2 Campo elettrostatico nel vuoto La proliferazione delle innumerovoli applicazioni dell’elettromagnetismo non poteva essere possibile senza l’aiuto di scienziati che con il loro lavoro teorico e sperimentale hanno contribuito alla formalizzazione della teoria elettromagnetica. Essa è una disciplina alquanto complessa e di difficile divulgazione a causa delle non poche difficoltà matematiche legate alla risoluzione delle equazioni che descrivono i fenomeni elettrici e magnetici. La base teorica di questa disciplina non può prescindere dalla comprensione delle proprietà fondamentali della carica elettrica. A tale scopo gli intensi studi della fisica del XX secolo hanno avuto come risultato la consapevolezza che la carica elettrica, allo stesso modo della massa e della dimensione spaziale, deve essere considerata come una proprietà fondamentale della materia. Da osservazioni sperimentali è stato constatato che essa si manifesta in natura in due forme simmetriche chiamate carica positiva e negativa. Le proprità fondamentali della carica elettrica sono: • Interazione con altre cariche per mezzo di una forza repulsiva, tra cariche della stessa natura, o attrattiva, tra cariche di natura differente. • Validità del principio di sovrapposizione e cioé che la forza totale prodotta da un sistema di cariche su una carica di prova è uguale alla somma delle forze prodotte da ognuna. • Conservazione e cioé in tutti i sistemi fisici, compresi quelli in cui si ha creazione e distuzione di particelle, la carica totale iniziale è sempre uguale a quella finale. • Quantizzazione intesa nel senso che esiste una carica elementare finita associata alla più piccola particella subatomica. Tali cariche elementari interagiscono tra loro tramite forze elettriche in modo tale da generare a livello macroscopico la percezione di contatto fisico. • Invarianza relativistica: la carica elettrica totale è sempre la stessa per tutti gli osservatori inerziali e quindi, a differenza di quanto accade per la massa, essa non dipende dalla velocità della particella carica. • Cariche elettriche ferme e cariche elettriche in movimento (correnti) agiscono come sorgenti del campo e.m. Di conseguenza le leggi fondamentali del campo elettrico e magnetico possono essere ricavate sia in condizioni statiche sia nella forma che contiene esplicitamente la dipendenza dal tempo. In generale le due fenomenologie sono incluse in leggi fondamentali 22 2.1. Campo elettrostatico 23 descritte in forma matematica dal sistema di equazioni di Maxwell. Pertanto il primo passo da compiere per la comprensione dei fenomeni elettromagnetici consiste nel ricavare formalmente la struttura matematica di queste leggi. 2.1 Campo elettrostatico A causa della non facile comprensione della teoria del campo e.m. conviene ricavare le equazioni generali che governano i fenomeni elettromagnetici seguendo una metodologia articolata su livelli crescenti di difficoltà. A tale scopo si consideri per prima il caso in cui la distribuzione delle sorgenti genera un campo statico e cioé indipendente dal tempo. In questo caso particolare la forza che agisce sulla sorgente di prova puntiforme è solo funzione del raggio vettore tridimensionale che individua la sua posizione nello spazio. Inoltre, allo scopo di evidenziare particolari proprietà di simmetria del campo statico assume grande importanza la situazione in cui le sorgenti che generano il campo sono puntiformi. Come mostrato in Figura 2.1, si consideri il sistema di riferimento cartesiano Oxyz e due cariche puntiformi q1 e q poste rispettivamente nello spazio vuoto in corrispondenza dei punti Q(x′ , y ′ , z ′ ) e P (x, y, z). Si ipotizzi inoltre che la distanza di ogni carica dall’origine sia individuata dai raggi vettore r′ = x′ ax + y ′ ay + z ′ az e r = xax + yay + zaz , dove ax , ay , az sono i versori degli assi coordinanti. Con riferimento al concetto di azione a distanza l’interazione fra le due cariche può essere quantificata supponendo che fra di esse sia presente una forza che in accordo con la legge di Coulomb è fornita dalla relazione: ( ) 1 q1 q R q1 q q1 q ∇ (2.1) aR = =− F(r) = 4πϵ0 |R|3 4πϵ0 |R| 4πϵ0 |R|2 dove ϵ0 = 8.8542 × 10−12 (F/m) è la costante dielettrica del vuoto, e R = |R| aR = r − r′ = (x − x′ )ax + (y − y ′ )ay + (z − z ′ )az è la distanza tra le due cariche dove aR = R/ |R| indica il vettore di modulo unitario che dalla carica q1 punta verso la carica q. Nella (2.1) è stata usata la notazione ∇ = ∂/∂x ax + ∂/∂y ay + ∂/∂z az ( e la relazione: ∇ 1 |R| ) =− R |R|3 Un modo più efficace per rappresentare la realtà fisica dell’interazione elettrostatica consiste nell’uso della nozione di campo elettrico. In questo tipo di trattazione si può immaginare che la carica elettrica q1 modifica lo spazio generando un campo di forza. Fintanto la carica elettrica q1 è isolata non è possibile rilevare tale campo in nessun punto dello spazio; l’unico modo per superare il problema consiste nell’usare una carica di prova puntiforme q che può essere posizionata in tutti i punti dello spazio eccetto quello Ing. Luciano Mescia 2.1. Campo elettrostatico 24 Q(x',y',z') q1 R=r-r' r' P(x,y,z) q z r O y x Figura 2.1: Rappresentazione schematica dell’interazione elettrostatica tra due cariche elettriche puntiformi occupato dalla carica q1 . Infatti, la carica di prova interagendo con il campo risente dell’azione di una forza il cui valore in ogni punto, fornito dalla (2.1), è proporzionale alla sua quantità di carica q. Procedendo in questo modo non è necessario ipotizzare che il campo generato dalla carica di prova puntiforme sia debole rispetto al campo in cui viene collocata visto che quest’ultimo è per definizione determinato solo dalla carica q1 . Di conseguenza è possibile svincolarsi dal valore particolare della carica q su cui agisce la forza e considerare quindi una carica di prova unitaria. In queste ipotesi la forza F esercitata dalla carica q1 sulla carica unitaria q prende il nome di campo elettrico E il quale è definito da: F(r) = qE(r) (2.2) Si osservi che il campo di forza in ogni punto della regione di spazio è completamente determinato dalla conoscenza del campo E. Sostituendo nella (2.2) la (2.1) si ha: ( ) [ ] 1 N q1 R q1 ∇ (2.3) E(r) = =− 3 4πϵ0 |R| 4πϵ0 |R| C da cui si vede che l’espressione del campo elettrico statico dipende esplicitamente dalla sua sorgente q1 e dalla distanza del punto in cui si vuole valutare il campo dalla sorgente stessa. Se invece la sorgente del campo elettrico è costituita da un insieme discreto di cariche elettriche qi , con i = 1, 2, . . . N , individuate rispettivamente dai raggi vettore r′i , in virtù della proprietà di linearità dello spazio vuoto è possibile applicare il principio della sovrapposizione degli effetti e ricavare il campo elettrico totale come somma vettoriale del campo elettrico generato da ogni singola sorgente: ( ) N ∑ qi R i 1 1 ∑ E(r) = qi ∇ (2.4) =− 4πϵ0 |Ri |3 4πϵ0 |Ri | i=1 i dove Ri = r − r′i è il raggio vettore che collega la generica carica qi con il punto P in cui si vuole valutare il campo. Ing. Luciano Mescia 2.1. Campo elettrostatico 25 Quando la sorgente del campo elettrico può essere assimilata ad una distribuzione continua di carica localizzata all’interno di una regione