VII Convegno Nazionale „ Assistenza sanitaria per gli stranieri “ ANIMI – Associazione Nazionale per l'Immigrazione Roma (Italia), 13 dicembre 2014 «Altezza Reale», la fuga del cervello - Le demenze possono conseguire allo stress? - Gualtiero A.N. Valeri, Segretario Generale del CIFA – Centro Internazionale Fattori Ambientali – Bellinzona (Svizzera) - Nei paesi in cui si è evoluta una struttura socioeconomica avanzata, uno dei problemi piú complessi (ed onerosi) da gestire è il diritto alla salute. Il diritto alla salute è, in tali sistemi, in qualche modo garantito a livello costituzionale, e le prestazioni sanitarie e l'assistenza, in caso di malattia od infermità permanente, o sono erogate o sostenute direttamente dallo Stato o dalla Pubblica Amministrazione, o comunque regolamentate dallo Stato, ed, in ogni caso, quando il cittadino non possa sostenerne i costi per qualche ragione, questi vanno direttamente a carico dello Stato medesimo. Al contrario, solitamente, in paesi dove tale struttura socioeconomica avanzata non sussiste, il malato o chi soffre di una infermità permanente, in molti casi gode dell'assistenza della famiglia o della comunità che si fa carico degli oneri e delle cure (cioè analogamente, in ultima analisi, agli Stati dove vige il modello suddetto); questo – che è quanto avviene solitamente nelle comunità tradizionali – puó venir meno quando entra in crisi il principio solidaristico della comunità (ad esempio in casi di rapido e disordinato inurbamento, o migrazione, comunque di rapido cambiamento della struttura sociale stessa, o situazioni di emergenza). Solo in casi estremi e dove la comunità, per le difficili condizioni ambientali, non puó garantire la cura e l'assistenza dell'infermo, specie se incurabile o irrimediabilmente non piú autosufficiente, esso è accompagnato verso la “dolce morte”. Il problema della copertura della spesa sanitaria ed assistenziale è oggi un fattore critico anche per i paesi ad economia piú avanzata, a meno che lo Stato non disponga di tali e tante risorse da potersene fare interamente carico senza chiedere ai cittadini una partecipazione monetaria. Peggio ancora, in molti paesi la sanità è diventata oggi un “business” ed alimenta una complessa macchina speculativa che addirittura mette in discussione lo stesso diritto alla salute ed a una vita degna dell'individuo (cioè il presupposto di partenza), anche se incapace di provvedere a sè stesso. L'aumento dell'aspettativa di vita, nel contempo, ha moltiplicato l'incidenza delle malattie connesse al progredire dell'età (quando un tempo, solitamente, giungevano a tarda età solo gli individui sani, attivi ed – in qualche misura – autosufficienti) e dunque gli oneri connessi all'assistenza e cura di malati e disabili. Peraltro si osserva che in società in evoluzione da una fase fondamentale, ad una fase preindustriale, a quindi una fase industriale, l'aspettativa media di vita aumenta, ma diminuisce la longevità (la maggioranza giunge a 70÷80 anni di età, ma pochissimi superano i 90÷100 anni, mentre in stadi precedenti la vita media, ad esempio, era di 40÷50 anni, ma un consistente gruppo arrivava al secolo di vita circa) [vedi es. serie dati recenti dell'Instituto Naciónal de Estadística y Censos del Ecuador]. Sotto questo punto di vista le demenze senili, nelle varie forme in cui possono presentarsi, sono un carico particolarmente gravoso per lo Stato chiamato ad accollarsi gli oneri di cura ed assistenza, e generano, inoltre, gravi crisi nella famiglia di cui fa parte il soggetto colpito. Mentre per tante altre patologie la farmacologia moderna ha ottenuto delle molecole, o riscoperto e perfezionato principi attivi magari da tempo noti, che hanno trasformato malattie - un tempo temute perchè invalidanti o mortali - in malattie curabili senza o con limitate conseguenze, nel caso delle demenze, realmente, i rimedi farmacologici mostrano una limitata o nulla efficacia. Ció è spiegabile con l'enorme complessità del sistema neurochimico quantomeno degli animali superiori, dove si concatenano migliaia di reazioni biochimiche. Quale è l'anello spezzato o deformato della catena biochimica? Ed individuatolo, come ripararlo? Se noi introduciamo una qualche molecola dall'esterno, come possiamo essere sicuri che essa vada ad agire proprio sulla reazione biochimica che Gualiero A.N. Valeri “«Altezza Reale», la fuga del cervello – Le demenze possono conseguire ad uno stress?”, Lugano, 29/11÷11/12/2014 1/4 abbiamo