BOKEH News lette ity reativ ax C r by M max creativity newsletter max creativity newsletter A ETTUR V O T U O TUA A IMMEDIAT A L O AGGIO ISTIAM ACQU NTO E PASS E PAGAM max creativity newsletter Oggi consideriamo il cinema come una forma d’arte, ma coloro che per primi si interessarono alla possibilità di registrare e riprodurre il movimento non furono personalità del mondo artistico. Tra i precursori della nascita del cinema troviamo infatti esponenti del mondo scientifico come Eadweard Muybridge o Étienne Jules Marey. Il primo riuscì a fotografare le varie fasi della corsa di un cavallo servendosi di dodici macchine fotografiche posizionate lungo il percorso compiuto dall’animale. Muybridge continuò ad utilizzare e perfezionare la sua tecnica per lo studio del movimento umano ed animale. Nel 1878 creò lo zooprassinoscopio, un primo rudimentale proiettore, che funzionava tramite dei dischi rotanti sui quali erano impressi disegni ricavati dalle sue fotografie. Le sue sequenze fotografiche possono essere montate e riprodotte come fossero dei filmati, ma Muybridge non realizzò mai dei film. I risultati delle sue ricerche scentifiche sono raccolti nell’opera Animal locomotion. An electro-photographic investigation of consecutive phases of animal movements (1872-1885). Anche Étienne-Jules Marey si interessò allo studio del movimento animale e costruì, nel 1882, il fucile fotografico, uno strumento capace di impressionare dodici fotogrammi in un secondo sfruttando un maccanismo del tutto simile a quello di una comune rivoltella (in inglese, il verbo “to shoot” ha ancora oggi il duplice significato di “sparare” ed “effettuare una ripresa cinematografica”). Marey fu il primo a usare un meccanismo ad intermittenza per impressionare la pellicola fotografica. Come abbiamo visto l’invezione di un meccanismo simile costituiva una dei presupposti senza i quali il cinema non avrebbe potuto venire alla luce. A Marey si deve il più antico filmato della storia del cinema: La Vague (1891), realizzato con questa sua invenzione. http://www.dailymotion.com/video/x1gr0j_j-e-marey-1891-la-vague-primo-film_shortfilms G SIAMO A pORTO vIRO (RO) VIA ROSSINI, 5/F max creativity newsletter max creativity newsletter max creativity newsletter I l monito arriva direttamente da Vinton Cerf, non certo uno che ha problemi con il mondo digitale, stiamo parlando del vicepresidente di Google considerato uno dei “padri di internet”. Come mai un uomo che ha il web nelle vene ci invita a stampare le Aggiungerei che c’è anche una componente emotiva nostre fotografie proprio durante il meeting annua- nell’avere una foto tra le mani, appesa in casa o incolle della American Association for the Advancement lata in un album, ed i più “romantici” potranno capirmi. of Science? Semplice: perchè rinunciando alla carta stampata corriamo il rischio di creare un “buco nero” di informazioni paragonabile al Medioevo, un’epoca di cui sappiamo relativamente poco a causa della scarsità di documenti scritti. Su cosa si basano le affermazioni di Vinton Cerf? Sull’evolversi continuo e veloce della tecnologia. Negli anni ’80 eravamo abituati ad utilizzare i floppy disk o le videocassette per salvare i nostri testi, le nostre immagini e tutti i documenti digitali. Ed oggi? Quante possibilità abbiamo di riuscire, con successo, ad avere accesso ai nostri file salvati su supporti obsoleti? Poche. Gli apparecchi capaci di leggere informazioni da un floppy non sono molti, sono quasi rari e non tutti hanno avuto la prontezza di convertire i propri file quando era il momento. Proprio a proposito della conversione Cerf ha affermato che spesso, per chi studia la storia, sono i documenti “privati” a fare la differenza e fornire testimonianze sincere. Chi avrebbe la premura di copiare anno dopo anno, tecnologia dopo tecnologia, le pagine di un blog? Sembra un paradosso che, nell’epoca dell’informazione e delle notizie che circolano alla velocità della luce si corra il rischio di non lasciare alcuna traccia, eppure è proprio questo che emerge dal discorso del guru di Google che parla di “putrefazione dei bit“. La soluzione? Stampare le proprie immagini ed i documenti importanti, trasportare nel mondo fisico i nostri ricordi e non limitarci a lasciarli in un database virtuale. Le fotografie andrebbero stampate, non solo condivise. max creativity newsletter U na fotocamera molto interessante per chi ama la condivisione (telematica a cartacea) a tutto spiano. Era stata presentata durante il Ces (Consumer Electronics Show) di Las Vegas 2014 ed ora sui può, finalmente pre-ordinare (consegne previste per gennaio). Già lo scorso gennaio ci aveva colpiti per la capacità di racchiudere, in un unico device, il bello delle Polaroid e la tecnologia 2.0 alla quale, oramai, siamo abituati. Stiamo parlando della Polaroid Socialmatic, l‘ultima uscita dell’azienda fondata 1937 da Edwin H. Land. La casa produttrice per nostra fortuna non è rimasta radicata al passato ma ha cercato un modo per rinnovare il suo prodotto rendendolo credibile e ben adattabile alle ultime tecnologie. Spazio alle novità senza però rinunciare a ciò che di Polaroid amiamo di più: la possibilità di stampare le foto in un istante, senza cambiare dispositivo. Polaroid Socialmatic Già dal nome possiamo intuire che condividere le nostre immagini sui profili social sarà facilissimo: si potrà fare direttamente dalla fotocamera, senza aver bisogno di passare dal computer o dallo smartphome, una connessione WiFi sarà sufficiente. Ma non è tutto: al suo interno batte un cuore Android, il sistema operativo di Google. tecnologia e social Polaroid Socialmatic: da oggi puoi acquistarla L e caratteristiche tecniche di