SULL’ATTENUANTE COMUNE DELL’AVER AGITO PER SUGGESTIONE DELLA FOLLA IN TUMULTO (ART. 62 N. 3) C.P.) dell’Avv. Antonino Ordile Cassazionista del Foro di Roma SOMMARIO: 1. La ratio legis dell’attenuante comune dell’aver agito per suggestione della folla in tumulto (art. 62 n.3) c.p.); 2. La matrice criminologica positivista della circostanza che incide sulla presumibile minore pericolosità sociale dell’autore del reato; 3. La classificazione dell’attenuante quale circostanza soggettiva ex art. 70 n. 2) c.p. 1.La ratio legis dell’attenuante comune dell’aver agito per suggestione della folla in tumulto (art. 62 n. 3 c.p.). L’art. 62 n. 3) c.p.1 prevede una circostanza attenuante comune2 applicabile nell’ipotesi in cui l’autore del reato lo abbia commesso a causa della suggestione della folla in tumulto ed in presenza di due condizioni, la prima, oggettiva, rappresentata dal fatto che la riunione3 o l’assembramento4 non devono essere 1 L’art. 62 n. 3) c.p. dal nomen juris “Circostanze attenuanti comuni” così recita “attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali le circostanze seguenti…: n.3) l’aver agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale o delinquente per tendenza”. 2 Sulle circostanze del reato cfr. MARINI Giuliano, Le circostanze del reato, Parte Generale, Milano, 1965; MELCHIONDA Achille, Le circostanze del reato, Padova, 2000; PROSDOCIMI Sergio, Note su alcuni criteri di classificazione delle circostanze del reato, in Indice Penale, 1983, 269; CONCAS Luigi, Il nuovo sistema delle circostanze, in Cassazione Penale 1994, 2296. Sul distinguo tra attenuanti comuni e speciali, vedasi ANTOLISEI Francesco, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2003, p.443-­‐444, ove il giuspenalista sottolinea che “sono comuni (o generali) le circostanze che si possono verificare in un numero indeterminato di reati; speciali quelle che la legge prevede per un singolo reato o per un gruppo circoscritto di reati. Le circostanze comuni sono indicate negli artt. 61 e 62, nonché negli artt. 112 e 114 del Codice; le speciali nella parte speciale del Codice o nelle leggi speciali. 3 Sulla libertà di riunione cfr. MARTINES Temistocle, Diritto costituzionale, (Tredicesima edizione interamente riveduta da Gaetano Silvestri) Milano, 2013, p. 572, ove il giuscostituzionalista sostiene che “per riunione deve intendersi qualunque raggruppamento di più persone non stabile (altrimenti avremmo una associazione) e, tuttavia, non occasionale (altrimenti avremmo un assembramento). Si ha dunque una riunione quando più persone convergono in un determinato luogo previo accordo tra di loro o su invito dei promotori (che può essere formulato anche non nominatim, ad esempio mediante un manifesto) al fine di soddisfare un loro interesse individuale 1 vietati dalla legge o dall’autorità, la seconda, soggettiva, costituita dalla connotazione della personalità dell’autore del reato che non deve appartenere alle tipologie legali-criminologiche del delinquente e contravventore abituale, professionale o per tendenza5. La ratio legis della circostanza, secondo Ferrando Mantovani, va individuata nella minore resistenza psichica che si desume nell’agente per l’influenza nel suo animo di fattori contagianti, rappresentati dallo stato di eccitamento e di passionalità della folla tumultuante6. Al riguardo,si deve osservare che dall’analisi ontologico-naturalistica della condotta spesa dall’agente emerge che il legislatore del 1930, così come ha osservato Giuliano Marini7, ha voluto tipizzare le “circostanze del reato” riferendosi o all’autore o al fatto da esso realizzato avvicinandosi tendenzialmente alla contrapposizione “soggetto/reato” per meglio individuare in concreto gli elementi circostanziali nel quadro della dicotomia delineata nel lemma normativo trasfuso nell’art. 70 del Codice penale tra (che può essere di varia natura: politico, culturale, religioso, economico, sportivo ecc.)… E’ facile intendere l’importanza che assume la libertà di riunione, ove si rifletta che essa è la condizione per l’esercizio di altre libertà (di manifestazione del pensiero, di insegnamento, di culto). 4 Sulla nozione di “assembramento”, quale raggruppamento occasionale di persone cfr. MARTINES Temistocle, op.cit. vedi supra. 