Note sul pendolo Maurizio Loreti Dipartimento di Fisica Università degli Studi di Padova Ultima revisione: 5 gennaio 2006 ∗ Fu allora che vidi il Pendolo. La sfera, mobile all’estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà. Umberto Eco, Il pendolo di Foucault 1 Il pendolo semplice Un pendolo semplice (si faccia riferimento alla figura 1) consiste in un punto materiale P di massa m, fissato ad una estremità di un filo ideale1 di lunghezza l il cui altro estremo è vincolato a trovarsi nel punto O. Il pendolo oscilla tra i due punti della traiettoria circolare π di centro O e raggio l che corrispondono all’elongazione massima α (con 0 < α < 2 ): ovvero, nel riferimento polare con origine O ed asse OX, tra il punto G di coordinate (l, −α) ed il punto G′ di coordinate (l, +α). Sia poi ϑ la coordinata angolare di P in un generico istante (−α ≤ ϑ ≤ α), ed indichiamo con ω= dϑ dt dω d2 ϑ = dt dt 2 e la sua velocità angolare e la sua accelerazione angolare rispettivamente; a P è associato un vettore velocità avente in ogni istante direzione tangente alla traiettoria e modulo v = ωl. L’equazione del moto del pendolo semplice si trova imponendo che il momento (rispetto ad O) delle forze applicate sia uguale alla derivata rispetto al tempo del momento (sempre rispetto ad O) della quantità di moto: d OP ∧ T + mg = OP ∧ mv dt (1) Col simbolo T abbiamo indicato la tensione del filo, che è diretta lungo OP ed ha dunque momento nullo rispetto ad O; nella configurazione descritta dalla figura 1 il momento delle forze agenti è diretto normalmente al piano di figura, ha verso che si avvicina all’osservatore e modulo mgl sin ϑ. La velocità v del pendolo è sempre perpendicolare ad OP: quindi il momento della quantità di moto ha modulo mvl = ml2 ω e direzione perpendicolare al piano di figura, 1 Ovvero inestensibile, privo di massa e perfettamente flessibile. 1 O α ϑ l l cos α T G G’ P mg X Figura 1: schema di pendolo semplice; α rappresenta l’elongazione massima, e ϑ quella generica. 2 mentre il verso della sua derivata è diretto lontano dall’osservatore. Per meglio chiarire questo punto, basta osservare che a valori positivi di α (e quindi di sin α) corrispondono o velocità angolari positive e di modulo decrescente, o velocità angolari negative e di modulo crescente — e quindi accelerazioni angolari in ogni caso negative; mentre per sin α < 0 le accelerazioni angolari sono sempre positive. In definitiva, sostituendo nella (1) queste espressioni, si ricava l’equazione del moto del pendolo g d2 ϑ + sin ϑ = 0 2 dt l (2) 2 Le piccole oscillazioni Un’equazione differenziale del tipo d2 x + ω2 x = 0 dt 2 (3) (con ω costante positiva2 ) è nota nell’analisi come equazione differenziale del moto armonico; la soluzione generale della (3) è infatti del tipo x(t) = A · sin(ωt + ϕ) (4) e dipende da due costanti di integrazione: A (ampiezza massima) e ϕ (fase iniziale). La (4) corrisponde ovviamente ad un moto periodico di periodo T = 2π ω Nel limite delle piccole oscillazioni (ossia quando sin ϑ ≈ ϑ), la (2) si riduce alla (3) ponendo g ω2 = l e, se l’approssimazione si può ritenere valida, il moto del pendolo semplice è quindi un moto armonico di periodo s l T0 = 2π (5) g Il fatto che nella (5) non compaia α si esprime affermando che le piccole oscillazioni del pendolo sono isocrone; osserviamo anche che il periodo è indipendente dalla massa del pendolo. Se (quando t = 0) il pendolo si trova sull’asse polare diretto verso la regione degli angoli positivi, l’equazione del moto che si ottiene dalla (4) tenendo conto di queste condizioni al contorno è la ϑ(t) = α sin(ωt). 