Polaroid Socialmatic: Sensore da 14 Megapixel Display touchscreen da 4,3 pollici 4 GB di memoria interna espandibili tramite una microSD Fotocamera posteriore e frontale (per la modalità selfie) Interfaccia Wi-Fi integrata Connessione tramite bluetooth al proprio smartphone (magari proprio per utilizzarne la connettività e geotaggare le immagini non solo per trasferirvi le foto) Exclusive QR Mood Assistant™ (per creare in automatico QR code relativi agli scatti condivisi) Stampa con ZINK® Zero ink® printing technology Disponibile su Amazon in due differenti colori, bianco o nero, costa 299 dollari, quindi circa 240 euro. Torniamo a parlare del social blu. Questa volta non parleremo di cose serie: niente privacy, niente delucidazioni sui termini di servizio e niente previsioni sul futuro. Oggi vogliamo parlare di Facebook con ironia, ridere del nostro modo di utilizzarlo per smettere di prenderci troppo sul serio. Ci sono una serie di “errori” che puntualmente commettiamo su Facebook ma che dovremmo evitare se teniamo alla nostra salute. 8 cose che devi smettere di fare su Facebook 1. Avere tra gli amici il tuo ex ed i suoi parenti non è una buona idea. Cancella tutti, fai pulizia e smetti di controllare maniacalmente quei profili. Niente like, niente commenti, niente di niente. Non barare: chiedere agli amici di monitorare al tuo posto i profili “scottanti” non è valido. 2. Evita le discussioni politiche e non iniziarne mai una con l’amico della sorella dell’ex fidanzato della cugina di tua madre. Se si tratta di un amico discuti di politica in riunione, se si tratta di un semi-sconosciuto non ne vale la pena. 3. Gli amici di Facebook non sono come i punti fedeltà del supermercato: non si vincono premi in base al numero. Quindi cancella le persone che non conosci, quelle con le quali non interagisci e quelle che non riescono a stimolare il tuo interesse (vedi punto due) 4. I compleanni sono un problema. Sono un problema per il festeggiato che riceverà milioni di notifiche inutili mentre è in ufficio, aprirà il suo profilo e leggerà centinaia di post tutti uguali. Se stai pensando che potresti fare gli auguri in modo originale lascia perdere: le formule “creative” come “eppi bordei” e “angurie” non sono più creative dal 1990. Un modo diventato originalissimo nell’ultimo periodo è quello di citofonare, salire, scroccare un caffè e fare gli auguri di persona. Se il compleanno è il tuo ricordati che non devi ringraziare tutti gli 800 utenti che hanno speso 3 secondi per digitare sei lettere sulla tua bacheca. 5. Parliamo ora dei post indiretti. Status, immagini, frasi pungenti riferite a qualcuno che però non è menzionato. Per prima cosa i problemi della vita reale non si risolvono su quella virtuale (torna al punto precedente e segui il consiglio del citofono). Passi lo strumento virtuale ma il punto è proprio il post indiretto che, se tutto va bene, non verrà capito. Su Facebook puoi taggare una persona semplicemente scrivendo le prime lettere del nome, non serve nemmeno più digitare la chiocciolina… 6. Le foto (ed i video) dei bambini non andrebbero pubblicate. Primo per una questione di privacy e sicurezza e secondo perchè un giorno questi bambini diventeranno adulti e chiederanno ai genitori come mai sono stati tanto ridicolizzati in pubblico. 7. Gli status minacciosi contro chi ti invita a giocare serviranno solo a far sfregare le mani al tuo analista che vedrà in te un’ottima fonte di guadagno. Esiste una procedura per non ricevere le notifiche di questo genere. 8. Le richieste di amicizia. Si chiamano “richieste” proprio perchè c’è anche l’opzione di rifiutarle. max creativity newsletter Adolescenti e Internet: il resoconto di Save the Childrens Save the Childrens ha recentemente effettuato una ricerca sui giovanissimi ed il loro modo di utilizzare il web. In effetti il tema adolescenti e Internet è scottante e gli adulti devono iniziare a porsi qualche domanda per avere una linea chiara da seguire e non rischiare di dover correre ai ripari quando è troppo tardi. Le insidie che il web porta con sé sono note, forse è meno noto che anche il fatto di essere disconnessi potrebbe essere dannoso. I dati raccolti fanno emergere le due facce più allarmanti della medaglia: da un lato ci sono adolescenti sempre connessi e senza il minimo controllo da parte di chi li educa (con tutto quello che ne consegue), dall’altro ci sono ben 452mila adolescenti italiani che non hanno mai avuto accesso a Internet, non leggono e non svolgono attività culturali. Adolescenti e internet, il profilo dei “troppo connessi” I ragazzi presi in esame hanno tra i 12 ed i 17 anni, si tratta quindi di minorenni sottoposti a rischi non indifferenti. In effetti il 41% degli intervistati ha ammesso di chattare su Whatsapp anche con persone che non conoscono direttamente. Il trend nasce a “causa” dei gruppi: in molti hanno ammesso di scrivere attivamente su svariati gruppi differenti senza conoscerne tutti i partecipanti. Già a partire da questo primo punto un genitore dovrebbe iniziare a preoccuparsi perchè tutti gli utenti possono visualizzare il numero di telefono di tutti i partecipanti. Ma non è tutto: un ragazzo su quattro ammette di aver inviato messaggi, video e foto con riferimenti sessuali ed il 33% si dà appuntamento con qualcuno conosciuto solo attraverso questi gruppi. Incontri che non sempre vanno come si potrebbe sperare: nel 46% dei casi la persona conosciuta nel mondo reale non è chi diceva di essere in quello virtuale. Un altro grande problema per gli adolescenti troppo connessi è il cyberbullismo: il 35% degli intervistati afferma di aver avuto a che fare (indirettamente e non) con atti di questo