scoperto essere alterata? Che la molecola giunga esattamente sul bersaglio? Che non affetti invece un altro punto della catena, ora efficiente? I progressi nella conoscenza teorica del sistema neurochimico sono stati, negli ultimi decenni, incredibili. Ma per la detta enorme complessità, i rimedi farmacologici non hanno sortito gli effetti sperati, o solo in maniera molto limitata. Esistono inoltre altri due aspetti: la conseguenza della complessità, per cui diventa impossibile prevedere la reazione del sistema ad uno stimolo specifico; ed il fatto che un organismo vivente non basa il suo funzionamento solo sulle interazioni di taluni gruppi funzionali di certe molecole con i gruppi funzionali di altre molecole, ma anche su fenomeni di natura fisica e non esclusivamente chimica, come la termodinamica generale di un sistema di molecole, il passaggio di segnali elettrici o di altra natura non ben nota, ed addirittura fenomeni quantistici, dato che le reazioni biochimiche sono reazioni a bassissima energia, e pertanto possono essere determinate anche in maniera quantistica da segnali debolissimi. Metodi moderni di terapia non su base farmacologica, o non esclusivamente farmacologica, stanno in questi anni mostrando un'efficacia inaspettata, che conferma quello che ai medici era noto sin dalla piú remota antichità: un organismo vivente, messo in condizioni opportune, per la specifica ed unica caratteristica della materia viva di procedere da uno stato disordinato verso uno stato ordinato, tende sempre ad autoripararsi od a compensare il danno. Per cui il piú complesso sistema di cellule esistente, il tessuto nervoso, la cui distruzione è sempre stata considerata come irreversibile, mostra pure la capacità di autoripararsi, rigenerasi o compensare il danno se messo nelle condizioni opportune. Questa potrebbe essere una delle piú grandi scoperte nel settore delle scienze della vita del XXI secolo. Vediamo, dunque, che soggetti con danni piú o meno profondi del sistema nervoso centrale, metodicamente stimolati e – per cosí dire – rieducati a formulare pensieri, parole (due cose strettamente correlate) ed azioni del vivere quotidiano ristabiliscono o recuperano la funzionalità di gruppi di neuroni, ritornando, in tempi piú o meno lunghi, in misura maggiore o minore, verso un'esistenza detta “normale”. Sembrerebbe, inoltre, dai risultati di ricerche recenti, che anche le funzioni logiche o di trasmissione di segnali nel cervello siano duplicate, o che gruppi di neuroni possono assumere le funzioni di altri gruppi nel caso che questi vengano danneggiati; questo spiega, ad esempio, la sindrome dell'arto fantasma, dove, quando un arto è amputato, il gruppo di neuroni che controllava quella parte del corpo, mancando i segnali provenienti da questo, crea “connessioni logiche” con un gruppo di neuroni adiacenti, ricevendo segnali spuri che vengono interpretati come provenienti dall'arto che non c'è piú. Per cui il cervello appare strutturato come i sistemi di elaborazione dati di tipo “resilience”, dove, in caso di guasto o danno di un server, un altro server anche remoto che ha i processi del primo duplicati in tempo reale, interviene istantaneamente per supplire le funzioni del server guasto o comunque il cui funzionamento è interrotto. O dei normali CD/DVD (od i sistemi RAID) di uso quoditiano, dove le informazioni sono registrate due o piú volte sul supporto, per cui il danno di una traccia non compromette l'informazione registrata, duplicata in un'altra traccia in una diversa zona del mezzo di memoria stesso. Questo incredibile ed affascinante meccanismo creato dalla Natura e che oggi iniziamo appena a decifrare, peró, ci apre anche uno spiraglio sulle cause (o concause) per cui il detto fenomeno delle demenze puó insorgere. In un'opera giovanile di Thomas Mann, “Altezza Reale” compaiono due personaggi colpiti da una piú o meno grave forma di demenza: una è quella di un signore che, tutti i giorni, quando il treno sta per partire dalla piccola stazione del Granducato, si pone sulla banchina della stazione e crede di dare il segnale di partenza del treno togliendosi il cappello; quando il treno parte, egli, soddisfatto di avere fatto il proprio dovere, si allontana. Chiaro che il treno non parte per il suo segnale, ma per quello dato dal capostazione, ma egli è convinto di essere lui a far partire il treno. La seconda figura, molto piú interessante per noi, è quella di una nobildonna colpita duramente dalla vita