LE DONNE NELLA GENEALOGIA DI GESÙ

Figure di donne nella Sacra Scrittura – Maria di Nazareth
LE DONNE NELLA GENEALOGIA DI GESÙ
MARIA DI NAZARETH, SPOSA E MADRE
INTRODUZIONE
Siamo giunti all’ultimo dei nostri incontri riguardanti le figure femminili presenti nella genealogia
di Gesù narrata dall’evangelista Matteo.
Abbiamo incontrato Tamar, Raab (o Racab), Rut. Non ci siamo soffermati sulla vicenda di “quella
che era stata la moglie di Uria”, ovvero Betsabea, madre del grande re Salomone.
Ricordiamo alcune caratteristiche di queste donne:
- sono donne straniere (di Betsabea in realtà non viene detto nulla riguardo la sua nazionalità,
ma essendo Uria Hittita, si presume che anch’essa fosse di quella popolazione);
- sono tutte donne “problematiche”; presentano condizioni di marginalità quando non
addirittura di scandalo (Tamar si finge prostituta per avere una discendenza, Raab lo fa di
mestiere, Betsabea tradisce il marito, Rut fa parte di una popolazione riprovevole agli occhi
degli ebrei…)
Inserendole però nel racconto delle origini di Gesù Matteo ci dice che meritano di essere per
sempre ricordate perché ci illuminano circa la logica di Dio e la logica dell’incarnazione.
Quando pensiamo a Dio, di solito, lo pensiamo come un essere perfetto. E per perfezione
intendiamo l’assenza di errore, regolarità ininterrotta, mancanza di difetto, assenza di imprevisti,
immobilità: che tutto vada come “deve” andare.
Ed invece, proprio guardando a queste vicende, a queste storie, a queste donne, sembra che
Matteo voglia dirci che la “perfezione” di Dio non vada in questa direzione. La sua “perfezione”
non ha la nostra logica. Non è neppure quello che chiede a noi; ha un altro “ordine”.
Ci sono due aspetti che vanno guardati, che queste donne ci richiamano.
Noi ci aspettiamo per Gesù un’origine se non nobile, per lo meno “dignitosa” (una volta si diceva:
poveri, ma con dignità…) ed invece, quasi provocatoriamente, nella sua genesi troviamo situazioni
di prostituzione, incesto, tradimento... Dio sceglie di legarsi, di incarnarsi dentro una storia
tutt’altro che perfetta, tutt’altro che “pulita”. Egli sembra proprio voglia “contaminarsi” con
l’ordinarietà delle vicende umane fatte di bontà, di generosità, ma anche di egoismo, di peccato.
Egli non sceglie il male; piuttosto, possiamo dire, va a “cercare e salvare ciò che era perduto” (cfr.
Lc 19,10) per potergli restituire dignità, possibilità di vita nuova. Del resto, ciò che è anticipato
nella sua origine, non è forse quello che poi incontriamo costantemente nei racconti evangelici?
L’altro aspetto, collegato al primo è il fatto che, queste donne ci mostrano che proprio quando
l’uomo si sente più fragile, più povero e bisognoso, è anche più disponibile ad accogliere
l’annuncio di salvezza, la promessa di bene per la sua vita. Le vicende delle origini ci dicono, in
fondo, che Gesù trova spazio, può incarnarsi perché, nonostante la fragilità e il peccato, incontra
cuori disponibili, affidati, disposti a mettere a disposizione la propria vita, pur così povera e fragile.
Tutto davvero è possibile nell’affidamento e nell’accoglienza della promessa di Dio per la nostra
vita.
Le donne, per natura, hanno questa disponibilità ad accogliere, a ricevere, a donarsi. Nelle donne
che abbiamo incontrato nella genealogia di Matteo, in particolare notiamo che:
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Figure di donne nella Sacra Scrittura – Maria di Nazareth
- “lottano” per una discendenza, un futuro, un bene non tanto per se stesse, ma per il popolo
di Israele. Non sono ferme e rassegnate sul presente, ma si fidano e affidano nella speranza
(che diviene certezza) di un bene più grande; sono aperte alla vita e al futuro;
- sono accoglienti, ospitali: Raab ospita e nasconde presso di sé le spie, ma più in profondità
accoglie la fede di Israele; Tamar accoglie e fermamente crede nella promessa di vita che la
legge del levirato contiene. Essa mette a rischio la sua reputazione e con essa la sua stessa
vita per questo; Rut accoglie fino in fondo la famiglia in cui è entrata a far parte con il
matrimonio rimanendo ad essa fedele: segue la suocera e sposa un parente del marito
defunto. Questa loro accoglienza si può definire fiducia e più in profondità fede nelle
promesse del Dio di Israele.
