ESERCIZIO DELLO IUS VARIANDI E TUTELA DELLA PROFESSIONALITÀ DEL LAVORATORE Studio di casi pratici L’assegnazione e il mutamento delle mansioni Mansioni: insieme dei compiti e delle specifiche e concrete attività che il lavoratore è tenuto ad adempiere in esecuzione del contratto di lavoro; individuano la prestazione che costituisce l’oggetto dell’obbligazione fondamentale del lavoratore. Indicate nel contratto individuale attraverso il richiamo al livello di inquadramento previsto dal CCNL applicabile (cfr. art. 1346 c.c.)→ si tratta di indicazioni generiche, nell’ambito di esse spetterà al datore di lavoro, nell’esercizio del proprio potere direttivo, specificare le mansioni che il lavoratore è tenuto a svolgere (potere di conformazione: non è determinazione unilaterale dell’oggetto del contratto, già avvenuta su base consensuale al momento della stipulazione, ma soltanto una sua specificazione). Una particolare manifestazione del potere direttivo: lo ius variandi (art. 2103 cc) Fonte: art. 2103 cc (come modificato da art. 13 St. Lav.) Ratio: contratto di durata → plasmare la prestazione inizialmente concordata ai mutamenti organizzativi e alle esigenze dell’impresa (progressiva espansione del debito del prestatore di lavoro) Potere di carattere eccezionale: il suo riconoscimento sul piano normativo è previsto con particolari “cautele”: va bilanciato con una serie di garanzie poste a tutela del lavoratore (→ vs regola generale: per la modifica dei patti è sufficiente il mutuo consenso delle parti che li hanno conclusi). ! Prima della riforma introdotta dall’art. 13 St. Lav. →possibile l’adibizione a mansioni anche inferiori, purché non troppo difformi dalle precedenti svolte; leciti accordi tra le parti che consentivano di mutare definitivamente in pejus mansioni e livello retributivo (giurisprudenza ammetteva la validità anche di accordi taciti); unica garanzia: mantenimento dellotrattamento retributivo.Contesto: piena ed incondizionata libertà di Mansioni esigibili (art. 2103 c.c.): 1. 2. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (ndr: quelle dedotte in contratto) o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo. Strumenti di tutela: norma inderogabile ed “equivalenza professionale” Paradigma della norma inderogabile (tutela del contraente debole) → tutela, assunta dal legislatore come interesse generale perseguito dallo Stato, indisponibile anche per il soggetto nei confronti della quale è stata posta (cfr. De Luca Tamajo 1976) → correlazione diritto del lavoro/norma inderogabile/autonomia contrattuale limitata Tutela della professionalità del lavoratore attraverso: a) divieto di adibizione a mansioni inferiori; b) nullità di ogni patto contrario. La mobilità orizzontale (art. 2103 c.1) Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Disposizione di carattere inderogabile che protegge la posizione conseguita dal lavoratore nell’impresa sotto il profilo normativo e retributivo: Irriducibilità della retribuzione + Equivalenza delle mansioni La nozione di equivalenza a) Tradizionale funzione di tutela del patrimonio professionale del lavoratore b) Strumento di misurazione della qualità e della quantità di attività richiesta in relazione alla controprestazione datoriale → misurazione e garanzia dell’equilibrio corrispettivo raggiunto nell’ambito del contratto di lavoro (Gargiulo 2006: ius variandi è “naturalmente idoneo ad alterare l’equilibrio sinallagmatico del contratto di lavoro”→ la previsione di cui al 2103 cc rappresenta il principale metro di valutazione della corrispettività del rapporto) ↘ l’equivalenza professionale si pone prima del parametro della diligenza, intesa quale misuratore del grado di collaborazione richiesta al prestatore nell’interesse del creditore (datore di lavoro) Il giudizio di equivalenza L’equivalenza va riferita a parametri diversi e ulteriori rispetto al mero profilo del trattamento economico? In caso di mutamento di mansioni, il giudizio di equivalenza deve tener conto, oltre che del dato cd. oggettivo, rappresentato