nella sua famiglia e nella sua sicurezza economica. Ella viene presa, per compassione, come dama di compagnia di una aristocratica signora, e vive tranquillamente in un permanente distacco dalla realtà. Ella Gualiero A.N. Valeri “«Altezza Reale», la fuga del cervello – Le demenze possono conseguire ad uno stress?”, Lugano, 29/11÷11/12/2014 2/4 è cosciente – in qualche misura - del suo stato, ma anzichè di considerarlo una disgrazia, ne parla come del “suo beneficio”. A fronte degli eventi psicologicamente traumatici che gli sono occorsi, la mente della nobildonna “stacca i contatti” dalla realtà, e si isola da essa per entrare in un suo mondo interiore privato ed esclusivo, permettendogli cosí di sopravvivere ad eventi tanto difficili da tollerare ed accettare che avrebbero, forse, addirittura posto fine alla sua esistenza fisica, od avrebbero potuto determinare l'insorgere di patologie mentali ben piú devastanti. La nobildonna, eliminata in gran parte la realtà che la circonda dal suo flusso di pensieri, trova una esistenza nuova e parzialmente incosciente del mondo esterno, in cui essa vive, in qualche maniera, serenamente. Prendendo spunto da questo, quali sono gli elementi che oggi possono determinare un aumento sensibile delle demenze piú o meno senili? Perchè sembrerebbe che in altre strutture sociali, piú fondamentali, ed in particolare in ambiti meno urbanizzati, ci sia una minore incidenza di forme di demenza, oppure non se ne osservino che raramente? Uno studio statistico accurato potrebbe fornire elementi utili a comprendere la reale entità di questo fenomeno. Mancano i soggetti che manifestano forme di demenza oppure questi non sopravvivono? Comunque appare una incidenza molto minore di casi rispetto alla nostra realtà urbanizzata. Ricordo un acuto libro di storia dell'urbanistica moderna: “Città industriale, città aliena”1. Solo “città aliena” od anche “città alienante”? Sia ben chiaro che l'idilliaca “Arcadia” degli idealisti di tre secoli fa è una mistificazione. La vita nelle comunità rurali od ancestrali è difficile, dura, dove gli agi mancano in parte od in tutto, spesso dove “si sta come su gli alberi le foglie”. Ma solitamente in tali comunità c'è una struttura sociale ed economica solidaristica; anche, naturalmente, con occasionali tensioni e liti, ma dove è ben chiaro che la sopravvivenza del gruppo si basa sull'impegno di ciascuno, e spesso la trasgressione di tale norma non è nè concepibile nè concepita. Ma è uno stimolo continuo, nessuno è inutile, dal bambino al vecchio, dove ciascuno sa che la sua sopravvivenza e quella della sua famiglia, quella della sua comunità dipende dal lavoro di tutti ma, soprattutto, da sè stesso. L'individuo è allontanato e cessa di far parte della comunità solo a fronte di una colpa grave ed imperdonabile. Voglio ricordare lo splendido dialogo tra Gelsomina ed il “Matto” 2 ne “La Strada” di Fellini: “Tutto ció che esiste serve a qualcosa, anche questo piccolo sasso. - Perchè, a che cosa serve quel sasso? Non lo so, se lo sapessi sarei Dio, ma certo a qualcosa serve!”. E la teneramente folle Gelsomina guarda incantata tale sassolino, e pensa che forse, anche lei, la povera Gelsomina, a qualcosa serve: anche se lei stessa, a che serva, non lo sa, e si conforta a questo pensiero. Ma oggi, nella “città aliena ed alienante”, o meglio in una società aliena ed alienante, chi esce dal circuito della produzione, non trova piú il “Matto” che lo conforta, diventa inutile per sè stesso e per gli altri, e perde la sua ragione di esistere. Cosí il caso di chi ha perso il lavoro, o la famiglia, o la salute. Egli diventa solo rispetto ad una realtà di cui egli non fa piú parte e che lo isola. Le alternative sono la morte o, appunto, la demenza. E c'è poi il fattore ambientale. Negli agglomerati di oggi le persone non si accorgono piú del trascorrere delle stagioni, ma nemmeno dell'alternarsi del giorno e della notte. Tanto l'ambiente è sempre eguale, e c'è la luce artificiale, che, talvolta, sostituisce addirittura completamente la luce naturale (ed anche i bioritmi si perdono). La vita 1 Gianfranco Privileggio, “Città industriale, città aliena”, Padova, 1970. 