La “perfezione” che il Signore ricerca, dunque, è la “disponibilità del cuore”, ovvero uno spazio in
cui poter entrare e donare il suo amore, la sua salvezza, la sua vita.
La condizione di fragilità umana, allora, non è una colpa. In quanto uomini e donne, in quanto
creature, siamo fragili di natura, limitati. Ma non è un ostacolo questo. Lo è solo quando rifiutiamo
la condizione creaturale, perché significa rifiutare noi stessi ed il Signore. Può divenire, invece,
un’opportunità. Infatti, proprio riconoscendo il proprio limite, e lasciando spazio all’intervento di
Dio nelle nostre fragilità, la nostra vita può convertirsi, trova una qualità nuova, la qualità dei figli
di Dio, di uomini e donne nuove perché si riconoscono amati e cercati proprio nel bisogno e quindi
salvati.
E’ questo il nostro compito: credere alla presenza del Signore nella nostra vita, alla sua
benevolenza; essere disponibili al suo disegno nella fiducia che la sua promessa di pienezza di vita
si realizzerà nei modi e nei tempi che egli ha pensato per noi.
Ecco che allora Matteo ci presenta, a coronamento delle donne inserite nella genealogia, la figura
di Maria. Ella è il compimento, il modello di persona nuova perché ha vissuto pienamente
l’atteggiamento di affidamento e docilità al Signore. Per questo è madre di tutti i cristiani.
Ma che cosa ci consegna il vangelo di Matteo riguardo la figura di Maria?
IL SILENZIO SU MARIA
Tanto la tradizione e soprattutto la venerazione popolare ha detto riguardo a Maria quanto i
vangeli sono parsimoniosi rispetto alla sua figura. Il più generoso nei confronti di Maria (e delle
donne in generale) è l’evangelista Luca. Ricordiamo in particolare gli episodi dell’annunciazione, la
visitazione, la presentazione al tempio, il suo atteggiamento di custoda nel cuore di parole e
avvenimenti… L’evangelista Giovanni parla della Madre nell’episodio delle nozze di Cana e ai piedi
della croce, quando affida la madre al discepolo amato.
Nel vangelo di Matteo Maria compare quasi esclusivamente al tempo della nascita di Gesù, anche
se viene dato maggiore risalto alla figura di Giuseppe. Maria, addirittura, non ha voce, non
proferisce mai parola.
Questo silenzio è già una notizia. Maria non parla perché acconsente con la sua stessa vita1.
Quanti esempi di donne abbiamo – anche accanto a noi – che non usano molte parole, ma che
testimoniano nella vita ordinaria una dedizione ed un amore davvero esemplari! Bisogna, forse,
che impariamo a rimanere maggiormente in ascolto di queste situazioni silenti, ma preziose e ci
lasciamo meno abbagliare da tante parole che alle volte rimangono solo retorica (anche in
ambiente ecclesiale!)2.
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Del resto, anche le donne che abbiamo incontrato più che con tante parole mostrano con i gesti la loro fede.
Il silenzio educa all’ascolto. Non a caso anche Gesù ha vissuto trent’anni in silenzio a Nazareth, contro i tre di
missione pubblica. Questa “divina sproporzione” deve interrogare anche noi, il nostro modo di stare nella vita.
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Figure di donne nella Sacra Scrittura – Maria di Nazareth
MARIA, SPOSA DI GIUSEPPE
Dal Vangelo di Matteo (1,18-25)
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Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di
Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello
Spirito Santo.
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Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla
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pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando
queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe,
figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino
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che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo
chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
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Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal
Signore per mezzo del profeta:
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Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele,
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che significa Dio con noi. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva
ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa;
conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.
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senza che egli la
Maria è una ragazza normale, a cui si prospetta una vita normale: un matrimonio, dei figli. Ma la
cose non vanno così, secondo la nostra “perfezione”: Maria si trova incinta senza essere mai stata
con un uomo. La sua gravidanza è opera dello Spirito Santo. Due vita normali, quelle di Maria e
Giuseppe, come quelle di molti altri giovani del tempo, vengono sconvolte e si cancella l’orizzonte
prospettato e progettato.