genere. Un’allarmante ricerca del 2012 ha analizzato 41 casi di suicidio di ragazzi sotto i 18 anni negli Stati Uniti, in Canada, nel Regno Unito e in Australia. Secondo lo studio, il 78% degli adolescenti che hanno commesso suicidio sono stati vittime di bullismo sia a scuola che on-line, mentre solo il 17% sono stati esclusivamente vittime di cyberbullismo. Pur non essendo contemplata in questo ultimo studio, l’Italia non è al sicuro da questo problema e più di un drammatico caso di cronaca avvalla questa tesi angosciante. Adolescenti e Internet, il profilo dei “disconnessi” Dopo aver letto i dati apocalittici riportarti qui sopra i disconnessi potrebbero sembrare molto fortunati: messi in salvo da rischi e pericoli che la rete porta con sé. Ma non è così: perchè se da un lato è vero che Internet è potenzialmente pericoloso, dall’altro, bisogna ammetterlo, offre una serie infinita di possibilità positive. Il primo fatto allarmante: dietro la disconnessione c’è spesso una situazione economica sfavorevole ed il 22,7% degli adolescenti non connessi vive in una famiglia che definisce la propria situazione patrimoniale “insufficiente”. La disconnessione nella maggior parte dei casi va di pari passo con la “povertà educativa“: un ragazzo su 5 (il 21.1%) dichiara di non aver letto un libro o visto un film al cinema negli ultimi 12 mesi mentre, tra i ragazzi connessi, la percentuale scende al 5,3%. Il 48,2% degli “online” ha visitato un museo, una mostra o un sito archeologico nell’ultimo anno ma il dato scende al 25,7% tra i disconnessi. E’ difficile stabilire quanto la “povertà educativa” già citata abbia a che fare con Internet e quanto, invece, con la situazione economica della famiglia. Bisogna però ammettere che la rete, se usata nel modo giusto, può essere uno strumento per arricchirsi culturalmente ed imparare. Adolescenti e Internet come devono comportarsi gli adulti? Come sempre a vincere dovrebbe essere il buon senso: sì all’utilizzo della rete ma avendo sempre la cura, la voglia e la pazienza di controllare come questa viene utilizzata. L’errore che spesso viene commesso da parte dei genitori è quello di “cedere” perchè la maggior parte dei ragazzi possiede uno smartphone, una connessione ed un numero non calcolabile di profili social. L’omologazione, in alcuni casi, è dannosa. max creativity newsletter tura onta po m di sco tipi on lo l’uso i s le ver ti c I di o crea ù agevo da un e i n ost furo ndere p i. Così, cuoio no p e. a v di r i si e hial n r e ve a copia 268 d gli occ ostegno e si pa o h c de sse l1 e s ti d ont ici onve noscrit cone ne ilizza- semplic alla fr a forb (la c o ut Ba ma tte nali di i r sui uggero mo ad tici; ma attorn i occhi lorgne nico) e t pe ma pri l’ar agl etta i ot nte z he oggetti cou il er scop he la le ta sò cosidd con il nce-ne c f a r i a c à i a p b p si i l l z i l a z i em ire g osse g ma lent più tard re utili iché a ontatur sissimo za che ), d f e , n r i e a m nz gr meglio oman zare lo mo pin ul naso ess u so ciò ad cchio a ia che o al fa ura a R z s f i i le l l i r i t e a o t , n ’ ente entate ta nez spami no all ved uta d ò di u eggere n m e o a o t c l V t v s i a l a (m ci dire ono in e. Un’a e nosc no pen i per o non più vi tto. Fu etro tr a ed g g t in r g d u gge rò il v a volt uti re ché fu tanghet enjam i o ’ ness i meto sto sva l l a B e s n im nt en t e adop r la pr ivano t Nei fi ierne la diede o le le 5 ques che qu uso. i s d e . d n o a p 82 ff volt scopren Nel 1 ell da- rente etri ve hiodino svevisto olto di s r a a u r . v c t ito 85 n e og idd tlin era m solit circo a i du me da u ra proib bbrica- Frank nel 17 orge B lente a r e i e e l e l e e ie i fa i rs a G ca eron iochi d aldo fo la ins i temp o della per cu bifo ozzese la prim ci e col g , t r ; m i i e e c e e l i r ti r t s ò d a re ostr astigma ocali. o sm verde po- p re il seg i occhi di mor e lo n m u f r i la ena degl Airy azienti lenti tri lore nde erso to r trav é il co a effet oppure zione vista la p bito ve plici p o r X n i d h pe perfi el X d perc a agiva occhi icolare era pre era pro me sem rmiì a u t n si t e str o li r i Tre ntiva l’e ti piet per g lio par mette- inoltre lenti c e Arti p senn n a n r g l n e egli o si se elle le hi sant é il ta ra gli pe orreg- queste finché ni di co d l i c h l o t a sec creare gli occ perc sua pie erlo, di ista. istal li artigi . r c o co i g v a d ggesser osì si ndella nza sap o della ro a vendita z n e e n s v e c i e e t g d mo ri, rot e la he va, s un difet rano tintivo che p gi sola ttare le più va c o tirn e e i e p l n r a s g a a i ge ca s otevan cchi egno d uzione. dai ra va ad ad hiali no a ai e o n i e l p ce eS cia ns occ istr nali m nch oggetti sempli rati u e di emame e min e degli person Ancora t e i a. ze él edit iltà trav estr atur gli gran doli at cqua. di nob ggetti e perch in t le esigen lla mod mosi pr o n i o ’a an ch so al re i fa sta i de esse e guard piena d lo che Erano iosi, an o spes ziosi tam rsonagg o a que i da t e t n a d e z o i ia l olt pe men a bocc XI sec en co- te pre ure era ti e pr avoggi, il loro v di occh li oca t n l’ o i z l a , u a g t e a o e h g n n o d l s o pr corn queste stano a marca perché ntati solo arabo A l’ottica ae m teriali , o e l t i u n d e c F for- a quel da sole ai div ome ico studiar o ‘Opti i- ma , arge hiesta ù s i fi m p a, c or il ro ic at la a pr ao to ciò tratt per la la (o ). La r ne mol ne del i vist i sono di mod borse. n l i i i e m l o o a rio ili d iven chia cessori rpe e le diat enzi n cu trass cui aurus’, i iva stu i inci- lenti d o l’inv eri mob 1400 c a t d un a iti, le sc n p s l t The olta ve ’angolo rifles- te do a carat solo ne ese a v l t