dall'appartenenza delle mansioni di provenienza e di quelle di destinazione al medesimo livello di inquadramento contrattuale (CCNL), anche del principio per cui (dato soggettivo) le mansioni di destinazione devono consentire l'utilizzazione ovvero il perfezionamento e l'accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto (Cass. civ. n. 24293 del 2008); ai fini della verifica dell'esercizio del potere di mutare le mansioni ad un proprio lavoratore, occorre valutare l'omogeneità tra le mansioni attribuite e quelle precedenti sulla base della equivalenza tra la competenza richiesta e l'utilizzo del patrimonio professionale Cass. 8527/2011) “equivalenza professionale” → un’eccessiva disomogeneità di contenuti tra le vecchie e le nuove mansioni, tale da ostacolare l’impiego del bagaglio di conoscenze del lavoratore, potrebbe condizionare in senso negativo il giudizio di equivalenza. Nozione di professionalità: a) oggetto della modifica operata dal datore per esigenze di flessibilità; b) bene destinatario della tutela ex art. 2103 cc (garantito attraverso l’equivalenza) Professionalità del lavoratore (oggetto della garanzia): tra applicazione statica e prospettiva dinamica. Professionalità statica Professionalità dinamica/potenziale Nuova realtà organizzativa (pluralità di modelli, flessibilità) Sostrato ideal-tipico dell’art. 1° orientamento: orientamento giudizio di equivalenza in senso dinamico → 2103 cc : modello di stesse prospettive di progressione (ammessa lesione della organizzazione e di divisione professionalità acquisita , purché compensata da elementi del lavoro taylor-fordista → migliorativi delle capacità del prestatore) modello che entra in crisi insieme agli schemi produttivi- ↓ non compatibile con art. 2103: lede dignità lavoratore! organizzativi di riferimento e, 2° orientamento (prevalente): valorizzazione della capacità con essi, il concetto stesso di professionale potenziale del lavoratore → intesa non professionalità statica, come parametro anelastico direttamente ricollegabile ad ancorata ad una carriera che una mansione/aggregato predeterminato di compiti, ma si sviluppa in maniera rigida e come un insieme di conoscenze potenzialmente lineare polifunzionali (non il “saper fare” ma il “sapere come Profilo oggettivo della professionalità: professionalità comprende le conoscenze dedotte in contratto ed acquisite nel corso dello svolgimento della prestazione (prof. acquisita) fare” - bagaglio professionale in divenire: adattabilità a nuovi compiti). Profilo soggettivo della professionalità: professionalità comprende tutte le conoscenze che il lavoratore può offrire sul mercato (prof. complessiva). → Rischio: Rischio dilatare eccessivamente il debito del prestatore (rispetto del corredo genetico minimoessenziale del patrimonio professionale del lav.) Dottrina (orientamento dinamico) vs Giurisprudenza (orientamento rigido-statico) L’orientamento dottrinario della “professionalità dinamica”, inizialmente accolto dalla giurisprudenza di merito (v. Trib. Napoli, sent. 29.03.1985, che legittima il mutamento di mansioni “in presenza di una maggiore responsabilizzazione al lavoro, di un ampliamento dell’autonomia e dei poteri decisionali del prestatore e di un suo diretto coinvolgimento nel processo produttivo”), e quello della “capacità professionale potenziale” (Mengoni 1987) non vengono recepiti dalla Cassazione che più volte conferma un’idea di mobilità attuata preservando il bagaglio professionale già acquisito dal lavoratore “nel quadro di una assoluta irreversibilità delle posizioni acquisite e del processo ascensionale della gerarchia” (Cass. N. 3340/2006) - logica di difesa dell’acquisto- La mobilità verticale… verso l’alto Art. 2103: “Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi”. L’assegnazione allo svolgimento di mansioni superiori Duplice diritto: • Diritto alla retribuzione corrispondente alla mansione superiore • Temporaneità del mutamento: decorso il periodo stabilito dalla legge (3 mesi) o dai contratti collettivi, il