5 Sul delinquente professionale e abituale cfr. VASSALLI Giuliano, Trattamento giuridico-­‐penale dei delinquenti professionali e dei delinquenti abituali, in Scuola positiva 1953, 487; SANTORO Arturo, Rapporti tra abitualità e pericolosità criminale, in Scuola positiva 1960, 320; SESSO Rocco, Abitualità nel reato, in Enciclopedia del diritto., I, 1959, p. 116; CARACCIOLI Ivo, Nuova sottoposizione a misura di sicurezza del delinquente abituale, in Riv.it..dir.proc.pen. 1969, p. 550; VIOLANTE Luciano, Sul numero dei delitti necessari alla dichiarazione di abitualità presunta, in Riv.it.dir.proc.pen., 1969, p. 539 e segg; RICCIO Stefano, L’abitualità nel reato, Napoli, 1938; ALLEGRA Giovanni, Dell’abitualità criminosa, Milano, 1933; CALVI Alberto Alessandro, Tipo criminologico e tipo normativo d’autore, Padova, 1967, p. 559 e segg. Sulla nozione di delinquente per tendenza cfr. FROSALI Raul Alberto, Disciplina giuridica del delinquente per tendenza, in Scuola positiva, 1948, p. 350 e segg; RICCIO Stefano, voce Tendenza a delinquere, in Novissimo digesto, vol. XXVIII, 1977, p. 1119 e segg. Sulla nozione di delinquente professionale cfr.COPPI Franco, Voce Professionalità (dir.pen.), in Enciclopedia del diritto, vol. XXXVI, 1987, p. 1023 e segg. nonché RICCIO Stefano, Abitualità e professionalità nel reato, in Novissimo digesto, vol. I, 1974, p. 62 e segg. 6 MANTOVANI Ferrando, Diritto penale, Parte generale, Padova 2013, p 423; SANTORO Arturo, Rilievi critico-­‐costruttivi sulla circostanza attenuante della suggestione di folla tumultuante, in Giustizia penale, 1962, II, p. 545; COLACCI Marino Antonio, La suggestione della folla in tumulto, in Scuola positiva, 1968, p. 231. 7 MARINI Giuliano, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, p. 649. 2 “circostanze oggettive” e “circostanze soggettive”8. Al riguardo, l’attenuante comune della suggestione della folla tumultuante si applica allorquando sussiste 8 Sulla classificazione delle circostanze del reato cfr. ANTOLISEI Francesco, op. cit., p. 442 ove il giuspenalista sostiene che: “si rileva dall’art. 70 del Codice che sono oggettive le circostanze che concernono: 1) la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione; 2) la gravità del danno o del pericolo derivante dal reato; 3) le condizioni o le qualità personali dell’offeso. Sono circostanze soggettive, invece, quelle che riflettono: 1) l’intensità del dolo o il grado della colpa; 2) le condizioni o le qualità personali del colpevole; 3) i rapporti tra il colpevole e l’offeso”. Questa distinzione tra circostanze oggettive e circostanze soggettive contenuta nell’art. 70 del Codice penale è stata sempre ritenuta funzionale rispetto all’art. 118 c.p. ai fini della valutazione delle circostanze in tema di concorso di persone nel reato. Invero, il Codice penale del 1930 prevedeva la seguente formulazione legislativa dell’art. 118 c.p. dal nomen juris “valutazione delle circostanze aggravanti o attenuanti” e così recitava “le circostanze oggettive, che aggravano o diminuiscono la pena, anche se non conosciute da tutti coloro che concorrono nel reato, sono valutate a carico o a favore di essi. Le circostanze soggettive, non inerenti alla persona del colpevole che aggravano la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato, stanno a carico anche degli altri, sebbene non conosciute, quando hanno servito ad agevolare l’esecuzione dei reati. Ogni altra circostanza, che aggrava o diminuisce la pena, è valutata soltanto riguardo alla persona a cui si riferisce”, e dall’esegesi letterale di questa previgente disposizione normativa si individuava puntualmente il carattere oggettivo e soggettivo delle circostanze del reato delineato dall’art. 70 del Codice Penale Rocco e da questo combinato disposto (art.70 c.p. ed art.118 c.p.) si consolidò la seguente ottica ermeneutica dottrinale e giurisprudenziale fondata sulle seguenti argomentazioni giuridico-­‐penali: 1) la comunicabilità a tutti i concorrenti, anche se da essi non conosciute, delle circostanze oggettive, sia aggravanti che attenuanti; 2) la comunicabilità a tutti i concorrenti, anche se da essi non conosciute, delle circostanze aggravanti soggettive ma cosiddette oggettivizzate, nel senso che fossero servite ad agevolare l’esecuzione del reato; 3) la non comunicabilità delle circostanze soggettive sia aggravanti che attenuanti, non oggettivizzate ; 4) l’assoluta non comunicabilità delle circostanze soggettive inerenti alla persona del colpevole (imputabilità e recidiva). Tuttavia, l’art. 3 della Legge 7.02.1990, n. 19 ha riformulato il nuovo testo dell’art. 118 c.p., modificando anche il regime di imputazione delle aggravanti di cui all’art. 59 comma 2 c.p. adeguandolo al principio di colpevolezza, e questa novazione legislativa ha introdotto, abbandonando il vecchio criterio dicotomico “circostanze oggettive – circostanze soggettive”, una serie di circostanze, siano essi aggravanti o attenuanti valutabili soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono e,quindi, non comunicabili ai concorrenti. Infatti, la nuova formulazione dell’art. 118 c.p. dall’identico nomen juris del previgente è la seguente: “le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono”. Pertanto, a partire dal 1990 il lemma legale-­‐normativo dell’art. 70 c.p. che pone il distinguo tra circostanze oggettive e circostanze soggettive viene svuotato di contenuto dalla nuova formulazione dell’art. 118 c.p. che è radicalmente innovativa rispetto alla disciplina precedente ed omettendo qualsiasi riferimento a parametri classificatori, pur limitandosi alla previsione di una serie di ipotesi ricomprese dal legislatore del ’30 tra le circostanze