Allarme doping: Arrivano le Epo "Biosimilari"

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Pedale Fermano
Allarme doping: Arrivano le Epo "Biosimilari"
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mercoledì 05 novembre 2008
ALLARME DOPING: ARRIVANO LE EPO "BIOSIMILARI"
RONCI: "SONO INCONTROLLATE, DUNQUE MOLTO PERICOLOSE"
Da Benedetto Ronci, illustre ematologo dell'aziende ospedaliera San Giovanni
Addolorata di Roma, riceviamo questo prezioso contributo. Un preoccupato
allarme circa l'arrivo sul mercato delle nuove eritropoietine "biosimilari":
alcune contengono prodotti nocivi. Rischi elevatissimi per la salute
Da circa 20 anni l'armamentario terapeutico di alcuni importanti settori
della medicina quali l'oncologia, l'ematologia, l'immunologia ed altri
ancora si sono arricchiti di una nuova famiglia di farmaci denominati
"biofarmaci", attualmente diventati irrinunciabili per la terapia di molte
patologia gravi e potenzialmente letali. Dei biofarmaci infatti fanno parte
molti antitumorali innovativi, alcuni ormoni (insulina, ormone della
crescita), proteine della coagulazione (fattore VIII antiemofilico) e i
cosiddetti "fattori di crescita" tra cui l'eritropoietina o meglio, le
eritropoietine dal momento che in Italia attualmente sono disponibili in
commercio tre tipi di eritropoietine (Epo): l' Epoetina alfa, L'Epoetina
Beta e la darboepoetina. Quest'ultime sono utilizzate per il trattamento
dell'anemia nei soggetti con insufficienza renale cronica che, ancora oggi,
rappresenta l'indicazione terapeutica principale, avendo migliorato
significativamente la sopravvivenza e, soprattutto, la qualità di vita di
questi pazienti . Come traspare dal termine, i biofarmaci sono macromolecole
di natura proteica, assai complesse, prodotte "biologicamente" ossia da vere
e proprie cellule viventi attraverso delicate tecniche di ingegneria
genetica. Per esempio le eritropoietine vengono prodotte da cellule ovariche
di criceto dopo che nel loro DNA, che è una sorta di "carta carbone" delle
proteine, è stato inserita l'informazione genetica, lo "stampo", per la
sintesi di questo ormone. Le cellule di criceto, così "modificate", in
idonei terreni di coltura, sono in grado di produrre l'eritropoietina in
quantità praticamente illimitata. Questo è sostanzialmente il segreto
industriale dei biofarmaci, noti anche come prodotti biotech in quanto
derivati da processi biotecnologici. Dal 1982, anno in cui fu messo in
commercio il primo prodotto biotecnologico (l'insulina umana ricombinante),
attualmente sono oltre 190 i biofarmaci commercializzati in Nord America,
Europa, Australia e Giappone e sono in corso di sperimentazione oltre 300
biotech per la cura di molte patologie gravi. E' evidente, pertanto, che si
tratta di una importante famiglia di nuovi farmaci in rapida espansione
proprio in virtù della loro riconosciuta efficacia terapeutica. Ma anche il
peso economico di questi farmaci è importante. Nel 2007, secondo dati
forniti dall'AIFA (L'Agenzia Italiana del Farmaco), la spesa per i prodotti
biotech è stata di 1,6 miliardi di euro pari al 37% della spesa totale
ospedaliera che, lo scorso anno, è stata di 4,6 miliardi di euro. Ma nel
frattempo che cosa è successo? È successo che i biofarmaci di cosiddetta
prima generazione, cioè quelli messi in commercio alla fine degli anni
ottanta, tra cui l'Epo alfa e l'Epo beta, hanno perduto la copertura
brevettale. Infatti, dopo 10-15 anni dalla messa in commercio di un prodotto
biotech, il brevetto decade e l' Azienda produttrice perde l'esclusività.