lavoratore acquista il diritto alla definitività dell’assegnazione alla mansione superiore Definitività delle mansioni superiori Limiti alla operatività dello ius variandi “Il potere di assegnazione provvisoria di mansioni superiori è da ritenersi implicitamente ricompreso nello "ius variandi" unilaterale che l'art. 2103 c.c., come modificato dall'art. 13 st.lav., riconosce al datore di lavoro, in quanto soddisfa l'esigenza di tutela della professionalità della mano d'opera che la norma persegue. Il consenso del dipendente è invece necessario per l'operatività della c.d. promozione automatica che dalla suddetta assegnazione possa eventualmente derivare”. (Cass. civ. n. 3372/1985 ) → Necessità del consenso per la definitività dello spostamento Mansioni promiscue verticali => il lavoratore svolge attività tra loro diverse sotto il profilo professionale e anche dal punto di vista del livello di inquadramento. Giurisprudenza: ammissibilità dell’istituto, dopo iniziale atteggiamento di chiusura → la categoria deve essere individuata sulla base della mansione prevalente o principale (Cass. n. 1987/2004) utilizzando criteri quantitativi e qualitativi (Cass. n. 9/2001) Definitività delle mansioni superiori Limiti Nessuna promozione automatica per lo svolgimento di mansioni superiori nella PA alla operatività dello ius variandi Con sentenza n. 25761 del 24 ottobre 2008, la Cassazione ha ribadito che l’articolo 2103 del codice civile, relativo alla promozione automatica per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, non si applica al pubblico impiego contrattualizzato. Definitività delle mansioni superiori Sul periodo di tre mesi “Il compimento del periodo - fissato dalla disciplina collettiva e comunque non superiore a tre mesi - di assegnazione a mansioni superiori, cui consegue… il diritto del lavoratore alla cosiddetta promozione automatica, può risultare anche dal cumulo di vari periodi, quando le prestazioni di mansioni superiori abbiano assunto - indipendentemente da un intento fraudolento dell'imprenditore diretto ad impedire la maturazione del diritto alla promozione - carattere di frequenza e di sistematicità, desumibile dal numero di assegnazioni e dal tempo intercorso fra un’assegnazione e l'altra (Cass. Sez. lavoro 25 marzo 2004, n.6018) Sull’assegnazione “La disposizione di cui all’art. 2103 c.c. non prescrive, per spiegare i suoi effetti, e cioè la acquisizione definitiva della qualifica superiore, la esistenza di alcun provvedimento formale di assegnazione, giacché operando un riferimento esclusivamente fattuale, connesso alla effettività delle funzioni svolte, svolte prescinde da una manifestazione formale della volontà datoriale, essendo solo necessario un consenso implicito” (Cass. civ. Sez. lavoro, 09-02-2009, n. 3185) Eccezione all’assegnazione definitiva a mansioni superiori L’art. 2103, c. 1, fa salva l’ipotesi in cui “l’assegnazione a mansioni superiori sia avvenuta per sostituire un lavoratore assente che abbia diritto alla conservazione del posto” (malattia, maternità) Nozione di dipendente avente diritto alla conservazione del posto “Per lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, la cui sostituzione da parte di altro lavoratore avente una qualifica inferiore non attribuisce a quest'ultimo il diritto alla promozione, ai sensi dell'art. 2103 c.c., deve intendersi soltanto quello che non sia presente in azienda a causa di una delle ipotesi di sospensione legale o convenzionale del rapporto di lavoro, e non anche quello destinato, per scelta organizzativa del datore di lavoro, a lavorare fuori dell'azienda o in altra unità o altro reparto, o, ancora, inviato a partecipare ad un corso di formazione” (Cass. Civ. n. 17659/2002) La mobilità verticale… verso il basso Il secondo comma dell’art. 2103 cod. civ., che prevede la nullità di “ogni patto contrario”, introduce il tratto della inderogabilità della disciplina incide sia sul potere direttivo del datore, ma anche sull’autonomia contrattuale delle parti, sia individuale che collettiva: