PRINCIPALI ASPETTI GEOLOGICI E FISICI
DEI TERREMOTI:
ALCUNE OSSERVAZIONI SUI RECENTI
TERREMOTI ITALIANI
Milano,
Massimo Compagnoni
15 marzo 2013
OBIETTIVO ed ARGOMENTI
Conoscenza dei meccanismi geologici e geodinamici che governano il fenomeno
del TERREMOTO e relativi effetti sull’ambiente
MODULO I
Cenni di geodinamica e tettonica globale
Il terremoto
Cenni di sismologia
Effetti sismici locali
Fenomeni precursori
MODULO II
I terremoti de L’Aquila e Emilia:
alcune osservazioni sismologiche e gestione dell’emergenza
Massimo Compagnoni
GEODINAMICA – TETTONICA GLOBALE
Massimo Compagnoni
TETTONICA GLOBALE
Placche litosferiche rigide in cui è articolata la parte più superficiale della Terra
Massimo Compagnoni
GEODINAMICA – TETTONICA GLOBALE
Flusso geotermico
Liberazione del calore interno che causa la
convezione nel mantello motore della tettonica a
placche – controlla la velocità e l’ubicazione delle
deformazioni crostali
Massimo Compagnoni
GEODINAMICA – TETTONICA GLOBALE
MARGINI DI PLACCA:
DIVERGENTI (DORSALI OCEANICHE)
CONVERGENTI (ZONE DI SUBDUZIONE)
TRASFORMI
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GEODINAMICA – TETTONICA GLOBALE
Subduzione di placca oceanica sotto
placca continentale
Subduzione di placca oceanica sotto
placca oceanica
Collisione tra due placche continentali
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GEODINAMICA – TETTONICA GLOBALE
Velocità relative in cm/a e direzioni di separazione e convergenza tra le placche
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GEODINAMICA – TETTONICA GLOBALE
Epicentri di terremoti 0-700 km di profondità in un intervallo di 6 anni
La distribuzione spaziale e caratteristiche dei terremoti non è casuale ma
inquadrata in un contesto geodinamico ben preciso
Massimo Compagnoni
GEODINAMICA – TETTONICA GLOBALE
Epicentri di terremoti > 100 km di profondità in un intervallo di 6 anni
La distribuzione spaziale dei terremoti con ipocentro > 100 km evidenzia le zone di
subduzione
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GEODINAMICA ZONA MEDITERRANEO
Massimo Compagnoni
GEODINAMICA ZONA MEDITERRANEO
Da Mantovani, 1991 (modificata)
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DOMINI STRUTTURALI
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MODELLO CINEMATICO
MODELLO CINEMATICO
Meletti et al. 2000
Massimo Compagnoni
ZONAZIONE SISMOGENETICA ZS9
ZONAZIONE SISMOGENETICA ZS9
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SISMICITA’ ITALIANA
Catalogo CPTI04
Massimo Compagnoni
SISMICITA’ ITALIANA
Massimo Compagnoni
CLASSIFICAZIONE E PERICOLOSITA’
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ORIGINE DEL FENOMENO
Disomogeneità delle rocce costituenti l’interno della Terra
Sviluppo di forze che tendono a riequilibrare il sistema fisico- chimico
Movimenti a carico degli strati più superficiali e rigidi della Terra: litosfera
Sviluppo ed accumulo di deformazioni a carico delle masse rocciose in reciproco
movimento
Liberazione quasi “istantanea” dell’energia elastica sotto forma di onde sismiche
che si propagano in tutte le direzioni
Massimo Compagnoni
TEORIA DEL RIMBALZO ELASTICO
Le aree sismicamente attive sono sottoposte a campi di stress variabili che inducono un
accumulo di deformazione: quando questa è tale da vincere la resistenza delle rocce si
genera rottura nel punto più debole la quale si sviluppa fino al raggiungimento di una
nuova posizione di equilibrio; la deformazione permanente “incassata” è massima in
vicinanza della rottura e diminuisce allontanandosi – il riequilibrio delle strutture è
detto RIMBALZO ELASTICO:
Massimo Compagnoni
PIANI DI DEBOLEZZA
I punti di maggior debolezza si collocano in corrispondenza di piani di rottura detti
“faglie” ove si verifica movimento reciproco tra masse rocciose
Massimo Compagnoni
TIPI DI TERREMOTI
CONSEGUENZE DEL RIMBALZO ELASTICO
Stato di stress legato ai movimenti reciproci tra due porzioni rocciose
Accumulo di energia elastica
Improvviso scorrimento con brusco processo di ridistribuzione delle tensioni
Raggiungimento di nuove condizioni di equilibrio con scorrimento residuo (rigetto)
Riduzione dello stato tensionale (stress drop) con ripresa del processo di
accumulo di deformazione (ricorrenza dei terremoti e quindi probabilisticamente
evento non casuale indipendente)
Terremoti diversi in funzione della quantità e velocità di accumulo energetico e
della tipologia di rilascio (regime tettonici – geodinamici)
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TIPI DI TERREMOTI
VULCANICI
SPROFONDAMENTI SOTTERRANEI