soggettive e cioè i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole, da applicare soltanto alla persona cui si riferiscono, conferiscono all’art. 70 c.p. un carattere meramente definitorio anche se la ripartizione tra circostanze oggettive e circostanze soggettive da un lato, ha lo scopo di chiarire la ratio dell’aumento e della diminuzione di pena in in presenza di elementi circostanziali, dall’altro, costituisce un criterio per tipizzare le circostanze indefinite, ma è ormai priva di ogni concreta rilevanza. Sul punto, cfr. PROSDOCIMI Sergio, Note 3 una alterazione dei freni inibitori del singolo da parte di un aggregato di persone o massa di individui che è agitata da passioni, che si manifestano in modo turbolento con grida, invettive e slogan minacciosi e che questa forza psicologica collettiva dell’agglomerato umano (cosiddetto animo della folla) provoca scompiglio e disordine indebolendo i processi volitivi dei partecipanti a riunioni o assembramenti che trovandosi in balìa del tumulto sono suggestionati ed indotti a commettere reati (cioè delitti o contravvenzioni di qualsiasi tipo)9. Inoltre, perché ricorra e sia applicabile l’attenuante dell’art. 62 n.3) c.p., è necessario che l’illecito penale commesso sia conseguenza della “suggestione della folla in tumulto” e, quindi, deve sussistere un nesso di causalità psichica tra la suggestione promanante dall’aggregato umano turbolento e la condotta dell’agente che ha ideato e programmato il reato in quanto se l’autore già prima di entrare in contatto con la folla si riprometteva di approfittare del tumulto per essere facilitato nella realizzazione del proprio proposito criminoso, questo accadimento non può costituire, certamente, un elemento circostanziale di diminuzione della pena perché non è ravvisabile, nel caso concreto, un nesso eziologico tra la folla in tumulto e la condotta dell’autore del reato10. Di contro, l’influenza causale della folla tumultuante può sussistere anche nei confronti del soggetto che si inserisca per sua scelta in un assembramento a condizione che la su alcuni criteri di classificazione delle circostanze del reato, in Indice penale, 1983, p. 284; PAGLIARO Antonio, Diritto penale, Parte generale, 1996, p. 467; MANTOVANI Ferrando, op. cit., p. 401; MELCHIONDA Achille, op.cit. p.1497. Sulla nuova formulazione dell’art. 118 c.p. in combinato disposto con l’art. 59 comma 2 c.p. cfr. MELCHIONDA Achille, La nuova disciplina di valutazione delle circostanze del reato, in Riv.it.dir.proc.pen., 1990, 1433 nonchè MELCHIONDA Achille, Le circostanze del reato. Origine, sviluppo e prospettive di una controversa categoria penalistica, Padova, 2000; MARCONI Pio, Il nuovo regime di imputazione delle circostanze aggravanti, Milano, 1993. 9 ROMANO Mario, Commentario sistematico al Codice penale, Milano, 1992, p. 636; GUADAGNO Gennaro, Sull’attenuante dell’art. 62 n. 3 c.p., in Foro Penale, 1949 p. 396 e segg.; GUARNIERI Giuseppe, Concorso di persone nel reato e delitto di folla, in Scuola Positiva, 1962, p. 525 e segg.; SANTORO Arturo, Rilievi critico-­‐costruttivi sulla circostanza attenuante della suggestione di folla tumultuante, in Giustizia Penale, 1962, II, c.545 e segg.; COLACCI Marino Antonio, La suggestione della folla in tumulto, in Scuola Positiva, 1968, p. 361 e segg.; MARINI Giuliano, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, p. 667. 10 Cfr. MARINUCCI Giorgio-­‐DOLCINI Emilio, Manuale di diritto penale,Parte Generale, Milano, 2012, p. 522. 4 decisione di commettere il reato sia sopravvenuta successivamente alla formazione dell’aggregato umano. Altresì, dall’esegesi letterale della disposizione normativa prevista dall’art. 62 n.3) c.p. si desume che per l’applicazione della circostanza devono concorrere anche due condizioni: la prima che è di natura oggettiva si sostanzia nel fatto che le riunioni e gli assembramenti, nel corso dei quali il colpevole ha commesso il reato suggestionato dalla folla tumultuante, non devono essere vietati nè dalla legge nè dall’autorità, la seconda che ha una connotazione soggettiva in quanto l’autore del reato non deve essere un “delinquente qualificato”11, cioè non deve appartenere alle tipologie legali-criminologiche del delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza12 previste dal Codice Penale (ex artt.102,103,104 e 105 c.p.). Pertanto, dall’analisi degli elementi circostanziali nonché dalla struttura della disposizione normativa l’interprete ravvisa la sussistenza di un rapporto eziologico intercorrente tra le condizioni del luogo in cui si genera e matura il reato (assembramenti o riunioni autorizzate con presenza di folla in tumulto) e l’agente (che non deve appartenere alle tipologie di autore del delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza) e, quindi, la ratio della diminuzione della pena nell’ipotesi di realizzazione di questa circostanza tipica nel caso concreto, trova la sua giustificazione nella presumibile minore pericolosità sociale dell’autore del reato. Infatti, l’agente,che non deve essere né 11 BELLAVISTA Girolamo, Il delinquente qualificato, Milano, 1947, p. 11 ove il processualpenalista sottolinea che il Codice Penale Rocco ha introdotto un principio di politica criminale orientato verso l’individualizzazione della pena e la disamina scientifica degli autori-­‐tipo secondo le moderne esigenze penalistiche di tipo positivista di studio dell’homo delinquens. 