in linea di principio, non è possibile disporre una modificazione peggiorativa della mansione (divieto di demansionamento). Strumenti di tutela del lavoratore sul piano individuale Eccezione di inadempimento ex art. 1460 cc il demansionamento costituisce un inadempimento contrattuale del datore di lavoro nei confronti del lavoratore (Cass. sez. lav. n.12121/1995) È legittimo il rifiuto del lavoratore di prestare la mansione non spettante? “Il rifiuto da parte del lavoratore subordinato di svolgere mansioni non spettanti è legittimo, in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall’art. 1460 c.c., nella condizione in cui il rifiuto sia proporzionato all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede” (Cass. sez. lav. n. 3304/2008) Requisiti buona fede e proporzionalità soddisfatti “quando il lavoratore rifiutatosi di svolgere le mansioni inferiori alla sua qualifica si mostri comunque disponibile a continuare a svolgere le proprie mansioni o mansioni equivalenti”. Il rifiuto non può quindi spingersi fino alla cessazione totale della attività perché questa costituirebbe una inammissibile forma di autotutela anche alla luce del fatto che il datore non è totalmente inadempiente se continua ad assolvere ai suoi obblighi retributivi (Cass. Civ. n.1307/1998) Diminuzione quantitativa delle mansioni e inattività Cass. Sez. lavoro, sent. 20 marzo 2004 n.5651 Si è ritenuto che esistano gli estremi del demansionamento anche qualora le mansioni non siano state modificate, ma vengano quantitativamente ridotte. Tale riduzione deve essere, però, in grado di abbassare il livello delle prestazioni del lavoratore impoverendo conseguentemente la sua professionalità. Ciò va valutato in relazione alla natura e alla portata della riduzione, e all’incidenza sui poteri del lavoratore e sulla sua collocazione in azienda. Bilanciamento tra tutela della professionalità e beni costituzionalmente garantiti (salute e occupazione). Le eccezioni al divieto di demansionamento individuate da giurisprudenza e legislatore. Legge 1) 2) 3) 4) Lavoratrici in stato di gravidanza (art. 7, d. lgs. n. 151 del 2001); Lavoratore esposto ad agenti di rischio (fisici, chimici, biologici: art. 8, l. n. 277 del 1991) Lavoratore divenuto inabile a seguito di infortunio o malattia, (art. 4, comma 4, l. n. 68 del 1999) In situazione di crisi d’azienda, come alternativa alla messa in mobilità e licenziamento collettivo, nel caso in cui la deroga sia oggetto di accordo sindacale (art. 4, comma 11, l. n. 223 del 1991) * nei primi tre casi, si mantiene il diritto alla retribuzione pregressa Giurisprudenza Una parte della giurisprudenza “allenta” la rigidità del divieto di patto in deroga, ammettendo il mutamento in peius come alternativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo o impossibilità sopravvenuta della prestazione, specie quando vi sia il consenso del lavoratore (cd patto di demansionamento) 1) Ragioni inerenti la salute del lavoratore lavoratrici madri (art. 3 l. 1204/71) lavoratore esposto a rischi sanitari derivanti da agenti chimici, fisici o biologici (art. 8 d. lgs. 277/91) ↘ Il legislatore suggerisce che la rigidità del 2103 potrebbe contrastare con interessi del lavoratore anche più rilevanti della professionalità 2) Tutela del posto di lavoro sopravvenuta inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni: Cass. 266 del 1984 inaugura l’orientamento cd. del male minore: riconosce cioè al lavoratore divenuto inidoneo la facoltà di concordare con il datore l’assegnazione a mansioni inferiori, quale rimedio meno dannoso rispetto al licenziamento (principio recepito l. 68/99). Con sentenza n. 5112 del 14 marzo 2007 la S.C. ha affermato che nel caso di sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni lavorative il patto di demansionamento come unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro non costituisce deroga all’art. 2103 del c.c. ma un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, sorretto dal consenso e dall’interesse del lavoratore. unico