2 La contrapposizione tra il “Matto”, funambolo sognante ed irridente – che, nel dialogo con Gelsomina, appare come figura profetica - ed il materialissimo e rude Zampanó, e quindi l'uccisione del “Matto” da parte di Zampanó (che non riesce poi piú a liberarsi del rimorso per questo suo atto, che porta anche all'abbandono ed alla morte di Gelsomina), è la simbolizzazione della contrapposizione tra Sacro e profano, che incontrandosi si distruggono a vicenda. Il profano incontra il Sacro e lo distrugge, ma il profano stesso, dopo la morte del Sacro, si riscopre vuoto e disperato. Si noti che la figura felliniana del “Matto” ricorda da vicino l'omonima lama dei Tarocchi, talvolta ricollegata alla manifestazione dello Spirito e dell'Energia Divina. Gualiero A.N. Valeri “«Altezza Reale», la fuga del cervello – Le demenze possono conseguire ad uno stress?”, Lugano, 29/11÷11/12/2014 3/4 diviene solo una monotona corsa verso la morte, un nulla che nemmeno è piú esorcizzato dalla religione, che è un qualcosa di irrazionale, “per cui inutile” e dunque da cancellare. Le grandi metropoli sono diventate, perlopiú, tutte identiche a tutte le latitudini ed in ogni continente. Gli edifici sono spersonalizzati, l'architettura scompare per far posto ai “metri cubi”, le superfici divengono un infinito continuum di vetro, cemento ed acciaio, grigie con il buon tempo ed ancora piú grige nella brutta stagione. Il Sole talvolta fa solo capolino tra un edificio ed un altro. Le stelle non esistono piú, la Luna è inutile perchè ci sono i lampioni. Persino le ultime presenze di organismi vegetali sono confinate e regimate nei parchi pubblici e nelle aiuole stradali, programmate ed immutabili, progettate e stereotipate. É l'incubo della “Metropolis” di Fritz Lang, ma nemmeno con le sorprendenti architetture, futuristiche e visionarie, ispirate ad Antonio Sant'Elia. Vengono pertanto a mancare gli stimoli. L'alternativa al lavoro, il “tempo libero” è un qualcosa di problematico che va programmato e riempito secondo schemi prestabiliti, come, ad esempio, la televisione o la vacanza pianificata in una località egualmente pianificata e prevedibile. Oppure vi è la fuga disperata verso gli eccessi. L'oggi diventa eguale al ieri ed il domani sarà eguale all'oggi, in un incubo senza fine. La vecchiaia diventa un problema, anzi, è considerata una malattia. I cambiamenti fisici del corpo con il progredire dell'età diventano ossessionanti, segnali che si sta perdendo la propria funzione sociale e che il nulla – la morte - si avvicina. Tutto ció è umanamente intollerabile, ma, per fortuna!, ecco che arriva “il beneficio”: comincia il processo di distruzione dei neuroni, il cervello stacca le connessioni con il mondo esterno che viene progressivamente cancellato. Lo stress provoca una accelerazione del metabolismo, che genera radicali liberi e specie ossidanti che non sono piú sufficientemente eliminate dalla perossidasi e dagli altri enzimi preposti, e (semplificando al massimo) questo provoca fisicamente l'attacco e la distruzione delle cellule nervose. Lo stesso meccanismo determina, parimenti, un invecchiamento accelerato dei tessuti, diminuzione delle difese immunitarie, insorgenza di neoplasie (la “sindrome di Hammer”). Le malattie e la demenza, allora, forse, si possono prevenire non solo con i farmaci e con un sistema sanitario mastodontico e pervasivo, che pianifica nascita, vita, malattia e persino morte, e che alla fine diventa dispendioso ed ingestibile, ma anche ripristinando una qualità di vita che non è garantita e garantibile solo dall'economia, ma ricreando degli spazi (lo spazio evolve anche il tempo, come nell'architettura il vuoto ed il pieno si generano a vicenda), definibili secondo un termine spesso abusato, “a misura d'uomo”, e costruendo una diversa consapevolezza sociale, dove l'individuo sia una cellula e la comunità un tessuto vivente. La crescita delle demenze senili e la loro genesi, è dunque per noi, uomini del XXI secolo, un monito: cerchiamo di non ripercorrere la strada dell' “Immortale” di Jorge Louis Borges, che dopo avere attraversato ogni avventura e sfida per arrivare all'acqua che dona l'immortalità ed alla città degli immortali (ridotti a mummie inerti e vegetanti), inizia una ricerca di millenni per trovare, infine, l'acqua che dona la morte. Lugano/Roma, 29 novembre – 11 dicembre 2014 CIFA - International Committée for Research and Study on Environmental Factors Gualtiero A.N. Valeri – Segretario Generale Via Lugano, 4 - 6500 Bellinzona (CH) Cell. +41/78/824.26.22 (CH) - +39/349/7606.202 (IT) - +593/969/137.685 (EC) e-mail: [email protected] Web: www.cifafondation.org Gualiero A.N. Valeri “«Altezza Reale», la fuga del cervello – Le demenze possono conseguire ad uno stress?”, Lugano, 29/11÷11/12/2014 4/4