Questo, allora, permette ad altre Ditte, la produzione e, previa
autorizzazione, la messa in commercio a costi competitivi, cioè a più basso
costo rispetto ai biofarmaci originali, di "nuovi" prodotti biologici che
sono stati definiti dall'EMEA (l'agenzia Europea per la valutazione del
farmaco) "biosimili" o biosimilari" in riferimento ad un prodotto biotech
già autorizzato dalla comunità Europea, poiché non possono essere "uguali"
al biofarmaco originatore in virtù della intrinseca unicità di ogni processo
biologico. Per meglio chiarire questo fondamentale punto, è necessario
tenere presente che la produzione di un prodotto biotecnologico si sviluppa
attraverso complesse fasi che è impossibile riprodurre in 2 stabilimenti
biotecnologici diversi poiché le linee cellulari che vengono utilizzate come
sorgente di una determinata molecola crescono,nel terreno di coltura,
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generando ceppi diversi nei diversi laboratori. Ne deriva che il prodotto
finale potrà avere caratteri simili ma non identici al prodotto
biotecnologico di riferimento. Ma se i biosimilari sono simili ma non uguali
ai biofarmaci di riferimento che si può dire della loro efficacia e,
soprattutto, della loro sicurezza? In altri termini ci si può accontentare,
sotto il profilo della efficacia terapeutica e, soprattutto, della sicurezza
per i pazienti, che un prodotto biotecnologico sia "soltanto" simile ad un
corrispondente biofarmaco la cui efficacia e sicurezza è consolidata da
molti anni di utilizzo? Bisogna tener presente, infatti, che, al momento,
non esiste un test analitico in grado di verificare preliminarmente se due
prodotti biotecnologici provenienti da due diverse linee di produzione,
abbiano gli stessi effetti terapeutici e/o gli stessi effetti collaterali.
Quindi è possibile che un biosimilare possa non solo non funzionare
esattamente come il biofarmaco di riferimento, ma può costituire un
potenziale rischio di nuovi ed imprevedibili effetti collaterali, sollevando
così molte perplessità relativamente alla sicurezza. Per questi motivi
l'EMEA ha stabilito che per i biosimilari, ai fini della cosiddetta
autorizzazione all'immissione in commercio (AIC), sono indispensabili
preliminari ed adeguati studi comparativi con i prodotti biotech di
riferimento, sia di tipo farmacologico ma, soprattutto, di tipo clinico con
l'obiettivo di dimostrare, con sufficiente robustezza, un analoga efficacia
terapeutica ed una altrettanta sicurezza per i pazienti. Inoltre, dopo
l'eventuale approvazione e commercializzazione, è richiesto che quel
prodotto venga inserito in una "lista di monitoraggio intensivo" cioè di
farmacosorveglianza per almeno i 2 anni successivi alla messa in commercio,
al fine di identificare al più presto eventuali effetti collaterali nocivi.
Ma nei fatti come vanno le cose? Ci sono in Italia i farmaci biosimilari? Il
nostro Paese ha assunto fino ad oggi un atteggiamento ragionevolmente
prudente, sebbene biosimili siano già arrivati e siano disponibili in Europa
mentre negli USA nessuna molecola ha ricevuto l'approvazione. In Italia al
momento è presente un solo farmaco biosimilare , il GH: l'ormone della
crescita mentre non vi sono ancora biosimilari in campo oncologico.