3 Il pendolo composto Per pendolo composto si intende semplicemente un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso, non verticale e non passante per il suo baricentro; l’equazione 2ω è detta anche pulsazione del moto. 3 O ϑ h G mg X Figura 2: schema di pendolo composto; G è il baricentro del corpo. del moto di questo sistema fisico (vedi la figura 2) viene ancora ricavata calcolando il momento (rispetto all’asse fisso) delle forze applicate ed uguagliandolo alla derivata rispetto al tempo del momento della quantità di moto: quest’ultimo viene infine espresso come il prodotto Iω del momento d’inerzia (rispetto all’asse fisso) per la velocità angolare del corpo. Agendo analogamente a quanto fatto per il pendolo semplice, si giunge facilmente alla mgh d2 ϑ + sin ϑ = 0 2 dt I (h è la distanza OG tra l’asse di sospensione ed il baricentro); e, nel limite delle piccole oscillazioni, il moto è ancora periodico con un periodo T0 dato dalla s I T0 = 2π mgh che si riduce formalmente alla espressione (5), già vista per il pendolo semplice, una volta definita la costante l attraverso la I l= mh Questa costante (che dimensionalmente equivale a una lunghezza) si chiama lunghezza ridotta del pendolo composto: è quella che dovrebbe avere un ipotetico pendolo semplice che oscillasse con lo stesso periodo di quello composto studiato. Visto che le equazioni del moto del pendolo composto e di quello semplice sono identiche, quanto in seguito diremo a proposito del secondo si applica anche al primo. 4 4 L’isocronia delle oscillazioni Riprendiamo il pendolo semplice, e vediamo cosa si può dire se non si vuole usare l’approssimazione delle piccole oscillazioni. Osserviamo per cominciare che, se il pendolo semplice ha un periodo T dipendente da α, la funzione T (α) deve contenere soltanto potenze pari dell’elongazione massima: dovendosi avere ovviamente due moti con lo stesso periodo quando si cambia α in −α. In realtà per trovare il periodo del pendolo conviene non tanto tentare di risolvere l’equazione del moto (2) quanto piuttosto applicare il principio di conservazione dell’energia: la somma dell’energia cinetica K e di quella potenziale V del pendolo deve essere costante in ogni istante, ed in particolare dϑ 2 1 ml2 − 0 = V (α) − V (ϑ) = mgl (cos ϑ − cos α) K(ϑ) − K(α) = 2 dt (si è scelta come quota di riferimento per l’energia potenziale quella di O); dϑ dt 2 = 2g (cos ϑ − cos α) l (6) Dalla (6) si ottiene, volendo, l’equazione del moto (2) derivando entrambi i membri rispetto a t; o, per quel che ci interessa ora, si può giungere alla s dϑ 2g = (cos ϑ − cos α) dt l ed infine alla 2π dϑ = dt T0 q 2(cos ϑ − cos α) (7) indicando con T0 il periodo delle piccole oscillazioni, che abbiamo già ricavato e che è dato dalla formula (5). Separando le variabili, l’equazione (7) diventa dt = T0 p dϑ 2π 2(cos ϑ − cos α) ed integrando (tenendo conto che per spostarsi da ϑ = 0 a ϑ = α il pendolo impiega un quarto di periodo; notiamo incidentalmente che in questo intervallo di integrazione ϑ è limitato al primo quadrante) giungiamo alla Z T 4 0 dt = T T0 = 4 2π Zα 0 ed infine alla T = dϑ p 2(cos ϑ − cos α) 2T0 I π (8) ove per semplicità si è indicato con I il valore dell’integrale definito I= Zα 0 dϑ p 2(cos ϑ − cos α) 5 (9) Per calcolare I cominciamo dapprima a cambiare variabili, esprimendo il coseno sia di ϑ che di α mediante