SERBATOI ARTIFICIALI
INIEZIONI PROFONDE
IMPATTO DI METEORITI o GRANDI FENOMENI FRANOSI
TETTONICI
Zone di dorsale medio-oceanica: crosta sottile con ridotti volumi di accumulo
energetico, componente tensionale di tipo estensionale con ridotta resistenza a
rottura della roccia, roccia calda e duttile con meccanismo di rilascio non
improvviso
Zone di subduzione: crosta terrestre spessa con grandi volumi di accumulo
energetico, componente tensionale di tipo comprensivo con alta resistenza a
rottura della roccia, roccia fredda e fragile con meccanismo di rilascio improvviso
Faglie trasformi: volumi di roccia ridotti, componente di spostamento strike-slipe,
roccia relativamente fredda e fragile con rilascio energetico improvviso
Massimo Compagnoni
TIPI DI TERREMOTI TETTONICI
In funzione della distanza tra epicentro e stazione di registrazione:
-Terremoti locali: entro i 1000 km (10° = angolo compreso tra congiungente
centro terra-ipocentro e centro terra-stazione)
-Terremoti regionali: entro i 2000-3000 km (20°)
-Telesismi: oltre i 2000-3000 km
In funzione della profondità dell’ipocentro:
-Terremoti superficiali: minore di 60-70 km
-Terremoti intermedi: entro 70 e 300 km
-Terremoti profondi: oltre 300 km fino ad un massimo di 600-700 km (a causa
delle proprietà reologiche della terra)
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IL FENOMENO
SISMA: Vibrazione del suolo prodotta dalla propagazione delle onde sismiche
generatesi per liberazione dell’energia elastica in occasione della rottura di masse
rocciose deformate sottoposte a campi di stress
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IL FENOMENO
Il primo passo per la conoscenza del fenomeno è la registrazione attraverso
strumenti sempre più efficienti
LOCALIZZAZIONE
MISURAZIONE ENTITA’
MODELLAZIONE
In assenza di registrazioni di un evento sismico l’unica azione possibile è quella di
misurarne gli effetti sull’ambiente naturale ed antropico
Massimo Compagnoni
LA LOCALIZZAZIONE
INDIVIDUAZIONE SPEDITIVA DELL’EPICENTRO
Si ipotizza un modello crostale omogeneo in cui il rapporto Vp/Vs è costante rendendo
sufficiente il calcolo del ritardo tra P e S (tp-ts) su almeno 3 stazioni di registrazione ed
ipotizzando trascurabile la profondità dell’ipocentro rispetto alla distanza dall’epicentro (tsp
x 8 km/s) - altrimenti si utilizza il diagramma dei tempi di tragitto
Utile ai fini della protezione civile data la rapidità con cui si calcola
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LA LOCALIZZAZIONE
La localizzazione più precisa si effettua con procedure iterattive utilizzando modelli
crostali molto complessi 3D fino alla convergenza dei dati forniti da numerose
stazioni
Si cerca la coerenza tra i valori di:
ubicazione dell’epicentro
tempo di inizio terremoto
profondità dell’ipocentro
La qualità della localizzazione dipende fortemente dalla geometria della rete di
acquisizione che dovrà essere tale da racchiudere al suo interno l’epicentro del
terremoto da localizzare
Massimo Compagnoni
LA RETE NAZIONALE
RSN collegate in tempo reale 24h con il
centro operativo INGV a Roma: conta più di
250 stazioni comprese reti collegate
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RAN: conta 388 strumenti
(119 analogici e 269 digitali)
LA MISURAZIONE
INTENSITA’
Misura gli effetti del terremoto attraverso scale di osservazione sui danni al
costruito e all’ambiente antropico (M, MM, MSK, MCS, EMS98) o all’ambiente
naturale (ESI)
MAGNITUDO
Misura indirettamente l’energia liberata da un terremoto attraverso il rapporto tra la
grandezza in esame e una grandezza campione ad essa omogenea misurate su scala
logaritmica
M = log (A/T) + f(D, h) + Cs + Cr
A = ampiezza della fase sismica in esame
T = periodo della fase sismica esaminata
f = correzione per distanza dall’epicentro (D) e profondità dell’ipocentro (h)
Cs = correzione tipo di suolo
Cr = correzione tipo di sorgente
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LA MISURAZIONE
ML Magnitudo locale o Richter: usata per terremoti che avvengono entro i 600 km
ML = log A + 3·log D – 2,92
Errore sistematico e casuale di determinazione
della magnitudo da ogni stazione
Carattere troppo locale della formula che include
costanti calibrate da Richter per la California
Meridionale
Dipendenza dallo strumento Wood-Anderson
dotato di amplificazione di 2800 volte e periodo
proprio di 0.8 s
Necessità di calibrazione locale attraverso
definizione di un modello crostale, di una
legge di attenuazione specifica e di
correzioni strumentali opportune.