12 VASSALLI Giuliano, Trattamento giuridico-­‐penale dei delinquenti professionali e dei delinquenti abituali, in Scuola Positiva, 1953, p. 387; RENDE Domenico, Il delinquente di professione, Roma, 1923; FROSALI Raul Alberto, Disciplina giuridica del delinquente per tendenza, in Scuola Positiva, 1948, l, p. 350; FLORIAN Eugenio, Il delinquente per tendenza, in Scuola Positiva, 1934, II, p. 228, OTTOLENGHI Salvatore, Il delinquente per tendenza nel Codice penale e nell’antropologia criminale, in Rassegna studi medico-­‐legali, 1931, p. 120; ALTAVILLA Enrico, Il delinquente per tendenza nella realtà e nella finzione legislativa, in Scuola Positiva, 1939, II, p.1; MASSARI Edoardo, Il delinquente per tendenza, in Riv.it.dir.pen.,1932, p. 337; CALVI Alberto Alessandro, Tipo criminologico e tipo normativo d’autore, Padova, 1967, P. 559 e segg e dello stesso autore Tendenza a delinquere, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV, 1992, p. 86; DE MARSICO Alfredo, Sui rapporti tra psicopatia e diritto penale, in Scuola Positiva, 1959, p. 21 e segg. 5 un delinquente o contravventore abituale,professionale o per tendenza, a cagione della pressione psicologica esercitata dalla suggestione della folla in tumulto viene determinato ed indotto a porre in essere la condotta criminosa. Pertanto, la classificazione di circostanza soggettiva di questa attenuante comune appare fondata perché nel caso in cui l’autore del reato fosse un delinquente o contravventore abituale professionale o per tendenza, la circostanza attenuatrice non ricorrerebbe in quanto il limite posto dalla norma è “afferente ad una ipotesi di autoresponsabilità” che annulla l’effettiva operatività dell’attenuante13. Or dunque, non è arbitrario ritenere che l’attenuante della suggestione della folla in tumulto alla luce della ratio legis risulta essere ancorata ad una esigenza politico-penale di prevenzione speciale espressione tipica di quella concezione enucleata dalla Scuola Positiva di diritto criminale14 in quanto questo postulato criminologico è stato enucleato negli ultimi decenni del secolo scorso con gli studi di Cesare Lombroso, Enrico Ferri e Raffaele Garofalo15 e rappresenta l’ingresso della personalità del reo come criterio determinante nelle articolazioni e nelle finalità del diritto penale perché attraverso questo nuovo indirizzo positivista si è 13 MARINI Giuliano, op.cit., p. 668. FERRI Enrico, La Scuola Positiva di diritto criminale, Prelezione al Corso di Diritto e procedura penale, nella Regia Università di Siena, pronunciata il 18.11.1882, Siena, 1883. Sul principio di prevenzione speciale cfr. NUVOLONE Pietro, Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, p. 479 ove il penalista sostiene che “il concetto di prevenzione è correlativo a quello di diritto penale. Allorchè si parla, però, di prevenzione dei reati in senso tecnico, si ha riguardo a quelle norme che sono espressamente dettate allo scopo di prevenire e non di reprimere: e sono, quindi, orientate essenzialmente nel senso della prevenzione speciale. Tale prevenzione può essere concepita sia ante delictum (o pradeter delictum) sia post delictum nonché MANTOVANI Ferrando, op. cit., p. 693 ove l’autore sottolinea che “l’esigenza della prevenzione speciale, da sempre avvertita, fu prospettata con geniale intuizione, anche se con formule talvolta ingenue, dalla Scuola Positiva (Ferri, Garofalo) attraverso i c.d. sostitutivi penali cioè mediante rimedi e riforme (di carattere economico, politico, scientifico, civile, amministrativo, familiare ed educativo), che usati a tempo e con sapiente valutazione della realtà si riteneva che potessero eliminare le ragioni della pena eliminando le stesse ragioni del delitto. Sulla funzione di prevenzione speciale del Dlgs. 06.09.2011, n. 159 dal titolo “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia a norma degli artt. 1 e 2 della Legge 13 Agosto 2010, n.136” vedasi MAZZA Leonardo, Dalla profezia di Enrico Ferri al Codice antimafia, in Rivista di Polizia, fasc.n. I-­‐II, gennaio 2012 e sul ruolo di prevenzione speciale delle circostante aggravanti nel Codice antimafia, cfr. ORDILE Antonino, La disciplina delle circostanze aggravanti nel Codice antimafia, in Rivista di Polizia, fasc. n. XI-­‐XII, novembre-­‐dicembre 2013. 15 Sul positivismo criminologico ed il principio di prevenzione speciale, cfr. BETTIOL Giuseppe Istituzioni di diritto e procedura penale, Padova, 1980, p. 24. 