le formule di bisezione cos ϑ = 1 − 2 sin2 ϑ 2 cos α = 1 − 2 sin2 e α 2 (10) sfruttando le quali la (9) può essere scritta I= 1 2 Zα 0 dϑ q sin2 α 2 − sin2 ϑ 2 o anche, introducendo per semplicità la costante k = sin I= 1 2 Zα 0 dϑ q k2 − sin2 α 2 (con 0 < k < 1), ϑ 2 Cambiamo poi variabile di integrazione, passando dalla ϑ alla ϑ ϑ sin 2 sin 2 = arcsin ϕ = ϕ(ϑ) = arcsin sin α k 2 Per eseguire la sostituzione, calcoliamo ϕ(0) = 0 ϕ(α) = e π 2 (dunque ϕ appartiene al primo quadrante del cerchio trigonometrico, e di conseguenza risulta 0 < cos ϕ < 1); ed inoltre abbiamo: sin ϑ cos = 2 k2 − sin2 ϑ = k sin ϕ 2 s 1 − sin2 ϑ = 2 (11) q 1 − k2 sin2 ϕ ϑ = k2 1 − sin2 ϕ = k2 cos2 ϕ 2 Differenziando la (11) otteniamo 1 ϑ cos dϑ = k cos ϕ dϕ 2 2 da cui ricaviamo la relazione tra dϑ e dϕ dϑ = 2k cos ϕ cos ϑ2 e insomma, operando la sostituzione: I = 1 2 Z π 2 0 2k cos ϕ dϕ = q dϕ 1 − k2 sin2 ϕ 1 2k cos ϕ q dϕ = k cos ϕ 1 − k2 sin2 ϕ 6 Zπ 2 0 f (ϕ; x) dϕ (12) ove si è posto sia x = k2 che − 1 2 f (ϕ; x) = 1 − x sin2 ϕ (13) A questo punto, per calcolare il valore della (12) non resta che sviluppare in serie di McLaurin la f , definita nell’equazione (13), nell’intorno di x = 0: le derivate prima e seconda (rispetto alla x) valgono 3 f ′ (ϕ; x) = − 1 d 2 sin2 ϕ f (ϕ; x) = 1 − x sin2 ϕ dx 2 f ′′ (ϕ; x) = − 5 d2 3 2 sin4 ϕ 1 − x sin2 ϕ f (ϕ; x) = 2 dx 4 e quindi il loro valore per x = 0 è f ′ (ϕ; 0) = 1 sin2 ϕ 2 f ′′ (ϕ; 0) = 3 sin4 ϕ 4 e e lo sviluppo della (13) vale f (ϕ; x) = 1 + 1 3 x sin2 ϕ + x 2 sin4 ϕ + O(x 3 ) 2 8 f (ϕ; k) = 1 + 3 1 2 k sin2 ϕ + k4 sin4 ϕ + O(k6 ) 2 8 ossia Tornando all’integrale definito (12), I= Z π 2 dϕ + 0 = I1 + 1 2 k 2 Z π 2 sin2 ϕ dϕ + 0 3 4 k 8 Z 1 2 3 k I2 + k4 I3 + O(k6 ) 2 8 π 2 sin4 ϕ dϕ + O(k6 ) 0 (14) indicando con π 2 I1 = Z I2 = Zπ dϕ = 0 2 π 2 sin2 ϕ dϕ 0 7 (15) e Zπ 2 I3 = sin4 ϕ dϕ (16) 0 gli integrali definiti dei primi termini dello sviluppo. Per calcolare l’integrale (15) sfruttiamo la relazione sin2 ϕ = 1 − cos(2ϕ) 2 e sostituiamo la nuova variabile t = 2ϕ (con dt = 2 dϕ): I2 = Z π 2 sin2 ϕ dϕ = 0 Zπ 0 1 1 − cos t dt = 2 2 4 Zπ π o π 1 n π (1 − cos t) dt = t 0 − sin t 0 = 4 4 0 Per calcolare invece l’integrale (16), sfruttiamo (sempre sostituendo t = 2ϕ) la sin4 ϕ = 1 − cos t 2 2 = 1 − 2 cos t + cos2 t 4 da cui si ricava Zπ 2 I3 = sin4 ϕ dϕ = 0 Zπ 0 1 − 2 cos t + cos2 t dt 1 = 4 2 8 Zπ dt − 0 1 4 Zπ cos t dt + 0 1 8 Zπ cos2 t dt 0 e, sostituendo ancora u = 2t nell’ultimo termine, essendo cos2 t = 1 − cos u 1 − cos(2t) = 2 2 e dt = du 2 si trova Z π 1 2π 1 − cos u du 1 π − sin t 0 + 8 4 8 0 2 2 n o 2π π 1 2π = u 0 − sin u 0 + 8 32 I3 = = π 3 π + = π 8 16 16 Sostituendo i valori dei tre integrali definiti nella (14), ed il valore di I così ricavato nella (8), si ottiene dapprima I = π 2 9 π + k + π k4 + O(k6 ) 2 8 128 e poi T = T0 2 9 4 1 I = T0 1 + k2 + k + O(k6 ) π 4 64 (17) L’ultimo passo consiste nell’esprimere la (17) in funzione di α, tenendo conto che α è piccolo e considerando i contributi dei termini fino ad α4 ; partendo dal noto sviluppo di sin(x) in serie di McLaurin x3 sin(x) = x − + O(x 5 ) 3! 