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LA MISURAZIONE
Mb Magnitudo onde di volume: adatta per terremoti con distanze epicentrali di 6002000 km (25°<D<90°); legge la fase P con T di 1-3 s; satura a 6.0-6.5:
Mb = log (A/T) + 0,01 D + 5,9
Ms Magnitudo onde di superficie: adatta per terremoti con distanze epicentrali
superiori a 2000 km (20°<D<160°); legge le onde superficiali e sottostima i
terremoti profondi; fasi con T di 20 s; satura a 6.0-6.5:
Ms = log (A/T) + 1,66 D + 3,3
Md Magnitudo di durata: adatta per terremoti locale e strumentali e si basa sulla
durata dell’evento
Esistono numerose correlazioni empiriche tra le diverse scale
Ms = -3.2 + 1.45 ML
Mb = 2.94 + 0.55 Ms
Massimo Compagnoni
LA MISURAZIONE
Mw Magnitudo momento: fa riferimento al significato fisico di momento sismico Mo
Mw = 2/3 log Mo – 6.0 (non valida per eventi di maggiore magnitudo)
Mw = (log Mo – 16.1)/1.5
Il momento sismico non dipende dal tipo di onda o dalla collocazione di uno certo
strumento – l’ampiezza delle onde emesse in tutte le direzione è ad esso
proporzionale e satura solo per eventi molto forti
Mo = u A
  modulo di rigidità o di scorrimento
A = area della superficie di rottura
u = spostamento lungo la faglia
Si analizzano le componenti di bassa
frequenza delle onde sismiche
Massimo Compagnoni
MECCANISMO FOCALE
Utilizzato per ricavare il tipo di faglia e
l’orientazione del piano di faglia:
-Primo impulso (onde P) giunge alla
stazione verso l’alto: compressione P
-Primo impulso (onde P) giunge alla
stazione verso il basso: trazione T
Necessarie molte stazioni circostanti
l’ipocentro in modo da meglio definire i
piani nodali, ovvero il piano di faglia e il
piano ausiliario
Il meccanismo coppia doppia evita la formazione di un momento angolare non nullo nel piano parallelo alla
faglia che dovrebbe pertanto ruotare, ciò che non si verifica nei terremoti tettonici
Massimo Compagnoni
MECCANISMO FOCALE
Per distinguere il piano di faglia dal
piano
ausiliario
è
necessario
conoscere a fondo la struttura
geologica della regione: inoltre le
numerose repliche sono spesso
disposte lungo il piano di faglia e quindi
è necessario registrarle (rete fissa e
reti mobili).
Sfera
focale:
rappresentazione
stereografica ovvero su un piano
orizzontale viene proiettata la parte
inferiore di un guscio sferico e con una
linea l’intersezione tra il piano di faglia
e il guscio: dall’orientazione del campo
tensionale si identifica il tipo di
scorrimento sul piano di faglia
Bech Ball: zone scure (trazione)
zone chiare (compressione)
Massimo Compagnoni
MECCANISMO FOCALE
STRIKE: angolo misurato in senso orario dal nord geografico e
l’intersezione del piano di faglia con la superficie topografica
DIP: angolo tra la superficie topografica e il piano di faglia (immersione)
RAKE: angolo che indica la direzione di scorrimento sul piano di faglia
rispetto all’orizzontale di una porzione di roccia (tetto) rispetto all’altra (letto)
Massimo Compagnoni
SITUAZIONE MEDITERRANEA
Massimo Compagnoni
SITUAZIONE ITALIANA
Fonte INGV
Massimo Compagnoni
SCHEMA SEMPLIFICATO – DIRETTIVITA’
Abrahamson, 2000
Quando si semplifica l’ipocentro in un punto
non si tiene conto del fenomeno di direttività.