i ves i a ma ione e za e d la tra- stamp erg e fu ne si es z b o den . Con atino rifra uten produzi G l e n n o i i a. la si era, che l’Europ one duzi sua op nciaa tutt i della ci com ttare a e mon a prog lenti o ron struire o e c I L A I H C C IA O R I L O G ST A L NEL R S N N A G max creativity newsletter I Ray-Ban Wayfarer non sono solo gli occhiali più venduti della storia, ma un vero e proprio fenomeno di costume che ha saputo nascere, morire e rinascere tante e tante volte nel corso dei decenni. I wayfarer sono stati disegnati da Raymond Stegeman nel 1952. Raymond era un inventore che creò decine di progetti per la Bausch and Lomb, l’allora proprietaria della Ray-Ban Il design degli occhiali era un cambio radicale con il passato, sia nella forma che divenne subito uno status symbol, soprattutto maschile, che per i materiali: i Wayfarer furono infatti i primi occhiali a sfruttare le nuove materie plastiche e segnarono l’inizio dell’uso delle montature in plastica. Se si pensa alle sottili montature in metallo che venivano vendute negli anni cinquanta si capisce subito come i Wayfarer fossero assolutamente innovativi e fuori dagli schemi per l’epoca. Appena introdotti divennero subito un successo commerciale incredibile, aiutati senza alcun dubbio da un marketing azzeccatissimo che puntava molto sul cinema e su testimonial d’eccezione. Kim Novak portava i Wayfarer in Costa Azzurra nel 1954, così come Marilyn Monroe non mancava di indossarli ad ogni buona occasione.La svolta vera arrivò nel 1961 quando Audrey Hepburn indossando una versione oversize dei Wayfarer in Colazione da Tiffany li fece diventare un vero e proprio oggetti di culto. Durante gli anni cinquanta e sessanta celebrità di ogni tipo come John Lennon, Bob Dylan, James Dean, il presidente John F. Kennedy, Roy Orbison e Andy Warhol indossavano regolarmente dei Wayfarer per proteggersi dal sole. Dopo il boom incredibile degli anni ’50 e ’60 le vendite cominciarono a calare: i wayfarer erano inevitabilmente passati di moda e negli anni settanta furono quasi cancellati dal listino Ray-Ban per lasciare il passo ad occhiali più estroversi e particolari, tipici dell’epoca degli Hippies.La Ray-Ban ci riprova nel 1980 facendo indossare i suoi Wayfarer niente meno che a Jake Blues e a suo fratello Elwood.. meglio conosciuti come Blues Brothers. Il successo del film è storia, ma nonostante questo nel 1981 furono vendute solo 18000 paia di Wayfarer: la morte dell’occhiale più venduto della storia sembrava ormai certa. Solo un marketing ancora più spinto poteva risollevare il mito e la Ray-Ban lo sapeva. Contro ogni pronostico decise di investire 50.000 dollari l’anno in product placement per i suoi Wayfarer all’interno di produzioni cinematografiche e televisive: dal 1982 al 1987 i Wayfarer apparvero ogni anno in oltre 60 tra film e telefilm.Nel 1983 i Wayfarer tornarono alla grande, anche grazie a Tom Cruise e al famoso Risky Business: 360.000 paia vennero vendute in quell’anno, era l’inizio di un nuovo fenomeno di costume che avrebbe abbracciato tutti gli anni ottanta.Arrivati al 1986, grazie ad altre apparizioni in serie televisive di successo come Miami Vice e Moonlighting, la Ray-Ban aveva perso il conto dei Wayfarer venduti: si era arrivati a 1 milione e mezzo di pezzi in circolazione. Contemporaneamente i Wayfarer spopolavano nel mondo della musica: Johnny Marr, Debbe Harry dei Blondies, Elvis Costello, Morrissey, Patti Smith, gli U2.. tutti indossavano Wayfarer, chi per contratto, chi per scelta: i Wayfarer passarono dai due modelli disponibili nel 1981 a più di 40 diversi modelli (per forma e colore) nel 1989: furono una delle icone degli anni ottanta ed entrarono nella storia un’altra volta.Ma la storia si ripeté negli anni novanta dettando un’altra caduta per le vendite dei Wayfarer: la popolarità immensa raggiunta negli anni ottanta si trasformò, come spesso succede, in noia e i nuovi modelli di occhiali, più avvolgenti e moderni che uscirono in quella decade (Oakley su tutti) spadroneggiarono le vendite lasciano cadere nel dimenticatoio ancora una volta i Wayfarer.Il ciclo di vita dei famosi occhiali Ray-Ban non era però ancora finito: grazie ad un redesign nel 2001 e alla moda del vintage dei primi anni duemila i Wayfarer stanno oggi rivivendo l’ennesima nuova giovinezza.Nel 2007 Ray-Ban si accorse che vecchi Wayfarer degli anni cinquanta e sessanta venivano vendute e cifre stratosferiche su Ebay e colse la palla al balzo introducendo i Wayfarer Original che riprendevano esattamente il design dei primi modelli prodotti cinquanta anni fa.I Wayfarer sono tornati ancora sul naso di tanti appassionati, più come fenomeno di vintage che di costume, ma il design immortale di questi occhiali testimonia come un oggetto tanto semplice quanto un paio di occhiali da sole possa a tutti gli effetti entrare nella storia. max creativity newsletter METTI IN EVIDENZA L’ EVENTO NEL TUO LOCALE max creativity newsletter max creativity newsletter FOTORITOCCO D ovrei avere Lightroom o Photoshop?” Questa è la domanda che un sacco di persone che usano Photoshop Elements mi pone quando stanno pensando di passare a Lightroom o alla versione completa di Photoshop. Qualche annio fa questa era una decisione facile, perchè Lightroom non esisteva. Se si voleva fare un passo avanti rispetto ad Elements, la versione completa di Photoshop era l’unica scelta possibile. Ma da allora Apple ha lanciato Aperture, Adobe ha risposto con Lightroom, Nikon e Canon hanno aggiornato i loro software, e una miriade di altre aziende ha aggiunto ancora altre opzioni interessanti. Per ora ho intenzione di parlare solo di Lightroom e Photoshop, soprattutto perchè queste