rimedio per evitare un licenziamento per g.m.o. (onere di repechage del datore e cd. patto di demansionamento). Deroga introdotta dalla giurisprudenza, a partire da Cass. 8 settembre 1988 n. 5092: la professionalità non può essere tutelata a rapporto estinto! Occorre comunque il consenso del lavoratore allo svolgimento delle mansioni inferiori (che, in caso contrario, rischia il licenziamento) ↘ v. la più recente evoluzione/accelerazione di tale orientamento giurisprudenziale, che prima riconosce che il consenso, pur necessario, può anche essere dato su iniziativa del datore – v. tra le più recenti Cass. 7 febbraio 2005, n. 2375 -, ma ammettendo anche il consenso tacito tende a rendere sempre più confusi i confini tra modifica consensuale e ius variandi del datore: v. ad es. Cass. 9 marzo 2004, n. 4790). lavoratori in esubero (art. 4 comma 11 l. 223/91): la deroga all’art. 2103 deve intendersi estesa anche alla retribuzione → non vale il principio di irriducibilità della retribuzione! nb: trattasi di un’ipotesi in cui l’esercizio dello ius variandi si estende anche alle mansioni inferiori, attraverso il filtro della contrattazione collettiva ↘ È presupposto unico ed esclusivo, non richiedendosi – solo in questo caso di demansionamento – il consenso del lavoratore! La diversa declinazione della nozione di equivalenza professionale su mobilità orizzontale e divieto di demansionamento La nozione di equivalenza professionale si riflette in modo assolutamente inverso su: 1) mobilità orizzontale 2) deroga al divieto di mutamento in peius delle mansioni. La dilatazione della nozione, infatti, se da un lato aumenta la posizione debitoria del prestatore (ovvero aumenta lo ius variandi del datore), dall’altro conduce ad una riduzione dell’area del giustificato motivo oggettivo (allargando l’ambito rispetto al quale il datore ha l’onere di provare l’inutilizzabilità del dipendente, includendovi l’obbligo di repêchage in mansioni inferiori). Ruolo contrattazione collettiva 1) 2) Mobilità verso il basso Mobilità orizzontale Monopolio della contrattazione collettiva sulla modifica in pejus - Pr. irriducibilità della retribuzione: a) esclude qualsiasi possibilità per i lavoratori di negoziare individualmente decurtazioni dei propri salari, anche se finalizzati alla conservazione del posto di lavoro (Cass. N. 11362/2008 contra la giurispr. più risalente v. Cass. 6083/1997 e Cass. 9473/1987 ); b) il contr. coll. è escluso dall’ambito di applicazione del 2103 cc (Cass. nn. 4510/2008 e 16691/2004) → possibile prevedere riduzione generalizzata delle retribuzioni per far fronte a situazione di crisi e ristrutturazione aziendale. Limiti: pr. di sufficienza e proporzionalità ex art. 36 Cost e pr. di ragionevolezza (Occhino, 2004) Evoluzione giurisprudenza: valorizzazione professionalità potenziale vs contingenti esigenze aziendali Ne ammette la legittimità a condizione che la rotazione “comporti un effettivo avvicendamento secondo un ordine ciclico, e la durata del ciclo sia sufficientemente breve” (Cass. 4314/1992) Sezioni Unite n 25033/2006 : “va affermato, come principio di diritto, che la contrattazione collettiva - se da una parte deve muoversi all'interno, e quindi nel rispetto, della prescrizione posta dall'art. 2103 c.c., comma 1, che fa divieto di un'indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità, pur confluendo nella medesima declaratoria contrattuale e quindi pur essendo riconducibili alla matrice comune che connota la qualifica secondo la declaratoria contrattuale - è però autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra esse per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica senza per questo incorrere nella sanzione di nullità del secondo comma della medesima disposizione”. Critica: la nullità dei patti contrari riguarda anche i contr. coll. (Roccella); le relative clausole sono fatte salve anche ove funzionali a “sopperire a contingenti esigenze aziendali”, ovvero non all’esito di un’operazione di bilanciamento fra interessi facenti capo