Essendo la rottura estesa su un piano è più
corretto parlare di enucleazione della rottura e
conseguente sua propagazione:
Direttività in avanti: impulso elevato per sovrapposizione in fase delle onde
rilasciate dai diversi punti di faglia in rottura
Direttività inversa: impulso attenuato in ampiezza con pronunciati effetti di
dispersione e conseguente allungamento in durata
Massimo Compagnoni
EFFETTI LOCALI
SISMA
liberazione di energia sotto forma di onde elastiche di volume
Fronti d’onda sferici:
• radiation damping (attenuazione geometrica)
• scattering damping (attenuazione legata ai fenomeni di riflessione e rifrazione)
• material damping (smorzamento interno dei materiali)
Massimo Compagnoni
EFFETTI LOCALI
Progressiva attenuazione dell’energia contenuta nelle onde sismiche
con la distanza R dall’ipocentro – epicentro
EFFETTI IN SUPERFICIE (E)
SUOLO IDEALE
Suolo duro (Vs > 800 m/s)
Morfologia pianeggiante
Legati essenzialmente a:
SORGENTE (A)
PERCORSO DI
PROPAGAZIONE (P)
E = f (A , P)
Massimo Compagnoni
SUOLO REALE
Suolo più o meno compatto (Vs < 800 m/s)
Eterogeneità laterali e geometrie sepolte
Morfologia articolata
Legati anche alle condizioni geologiche e
morfologiche del sito (S)
E = f (A , P , S)
EFFETTI LOCALI
Tramite osservazione degli effetti prodotti da passati terremoti
EFFETTI DI INSTABILITA’
EFFETTI DI SITO
Massimo Compagnoni
ALCUNI ESEMPI DI EFFETTI LOCALI
FAGLIAZIONE SUPERFICIALE
FRATTURAZIONE
SCUOTIMENTO
FRANE DI SCIVOLAMENTO
LIQUEFAZIONE
FRANE DI CROLLO
Sono da aggiungere fenomeni di deformazione crostale – tsunami – variazioni chimico-fisiche delle acque
Massimo Compagnoni
FENOMENI PRECURSORI
Il rilascio dell’energia elastica accumulata può avvenire in modalità diverse:
- scossa principale seguita da repliche (mainshock-aftershocks): la scossa
principale è quella ad energia liberata superiore mentre le repliche liberano minore
energia ed il loro numero descresce nel tempo;
- precursori seguiti da scossa principale e da repliche (foreshocks - main aftershocks): i precursori sono scosse di energia inferiore rispetto alla principale
ed a volte in numero crescente man mano che si avvicina la scossa principale;
- sciami di terremoti (swarms): serie di scosse nelle quali non si riesce a
distinguerne una principale; a volte si osserva un aumento e poi una diminuzione
della loro frequenza.
La conoscenza del modello dinamico del processo di fratturazione (quale il modello
della dilatanza) non riesce a spiegare tutti i fenomeni precursori ma in qualche
modo ne giustifica l’esistenza di alcuni:
Variazione del rapporto Vp/Vs – Deformazioni del suolo – Variazioni di
concentrazione di Radon 222 nelle acque e sua emissione in atmosfera – variazioni
di resistività elettrica – variazioni della microsismicità
Massimo Compagnoni
EMISSIONI RADON - misurazioni
Gas radioattivo facile da rilevare, a vita breve (il che ci assicura che il gas è giovane e la
risalita molto rapida), chimicamente inerte (non interagisce con le rocce), derivante dal
decadimento sia dell’uranio sia del thorio e si forma continuamente sia nelle rocce profonde
sia nelle rocce superficiali, nei suoli e nelle stesse murature. Il suo aumento rispetto ad una
concentrazione standard è legata alla creazione di fratturazione che lo porta in superficie.
E’ necessario distinguere tra le componenti profonde (legate allo stato di sforzo) da quelle
superficiali (che possono variare moltissimo in funzione della pressione atmosferica,
dell’umidità ecc.): si misura il rapporto tra i due diversi isotopi: il radon (222Rn, emivita 3.8
giorni) ed il thoron (220Rn, chimicamente analogo al radon, ma generato dal thorio e con
emivita di 59 secondi). Data la brevissima emivita, il 220Rn può raggiungere il sensore solo se
generato a brevissima distanza, negli strati più superficiali del suolo e quindi le variazioni della
sua attività sono legate prevalentemente dalle condizioni atmosferiche (temperatura,
pressione, vento).
Per collocare i rilevatori in corrispondenza di vie di risalita profonde (faglie ecc.), idonee al
monitoraggio e tali da fornire informazioni significative, è importante usare tutti gli indicatori
tipici di emissioni profonde: elio, H2S, ecc., associati alla conoscenza della geologia e della
tettonica dell’area.
Massimo Compagnoni