sono le due scelte più popolari e anche perchè sono le due applicazioni che conosco meglio e sono la scelta naturale per le persone che desiderano fare il salto di qualità da Elements, altro programma di Adobe. La risposta breve Ecco la soluzione più semplice per il vostro dilemma: usateli tutti e due. Però probabilmente chi fa questa domanda non può permettersi l’acquisto di tutti e due, o non ne vuole sapere di usare due programmi diversi. Quindi, ecco una risposta leggermente più lunga: se si vuole strizzare ogni grammo di perfezione dalle immagini, realizzando grandi stampe, senza preoccuparsi di dover apprendere un software piuttosto complesso, allora consiglio di fare il grande passo e acquistare Photoshop CS5. Se invece non avete bisogno della perfezione, volete elaborare molte immagini efficacemente e non volete perdere troppo tempo nell’apprendimento del software, allora Lightroom fa per voi. Naturalmente non è tutto così chiaro e semplice. E’ possibile realizzare belle stampe in grande formato anche con Lightroom, ma la versione completa di Photoshop vi darà alcuni strumenti extra che Lightroom non ha. E’ possibile elaborare un gran numero di immagini con Photoshop CS5, ma Lightroom è più veloce e, per la maggior parte delle persone, più facile da imparare. Alcuni pro e contro Nel confronto tra questi programmi, è importante rendersi conto che Photoshop CS5 comprende quasi tutte le funzionalità di Lightroom e altro ancora. Bridge, un’applicazione separata inclusa con CS5, contiene la maggior parte delle funzioni del modulo “Libreria” di Lightroom. Adobe Camera Raw (ACR), anch’esso incluso con CS5, è sostanzialmente identico al modulo “Sviluppo” di Lightroom. Quindi, se volete la massima potenzialità e la sofisticazione della versione completa di Photoshop, potrete effettivamente risparmiare soldi saltando Lightroom, dal momento che in sostanza si possono fare tutte le stesse cose con Bridge e Camera Raw. Il problema, con questo scenario, è che andare avanti e indietro tra queste tre applicazioni distinte: Bridge, Adobe Camera Raw e Photoshop non è assolutamente comodo. Inoltre Bridge è lento, non intuitivo, e con alcuni problemi. Lightroom fonde elegantemente le funzioni di Bridge e Camera Raw (più poche altre) in un unico programma e di solito è anche più veloce di Bridge ed abbastanza intuitivo e facile da imparare. Ho visto molti studenti che non avevano familiarità con Lightroom, all’inizio di un seminario diventarne entusiasti entro la fine del corso. E’ un ottimo strumento per le persone che hanno fatto, a malincuore, il passaggio dalla pellicola o che non vogliono approfondire tutte le complessità della camera oscura digitale, ma cercano qualcosa di abbastanza sofisticato per migliorare facendo sì che le loro conoscenze e competenze aumentino. Personalmente sono arrivato a Lightroom da una direzione diversa. Avevo usato Photoshop per molti anni. Lightroom inizialmente era solo un sostituto più conveniente per la combinazione di Bridge e Adobe Camera Raw. Da quando Lightroom è cresciuto, diventando più sofisticato, lo uso sempre di più e Photoshop sempre meno. L’aggiunta del Pennello di regolazione, con Lightroom 2, mi ha permesso di schiarire e scurire, funzioni che trovo essenziali per ogni immagine. Ora posso elaborare molte immagini ,direttamente dai file Raw, per stampe di grandi dimensioni, senza mai toccare Photoshop, fatta eccezione per lo sharpening finale di stampa. Ho anche imparato ad apprezzare la flessibilità del flusso di lavoro non distruttivo di Lightroom. Lightroom, infatti, non altera mai i file Raw o Jpeg originali. Invece, scrive un insieme di istruzioni su come si desidera che appaia l’immagine e applica tali istruzioni solo quando si esporta l’immagine fuori da Lightroom (ciò vale anche per Adobe Camera Raw). Questo significa che posso sempre tornare indietro e modificare qualsiasi aspetto di qualsiasi immagine, senza dover ricominciare da capo. Lasciate che vi dia un esempio del perchè penso che questo sia così importante: con l’avvento di Lightroom 3 e Photoshop CS5, Adobe ha aggiornato la riduzione del rumore, affinando gli algoritmi di Lightroom e Adobe Camera Raw. Questo, a mio parere, è stato un miglioramento importante qualcosa di cui ho voluto approfittare. Purtroppo, ho un sacco di vecchie immagini che sono state trattate con regolazione iniziale in Camera Raw o Lightroom, poi prese in Photoshop per il resto. Dal momento che avevo trattato queste fotografie prima che fosse possibile portare i file Raw in Photoshop come oggetti avanzati, ho dovuto ricominciare da capo con ogni immagine se volevo approfittare delle nuove funzionalità di Lightroom 3. Se avessi originariamente elaborato queste immagini interamente con Lightroom non avrei avuto bisogno di ricominciare. Pochi click sarebbe bastati per aggiornare tutte queste immagini con gli ultimi algoritmi di riduzione del rumore e di incremento della nitidezza, mantenendo inalterati tutti i miei altri aggiustamenti alle immagini. PHOTOSHOP O LIGHTROOM? Avendo imparato questa lezione, ho ritrasformato le mie immagini, per quanto possibile, con Lightroom 3 e il meno possibile con Photoshop. Questo non solo è stato relativamente rapido e facile, ma anche i risultati, non solo la nitidezza e il rumore, ma l’aspetto complessivo, sono stati buoni o migliori del mio precedente lavoro con Photoshop. Senza dubbio questo è dovuto anche alla mia maggiore esperienza, ma certo mostra ciò di cui Lightroom è capace. E se mai Adobe aggiornerà ancora il motore in Lightroom, potrò aggiornare tutti questi file solo con un paio di clic. Certo si può far sì che anche Photoshop si comporti in modo non distruttivo