Recentemente, lo scorso febbraio, ha ricevuto l'approvazione un biosimilare
dell'Epo alfa (nome commerciale Binocrit prodotto dalla Sandoz), che è
pronto per essere immesso sul mercato. In realtà eritropoietine biosimilari
sono disponibili in Croazia e Romania e, soprattutto, già da alcuni anni
sono in commercio in molti paesi dell' Asia e del Sud-America (India, Corea,
Iran, Vietnam, Thailandia, Filippine, Brasile, Argentina, Venezuela) E'
peculiare che si tratti di Paesi a basso regime economico o in via di
sviluppo che, quindi, hanno scarse risorse economiche disponibili per
garantire processi produttivi di alto costo quale quelli richiesti dalla
biotecnologia. Ma allora questi prodotti sono, per così dire,
sufficientemente"buoni"? Diversi studi di confronto sono stati eseguiti sui
biosimilari dell'eritropoietina. Per esempio in Brasile un analisi di 12
biosimili dell'eritropoietina prodotte da 5 ditte farmaceutiche, condotta
dall'Agenzia Nazionale di Vigilanza Sanitaria (ANVISA), ha riportato che la
potenza di attività tra i biosimili esaminati, variava dal 68% al 119% ,
c'era inoltre una sensibile variabilità nella composizione biologica e, dato
preoccupante, in 3 dei prodotti esaminati venivano riscontrate contaminanti
nocivi (endotossine batteriche!!), tanto che l'Autorità regolatoria
brasiliana ha sospeso l'importazione di 2 eritropoietine alfa prodotte da
una ditta faramaceutica. Una più recente analisi di 11 eritropoietine
biosimilari ha prodotto analoghi risultati ed ulteriori dati preoccupanti
sono emersi dall'analisi di ben 47 campioni di biosimili dell'eritropoietina
prelevati da diverse farmacie di Argentina, Brasile, India, Indonesia, Iran,
Giordania, Filippine, Thailandia, Venezuela, Vietnam, Libano e Nigeria che
ha dimostrato numerose inappropiatezza rispetto alle specifiche della Unione
Europea per l'epoetina alfa. Tali difformità possono portare a sottodosaggi
o a sovradosaggi ed al rischio di effetti collaterali nocivi, imprevedibili
e gravi. Bisogna quindi fare molta attenzione ed essere molto cauti in
merito alla commercializzazione ed all'utilizzo di questi prodotti
biologici. L'EMEA stessa ha rivisto recentemente ( comunicato stampa dello
scorso Agosto), le linee guida relative allo sviluppo ed all'autorizzazione
al commercio di biosimili dell'eritropoietina raccomanadando per la
dimostrazione dell'efficacia una durata degli studi clinici di almeno 6
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mesi, sempre in comparazione con il biofarmaco di riferimento mentre per i
dati relativi alla sicurezza, una durata degli studi clinici di almeno 12
mesi. Da notare che tale comunicato avviene dopo ormai l'approvazione in
Italia di un biosimile dell'Epo alfa avvenuto a febbraio 2008!! Ma c'è un
altro aspetto importante che non è stato ancora considerato: quello del
doping con biosimili dell'Epo. Infatti poiché questi farmaci sono
biologicamnet diversi dall'eritropoietina tradizionale, non sono
rintracciabili o riconoscibili utilizzando le metodiche specifiche e note
per l'individuazione dell'Epo. Infatti ciascun biosimile dell'Epo ha una sua
peculiare identità molecolare e necessita perciò di una metodica analitica,
quale quelle immunoelettroforetiche, specifica. Questo della cosiddetta
"tracciabilità post-marketing" è un problema ancora aperto ed ogni ditta
produttrice dovrebbe fornire, insieme al prodotto, anche le metodiche in
grado di rintracciarlo per esempio nei liquidi biologici. E' verosimile che
nel prossimo futuro sentiremo parlare dei biosimili dell'Epo come surrogato
di un doping ematico che, dato il relativamente basso costo, sarà di più
facile reperibilità e, quindi, alla portata anche dello sport non
professionistico. Ma, come purtroppo succede e come è successo con il
C.E.R.A. già da tempo preannunciato come sostanza dopante, soltanto dopo il
primo caso di doping "illustre" da biosimili dell'Epo, porterà il problema
"a galla" e sarà, come al solito, troppo tardi! E' evidente, da quanto
detto, che assume ancora più valore la necessità, al fine di prevenire il
doping ematico da eritropoietina e biosimilari di pretendere, almeno per
ciascun sportivo tesserato, un "passaporto ematologico", già più volte
proposto da divesi illustri studiosi del fenomeno doping, dove registrare
periodicamente le variazioni dei principali parametri del sangue nel corso
della propria vita sportiva. Lo scopo è quello di individuare quelle
variazioni ritenute non fisiologiche per quell'atleta e quindi sospette o
per vera patologia intercorrente o, laddove si tratti di variazioni in
eccesso, di sconsiderate pratiche dopanti.
Dr. Benedetto Ronci
Ematologo Azienda ospedaliera San Giovanni-Addolorata
Roma
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