al lavoratore, ma per tener conto di esigenze dell’impresa, di cui nella norma di legge non v’è traccia. Rilettura dell’art. 2103: adeguamento alle esigenze di flessibilità delle imprese e ai nuovi modelli organizzativi ispirata non solo alla tutela della capacità ed attitudine del lavoratore ma anche al «diritto dell’imprenditore a una gestione razionale ed efficiente delle proprie risorse» in considerazione «dei complessi problemi di riconversione e ristrutturazione di imprese» (v. Cass. nn. 25033/2006 e 8596/2007). Obbligo di repêchage può realizzare un’equa distribuzione tra lavoratore e datore di lavoro dei rischi connessi all’impresa, attraverso l’arricchimento degli obblighi datoriali di collaborazione, nonché di correttezza e buona fede, traducibili nell’onere di prospettare al dipendente una dequalificazione utile a evitare la perdita del posto di lavoro (così Cass. n. 6552/2009) Riflessioni comuni alle pronunce analizzate: la particolare importanza della corretta definizione della nozione di equivalenza; il processo di “ammorbidimento” del 2103 (la tutela della professionalità cede di fronte ad esigenze di proteggere la salute e l’occupazione del lavoratore); ↘la giurisprudenza ha mantenuto una nozione rigida di equivalenza, mentre ha cercato margini di flessibilità nell’individuazione delle ipotesi di deroga – diverse e ulteriori rispetto a quelle stabilite in sede legislativa al divieto di demansionamento. La tutela giudiziale contro il demansionamento e l’esercizio abusivo dello ius variandi Quali diritti a seguito della violazione dell’art. 2103 c.c.? ↘ diritto positivo e orientamenti della giurisprudenza Quali rimedi ulteriori? risarcimento del danno Quale strumento? Caso 1 Tutela contro il demansionamento Con ordine di servizio del 2 dicembre 2002, la società datrice di lavoro sollevava Tizia dalle mansioni di cassiere provinciale, dalla stessa ricoperte per otto anni, perché sostanzialmente non più esistenti e l’assegnava a nuovi incarichi di livello non equivalente. Tale cambiamento comportava una dequalificazione professionale e una serie di danni, patrimoniali e non patrimoniali. Tizia, inoltre, a seguito del provvedimento, rimase assente per periodi prolungati. Tizia si reca dal proprio legale per ottenere un parere sulla possibilità di chiedere il risarcimento del danno per l’avvenuto demansionamento. RICORSO EX ART. 414 CPC «Forma della domanda» - ART. 414 C.P.C. La domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere: 1) l'indicazione del giudice; 2) il nome, il cognome, nonché la residenza o il domicilio eletto dal ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta, nonché la sede del ricorrente o del convenuto; 3) la determinazione dell'oggetto della domanda; 4) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; 5) l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione Art. 2103 c. c. 1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. retribuzione Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. 2. Ogni patto contrario è nullo. nullo Oggetto del ricorso (ex 414 c. p. c.) Diritto del lavoratore ad essere riassegnato alla mansione e alla qualifica antecedente Cosa si chiederà al giudice? 1. la nullità del patto o atto unilaterale contrario ex art. 13 St. Lav.; 2. la condanna del datore alla riassegnazione nelle mansioni precedenti o equivalenti; 3. il pagamento delle retribuzioni dovute, ove il livello della retribuzione stessa sia stato, medio tempore, diminuito. Nb: la Cassazione ha più volte ribadito che l’eventuale ordine giudiziale di reintegrazione, consistendo in un facere, è incoercibile e non è pertanto suscettibile di esecuzione forzata (Cass. N. 9584/1990) Ulteriori rimedi oltre alla garanzia di carattere retributivo riconosciuta dalla norma Risarcimento del danno ↘il demansionamento, non solo viola lo specifico divieto ex art. 13 St. Lav., ma “costituisce lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità…nel luogo di lavoro”* (giurispr. consolidata, v. es. Cass. n. 10157/2004). → Oltre al diritto