14 6 voluto applicare il metodo sperimentale-naturalistico allo studio del reo e del reato inficiando il metodo logico-astratto della concezione della Scuola Classica di diritto penale di tipo illuministico e razionalistico. Al riguardo, va sottolineato che il pensiero giuridico-penale della Scuola del positivismo criminologico è diametralmente opposto al vecchio metodo della Scuola Classica del diritto penale (Giovanni Carmignani, Francesco Carrara e Luigi Pellegrino-Rossi) che inquadra e studia il reato ed il reo in maniera razionale, logico-concettuale e astratta in quanto il reato viene definito ed analizzato dal classicismo penalistico come “ente giuridico”16 ed avente come elementi costitutivi, secondo la famosa dicotomia carrariana la “forza fisica” (fatto – cosiddetto elemento oggettivo o fisico o materiale del reato, cioè l’azione o omissione dell’uomo e l’evento che ne deriva) e la “forza morale” (colpevolezza – cosiddetto elemento soggettivo o psicologico del reato,quindi, suitas psichica dell’agente consistente nella coscienza e volontarietà dell’azione e dell’evento) e che lasciando sullo sfondo il reo, cioè l’autore della condotta criminosa, che è esaminato alla stregua di un “uomo astratto” perché libero, razionale e responsabile, secondo la logica deduttiva aristotelica che parte da principi generali ritenuti immutabili, eterni ed esatti per definire il dato particolare della realtà (dal generale al particolare) non tenendo conto del nuovo metodo galileiano ed empirico della logica induttiva che è fondata sull’osservazione scientifica mediante lo studio e l’analisi dei dati dell’esperienza (dal particolare al generale), proprio perché la Scuola Classica penalistica non svolge alcun esame sulla 16 CARRARA Francesco, Programma del Corso del diritto criminale, Firenze, 1897, p. 10. Per l’insigne Maestro della Scuola Classica, il termine “ente giuridico” rappresenta l’evoluzione di tutto il diritto criminale modellato da un ordine logico e filosofico di diritto naturale per poi divenire ordine giuridico mediante la norma posta dal legislatore. Infatti, nella costruzione teorica carrariana giusnaturalistica e giusrazionalistica “il delitto è un ente giuridico, perché la sua essenzialità deve sussistere inpreteribilmente nella violazione di un diritto. Ma il diritto è congenito all’uomo perché dato da Dio all’umanità sin dal primo momento della sua creazione onde essa possa compiere i suoi doveri nella vita terrena; dunque il diritto deve avere una vita e dei criteri preesistenti ai placiti degli umani legislatori e la scienza del giure criminale deve riconoscersi come un ordine di ragione che emana dalla legge morale e giuridica ed è preesistente a tutte le leggi umane e che impera agli stessi legislatori”. 7 personalità dell’autore del reato e sulle cause antropologiche, psicologiche e sociologiche che determinano l’azione criminosa17. In antitesi a questo orientamento di pensiero, la Scuola Positiva formula i suoi tre fondamentali postulati incentrandoli sui dati empirici, ontologici e sociologici: a) il diritto penale della personalità dell’autore del reato e la tipologia del delinquente; b) la pericolosità sociale dell’autore del reato; c) il “sostitutivo penale”, inteso come strumento legislativo e politico-amministrativo di difesa sociale dal delitto con lo scopo di neutralizzare e risocializzare il reo per far sì che sia eliminata la probabilità che lo stesso per il futuro non debba più ricadere nel reato. La Scuola Positiva, dunque, ha spostato il centro del diritto penale, dal reato in astratto alla tipologia dell’autore, in concreto, in quanto l’oggetto di studio della scienza penalistica non si limita all’analisi del reato inteso carrarianamente quale “ente giuridico”, cioè come categoria logico-concettuale avulsa dall’esame della personalità dell’autore dell’illecito penale, bensì, da un punto di vista naturalistico e sociale come “fatto umano” sintomatico della pericolosità criminale dell’agente che trova la sua causa nella struttura bio-psico-sociologica del delinquente (concezione sintomatologica del reato)18. La concezione positivista sostituì, quindi, alla nozione di imputabilità e di colpevolezza19 nonché di responsabilità etico-giuridica, quale presupposto 17 MANTOVANI Ferrando, op. cit., p. 547, ove l’autore delinea la concezione della Scuola Classica di concepire l’intero diritto penale soltanto sulla “teoria del reato” e sulla “teoria della pena” senza esaminare la “teoria del reo”. Al riguardo, il giuspenalista evidenzia come “la Scuola Classica ferma la propria attenzione sui presupposti razionali della punibilità contro l’arbitrio e la crudeltà dell’epoca. Muovendo dal presupposto del libero arbitrio, cioè dell’uomo assolutamente libero della scelta delle proprie azioni, essa pone a fondamento del diritto penale la responsabilità morale del soggetto quale rimproverabilità per il male commesso e, conseguentemente la concezione etico-­‐retributiva della pena”. 18 MANTOVANI Ferrando, op. cit., p. 549. 