regola di Taylor e Great Moderation Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 1 Bari, EIMF 2012 0. Outline Scaletta della lezione 7 1. Indipendenza della Banca Centrale (CBI) 2. Inflation Targeting 3. Regola di Taylor 4. Great moderation Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 2 Bari, EIMF 2012 1. Indipendenza della Banca Centrale (CBI) – 1 Un’ampia letteratura successiva a Barro-Gordon ha esaminato la questione dell’indipendenza della Banca Centrale (BC). Infatti, Barro-Gordon mostra che una policy rule è superiore alla politica discrezionale, nel conseguire un tasso di inflazione di equilibrio più basso. Barro-Gordon trova che anche la reputazione del policy maker, pur migliorando l’equilibrio discrezionale, non consente di raggiungere il risultato della policy rule. Lavori successivi si sono concentrati su come prevenire che il policy maker persegua sorprese inflazionistiche (al fine di abbassare il tasso di disoccupazione al di sotto del livello naturale). Una possibile risposta è nominare migliori policymakers. Alcuni lavori di Ken Rogoff hanno mostrato the il problema dell’alta inflazione “da politiche discrezionali” può essere mitigato, o evitato, nominando un banchiere centrale “conservatore”, cioè che non ama l’inflazione. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 3 Bari, EIMF 2012 1. Indipendenza della Banca Centrale (CBI) – 2 Barro-Gordon replicherebbero che la spinta alla sorpresa inflazionistica (per ridurre la disoccupazione) viene dal governo, non direttamente dalla BC. Allora, questo pone il problema dell’importanza dell’indipendenza della BC che, isolata così dall’influenza del governo, non soffrirebbe il bias inflazionistico anche se pratica politiche discrezionali. Esaminiamo ora l’evidenza empirica sulla relazione tra Central Bank Independence (CBI) e il livello e la variabilità dell’inflazione. Il paper di riferimento è Cukierman et al. [Cukierman, A., B. Neyapti, and S. Webb. “Measuring the independence of central banks and its effect on policy outcomes.” The World Bank Economic Review 6 (3):353-398, 1992; CWN]. La CBI ha due dimensioni: Indipendenza di obiettivi e Indipendenza di strumenti. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 4 Bari, EIMF 2012 1. Indipendenza della Banca Centrale (CBI) – 3 L’indipendenza di obiettivi è la libertà che la BC ha di scegliere gli obiettivi della politica monetaria. L’indipendenza di strumenti è la libertà che la BC ha di selezionare le politiche appropriate che producono un certo risultato per l’economia. Una BC può avere indipendenza di strumenti senza avere indipendenza di obiettivi (o più di rado viceversa): es. un gruppo di paesi che praticano l’inflation targeting (cfr. oltre) hanno indipendenza di strumenti ma non indipendenza di obiettivi: hanno un obiettivo di inflazione tipicamente assegnato dal governo ma possono scegliere le migliori politiche per conseguirlo. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 5 Bari, EIMF 2012 1. Indipendenza della Banca Centrale (CBI) – 4 In genere, gli economisti credono che la BC dovrebbe avere indipendenza di strumenti senza avere indipendenza di obiettivi. L’argomento di base è che in un paese democratico la BC dovrebbe rispondere alla gente. Quindi, i rappresentanti del popolo (cioè i politici) dovrebbero scegliere gli obiettivi di policy, ma abbastanza libertà deve essere concessa alla BC su come raggiungere tali obiettivi. Le principali domande sono due: 1) Come si misura la CBI? 2) Qual è l’impatto della CBI sulla performance macroeconomica? CWN presentano tre differenti misure di CBI: - un indice di indipendenza legale; - una misura del tasso di ricambio dei governatori delle BC; - un indice basato sulle risposte a un apposito questionario rivolto a vari paesi. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 6 Bari, EIMF 2012 1. Indipendenza della Banca Centrale (CBI) – 5 CWN misurano la CBI basata su questi differente approcci per 72 paesi, ne calcolano il rango e studiano la relazione tra CBI e performance d’inflazione nell’economia. CWN trovano che misure legali della CBI sono importanti determinanti di bassa inflazione nei paesi sviluppati ma non nei PVS; nei PVS conta di più il basso ricambio dei governatori. CWN verificano anche l’impatto della CBI sulla variabilità dell’inflazione. I risultati mostrano che il ricambio è positivamente correlato con la variabilità nei PVS e la misura di indipendenza legale è negativamente correlata con la variabilità dell’inflazione nei paesi sviluppati. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 7 Bari, EIMF 2012 2. Inflation Targeting – 1 L’Inflation Targeting Framework (ITF) nasce verso la fine degli anni ‘90, quando Bernanke et al. [Bernanke, Ben S.; Laubach, Thomas; Mishkin, Frederic S. and Posen, Adam S. Inflation Targeting: Lessons from the International Experience. Princeton: Princeton University Press, 1999] lo sintetizzano così: Inflation targeting is a framework for monetary policy (MP) characterized by the public announcement of official quantitative targets for the inflation rate over one or more horizons, and by explicit acknowledgment that low and stable inflation is MP’s primary long-term goal. Among other important features of inflation targeting are vigorous efforts to communicate with the public about the plans and objectives of the monetary authorities, and, in many cases, mechanisms that strengthen the central bank’s accountability for attaining those objectives. (p. 4) ITF si muove nel solco delle implicazioni di Barro-Gordon ed è coerente con un approccio operative di regola di Taylor (cfr. oltre) Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 