al risarcimento del c.d. “danno alla professionalità” (valutato sulla scorta delle differenze retributive non percepite, sia come danno emergente che lucro cessante), si potrà chiedere il risarcimento dei danni on patrimoniali maturati * Da Cass. SU, 24 marzo 2006, n. 6572: pregiudizio "provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della personalità nel mondo esterno" Risarcimento del danno da demansionamento Cass.Civ., SU , sentenza n. 6572/2006 Il danno da demansionamento può assumere aspetti diversi. Può consistere, infatti, in un danno patrimoniale (a)derivante in via diretta ed automatica dalla dequalificazione della capacità professionale del lavoratore e dalla mancata acquisizione di capacità maggiori con probabile perdita addizionale di un maggior guadagno. E può comporsi anche di aspetti non patrimoniali riconducibili alla più generale categoria del cd danno esistenziale (b). Esso si può a sua volta comporre di più parti come il danno all’integrità psicofisica o danno biologico, il danno all’immagine o alla vita di relazione. Contrasto giurisprudenziale in ordine al regime probatorio Si discute se, in caso di demansionamento o di dequalificazione, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno (soprattutto quello esistenziale), suscettibile di liquidazione equitativa, (a) consegua in re ipsa al demansionamento (la liquidazione può essere operata in base all’apprezzamento degli elementi presuntivi acquisiti al giudizio e relativi alla natura, all’entità e alla durata del demansionamento, nonché alle altre circostanze del caso concreto) o (b) sia subordinato all’assolvimento da parte del lavoratore all’onere di provare l’esistenza del pregiudizio (esistenza del danno e del nesso di causalità con l’inadempimento). Intervento Sezioni Unite e superamento del contrasto Proprio in virtù della complessità del danno, si rende necessaria una specifica allegazione, a fini probatori, da parte del lavoratore. Il danno, se c’è, deve essere specificatamente dimostrato in tutte le sue componenti. Il lavoratore deve fornire la prova della effettiva perdita di chance per quel che riguarda le aspettative di carriera che avrebbe avuto se il demansionamento non fosse avvenuto. Deve dimostrare la dequalificazione e che ciò abbia inciso negativamente nella sua sfera lavorativa privata e familiare cambiando il suo stile di vita e alterando il suo equilibrio. Mentre il (a) danno biologico può essere semplicemente provato attraverso l’allegazione della certificazione medica che attesti una lesione dell’integrità psicofisica o mediante C.T.U., per ciò che concerne il (b) danno esistenziale, è necessario allegare fatti e prove che dimostrino il rapporto di causalità tra il deterioramento della vita sociale e familiare e il demansionamento stesso. Tale dimostrazione, che può essere fornita attraverso prove testimoniali e documentali, può procedere anche per presunzioni. Soluzione del caso Cass. Civ. sez. lav., 26 gennaio 2010, n. 1575 Sull’esistenza del demansionamento ↘ “In tema di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle di assunzione, l'equivalenza o meno delle mansioni deve essere valutata dal giudice anche nel caso in cui le mansioni di provenienza non siano state affidate ad altro dipendente, ma si siano esaurite, con la conseguenza che anche in tale evenienza può aversi demansionamento, in violazione dell'art. 2103 c.c., ove le nuove mansioni affidate al lavoratore siano inferiori a quelle proprie della qualifica o alle ultime svolte dal lavoratore”. ↘ il giudice deve verificare l’equivalenza delle nuove mansioni assegnate, in presenza di contestazione, anche nel caso in cui il lavoratore non abbia di fatto ottemperato “all’ordine di servizio, quale che siano state le ragioni, giustificate o meno, di tale scelta”. Lo spostamento del lavoratore ad altre mansioni deve sempre attenersi alla regola dell’equivalenza Soluzione del caso Cass. Civ. SU n. 6572/2006 Sull’onere probatorio in merito ai danni derivanti da demansionamento ↘ Non è sufficiente