19 Sulla nozione di “imputabilità”, vedasi GALLO Marcello, Appunti di diritto penale, Vol.V L’imputabilità, Torino, 2013, pp. 25-­‐34 e sulla nozione di “ colpevolezza” vedasi MANTOVANI Ferrando, op. cit., pp. 286-­‐305; BETTIOL Giuseppe, Colpevolezza giuridica e colpevolezza morale, in Riv.it.dir.proc.pen., 1980, p.1900 e segg.; PUILITANO’ Domenico, Diritto penale, Torino, 2005, pp. 356-­‐357; MAZZA Leonardo, Studi sulla colpevolezza, Torino, 1990 e dello stesso autore Aspetti di colpevolezza nel diritto penale italiano in Rivista di Polizia, fasc. 1-­‐2, 1992 ed Il concetto unitario di colpevolezza nel pensiero di Ottorino Vannini, in Studi senesi, 1990. 8 dell’applicazione della pena, il concetto di pericolosità sociale del reo20 inteso come probabilità che l’autore del fatto di reato, per determinate cause psicologiche, biologiche o sociali, commetta in futuro altri fatti delittuosi e, quindi, deve essere sottoposto a misura di sicurezza. In definitiva, la Scuola Positiva propugna il superamento della concezione retributiva della sanzione penale, che si incentra sul principio e l’azione di prevenzione generale21, consistente appunto nel distogliere la generalità dei consociati dal commettere i delitti e lo sostituisce con il principio di prevenzione speciale22 ed individuale che si sostanzia nell’applicazione di provvedimenti di profilassi di difesa sociale dal delitto (misure di sicurezza) per neutralizzare la pericolosità criminale dell’autore del reato, misure di carattere preventivo denominate “sostitutivi penali” 23. 2. La matrice criminologica positivista della circostanza che incide sulla presumibile minore pericolosità sociale dell’autore del reato. Alla luce della ermeneutica della attenuante comune della suggestione della folla in tumulto si ritiene che la circostanza prevista dall’art.62 n.3) c.p. ha, indubbiamente, una matrice criminologica positivista in quanto fondata sulle modificazioni dei processi cognitivi e volitivi dell’agente che trovandosi nella folla in tumulto24 è indotto e determinato al reato. 20 Sulla pericolosità sociale cfr. GRISPIGNI Filippo, La pericolosità criminale e il valore sintomatico del reato, in Scuola Positiva, 1920, I, 97; RANIERI Silvio, La pericolosità criminale nel Codice penale, in Scuola Positiva, 1933, I, 18; SABATINI Guglielmo, La pericolosità criminale, in Annali Seminario Giuridico Università di Catania, 1934; PETROCELLI Biagio, La pericolosità criminale e la sua posizione giuridica, Padova, 1940; PISANI Mario, Sulla valutazione unitaria della pericolosità criminale, in Riv.it.dir.pen., 1957, 90; BRICOLA Franco, Fatto del non imputabile e pericolosità, Milano, 1961; NUVOLONE Pietro, L’accertamento della pericolosità nel processo ordinario di cognizione, in Pene e misure di sicurezza, Milano, 1962. 21 Sul principio di prevenzione generale cfr. ROMANO Mario, Commentario sistematico del Codice penale, Vol.I, Milano, 1992, p. 13 ed anche MANTOVANI Ferrando, op,cit., pp. 692-­‐699. 22 Sul principio di prevenzione speciale vedasi MANTOVANI Ferrando, op. cit., pp. 699-­‐709. 23 BRICOLA Franco, Forme di tutela “ante delictum” e profili costituzionali della prevenzione, in Le misure di prevenzione, Milano, 1974, p.75 24 MARINI Giuliano, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, p. 667. 9 In questo contesto giusfilosofico positivista trova la sua genesi un nuovo orientamento scientifico che parte da studi di psicologia sociale per giungere ad enucleare una nuova disciplina intermedia tra la psicologia e la sociologia e cioè la “psicologia delle folle” che affrontando la specifica materia della folla delinquente esaminata da Gustave Le Bon25 e da Gabriele Tarde26 e, successivamente, sviluppata in Italia con la dottrina dal giuspenalista Scipio Sighele27, avvocato bresciano nonché docente di diritto penale presso l’Università di Pisa e seguace della Scuola Positiva. Invero, Scipio Sighele ha fornito il maggior contributo scientifico allo studio delle tematiche della folla criminale e la sua approfondita analisi socio-criminologica è stata incentrata sul ruolo della massa che presenta in re ipsa un nucleo sostanziale criminogeno inquadrabile nell’ambito dei plurimi fattori che determinato il delitto, (antropologici, psicologici, sociali ed economici) secondo il pensiero positivista28. Il primo studio organico sulla folla criminale di Scipio Sighele è il volume dal titolo La folla delinquente (1895) ove il giuspenalista, rivisitando e rielaborando la dottrina psicologico-sociale di Gabriele Tarde che aveva messo in rilievo che alla base dei comportamenti della folla vi è l’imitazione che è una tendenza naturale dell’uomo ed è trasmessa dall’esempio e qualora trovasi in stato di agitazione turbolenta determina l’influsso psicologico collettivo sui singoli della suggestione che raggiunge il vertice degli effetti a causa del contatto fisico tra le persone e della contestualità spazio-temporale ed ha come fattore scatenante la mera visione delle emozioni altrui che si comunica a tutti gli altri29, così accentuandosi il ruolo di questo fenomeno, bio-psico 25 LE BON Gustave, Psicologia delle folle, (ristampa), Milano, 2004. TARDE Gabriele, L’opinion et la foule, Paris, 1901. Sul pensiero criminologico del Tarde, cfr. BISI Roberta, Gabriele Tarde e la questione criminale, Milano, 2009. 