limitata di volume V è utile introdurre il concetto di densità spaziale di carica ρ definita dalla relazione ] [ ∆q dq C ρ = lim = ∆V →0 ∆V dV m3 dove ∆V è l’elemento di volume e ∆q è la carica netta contenuta in tale volume. Naturalmente, tenendo conto della natura quantizzata della carica, il limite non può essere considerato in senso matematico. Infatti quando ∆V assume valori tanto piccoli da far apparire significative le discontinuità interatomiche la funzione ρ non ha più la regolarità richiesta dalla fisica matematica. Tuttavia nei classici problemi dell’elettromagnetismo sono studiati fenomeni che coinvolgono dimensioni di svariati ordini di grandezza superiori alle dimensioni atomiche. Su queste dimensioni macroscopiche è possibile trascurare la natura granulare della carica e perciò il rapporto ∆q/∆V può essere assimilato ad una funzione regolare. Di conseguenza la definizione della densità di carica ρ ha senso solo quando l’elemento di volume ∆V è abbastanza grande da contenere un numero elevato di atomi e nello stesso tempo abbastanza piccolo da poter essere assimilato ad un punto su scala macroscopica. In queste ipotesi il campo elettrico totale generato da una carica distribuita nel volume V può essere pensato come il risultato della somma dei campi elettrici dE generati dalla carica elementare dq = ρ(r′ )dV che in base alla (2.3) è fornito dalla relazione ρ(r′ ) r − r′ 3 ′ d r dE = 4πϵ0 |r − r′ |3 e da cui il campo totale è ottenuto per mezzo di un operazione di integrazione ( ) ∫ ∫ 1 ρ(r′ ) r − r′ 1 ′ ρ(r )∇ d3 r ′ E(r) = dV = − 3 ′| ′ 4πϵ 4πϵ |r − r 0 |r − r | 0 V V ) ( ∫ ∫ 1 1 ρ(r′ ) ρ(r′ ) 3 ′ 3 ′ =− d r = − ∇ d r ∇ ′ 4πϵ0 V |r − r′ | 4πϵ0 V |r − r | (2.5) La (2.5) è stata ottenuta utilizzando il fatto che ρ(r′ ) non dipende dalle coordinate sulle quali agisce l’operatore ∇ e cioé quelle del raggio vettore r. Osservando inoltre che le funzioni 1/ |r − r′ | e ρ sono scalari si ha che anche l’operazione di integrazione fornisce come risultato una funzione scalare. Di conseguenza il campo elettrico può essere definito in termini di una funzione scalare ϕ secondo la relazione E(r) = −∇ϕ(r) con 1 ϕ(r) = 4πϵ0 ∫ V ρ(r′ ) 3 ′ d r |r − r′ | (2.6) (2.7) 2.1.1 Potenziale scalare elettrostatico Dalla (2.6) è chiaro che le proprietà del campo elettrico possono essere derivate da quelle di una nuova grandezza, il potenziale elettrostatico. Tale operazione semplifica Ing. Luciano Mescia 2.1. Campo elettrostatico 26 A C3 C1 E F q dl C2 B Figura 2.2: Potenziale elettrostatico sicuramente i calcoli in quanto consente di risolvere un problema vettoriale partendo da uno scalare, e nello stesso tempo si presta alla soluzione di tutti quei problemi in cui non è nota in partenza la distribuzione delle sorgenti. Esaminando la (2.7) si vede che la funzione scalare gode di alcune proprietà molto interessanti. Si può dimostrare che essa è una funzione continua in tutti i punti dello spazio compresi quelli interni al volume V in cui è contenuta la carica. Inoltre se le cariche sono contenute in una regione di spazio limitata è facile rendersi conto che il potenziale si annulla all’infinito. Si osservi infine che esso non è unico in quanto le infite funzioni potenziali ϕ′ (r) = ϕ(r) + c, con c costante arbitraria, verificano la (2.6) in quanto ∇c = 0. La presenza della costante arbitraria è legata al fatto che nella (2.7) il potenziale è ricavato da un’operazione d’integrazione. Una interpretazione fisica coerente del potenziale scalare è ricavabile nel momento in cui si considera il lavoro fatto da una forza esterna per muovere la carica di prova q senza accelerazione tra