usando i livelli di regolazione e gli oggetti avanzati, ma ci sono limitazioni. Inoltre non è possibile aggiornare le impostazioni di nitidezza su un centinaio di file di Photoshop contenenti oggetti avanzati con pochi clic. Perchè Photoshop è ancora indispensabile Come avrete compreso apprezzo molto Lightroom. Non è perfetto, ma fa un sacco di cose per bene. Eppure trovo ancora Photoshop indispensabile per alcune elaborazioni, come queste: - Taglio prospettico - Ritocchi pesanti (per macchie di polvere semplice posso usare Lightroom) - Selezioni complesse - La combinazione di 2 o più immagini (compositi, espansione gamma di contrasto, ampliare la profondità di campo, panorami) - Curve mirate - Regolazione di una serie precisa di colori con tonalità / saturazione - Regolazioni selettive del colore Molte di queste modifiche possono essere fatte anche con “Elements”, ma naturalmente ci sono alcune limitazioni, ad esempio, non possono aprire immagini in “Elements” come oggetti intelligenti, limitandone la flessibilità. Poi ci sono quelle cose che Elements e Lightroom non possono fare. Io spesso uso la regolazione selettiva per le fotografie a colori di paesaggi e le curve mirate che talvolta sono proprio indispensabili. Ma comunque penso che Lightroom ed “Elements” combinati possano lavorare bene, e anche di più, per molti fotografi. max creativity newsletter Allen Jones (scultore) ARTE Allen Jones (Southampton, 1º settembre 1937) è uno scultore e artista pop britannico. Vive e lavora a Londra. Jones è nato a Southampton e dal 1955 al 1961 ha studiato presso il College Hornsey of Art (Londra). Nel 1960 è stato espulso dal Royal College of Art, dal 1961 al 1963 ha insegnato presso Croydon College of Art. La sua mostra di sculture erotiche, come Sedia, Tavolo e Appendiabiti (1969), è incentrata sulla furniphilia: i suoi soggetti femminili si trasformano in elementi di arredo umani. Molto del suo lavoro attinge all’immaginario del feticismo, della passione per il lattice e il BDSM. Le sculture del Korova Milkbar dal film Arancia meccanica si ispirano alle opere di Jones, dopo che questi respinse la richiesta di Stanley Kubrick di curare la scenografia del film senza compenso. Jones ha curato il design nel film Maîtresse del 1975 diretto da Barbet Schroeder. Nel 1986 è stato nominato membro della Royal Academy. David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd, tiene in mano una copia di Figures di Allen Jones durante le porzioni di intervista in Pink Floyd a Pompei. Hans Hartung Un artista poliedrico, aperto, colto, un maestro-innovatore della pittura del Novecento che filtra ogni esperienza alla luce di una sua personale concezione dell’arte, per rimanere fedele a sé stesso. Hans Hartung (Lipsia ,1904 - Antibes, 1989) è un pittore dal linguaggio complesso, tedesco di nascita e francese d’elezione, ha conosciuto direttamente tutti i movimenti avanguardisti del ‘900, senza tuttavia omologarsi in nessuno di essi, distillando ogni esperienza tramite la sua personale concezione dell’arte come linguaggio inimitabile ed autonomo. Hartung affronta i suoi primi esercizi pittorici da autodidatta per poi approfondire il suo bisogno di conoscenza presso l’Accademia di Belle Arti di Dresda (1925-26) e di Monaco (1928).Allievo di Kandinskij, si allontanò dall’insegnamento del Bauhaus, esperienza decisamente rigida per uno spirito indipendente come il suo.Viaggiando in Europa, si appassionò ai grandi maestri, come Rembrandt, El Greco, Goya, e agli espressionisti tedeschi, in particolare Kokoschka e Nolde.Durante il conflitto mondiale la scelta di contrastare e combattere il nazismo lo spinse ad arruolarsi come volontario nella Legione straniera. Ferito gravemente nei combattimenti di Belfort, nel tentativo di trascinare un camerata ferito entro le proprie linee, gli venne amputata la gamba destra. Esempio di coraggio e valore militare, venne decorato della Croce di guerra del 1939-1945, della Medaglia militare e della Legione d’Onore. Nel 1945, stabilitosi a Parigi e divenuto cittadino francese nell’anno successivo, riprese il discorso interrotto di pittore. Era partito nel 1923 con macchie e, dopo circa sei anni, proseguì con segni scuri votati al verticalismo di ascendenza gotica, punte aguzze su fondi luminosi che si incontrano in dialoghi struggenti e nervosi, profondamente spirituali. La pittura segnica di Hartung si inserisce nella ricerca dell’Arte Informale, anche se da quest’ultima si differenzia per la mancanza di un netto rifiuto della forma. Nelle opere degli artisti che utilizzano la pittura segnica, la forma, tende a trasformarsi in “segno”, in elemento grafico riconoscibile a livello formale, ma non nel suo contenuto. Il segno è tutto, può tutto, esprime la pulsazione vitale dell’universo “in una linea morbida o flessibile, curva e fiera, rigida o possente, in una macchia di colore stridente, gioioso o sinistro”. Dagli anni Sessanta l’artista moltiplica la sua produzione sperimentando nuovi materiali, e nuovi metodi; utilizza, acrilici, vinilici, dipinge con pistole a spruzzo, spugne, stiletti, e le dimensioni dei suoi quadri diventano monumentali. Nel 1973 costruisce, da un suo progetto, la straordinaria casa e gli studi di Antibes, al centro di due ettari di oliveto, dove vi trascorse il resto della vita.Negli anni Ottanta si susseguono numerose tele in cui Hartung riprende la sua definizione cosmologica declinandola in nuovi elementi, alla luce di una nuova produzione, ora decisamente pittorica. Negli ultimi giorni di vita, provato da un lungo periodo di immobilità, Hans Hartung sentì nuovamente l’euforico desiderio di creare, la volontà di tradurre in segno l’energia che lo