la prova della dequalificazione, dell’isolamento, della forzata inoperatività, dell’assegnazione a mansioni diverse e inferiori, integrando tali elementi solo l’inadempimento del datore di lavoro, ma –dimostrata tale premessa- e poi necessario dare la prova che tutto ciò, concretamente, ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore, alterandone l’equilibrio e le abitudini di vita. Caso 2 Mansioni superiori acquisite L’Ente Poste Italiane sopprime l’ufficio cui era addetto il dipendente Tizio, a seguito trasformazione dell’Amministrazione nel suddetto Ente. Dalla soppressione dell’ufficio erano nate due aree: Servizi Finanziari ed Amministrazione e Finanza. Nell’ambito di quest’ultima aveva continuato a funzionare, temporaneamente, l’ufficio spese decentrate, che curava la chiusura di tutte le pendenze contabili della soppressa Amministrazione. Quest’ultimo ufficio era stato diretto, per oltre sei mesi, nell’esercizio delle mansioni di reggenza e di controllo, da Tizio che aveva sostituito il Dirigente principale di esercizio, successivamente trasferito altrove. Il dipendente Tizio ricorre al Tribunale del Lavoro per vedersi riconosciuto il diritto all’assegnazione all’area Quadri di secondo livello, in virtù delle mansioni superiori effettivamente svolte. Riconoscimento delle superiori mansioni svolte a) b) c) Verifica della sussistenza delle condizioni per l ´apprestamento della tutela di cui all’art. 2103 cc: individuazione delle categorie o qualifiche previste dalla disciplina collettiva applicabile al rapporto; accertamento delle mansioni in concreto svolte per il tempo minimo richiesto dalla legge o dalla contrattazione collettiva; verifica della riconducibilità di queste alle mansioni superiori proprie della qualifica o della categoria rivendicate dal lavoratore. (App. Potenza, sez. lav., 16 luglio 2008) Oggetto del ricorso (lavoratore)/memoria di costituzione (datore) Per la società datrice di lavoro 1) l’assegnazione delle funzioni non era stata decisa dal soggetto preposto (direttore di sede): è necessario un provvedimento formale; 2) il posto corrispondente alla categoria non era più esistente perché, una volta intervenuta la trasformazione, il settore aveva continuato ad operare temporaneamente per soli compiti residuali; Verificare normativa contrattuale: ai sensi del CCNL, viene sancito che per il diritto alla categoria superiore è necessaria la vacanza del posto in organico. Per il lavoratore 1) In merito alla necessità che l’assegnazione a mansioni superiori fosse disposta dal direttore di sede: - il provvedimento di assegnazione non poteva che essere implicito, posto che quelle funzioni erano state effettivamente svolte per un periodo non trascurabile; - la disposizione dell’art. 2103 c.c, non prescrive, per la acquisizione definitiva della qualifica superiore, l’esistenza di alcun provvedimento formale di assegnazione; 2) quanto alla vacanza del posto in organico: l’art. 2103 c.c. (nel disporre che nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e che l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non sia avvenuta per la sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto) non presuppone affatto l’esistenza del posto dell’organigramma, ma l’esistenza in concreto di una determinata funzione, in ambito aziendale, assegnata ad un lavoratore; 3) maggiorazioni retributive per le superiori mansioni effettivamente svolte ; 4) acquisizione delle superiori mansioni effettivamente svolte. Soluzione del caso La Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio secondo cui, ai fini dell’acquisizione da parte del prestatore di lavoro del diritto all’assegnazione definitiva alle mansioni superiori, dopo un periodo stabilito dalla contrattazione collettiva, è irrilevante la soppressione formale nell’organigramma aziendale della posizione lavorativa corrispondente a quelle mansioni, ove di fatto si sia protratta l’assegnazione del lavoratore al loro espletamento. (Da ultimo v. sent. n. 3185 del 09/02/2009; già sent. n. 12103/2004)