27 SIGHELE Scipio, La teorica positiva della complicità, Torino, 1894 e dello stesso autore: La folla delinquente, Torino, 1895; Psicologia delle folle, Torino, 1895 L’intelligenza della folla, Torino, 1903; Morale privata e morale politica, nuova edizione de La delinquenza settaria, Milano, 1913. 28 Cfr. ORDILE Antonino, Il positivismo penalistico di Enrico Ferri (Criminogenesi del delitto), Cosenza 2015. 29 SIGHELE Scipio,La folla delinquente, Torino, 1895 p. 68. Sulla dottrina contemporanea cfr. FARANDA Claudio, Contributo allo studio della folla delinquente, in Rivista Penale, 1956 ove il giuspenalista ritiene che la dottrina sigheliana sia fondamentale per l’ermeneutica 26 10 sociologico, Sighele deduce che il ruolo della folla criminale determina una legge universale in tutto il regno della vita dell’intelligenza umana perchè genera la rappresentazione di uno stato emozionale collettivo provocando un pressione psicologica invasiva sui processi cognitivi e volitivi in colui che ne è testimone inducendolo al delitto30. Pertanto, la tendenza a delinquere della folla secondo la dottrina sigheliana viene attribuita ad un fattore antropologico legato ad un ancestrale e primordiale furore criminale dell’umanità ed anche ad un fattore aritmetico-sociale secondo il quale “in una moltitudine le facoltà buone dei singoli anziché sommarsi, si elidono” 31 ed unendosi i due fattori generano un comune impulso psicologico collettivo perché la trasmissione dell’emozione cagionata dalla folla tumultuante sui singoli non produce solo un effetto esteriore di imitazione-emulazione del fare minaccioso e turbolento della massa, ma fa sì che anche interiormente gli individui provino la stessa sensazione, quindi, l’animo della folla32 è, indubbiamente, un dato criminogenetico preminente che condiziona l’individuo che partecipa alle riunioni o agli assembramenti. Or dunque, i dati eziologici del delitto cagionato dalla folla tumultuante sono “suggestionabilità, predisposizione strutturale, occasione e reale collera”33 ai quali va aggiunta anche la forza del numero che conferisce a tutti i componenti della moltitudine tumultuante la coscienza individuale della loro subitanea e straordinaria onnipotenza in nome della legge psicologica collettiva che chi tutto può tutto osa. Da questa dottrina sigheliana si deduce che la folla ha una natura criminogena perché la stessa è una forma di “ambiente” nel senso positivista di fattore sociale determinante il reato in quanto l’illecito penale commesso sotto la spinta dell’attenuante comune della suggestione della folla in tumulto; ZAMPI Carlo Maria, La folla criminale e la responsabilità individuale, in Rivista di criminologia, vittimologia e sicurezza – Vol VII – settembre-­‐dicembre 2013, p. 31 (edito anche in versione on-­‐line). 30 SIGHELE Scipio, La folla delinquente, Torino, 1895, p. 72. 31 SIGHELE Scipio, La folla delinquente, Torino, 1895,p. 76. 32 Cfr. ROSSI Pasquale, L’animo della folla, Cosenza, 1909. 33 SIGHELE Scipio, La folla delinquente, Torino, 1895, p. 80. 11 emozionale della folla affonda le radici nella costituzione fisiologica e psicologica del suo autore, a seconda della tipologia soggettiva dello stesso, e, quindi, del suo modo di essere in termini di maggiore o minore pericolosità sociale in quanto per Sighele, è erroneo sostenere la concezione unitaria della folla identificata con l’animo collettivo perché questo assunto condurrebbe ad un macroscopico equivoco giuridico-penale nel senso che la mera composizione fisica della folla, la compresenza spazio-temporale degli individui e la diffusione di una emozione comune e contagiosa imporrebbe una valutazione indistinta e complessiva dell’aggregato umano quale dato eziologico unico, preminente ed assoluto del delitto che sarebbe imputabile soltanto alla folla criminale e questo comporterebbe la violazione del postulato positivista secondo il quale il primo fattore crimonogenetico è individuato nell’autore del reato e pertanto l’animo della folla delinquente deve rimanere separato ed autonomo rispetto alla responsabilità penale individuale dell’autore della condotta criminosa. E’ indubbio che questa costruzione teorica non attribuisce il delitto posto in essere in un contesto di folla tumultuante alla stessa sul piano oggettivo bensì al soggetto agente che è autonomo e distinto dai singoli componenti della folla in tumulto che operano, in buona sostanza, sul piano soggettivo, secondo i personali impulsi criminosi e spinti da una volizione psichica individuale anche se, certamente, parzialmente condizionata dall’animo collettivo della folla tumultuante. Alla luce di questa analisi, va osservato che il Sighele affronta il