pervase. Sceso nello studio con la sua sedia a rotelle, ordinò tele di quattro metri per due che andranno ad accogliere le ultime libere volontà di un uomo votato interamente all’arte. max creativity newsletter Max Colombo ARTE & fotografia La Fotografia esiste dal 1820, quindi ha una storia di meno di 200 anni. L’arte bidimensionale, invece, per quanto ne sappiamo, è un’espressione umana da oltre 20.000 anni, cioè da quando vennero realizzati i primi dipinti di animali, sulle pareti delle grotte di Lascaux, in Francia. Impressionismo: qualità della luce La maggior parte dei fotografi è consapevole degli insegnamenti dell’impressionismo, in primo luogo perché è un movimento che lavorava con la luce naturale e le sue caratteristiche mutevoli. Claude Monet e Georges Seurat erano più interessati al modo in cui le cose venivano viste, piuttosto che creare descrizioni realistiche dei loro soggetti. Questo movimento crebbe di pari passo con la fotografia. Dal 1860 circa in poi c’è stato un interscambio continuo, tra fotografia ed impressionismo, in quanto entrambi cercavano di definirsi uno in relazione all’altro. Almeno un pittore, Edgar Degas, fu anche fotografo e coloro che studiano le sue composizioni riconoscono immediatamente che il suo insolito uso del taglio era intrinsecamente fotografico. In realtà, rispecchia ciò che la maggior parte di noi oggi realizza con Photoshop ed altri software di imaging. Più che altro, l’impressionismo ci ricorda che la luce è la fonte primaria di un’immagine, dipinta o fotografata, e che la qualità della luce, che è stata l’oggetto di maggior interesse per gli impressionisti, può esaltare o distruggere una foto. Chiaroscuro: Utilizzo di contrasto Il termine “chiaroscuro” è usato per descrivere i dipinti ad olio drammaticamente illuminati, con forti contrasti, che caratterizzarono la pittura del XVI secolo. Quando un fotografo oggi esegue un ritratto che illumina un solo lato del viso, lasciando La fotografia, quindi, essendo la più giovane fra le arti visive, non può fare a meno di rifarsi ai millenni precedenti di creatività delle immagini. Le migliaia di anni di sviluppo, di pensiero, di ricerca e di duro lavoro che hanno segnato la storia dell’arte ci possono fornire, infatti, potenti fonti di ispirazione fotografica. svanire l’altro nel buio, magari inconsapevolmente, sta utilizzando lo stesso strumento di Ugo da Carpi, Giovanni Baglione e, soprattutto, Caravaggio. Il chiaroscuro è una potente tecnica dell’arte rinascimentale, usata ancora oggi da innumerevoli fotografi. Ma risulta piuttosto complicata, come sa bene chiunque abbia lavorato in studio usando una singola fonte, molto diretta, di luce. Studiare la pittura manierista e barocca è un modo per contribuire a padroneggiare questa tecnica. I Maestri della Composizione Il primi e migliori maestri di composizione erano i pittori e i disegnatori. La maggior parte dei fotografi è consapevole dei principi di base della composizione: le linee, la regola dei terzi, la forma, la proporzione e l’equilibrio. Ma i maestri della pittura rimangono insuperati nell’utilizzo combinato di questi elementi, per catturare e focalizzare l’attenzione. Peter Paul Rubens, pittore fiammingo che lavorò nel XVI e XVII secolo, portò la complessità compositiva all’estremo. Joan Mirò, pittore spagnolo del XX secolo, ha utilizzato gli stessi principi, ma li ha applicati con parsimonia. Alcuni dei più grandi fotografi, come Henri Cartier-Bresson e NOLEGGIO FURGONI max creativity newsletter Miguel Rio Branco, hanno lavorato prima con i pennelli per poi passare alle macchine fotografiche. Entrambi sono maestri di composizione formale, proprio perché hanno passato lunghe ore a studiarla. Una profonda familiarità con la composizione in pittura può essere applicata alla fotografia per creare vere opere d’arte, piuttosto che semplici istantanee. Espressionismo Astratto: andare oltre L’espressionismo astratto, caratterizzato dai dipinti a “sgocciolatura” (dripping) dell’amato-odiato artista americano Jackson Pollock, rappresentava qualcosa di più profondo delle semplici macchie di colore. L’idea di coprire una superficie di segni, usando immagini non-figurative, è stata una delle più importanti rivoluzioni artistiche del XX secolo. L’idea è che ci sia qualcosa di più profondo, qualcosa che scaturisce dal subconscio, che può essere catturato ed espresso dall’arte. Questo è un terreno fertile per i fotografi artistici e tutti coloro che sono interessati a spingere i loro orizzonti fotografici verso nuove direzioni. Ricordiamo che l’arte bidimensionale è antichissima, ha una lunga storia di studi, esperimenti ed innovazioni. I fotografi, quindi, non dovrebbero ignorare questa parte del patrimonio visivo comune, ma piuttosto, abbracciarla, costruire su di essa, e applicarla al proprio lavoro. C La pittura non è la fotografia, ma ci può dare lezioni fondamentali che possono aiutarci a fare meglio il nostro lavoro di fotografi. Orari: Lunedì15:30-19:00 Martedì15:30-19:00 Mercoledì15:30-19:00 Giovedì15:30-19:00 Venerdì15:30-19:00 SabatoChiuso DomenicaChiuso Corso Risorgimento, 214 45014 Porto Viro (RO) Telefono:348 874 0772 S.N.C. di Zanella Teddy Autolavaggio a mano / self 24 ore pulizia interni BAR al VILLAGGIO aperto dalle ore 5.30 SABATO APERTO TUTTO IL GIORNO MERCOLEDI’ POMERIGGIO CHIUSO PER TURNO via Fenilone, 11 45010 ROSOLINA (RO) Tel. 0426 - 340525 max creativity newsletter SALDI FINE STAGIONE 50% SCONTO COLLEZIONI € 5,00 PRIMAVERA ESTATE € 10,00 € 15,00 PROMOZIONE PER CORREDINO VENITE A TOVARCI LOVE BIMBI VIA MAZZINI, 122 PORTO VIRO (RO) tel. 0426 323495 max creativity newsletter max creativity newsletter ' L ucille non suona