8 ricaviamo dapprima #2 α α3 α2 α4 5 − + O(α ) = − + O(α6 ) 2 48 4 48 " #4 α α3 α4 4 α 4 5 k = sin = − + O(α ) = + O(α6 ) 2 2 48 16 α = k = sin 2 2 2 " e, sostituendo queste espressioni nella (17), si ottiene 1 2 1 9 T = T0 1 + α − α4 + α4 + O(α6 ) 16 192 1024 ed infine 1 2 11 T = T0 1 + α + α4 + O(α6 ) 16 3072 (18) 11 In quest’ultima formula, il rapporto tra il termine in α4 e quello in α2 vale 192 α2 ; tale rapporto è inferiore al 10% quando α ≲ 1.32 rad ≈ 76◦ , ed inferiore all’1% quando α ≲ 0.42 rad ≈ 24◦ . Trascurando i termini dell’ordine di α4 si introduce un errore relativo che è dato, a meno di termini O(α6 ), da ∆T 11 = α4 T0 3072 e che è inferiore all’1% già per oscillazioni di elongazione α ≲ 1.29 rad ≈ 74◦ . Nella normale tecnica di laboratorio si scelgono elongazioni massime dell’ordine dei 10◦ ≈ 0.17 rad: per le quali, trascurando il termine O(α4 ), l’errore relativo introdotto è . circa 3×10−6 (una parte su 300 000); mentre, trascurando anche i termini O(α2 ) ed usando la formula (5) delle piccole oscillazioni, l’errore relativo (che vale, a meno di termini O(α4 ), α2 ) sarebbe approssimativamente 2 × 10−3 (una parte su 500). 16 Concludendo, la formula che si ottiene dalla (18) trascurando i termini di ordine superiore a quello in α2 : ! α2 T = T0 1 + 16 si può ritenere esatta per le esperienze normalmente eseguite nel laboratorio. 5 L’usura del coltello Una differente causa di errore sistematico è l’usura del coltello di acciaio temprato mediante il quale viene realizzata la sospensione del pendolo, e che appoggia su una superficie piana anch’essa di acciaio temprato; per l’inevitabile consumarsi del metallo, il coltello non è infatti un diedro perfetto: ma la sua parte terminale (si veda la figura 3) può essere approssimata con una superficie cilindrica di raggio r che, per gli strumenti a disposizione nel laboratorio, è dell’ordine dei 5 × 10−2 mm. Per questo motivo il moto reale del pendolo (si veda la figura 4) non è una rotazione attorno ad un asse passante per il punto più basso del coltello, indicato con A sia in figura 9 O r S A S Figura 3: a sinistra, una rappresentazione schematica del coltello mediante il quale è realizzata la sospensione dei pendoli; a destra, il dettaglio. 3 che in figura 4; ma si può pensare che la superficie cilindrica di contatto tra il coltello ed il piano di appoggio SS rotoli senza strisciare attorno alla retta per R normale al piano della figura 4, retta la cui posizione cambia di istante in istante durante il moto. Durante le oscillazioni del pendolo il centro di curvatura del coltello, O, rimane costantemente sulla superficie piana TT parallela a quella d’appoggio SS e ad una distanza r da essa. Per complicare ulteriormente le cose, tutte le distanze misurate nel laboratorio sono riferite all’estremità terminale A del coltello e non al suo centro di curvatura; per cui, se G è il baricentro del pendolo, con h si deve intendere la distanza AG. Per cominciare, nel moto reale del pendolo il momento d’inerzia andrebbe calcolato rispetto all’asse di rotazione istantanea passante per R; e varrebbe quindi IR = IG + m · GR 2 (19) (usando il teorema di Steiner-Huygens, ed indicando con IG il momento d’inerzia rispetto ad una retta per G normale al piano della figura 4). Il teorema del coseno ci permette di scrivere GR 2 2 2 = GO + OR − 2GO · OR · cos ϑ = (r + h)2 + r 2 − 2r (r + h) cos ϑ 10 (20) T T O ϑ r r A S S R G Figura 4: l’effettivo moto di rotolamento del coltello sul piano di appoggio. 