problema della responsabilità individuale dell’autore del reato commesso nell’impeto derivante dalla suggestione della folla tumultuante e rimarca che la responsabilità penale dell’agente sussiste e non è eliminata radicalmente dall’influsso psicologico della moltitudine sulla personalità del reo, ma soltanto attenuata. Infatti, nell’impostazione positivista, l’autore del fatto criminoso diviene il fulcro della valutazione dell’illecito penale in quanto a seconda della inesistenza o della maggiore o minore pericolosità sociale o appartenenza o meno alle tipologie legali-criminologiche del reo, il trattamento sanzionatorio di difesa della società 12 dal delitto è diminuito o aumentato, quindi, per la Scuola Positiva anche la fattispecie circostanziata della attenuante della suggestione della folla tumultuante è ancorata alla figura dell’ autore-tipo34. Appare evidente che questa attenuante comune è oggi sempre più attuale in un’ epoca di crisi e di tensioni sociali e politiche che attraversano il terzo millennio e,contrariamente a quelle opinioni che la relegano al ruolo di fossile del diritto penale, indubbiamente, l’art.62 n.3) c.p. rimane una fattispecie circostanziata razionale ed universale che attua un insopprimibile esigenza di giustizia del caso concreto allorquando la suggestione della folla tumultuante genera delitti individuali. 3. La classificazione dell’attenuante quale circostanza soggettiva ex art. 70 n.2) c.p. Dalla ratio legis e dai contenuti fattuali e normativi descritti nell’art. 62 n. 3) c.p., che disciplina l’attenuante comune della suggestione della folla in tumulto, si comprende che questa circostanza tipica va classificata, in piena armonia con la regola definitoria codicistica prevista dall’art. 70 n.2) c.p. quale “circostanza soggetiva” del reato. Invero, la dottrina dominante ritiene che trattasi di un attenuante comune incentrata sulla presumibile minore pericolosità sociale dell’agente35 che ha posto in essere la condotta criminosa perchè indotto e determinato dalla suggestione derivante dalla folla tumultuante e che, questo autore del reato, che partecipa a riunioni o assembramenti autorizzati dalla legge o dall’autorità, non deve presentare forma alcuna di pericolosità criminale in quanto se appartenesse alle tipologie di autore legali-criminologiche del delinquente o contravventore 34 Sulle tipologie normative di autore nel diritto penale, cfr. BRICOLA Franco, Teoria generale del reato, in Novissimo Digesto Italiano, vol. XIX, 1973, p. 30 ove il penalista ritiene che le tipologie di autore determinano un vulnus al principio di legalità in materia penale ex art. 25 della Costituzione della Repubblica anche se è fondato ritenere che “le tipologie criminologiche d’autore si conciliano perfettamente con una dogmatica del reato rigorosamente ancorato al postulato della idoneità lesiva del medesimo”. 35 MARINI Giuliano, op.cit., p. 667. 13 abituale, professionale o per tendenza la circostanza attenuatrice de qua non opererebbe. Una opinione dottrinale isolata e minoritaria, pur classificando l’attenuante dell’art. 62 n.3) c.p. quale “circostanza soggettiva”, in sintonia con la dottrina prevalente, tuttavia ritiene che l’influenza emotiva esercitata dalla folla in tumulto, indebolendo i processi volitivi che hanno portato alla commissione del reato, si traduce in una minore intensità del dolo36, ma questo assunto non appare confortato né dall’interpretazione letterale della norma né da quella teleologica, quindi, questa teoria sui generis è soltanto frutto di una intuizione eidetica che non appare conforme alla ratio legis della circostanza attenuatrice. D’altra parte, i compilatori del Codice Penale del 1930 hanno previsto la forma di intensità del dolo nell’art. 133 n.3) c.p. che fissa i criteri per la commisurazione della pena che deve essere irrogata all’autore del reato e dall’esame della fattispecie circostanziata non emerge alcun riferimento specifico all’elemento psicologico dell’illecito penale, bensì soltanto alla qualifica naturalistica personalistica dell’agente che ha speso la condotta criminosa che non deve appartenere alle categorie tipologiche di autore del delinquente abituale, professionale o per tendenza e da questa ottica ermeneutica ne consegue che l’assunto che individua il fondamento di questa circostanza nella minore intensità del dolo appare non conforme alla disposizione normativa prevista dall’art. 62 n. 3) c.p. Pertanto, va osservato, in armonia con la dottrina penalistica dominante contemporanea che l’attenuante comune della suggestione della folla in tumulto è classificabile quale circostanza soggettiva perché afferisce alle condizioni o qualità personali del soggetto attivo del reato ex art. 70 n. 2) c.p., ma trova, certamente, la giustificazione in esigenze di prevenzione speciale secondo l’indirizzo criminologico della Scuola Positiva. 36 MARINUCCI Giorgio-­‐DOLCINI Emilio, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2012, p. 521. 14