Maria accoglie prontamente questa straordinaria situazione (cfr. Lc 1,38): accetta che la propria
vita sia “diversa” da come la pensava, che i propri progetti siano rovesciati. È l’inizio, il primo di
tanti sì che si susseguiranno silenziosi, tanto da passare quasi inosservati nei vangeli (i sì, per
essere tali, non devono necessariamente fare rumore, essere riconosciuti!).
Ella è totalmente (ed attivamente) rimessa nelle mani di Dio. Probabilmente ciò è possibile perché
nella sua vita è stata abituata da sempre a lasciare spazio al per primo di Dio in lei. Ma questo non
è sufficiente.
Non basta, infatti, la disponibilità di Maria: è necessario anche che il suo promesso sposo,
Giuseppe, acconsenta al progetto di Dio accogliendo quanto sta accadendo e dando il nome e
quindi una “origine” al bambino. Giuseppe, pur essendo uomo giusto, deve però maturare il suo sì.
Sostiamo alcuni istanti sulle figure di Giuseppe e di Maria. È importante questo testo perché,
seppur in filigrana, ci illumina riguardo il rapporto di coppia. Non ci sono dialoghi tra i promessi
sposi, non conosciamo ciò che si sono detti eppure, in quel momento così delicato e forse
drammatico che si sono trovati a vivere, a condividere, emerge grande rispetto e fiducia, un
consenso che matura insieme, la consapevolezza che il bene reciproco può corrispondere
solamente alla volontà di Dio.
Maria, in fondo, confidando nel Signore, sa che questo avviene attraverso l’affidamento concreto
al suo sposo. I vangeli non lo dicono, ma ella avrà certamente aperto il suo cuore a Giuseppe e,
nella condivisione profonda (che non è la condivisione dei propri diritti o dei propri bisogni…) si è
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Figure di donne nella Sacra Scrittura – Maria di Nazareth
aperto lo spazio di comunione, di accoglienza gratuita e grata del mistero di Dio. Anche Giuseppe,
del resto, non può credere al disegno del Signore senza dare credito alla sua sposa, senza darle
fiducia nonostante l’assurdità degli avvenimenti che stavano accadendo.
Questo, più in profondità, è stato possibile perché Maria e Giuseppe si sono lasciati istruire dal
Signore, hanno messo, anzi ri-messo a lui quanto vivevano, i loro progetti, il loro futuro, credendo,
appunto, che la volontà di Dio potesse essere il vero bene e il compimento delle proprie volontà.
Tutto ciò è avvenuto secondo “lo stile di Dio” anche tra di loro. Nessuna pretesa, nessuna
imposizione o arroganza. Hanno saputo guardare al bene dell’altro, anzi ad un bene ancora più
grande: quello del loro popolo3, sapendo rinunciare, o meglio, riconsegnare a Dio i loro desideri. E
solamente così (dentro questa consegna) i loro desideri profondi, apparentemente negati, trovano
piena realizzazione4.
La fede emerge, dunque, come modalità concreta di adesione ai fatti della vita ed alle persone che
ne sono coinvolte. Non possiamo dire di credere in Dio se non gli diamo credito effettivo (oltre che
affettivo) nella vita quotidiana (come anche negli eventi straordinari)!
MARIA, LA MADRE DI GESÙ
Dal Vangelo di Matteo (2,7-15.19-23)
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Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza
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il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e
informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere,
perché anch’io venga ad adorarlo».
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Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li
precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino.
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Al
vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il
bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni
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e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da
Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
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Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a
Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e
resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
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Anche le donne incontrate hanno agito non per il loro bene, ma per il bene più grande del popolo di Israele.
Ad un certo punto questi promessi sposi stavano “perdendo” tutto: il fidanzamento, il matrimonio, la
possibilità di un figlio loro. Dando la loro disponibilità al Signore, tutto, essi ricevono; tutto ciò che avevano
scelto e si potevano prendere o dare da sé ora lo ricevono in modo nuovo e impensabile. Forse anche noi
abbiamo davvero solo ciò che riceviamo. Infatti, entriamo in relazione con ciò che scegliamo e con ciò che
facciamo nostro solo quando lo accogliamo come dono. Solo quando riceviamo ogni giorno l’amore
dell’altro, la sua presenza come un dono, un dono sperato, ma su cui non abbiamo potere, solo allora le
nostre storie d’amore, così bisognose di salvezza, possono diventare storie salvate e storie che salvano,
come la storia di Maria e di Giuseppe. La vocazione chiede sempre di passare per la fatica di abbandonarsi a
ciò che il Signore chiede e che alle volte appare incomprensibile. Cfr. L. MANICARDI, Giuseppe, «uomo giusto»
(Mt 1,19). Dalla paternità di Giuseppe alla paternità oggi, «La Rivista del Clero Italiano» 93 (2012) 421-439.