8 Bari, EIMF 2012 2. Inflation Targeting – 2 Gli economisti e i MP makers sono da tempo convinti che una politica monetaria di successo deve avere una “ancora nominale”, una variabile che la BC possa usare per dare disciplina alle sue decisioni di policy e convincere gli agenti economici che la BC è disciplinata. Varie ancore nominali sono state usate in diversi paesi/periodi: es. gli aggregati monetari come M1 o il tasso di cambio. In quest’ultimo caso, viene fissato il valore della valuta e la BC conduce la politica monetaria per sostenere il cambio fisso. La motivazione dietro Bernanke et al. è che l’abbandono da parte di molti paesi dei tassi di cambio fissi e i crescenti problemi associati a scegliere gli aggregati monetari appropriati per guidare le decisioni di politica monetaria, nell’ambito di sistemi finanziari sempre più complessi, ha indotto i policymakers a cercare una nuova ancora nominale. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 9 Bari, EIMF 2012 2. Inflation Targeting – 3 Negli scorsi decenni molti paesi si sono mossi verso l’ITF. L’ancora nominale, in questo caso, è il tasso di inflazione: ci si aspetta che la BC segua una politica monetaria rivolta a conseguire l’obiettivo d’inflazione prestabilito. Bernanke et al. descrivono l’ITF, rispondono ad alcune critiche e studiano l’utilità dell’ITF per analizzare le scelte di policy. Secondo Bernanke et al., l’ITF è un sistema di condotta della politica monetaria che ha le seguenti caratteristiche: l’annuncio di obiettivi ufficiali di inflazione a certi orizzonti; l’esplicito riconoscimento che l’obiettivo della politica monetaria è la stabilizzazione dell’inflazione; la BC è ritenuta responsabile di conseguire gli obiettivi prestabiliti; maggiore comunicazione col pubblico sui piani e obiettivi della politica monetaria. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 10 Bari, EIMF 2012 2. Inflation Targeting – 4 In passato l’ITF è stato adottato da: Canada, U.K., Nuova Zelanda, Australia, Finlandia, Spagna, Svezia e Israele. Secondo Bernanke et al., anche le decisioni di politica monetaria delle BC di Germania (pre-EMU) e Svizzera ricadono in questa categoria. I comportamenti della BCE e della Fed sotto Greenspan incorporano anch’essi alcune delle caratteristiche centrali dell’ITF. Tra le caratteristiche più salienti, si nota che nessun paese chiede alla BC di conseguire l target di inflazione nel breve periodo. Ciò implica che i MP makers non si preoccuperanno solo dell’inflazione: sugli orizzonti brevi, è chiaro che le fluttuazioni dell’output verranno considerate. Poiché si assume che la politica monetaria non abbia effetti di lungo periodo sull’output, ha senso pensare che il solo obiettivo di lungo periodo del policy maker sia stabilizzare l’inflazione. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 11 Bari, EIMF 2012 2. Inflation Targeting – 5 Il grado di accountability della BC varia tra paesi: la Nuova Zelanda lega espressamente la durata del mandato del governatore della BC all’abilità a conseguire gli obiettivi fissati, cosa che non viene fatta esplicitamente negli altri paesi con ITF. Secondo Bernanke et al., l’annuncio del target, anche senza esplicite sanzioni, può disciplinare la BC perché c’è una perdita di reputazione e prestigio e il bisogno di chiarire perché la BC abbia fallito il target. Bernanke et al. argomentano che ITF non implica: che le mani dei MP maker sono legate (alla BC si lascia generalmente spazio di intervenire discrezionalmente in caso di ampi shock); eliminare tutta la discrezionalità del policy maker: la limita ma non la cancella; Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 12 Bari, EIMF 2012 ng an inflation targetTargeting of 2% a year. 2. Inflation –6 Infatti, si potrebbe sostenere che l’ITF amplia la CBI anziché ridurla: ue that inflationes. targeting enhancesnoncentral independence insteadpolitiche che hanno il governo può bank forzare la BC a fare effetti positivi di breve periodo ma negativi di lungo periodo mple, the government could not force the central banker to undertake poiché la BC deve rendere pubbliche le informazioni sulla sua abilità di raggiungere di lungo periodo. Ciò dovrebbe tive short run and negative long run e↵ectsl’obiettivo because the central banker impedire che il banchiere centrale sia tirato pe rla giacchetta dai l information about the ability to reach the long-term target. This politici. Facciamo piccola digressione per capire meglio: the central banker againstunabeing arm-twisted by politicians. matematicamente possiamo descrivere la funzione obiettivo di un MP maker ragionevole nella forma: athematically, we Pcan describe the objective function of a reasonable ⇥ ⇤ 1 ⌧ ⇤ 2 ⇤ 2 er in the form Et ⌧=0 ↵(yt+⌧ yt+⌧ ) + (⇡t ⇡ ) , where y is ⇤ is the targeted rate of ential GDP),dove ⇡ is ytheè rate of inflation and ⇡ ln(GDP), y∗ è ln(potential GDP), π è il tasso di inflazione e π∗ è il target d’inflazione. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 13 Bari, EIMF 2012 2. Inflation Targeting – 7 α è il peso che il policy maker dà alle fluttuazioni dell’output relative alle fluttuazioni dell’inflazione (α = 1 implica che ambedue sono trattate allo stesso modo, α = 0 che il policy maker non si preoccupa delle fluttuazioni dell’output. ecc.). Questo tipo di funzione di perdita è assai usato in letteratura. Bernanke et al. sottolineano che l’ITF non implica necessariamente una funzione di perdita con α = 0. A patto che consegua il suo obiettivo di più lungo periodo, il banchiere centrale è libero di perseguire altri obiettivi nel breve termine: stabilizzare il tasso di cambio, rompere una bolla azionaria, raffreddare un’economia surriscaldata, far rimbalzare un’economia stagnante, ecc. Bernanke et al. descrivono l’ITF come “discrezione controllata”: un sistema che permette al policy maker di usare la sua discrezione, mentre il target d’inflazione costituisce un controllo esterno che egli non abusi della sua discrezione. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 14 Bari, EIMF 2012 2. Inflation Targeting – 8 Il target che viene indicato ottimale varia da paese a paese ma, secondo Bernanke et al.: il target dovrebbe essere basso ma non essere zero (le misure dell’inflazione sono distorte verso l’alto, quindi un’inflazione nulla sul convenzionale CPI potrebbe in effetti indicare deflazione nell’economia; shock negativi inattesi in un ambiente a zero inflazione possono portare alla deflazione che, a sua volta, contribuirebbe a creare una crisi finanziaria); conviene concentrarsi su una misura di core CPI (escludendo i prezzi volatili del cibo e dell’energia). Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 15 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 1 La letteratura economica mostra che la decisione delle BC sull’obiettivo di tasso d’interesse a breve termine è ben sintetizzata dalla cosiddetta regola di Taylor, cioè: it = α 0 + α1π t + α 2 ( yt − yt ) + ρit −1 ove it è il tasso a breve che la Banca centrale sceglie sulla base dei parametri, tutti positivi: α1 (il peso dato all’obiettivo d’inflazione), α2 (il peso dato all’obiettivo di contenere l’output gap ossia la deviazione del PIL dal suo livello potenziale) e ρ che esprime il desiderio di effettuare uno smussamento del tasso di interesse (cioè di non muoverlo troppo bruscamente). Quando πt<0 (cioè siamo in deflazione) e anche l’output gap è negativo (cioè siamo in recessione) e inoltre it-1 è già stato portato a zero, allora la regola di Taylor implica la fissazione di it<0, cosa che, normalmente, non è possibile. Ne segue che l’output gap diviene ancor più negativo e la caduta dei prezzi si intensifica, causando una spirale deflazionistica che può risultare instabile (Benhabib et al., 2001). Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 16 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 2 [Benhabib J., Schmitt-Grohé S., Uribe M. (2001), The Perils of Taylor Rules, in“Journal of Economic Theory“, vol. 96, pp. 40-69] Da tempo Krugman [Krugman P. (2000), The Return of Depression Economics, W.W. Norton & Company, New York] suggerisce che anche in trappole della liquidità indotte da tassi nominali ormai a zero e deflazione continua si può ridare forza alla politica monetaria assegnandole l’obiettivo di generare aspettative di inflazione e abbassare così il tasso di interesse reale, stimolando in questo modo la domanda privata. Accelerando la creazione di base monetaria si può ingenerare negli operatori l’aspettativa che in futuro il valore della moneta si riduca in termini di consumi (cioè i prezzi crescano) ovvero in rapporto alle altre valute (un deprezzamento dello yen, foriero di inflazione importata). Ma la ricetta di Krugman non pare essere mai stata seguita con determinazione in Giappone. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 17 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 3 Negli USA grande attenzione viene sempre rivolta all’operato della banca centrale. Il suo mandato, più ampio di quello della BCE, è volto sia a mantenere la stabilità dei prezzi che a sostenere crescita economica e occupazione. La politica monetaria attuata dalla Fed ha rappresentato indubbiamente un faro nello scenario economico della crisi e le decisioni prese nel corso dei mesi hanno sempre creato una decisa reazione nei mercati finanziari. È importante, quindi, domandarsi quale fosse l’impostazione della Fed negli anni precedenti la crisi per capire se la sua politica abbia avuto un ruolo nel determinare la Grande Crisi. Per capire se veramente la politica monetaria abbia avuto un ruolo nella crisi è necessario un esame ad ampio spettro. È utile partire dall’andamento del tasso di interesse reale poiché esso ci fornisce un’idea immediata di quale sia l’azione della politica monetaria, essendo dato dal differenziale tra i tassi nominali e il tasso di inflazione. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 18 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 4 La Figura seguente ci mostra l’andamento del tasso di interesse reale statunitense calcolato come differenza tra il tasso sui federal funds, ovvero il tasso di policy Usa, e il tasso di inflazione “core”, quello cui guarda la Fed. Ciò che emerge è un livello del tasso di interesse reale che ha toccato i suoi minimi storici proprio negli anni antecedenti la Grande Crisi. L’allentamento monetario della Fed a seguito degli attacchi terroristici del settembre 2001 e dello scoppio della bolla delle dot.com ha condotto per un lungo periodo, ben tredici mesi, il tasso di interesse reale al di sotto della soglia dello 0%. Lo stimolo della Fed fu particolarmente intenso e prolungato. Una ulteriore prova di questo atteggiamento espansivo della Fed possiamo trovarla confrontando l’andamento dei tassi sui federal funds con ciò che ci suggerisce la Regola di Taylor [Taylor, J. B. (1993). Discretion versus policy rules in practice, Carnegie Rochester Conference Series on Public Policy, Vol. 39, pp. 195-214]. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 19 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 5 Figura: Tasso reale (federal funds rate – inflazione core) tasso reale 5 4 3 2 1 Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri mar-10 mar-08 mar-06 mar-04 mar-02 mar-00 mar-98 mar-96 mar-94 -2 mar-92 -1 mar-90 0 20 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 6 Nel 1993 Taylor aveva proposto una semplice formula che riproduceva in modo eccellente l’andamento dei tassi di interesse sui federal funds tra il 1987 e il 1992. Essa è diventata un metro di paragone per capire l’impostazione della politica monetaria della Fed. La regola, in origine, non era stimata econometricamente, ma proponeva dei coefficienti fissi che legavano l’andamento del tasso di interesse nominale con il gap di inflazione e l’output gap. L’espressione di base è piuttosto semplice: i = 2 + Π + 0,5*(Π – Π*) + 0,5*(g-g*) dove i è il tasso sui federal funds, Π è il tasso di inflazione dei precedenti quattro trimestri, Π* è l’inflazione obiettivo, fissata al 2%, g è la crescita realizzata e g* è la crescita potenziale. Se inflazione e crescita sono al loro potenziale il tasso nominale deve essere al 4%, quindi un tasso reale del 2%. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 21 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 6 La Figura seguente confronta il risultato ottenuto attraverso questa formula con l’andamento del tasso dei federal funds. Nel grafico viene anche visualizzata la differenza tra i due tassi. 10 8 6 4 2 TR Economia Finanziaria e Monetaria fedf mar-10 mar-08 mar-06 mar-04 mar-02 mar-00 mar-98 mar-96 mar-94 -4 mar-92 -2 mar-90 0 diff Giovanni Ferri 22 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 7 La TR conferma la precedente analisi. Si nota che anche a confronto con la TR la politica monetaria della Fed negli anni pre-crisi appare oltremodo espansiva. Se dal 1994 al 2001 i due tassi erano stati simili, dal secondo trimestre del 2001 al secondo trimestre 2006 il tasso della Fed è stato sistematicamente più basso e la differenza è arrivata a quasi tre punti nel 2003. Inoltre, il tasso minimo individuato dalla TR nel periodo 2002-2005 è stato del 3,25 mentre la Fed si spinse molto più in basso, con tassi vicini all’1 per cento. Anche la TR supporta l’idea di una fase eccessivamente espansiva negli anni pre-crisi. Possiamo comprendere meglio questa differenza di comportamento se stimiamo la Taylor Rule attraverso una semplice elaborazione econometrica. Seppur vi siano diverse cautele da seguire nello stimare in modo semplice la Regola di Taylor [cfr. Österholm, P. (2005). The Taylor Rule: a spurious regression?, Bullettin of Economic Research, 57, 217-247] ciò che deduciamo è che la Fed è una banca centrale molto più attiva di quanto prescrive la regola di Taylor. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 23 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 8 La Tavola 1 riporta in breve i risultati della regressione. Si nota che entrambi i coefficienti sull’inflation gap e sull’output gap sono più elevati di quelli imposti da Taylor. Ciò implica che la Fed è stata molto più attiva nel muovere i tassi in risposta ad oscillazioni dell’inflazione e del Pil e ciò ha comportato, in determinate situazioni, una reazione superiore rispetto a quella preventivata da Taylor, che invece aveva imposto un peso di 0,5 su entrambi i gap. Da questa analisi possiamo tratte quattro conclusioni. La prima è che la politica monetaria della Fed è stata troppo espansiva negli anni precedenti la crisi. Ciò ha sicuramente dato impulso alla crescita delle bolle e dei disequilibri. La seconda è che anche in passato (cfr. due Figure precedenti) la politica della Fed era stata altrettanto espansiva, ma poi non si erano verificate crisi di così grande portata. Forse per questo motivo il ruolo della politica monetaria quale concausa della Grande Crisi non ha suscitato un giudizio univoco da parte degli economisti nel corso del tempo. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 24 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 9 Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 25 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 10 Ad esempio, in una indagine effettuata nel 2008 [Forte, A., Pesce, G., (2009). The International Financial Crisis: an Expert Survey, SERIES, No. 24, Dipartimento di Scienze Economiche e Metodi Matematici – Università di Bari] il ruolo della politica monetaria della Fed nel determinare la crisi finanziaria fu collocato al sesto posto su quindici possibili cause nel giudizio di ben 720 fra economisti, esperti finanziari e giornalisti d’economia. A questa conclusione si potrebbe obiettare che proprio i diversi periodi ultra-espansivi hanno permesso nel tempo la costruzione di quelle bolle cui l’ultima fase di politica monetaria accomodante ha dato la spinta finale prima della detonazione. In terzo luogo, da questa seconda riflessione deriva che seppur sia ormai indubitabile che la politica monetaria della Fed sia stata eccessivamente accomodante negli anni precedenti la Grande Crisi è pur vero che le cause di questa non possono essere attribuite esclusivamente all’operato di un solo policy maker. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 26 Bari, EIMF 2012 3. Regola di Taylor – 11 Per ultimo, osservando la parte finale dei due grafici siamo indotti ad affermare che anche in questi mesi la Fed sta continuando ad operare in modo eccessivamente espansivo, comportamento che potrebbe favorire una nuova crisi nel prossimo futuro. Sia il tasso reale, sia la Taylor Rule ci dicono che è ormai giunto il momento di cominciare a riportare il tasso nominale verso livelli più elevati. Più si aspetterà, maggiori potrebbero essere le conseguenze. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 27 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 1 L’impostazione neoliberista della politica monetaria, che discende dalla NMC e si incarna nel dibattito su CBI, ITF e trova strumento applicativo nella Regola di Taylor, ha la sua massima espressione nell’idea (o ideologia) della Great Moderation. Il riferimento d’obbligo è ancora a Bernanke [Bernanke, B. S., (2004), ‘The Great Moderation’, remarks at the Eastern Economic Association, Washington, DC, 20 February]: “One of the most striking features of the economic landscape over the past twenty years or so has been a substantial decline in macroeconomic volatility … the variability of quarterly growth in real output (as measured by its standard deviation) has declined by half since the mid-1980s, while the variability of quarterly inflation has declined by about two thirds … Several writers on the topic have dubbed this remarkable decline in the variability of both output and inflation ‘the Great Moderation’ (GM) … Similar declines in the volatility of output and inflation occurred at about the same time in other major industrial countries, with the recent exception of Japan”. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 28 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 2 Traiamo ancora da Bernanke (2004): “Reduced macroeconomic volatility has numerous benefits. Lower volatility of inflation improves market functioning, makes economic planning easier, and reduces the resources devoted to hedging inflation risks. Lower volatility of output tends to imply more stable employment and a reduction in the extent of economic uncertainty confronting households and firms. The reduction in the volatility of output is also closely associated with the fact that recessions have become less frequent/severe.” Why has macroeconomic volatility declined? Three types of explanations: 1) structural change; 2) improved macroeconomic policies; 3) good luck. 1. Structural change: Changes in economic institutions, technology, business practices, or other structural features of the economy have improved the ability of the economy to absorb shocks: Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 29 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 3 - - improved management of business inventories, made possible by advances in computation and communication, reduced the amplitude of fluctuations in inventory stocks (an important earlier source of cyclical fluctuations); the increased depth and sophistication of financial markets, deregulation in many industries, the shift away from manufacturing toward services, and increased openness to trade and international capital flows may have increased macroeconomic flexibility and stability. 2. Improved macroeconomic policies (e.g. MP): Better MP contributed to increased economic stability: - Output and inflation volatility tend to move together (BlanchardSimon, 2001). In particular, output volatility in the US greatly declined between 1955 and 1970, when inflation volatility was low. Both output volatility and inflation volatility greatly rose in the 1970s and early 1980s and both fell sharply after about 1984; Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 30 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 4 - the highest volatility in both output and inflation of the 1970s, also saw MP perform quite poorly (Romer-Romer, 2002). Subsequently, MP may have helped moderate the variability of output as well. 3. The good luck hypothesis: Great Moderation could depend on the shocks hitting the economy having become smaller and more infrequent (Ahmed et al., 2002; Stock-Watson, 2003). “My view is that improvements in MP, though certainly not the only factor, have probably been an important source of the Great Moderation. In particular, I am not convinced that the decline in macroeconomic volatility of the past two decades was primarily the result of good luck … I will provide some support for the "improved-monetary-policy" explanation for the GM” Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 31 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 5 The Taylor Curve and the Variability Tradeoff: Economic theory and the relationship output/inflation volatility. Assume that: 1) MP makers accurately understand the economy and choose policies to promote the best economic performance possible, given their objectives; 2) stable and unchanging structure of the economy an distribution of economic shocks. Then standard macroeconomics implies that, in the long run, monetary policymakers can reduce the volatility of inflation only by allowing greater volatility in output, and vice versa. The ultimate source of this long-run tradeoff is the existence of shocks to aggregate supply, e.g. an aggregate supply shock, like a sharp rise in oil prices caused by disruptions to foreign sources of supply. In the conventional analysis, an increase in the price of oil raises the overall price level (temporary é inflation) while output and employment ê. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 32 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 6 MP makers thus face a difficult choice. If they choose to tighten policy (short-term interest rate é) to offset the effects of the oil price shock on the general price level, they may succeed--but only aggravating decline in output. Likewise, if they choose to ease in order to mitigate the effects of the oil price shock on output, they will raise the inflationary impact. Hence, in the standard framework, the periodic occurrence of shocks to aggregate supply forces policymakers to choose between stabilizing output and stabilizing inflation. This tradeoff gives rise to the Taylor curve. Graphically, the Taylor curve depicts the menu of possible combinations of output volatility and inflation volatility from which monetary policymakers can choose in the long run. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 33 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 7 Figure 1 shows two examples of Taylor curves, marked TC1 and TC2. In Figure 1, volatility in output is measured on the vertical axis and volatility in inflation is measured on the horizontal axis. As shown in the figure, Taylor curves slope downward, reflecting the theoretical conclusion that an optimizing policymaker can choose less of one type of volatility in the long run only by accepting more of the other. A direct implication of the Taylor curve framework is that a change in the preferences or objectives of the central bank alone--a decision to be tougher on inflation, for example--cannot explain the GM. Indeed, in this framework, a conscious attempt by policymakers to try to moderate the variability of inflation should lead to higher, not lower, variability of output. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 34 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 7bis Figure 1 Monetary Policy and the Variability of Output and Inflation Return to text Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri REFERENCES 35 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 8 How, then, can the GM be explained? Two possibilities. First, suppose … that monetary policies during the period of high macroeconomic volatility were not optimal, perhaps because policymakers did not have an accurate understanding of the structure of the economy or of the impact of their policy actions … the result could be a combination of output volatility and inflation volatility lying well above the efficient frontier defined by the Taylor curve. Graphically, suppose that the true Taylor curve is the solid curve shown in Figure 1, labeled TC2. Then, in principle, sufficiently well executed policies could achieve a combination of output volatility and inflation volatility as in point B, while less effective policies could lead to point A. So, improvements in MP might account for the Great Moderation, even in the absence of any change in the structure of the economy or in the underlying shocks, leading from point A to the efficient point B, where the volatility of both inflation and output are more moderate. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 36 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 9 Figure 1 can also depict a second possible explanation for the GM: rather than improved MP, the underlying economic environment may have become more stable. More resilience to shocks or reduced variance of the shocks would improve the volatility tradeoff faced by policymakers: In Figure 1, the true 1970s Taylor curve is given by the dashed curve, TC1, and the actual economic outcome chosen by policymakers is point A, which lies on TC1. Improved economic stability in the 1980s and 1990s, whether arising from structural change or good luck, can be represented by a shift of the Taylor curve from TC1 to TC2, and the new economic outcome as determined by policy is point B. Of course, more complicated scenarios featuring a mix of the three explanations are also possible. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 37 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 10 Now I will try to support my view that the policies of the late 1960s and 1970s were particularly inefficient, for reasons that I think we now understand. Thus, as in the first scenario just discussed (in Figure 1 a movement from A to B), improvements in the execution of MP can plausibly account for a significant part of the GM. Second, more subtly, I will argue that some of the benefits of improved MP may easily be confused with changes in the underlying environment (that is, improvements in policy may be incorrectly identified as shifts in the Taylor curve), increasing the risk that standard statistical methods of analyzing this question could understate the contribution of MP to the GM. Reaching the Taylor Curve: Improvements in MP Effectiveness MP makers are uncertain on the workings of the economy, e.g. the channels by which MP is transmitted, and even on the current economic situation as data are lagging & imprecise. Thus, in practice, MP will never achieve the reduction in macroeconomic volatility as would be possible with full understanding. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 38 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 11 But, many economists have argued that MP during the late 1960s and the 1970s was unusually prone to creating volatility, relative to both earlier and later periods (DeLong, 1997; Mayer, 1998; Romer and Romer, 2002). For economic historians the relative inefficiency of policy during this period arose because MP makers held important misconceptions about policy and the economy: 1) central bankers were overly optimistic on the ability of activist MPs to offset shocks to output and to permanently reduce unemployment. Second, MP makers underestimated their own contributions to the inflationary problems, believing instead that inflation largely depended on nonmonetary forces (i.e. MP makers suffered excessive "output optimism" and "inflation pessimism.”) The output optimism of those years had several aspects: a) at least initially, the view that policy could exploit a permanent inflation-unemployment tradeoff (Phillips curve). This view is now discredited, on both theoretical and empirical grounds. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 39 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 12 b) estimates of the rate of unemployment sustainable without igniting inflation (NAIRU) were typically too low (below 4%); c) economists of the time may have been unduly optimistic about the ability of fiscal and MP makers to eliminate short-term fluctuations in output and employment ("fine-tune" the economy). Inflation pessimism was the increasing conviction of policymakers in the 1960s and 1970s, as inflation rose and remained stubbornly high, that MP was an ineffective tool for controlling inflation. As emphasized in recent work on the US & the UK (Nelson, 2004), during this period policymakers became more and more inclined to blame inflation on so-called cost-push shocks (e.g. union wage pressure, price rises by oligopolistic firms, increases in commodity prices due to adverse changes in supply conditions) out of the control of the MP makers rather than on monetary forces. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 40 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 13 The combination of output optimism and inflation pessimism during those years was a recipe for high volatility in output and inflation, resulting in high inflation without delivering the expected higher output and employment. Also, the Fed's periodic attempts to rein in surging inflation led to a pattern of "go-stop" policies, in which swings in policy from ease to tightness contributed to a highly volatile real economy as well as a highly variable inflation rate. MP makers lamented the high inflation but did not see their own role in its creation. Ironically, their errors in estimating the natural rate and in ascribing inflation to nonmonetary forces were mutually reinforcing. On one hand, as unemployment stayed well above their estimates, they tended to attribute inflation to outside forces (e.g. firms & unions) rather than to an overheated economy. On the other hand, their view that exogenous forces largely drove inflation made it more difficult for them to recognize that their estimate of the sustainable rate of unemployment was too low. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 41 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 14 Policymakers took several years understand that sustained antiinflationary monetary policies worked [Primiceri, G., 2006, “Why Inflation Rose and Fell: Policymakers’ Beliefs and US Postwar Stabilization Policy,” Quarterly Journal of Economics:867-901]. These policies were enacted successfully after 1979, under Fed Chairman Volcker. The basic Taylor rule relates the Fed's policy instrument, the fed funds rate, to deviations of inflation and output from the desired levels. Estimates of the Taylor rule for the late 1960s and the 1970s reflect output optimism and inflation pessimism, finding weaker responses to inflation and stronger responses to the output gap than in more recent periods. Weak responses to inflation let inflation and inflation expectations rise and thus added volatility to the economy. Also, strong responses to the output gap created additional instability. As output optimism and inflation pessimism both waned under the force of the data, policy responses became more appropriate and the economy more stable, i.e. MP moved the economy closer to the Taylor curve (in Fig. 1, from A to B). Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 42 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 15 Improved MP or a Shifting Taylor Curve? Improvements in MP moving the economy closer to the efficient frontier given by the Taylor curve can account for part of the GM. But, various studies have questioned the quantitative importance of this effect and emphasized instead shifts in the Taylor curve, brought about by structural change or good luck. For example, Stock & Watson (2003) simulate how the economy would have performed after 1984 if MP policy had followed its pre-1979 pattern. Though inflation performance after 1984 would clearly have been worse, Stock & Watson find that output volatility would have been little different. They conclude that improved MP does not account for much of the reduction in output volatility since the mid-1980s. Instead, noting that the variance of the economic shocks implied by their models for the 1970s was much higher than the variance of shocks in the more recent period, they embrace the good-luck explanation of the GM. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 43 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 16 Both the structural change and good-luck explanations of the GM are intriguing. But, an unsatisfying aspect of both explanations is the difficulty of identifying changes in the economic environment large enough and persistent enough to explain the GM. In particular, it is not obvious that economic shocks have become significantly smaller or more infrequent, as required by the goodluck hypothesis. Certainly, pro-stability changes in the economic environment have occurred in the past decades. But, an intriguing possibility is that some of these changes, rather than being truly exogenous, were induced by improved MP. That is, better MPs may have resulted in what appear to be (but only appear to be) favorable shifts in the economy's Taylor curve. Consider some examples: 1) MPs that curtailed and stabilized inflation may have stabilized the structure of the economy too, as predicted by Lucas (1976) critique that economic structure depends on the policy regime. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 44 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 17 High and unstable inflation increases the variability of relative prices and real interest rates, e.g., distorting decisions on consumption, capital investment, and inventory investment. Also, high, variable, and unpredictable inflation deeply affected decisions on financial investments/money holdings. 2) changes in MP could affect the size/frequency of shocks hitting the economy. Indeed, econometricians typically infer shocks from movements in macroeconomic variables they cannot otherwise explain. Shocks in this sense may certainly reflect the MP regime: e.g., consider the cost-push shocks so important in 1970s' view on inflation. Unexplained wage & price changes in this period, seen by analysts as shocks to wage & price equations, could in fact be the result of earlier MP actions, or MP actions expected for the future by wage- and price-setters. For instance, Barsky & Kilian (2001) prove that the extraordinary increases in nominal oil prices of the 1970s were made feasible primarily by earlier expansionary MPs rather than by truly exogenous political or economic events. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 45 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 18 3) MP can also affect the distribution of measured shocks by changing the sensitivity of pricing and other economic decisions to exogenous outside events: e.g. significant movements in the price of oil and other commodities continued to occur after 1984. However, in a low-inflation environment, with stable inflation expectations and a general perception that firms do not have pricing power, commodity price shocks are not passed into final goods prices to nearly the same degree as in a looser monetary environment. As a result, a change in commodity prices of a given size shows up as a smaller shock to output and consumer prices today than it would have in the earlier period. Likewise, there is evidence that fluctuations in exchange rates have smaller effects on domestic prices and economic activity when inflation is less volatile and inflation expectations are stabilized (Gagnon and Ihrig, 2002; Devereux, Engel, and Storgaard, 2003). Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 46 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 19 4) changes in inflation expectations, which are ultimately the product of the MP regime, can also be confused with truly exogenous shocks in conventional econometric analyses. Goodfriend (1993) suggested, e.g., that insufficiently anchored inflation expectations have led to periodic "inflation scares," in which inflation expectations have risen in an apparently autonomous manner. Increases in inflation expectations have the flavor of adverse aggregate supply shocks in that they tend to increase the volatility of both inflation and output, in a mix that depends on how strongly the MP makers act to offset these changes in expectations. Theoretical & empirical support that inflation expectations may become an independent source of instability grew recently. The reaction of MP makers to inflation strengthened: e.g. the estimated coefficient on inflation in the Taylor rule rose from less than 1 before 1979 to much above 1 more recently (Taylor principle). Support for the view that inflation expectations can be an Giovanni Ferri Bari, EIMF 2012 independent source of economic volatility has also emerged from Economia Finanziaria e Monetaria 47 4. La Great Moderation – 20 Support for the view that inflation expectations can be an independent source of economic volatility has also emerged from the extensive recent literature on learning and macroeconomics (Evans & Honkopohja, 2001): e.g. Orphanides & Williams (2003a, 2003b) have studied models in which the public must learn the central bank's underlying preferences regarding inflation by observing the actual inflation process. With learning, inflation expectations take on a more adaptive character; in particular, high and unstable inflation will beget similar characteristics in the pattern of inflation expectations. As Orphanides & Williams show, when inflation expectations are poorly anchored, so that the public is highly uncertain about the long-run rate of inflation that the central bank hopes to achieve, they can become an additional source of volatility in the economy. An analysis that did not properly control for the expectational effects of changes in monetary policy might incorrectly conclude that the Taylor curve had shifted in an adverse direction. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 48 Bari, EIMF 2012 4. La Great Moderation – 21 Conclusion GM, the substantial decline in macroeconomic volatility over the past 20 years is striking. Whether the dominant cause of GM is structural change, improved MP, or simply good luck is an important question. Improved MP has likely contributed not only to reduce inflation volatility but to reduce output volatility too. Also, as a change in the MP regime has pervasive effects, some of the effects of improved MPs may have been misidentified as exogenous changes in economic structure or in the distribution of shocks. This conclusion is optimistic for the future, because MP makers will likely not forget the lessons of the 1970s. The policy explanation of GM deserves more credit than it has received. But, the debate remains open. The MP hypothesis has potential deficiencies as well: e.g. one might question whether the change in MP regime was sharp enough to have those effects or ask whether it can explain the 1950s. Clearly, the sources of GM will continue to be an area for fruitful analysis and debate. Economia Finanziaria e Monetaria Giovanni Ferri 49 Bari, EIMF 2012