11 e, sfruttando la formula di bisezione (10) per esprimere l’angolo ϑ, la (20) diventa ϑ 2 GR = (r + h)2 + r 2 − 2r (r + h) 1 − 2 sin2 2 2 ϑ = (r + h) − r + 4r (r + h) sin2 2 = h2 + 4r (r + h) sin2 ϑ 2 per cui IR vale, sostituendo nella (19): IR = IG + mh2 + 4mr (r + h) sin2 ϑ ϑ = IA + 4mr (r + h) sin2 2 2 (21) La differenza tra IR ed IA è in pratica trascurabile, perché sia r che ϑ sono piccoli: essendo h ∼ 103 mm, approssimando (r +h) con h e supponendo che sia ϑ ∼ 10◦ , l’ultimo . termine della (21) è più piccolo di mh2 per un fattore 2 × 10−6 (una parte su 660 000): per cui il confondere IR con IA non comporta in realtà alcun errore apprezzabile. Dove invece l’usura dei coltelli introduce una significativa deviazione dal comportamento ideale è nel calcolo dell’energia potenziale da usare nella (6): infatti, usando come quota di riferimento per l’energia potenziale quella del piano TT, la (6) diventa 1 Iω2 − mg(r + h) cos ϑ = cost. 2 (ove I = IR ≈ IA ) e, ricavando il periodo delle piccole oscillazioni, questo varrebbe in realtà s s I h T = 2π = T0 mg(h + r ) h+r Tenendo conto che risulta r ≪ h, sviluppando il fattore di correzione in serie di McLaurin e fermandoci al primo termine3 : s h f (r ) = =⇒ f (0) = 1 h+r s h+r h 1 1 ′ · − f (r ) = =⇒ f ′ (0) = − 2 h (h + r )2 2h per cui, in definitiva, f (r ) = s h r ≈ f (0) + f ′ (0) · r = 1 − h+r 2h (22) e, con i valori dati per r ed h, l’errore sistematico sul periodo è dell’ordine di 2.5 × 10−5 . (una parte su 40 000). 3 Sul libro di testo è riportata una formula simile, ottenuta sviluppando invece 12 1 h+r ≈ 1 h − r h2 = 1 h 1− r h . 6 La spinta di Archimede Se il pendolo è fatto oscillare in aria, c’è un’ulteriore causa di errore sistematico: infatti la (1) deve essere modificata per tener conto del fatto che, oltre alla forza peso, agisce sul pendolo anche la spinta di Archimede. In pratica tutto avviene come se la massa del pendolo fosse leggermente più piccola (nel termine che esprime il momento delle forze agenti; in quello relativo al momento della quantità di moto non bisogna ovviamente effettuare alcuna correzione). Tenendo conto di questo, l’equazione del moto si deve scrivere (indicando con ρ e V densità e volume del pendolo, e con ρa la densità dell’aria): ρV · l2 dω + (ρ − ρa )V · gl sin ϑ = 0 dt ρ − ρa g d2 ϑ + sin ϑ = 0 dt 2 ρ l ed il periodo effettivo delle piccole oscillazioni è, rispetto al valore teorico T0 definito nella (5), dato invece dalla T = T0 s ρ ρ − ρa o, approssimativamente (usando lo stesso sviluppo della (22), essendo ρa ≪ ρ): T ≈ T0 ρa 1+ 2ρ ! (23) Essendo ρa ≈ 1.2 × 10−3 gr/cm2 e ρ ≈ 7.9 gr/cm2 , la correzione è dell’ordine di 8 × 10−5 . (una parte su 13 000). 7 Altre cause di errori sistematici Altri effetti sistematici esistono, ma sono difficilmente quantificabili per via esclusivamente teorica. Ad esempio, quando venne effettivamente misurato il periodo dello stesso pendolo in aria e sotto vuoto, la differenza risultò circa doppia di quanto previsto dalla (23); per spiegare questa discrepanza, Bessel la attribuì alla mancata considerazione degli attriti viscosi: che è ovviamente necessaria per descrivere completamente il comportamento del sistema nell’aria. Supponendo che il moto del pendolo avvenga in regime laminare, da una parte l’attrito viscoso si oppone al moto e diminuisce il momento delle forze applicate; dall’altra gli straterelli d’aria più prossimi al pendolo si muovono alla sua stessa velocità, e quelli adiacenti hanno velocità via via decrescenti man mano che ce ne allontaniamo: per cui massa e velocità di questi straterelli andrebbe considerata nel calcolo della quantità di moto. Questa analisi teorica è troppo complessa per essere svolta, ma l’esperimento su menzionato mostra empiricamente che questi effetti sono dello stesso ordine di grandezza di quello attribuibile alla spinta di Archimede. 13