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Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto,
dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal
Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
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Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto
e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele;
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sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il
bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele.
Se Maria è sposa di Giuseppe, Matteo ce la presenta anche, e principalmente, come madre, madre
del bambino Gesù.
È interessante vedere come, da questo brano di Matteo, sporga un piccolo “ritornello” che
riguarda Maria. Ella viene presentata come la madre di Gesù, o meglio la “madre del bambino”.
Anzi, il testo tradisce un altro aspetto interessante: non si parla di madre e bambino, ma di
“bambino e sua madre”. Prima c’è “il bambino”, e dopo, ma sempre insieme, c’è “sua madre”.
Si parla dunque non tanto del nome proprio di Maria, ma della sua identità data dal suo compito:
ella è essenzialmente la madre. Una madre speciale, certo. Da Maria è stato generato Gesù. È Dio
che genera (passivo teologico), ma perché Maria si rende totalmente disponibile. La sua
disponibilità rende feconda non solo lei, ma tutta l’umanità. Ogni bambino è vita e porta la vita,
ma quel bambino è venuto a portare una qualità nuova per tutti: in Gesù tutti sono resi figli del
Padre. E a Maria, in quanto madre, è chiesto di far crescere quel figlio, di donarsi a lui educandolo,
aiutandolo a crescere nell’ordinario dei giorni, facendo crescere nella “roccia” del proprio
affidamento a Dio quella vita che le era stata consegnata per tutta l’umanità. Ogni figlio (naturale
o spirituale) è una consegna per l’umanità, per la vita dell’umanità. Ogni persona, infatti, è segno
dell’amore di Dio e può diventare, con la propria vita, espressione della cura e dell’amore di Dio. E
Maria, in tutta la sua esistenza umile e nascosta, ha vissuto e trasmesso questo al figlio.
Abbiamo notato, nel testo, che la madre segue sempre il bambino: Maria sembra andare dove va
Gesù. Maria custodisce, ma allo stesso tempo è custodita. Maria genera, ma allo stesso tempo è
generata, resa feconda da questo bambino. Lo stare con il bambino rende partecipe la madre della
stessa missione del figlio, del suo stesso cammino. È il bambino che determina la meta della
madre. Sembra banale questo, ma in realtà è illuminante anche per noi, che siamo a volte così
impegnati ad avere in mano la nostra vita, a cercare la direzione verso cui rivolgere i nostri passi (a
livello personale, sociale, ma forse anche a livello ecclesiale). È Gesù, che fin dagli inizi conduce la
nostra vita, ci indica la strada, la direzione. Maria si è lasciata “guidare” da Gesù perché è rimasta
in ascolto di questo bambino: ha custodito quanto accadeva, meditato, conservato nel cuore,
contemplato. Non a noi dobbiamo volgere lo sguardo, ma a Gesù, che abbiamo davanti a noi, che
ci è chiesto di custodire, far crescere… Maria ci suggerisce che la fede si forma a partire dalle
esperienze ordinarie, quotidiane, abitate dalla presenza del Signore, nella consapevolezza che lui è
sempre con noi, che da lui siamo preceduti. Il bambino e sua madre sembrano quasi un
“pacchettino” portato di qua e di là da Giuseppe. In realtà non si tratta di un “sballottamento”
senza meta, perché attraverso la povera mediazione di Giuseppe, possono compiere la volontà del
Padre. La fede (e con essa la presenza di Dio) non si trova da un’altra parte rispetto alla nostra vita,
alle persone che ci circondano, alle situazioni che ci troviamo a vivere.
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PER CONCLUDERE
In questa prima serie di incontri, abbiamo accostato donne diverse per esperienze, situazioni, ma
accumunate tutte dalla fiducia nell’azione del Signore nella loro vita ed in quella del popolo di
Israele. Esse hanno “capito” che Dio aveva scelto di portare la salvezza proprio attraverso di loro,
non certamente perché erano le migliori, le più adatte, ma perché si erano dimostrate disponibili,
accoglienti. Non è importante la condizione in cui ci troviamo: sempre possiamo “dare vita” se
decidiamo di consegnarla nelle mani del Signore, se scegliamo di lasciarci guidare da lui. Non è
forse un caso se a testimoniare la fecondità della fede sono spesso donne (povere, ma accoglienti;
fragili, ma determinate al bene): questo può essere un indizio da seguire e da valorizzare nella
Chiesa…
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