due punti qualsiasi A e B all’interno del campo elettrico E generato dalla carica q1 , come mostrato in Figura 2.2. Infatti affinché la carica si muova senza accelerazione è indispensabile che la forza netta agente sulla carica sia nulla e cioé che la forza esterna Fest bilanci in ogni punto la forza Fe esercitata dal campo elettrico Fest + Fe = 0 ⇒ Fest = −qE Pertanto il lavoro compiuto da questa forza è ∫ ∫ B L=− qE · dl = −q A e cioé B dϕ = ϕ(B) − ϕ(A) (2.8) A ∫ B A Ing. Luciano Mescia E · dl A da cui tramite la (2.6) si ricava ∫ B ∫ L=q ∇ϕ · dl = q A B E · dl = −[ϕ(B) − ϕ(A)] (2.9) 2.1. Campo elettrostatico 27 Dalla (2.9) si osserva che il lavoro fatto dal campo elettrico per spostare la carica unitaria positiva dal punto A al punto B è pari alla differenza di potenziale ϕ(A)−ϕ(B) e dipende solo dalla posizione del punto di partenza A e di arrivo B e non dal particolare cammino scelto per passare da un punto all’altro, vedi Figura 2.2. Pertanto si dice che il campo elettrico è conserativo. Ma se il campo elettrico gode di questa proprietà significa anche che il lavoro fatto dallo stesso lungo un qualsiasi cammino chiuso che congiunge A con B è nullo. Per renderci conto di questa proprietà si applichi ad ambo i membri della (2.6) l’operazione ∇× ed utilizzando la relazione ∇ × ∇ϕ = 0 si ottiene: ∇ × E = −∇ × ∇ϕ = 0 (2.10) e cioé che il campo elettrostatico E è irrotazionale. Si consideri ora un cammino di circuitazione l e la superficie S che si appoggia su tale cammino e si valuti il flusso del vettore ∇ × E attraverso S. Dalla (2.10) si ha ∫ ∫ ∇ × E · dS = ∇ × E · n dS = 0 (2.11) S S dove dS = n dS è il vettore normale alla superficie S e n è il suo versore associato. Utilizzando inoltre il teorema di Stokes è possibile trasformare l’integrale di superfice nella (2.11) in un integrale di circuitazione e cioé I E · dl = 0 (2.12) l dove dl è un vettore parallelo al cammino di circuitazione e orientato seguendo la regola del cavatappi nei confronti di dS. 2.1.2 Legge di Gauss Applicando ad ambo i membri della (2.6) l’operatore ∇· si può scrivere: ∫ ρ(r′ ) 3 ′ 1 2 2 ∇ d r ∇ · E(r) = −∇ · ∇ϕ(r) = −∇ ϕ(r) = − ′ 4πϵ0 V |r − r | ( ) ∫ ∫ ′ 1 1 1 3 ′ 2 ρ(r ) ′ 2 =− d r =− d3 r ′ ∇ ρ(r )∇ 4πϵ0 V |r − r′ | 4πϵ0 V |r − r′ | ∫ ( ) 1 ρ(r) = ρ(r′ )δ r − r′ d3 r′ = (2.13) ϵ0 V ϵ0 La (2.13) rappresenta la legge di Gauss per l’elettrostatica in forma differenziale. Essa è stata ricavata usando la formula ∇2 (1/ |r − r′ |) = −4πδ (r − r′ ) dove δ (r − r′ ) rappresenta la funzione delta di Dirac applicata in r. Considerando una regione arbitraria di spazio di volume V e calcolando l’integrale di volume di ambo i membri della (2.13) si ricava ∫ ∫ 1 3 ∇ · E(r)d r = ρ(r)d3 r ϵ0 V V Ing. Luciano Mescia 2.1. Campo elettrostatico 28 da cui applicando il teorema della divergenza si ottiene in definitiva: I I ∫ 1 q E(r) · dS = E(r) · n dS = ρ(r)d3 r = ϵ ϵ 0 V 0 S S (2.14) dove S è la superficie bidimensionale che ∫ inviluppa il volume V , n è il versore della normale esterna a questa superficie e q = V ρ(r)d3 r è la quantità di carica totale contenuta all’interno della superficie S. Visto che le cariche possono essere sia positive che negative dalla (2.14) se ne deduce che la condizione q = 0 non implica in generale un campo elettrico nullo. Questa proprietà distingue il campo elettrico da quello di gravitazione di Newton. Riassumendo il campo elettrostatico può essere descritto in termini delle due equazioni differenziali vettoriali ρ(r) ϵ0 ∇ × E(r) = 0 ∇ · E(r) = (2.15) (2.16) che sono anche equivalenti a quattro equazioni differenziali scalari alle derivate parziali. Ing. Luciano Mescia