più. B.B. King, la leggenda del blues che ha ispirato decine di musicisti, se n’è andato, a quasi 90 anni (li avrebbe compiuti in settembre) dopo 60 anni di una carriera che lo ha portato dalle piantagioni di cotone alla leggenda. Apparteneva a quella straordinaria generazione di musicisti che aveva elettrificato il Blues e lo aveva trasformato in musica urbana ponendo di fatto le basi per quello che oggi è il rock’n’roll: l’influenza esercitata è immensa, a cominciare dai grandi padri del rock inglese che si sono formati studiando nota per nota il repertorio di questi musicisti. Riley B. King (il suo vero nome) è stato uno dei chitarristi più celebri e importanti di sempre: con la sua Lucille (la leggendaria Gibson 335 ribattezzata così, pare, con il nome di una ragazza per la quale due uomini avevano litigato provocando un incendio in cui aveva rischiato di morire) aveva creato uno stile più morbido e chiaramente ispirato al jazz e al rhythm and blues rispetto a quello, decisamente più “rootsie” di gente come Muddy Waters e Howlin’ Wolf. Uno stile fatto di glissati e note lunghe, creato con un inconfondibile tecnica della mano sinistra sul manico. A questo modo di suonare puramente solistico faceva da contrasto il suo modo di cantare da “shouter”, forgiato sul modello dei cantanti da big band. Musicalmente parlando, si era formato a Memphis. B.B., il suo nome d’arte, era l’abbreviazione di Blue Boy ma in principio era l’abbreviazione di Beale Street Blues Boy: Beale Street a Memphis è la strada dei club di blues e ancora oggi è uno dei luoghi principali del culto di B.B. King. Di questo culto uno degli adepti più devoti è stato Eric Clapton che nel 2000 ha registrato un album con lui e nel 2005 ha partecipato, insieme a Van Morrison, Billy Gibbons, Sheryl Crow, Darryl Hall & John Oates, John Mayer, Mark Knopfler, Glenn Frey, Gloria Estefan, Roger Daltrey, Bobby Bland ed Elton John al disco celebrativo per l’80mo compleanno. La lista dei personaggi che hanno suonato con lui va da Luciano Pavarotti a Bruce Willis, da Zucchero a David Gilmour, da Slash a Phil Collins passando per il Gotha della musica nera, compresi Ray Charles, Aretha Franklin, Chaka Khan, Bobby Bland ed Etta James con cui ha dato vita a una versione memorabile di “Thrill Is Gone”, il suo più grande successo insieme a “Sweet Little Angel” e alla trascinante versione di “Everyday I Have The Blues”. Certamente uno dei picchi di celebrità lo ha toccato nel 1988 grazie agli U2 che insieme a lui registrarono “When Love Comes To Town”, ai tempi di “Rattle And Hum”. Come molti musicisti neri della sua generazione, a parte le collaborazioni, B.B. King è sempre rimasto fedele a un modo classico di fare musica. Che vuol dire: concerti, concerti, concerti. Era sempre in tournée, si era rassegnato solo da poco a non viaggiare in pullman con i suoi orchestrali e solo perché lo aveva costretto la figlia preoccupata dal suo stato di salute. Un suo concerto era come un appuntamento con un vecchio amico: l’orchestra cominciava a swingare un brano, l’annuncio, l’ingresso in scena sparando note dalla sua Lucille mentre i trombettisti suonavano ballando. Lui sempre sorridente e sudatissimo, con le sue giacche damascate e le manone a dispensare prelibatezze swing, cantava i suoi classici con le tasche piene di quelle spillette a forma di Lucille che per anni sono state uno degli oggetti più concupiti dai fan. Era davvero una leggenda ma non concepiva una vita lontano dal palco: è andato avanti fino all’ultimo, sfidando il diabete e gli acciacchi dell’età e di una carriera lunghissima, vissuta senza gli agi delle star. Lucille non suona più e il mondo ha perso uno degli ultimi grandi di una generazione che ha cambiato la storia della musica. max creativity newsletter POP ART Serigrafia digitale: foto, scanner, photoshop, stampa applicata su pannello 30x30 rifinita a mano max creativity newsletter « In genere, il jazz è sempre stato come il tipo d’uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia. » MUSICA Via Adria Nova, 6 ADRIA (RO) è gradito l’ appuntamento Il jazz è attualmente una forma musicale, ma nacque tra il 1600 e 1700 come fenomeno sociale dagli schiavi di pelle scura africani che trovavano conforto e speranza nelle loro anime improvvisando collettivamente od individualmente canti. Il jazz viene riconosciuto come fenomeno musicale solo tra Ottocento e Novecento e piace molto anche ai «bianchi».Si sviluppa negli Stati Uniti, prima nelle piantagioni sud-americane e poi arriva con le jam session (improvvisazioni collettive di suonatori che componevano musica «ad orecchio»), gruppi di suonatori (massimo 3 strumenti) e con le jazz band a New Orleans, Louisiana. È nato come musica vocale perché si eseguiva durante il lavoro nelle piantagioni o durante costruzioni ferroviarie e delle strade, questo per ritmare e coordinare i movimenti del lavoro (infatti il ritmo era binario, deriva ad esempio dalla raccolta e rimessa del cotone nella cesta). Il jazz arriverà anche a Chicago con Louis Armstrong e poi anche in Europa dove avrà un successo grandissimo. Con gli anni andrà modificandosi e diventerà anche una musica commerciale con lo swing fino a riprendere le tradizioni della cultura afroamericana delle prime jazz band col bebop. Nel jazz ci sono due forme primarie: il blues, in 12 battute (3 frasi musicali), e la canzone, in 32 battute. L’essenza dell’improvvisazione è nella linea melodica, ciò è dovuto al fatto che il mezzo jazz prototipico (originale) è il gruppo di ottoni, in cui, dato che ogni suonatore può produrre una sola nota alla volta, gli assoli sono necessariamente melodici. Il pianoforte venne dopo, copiando però le caratteristiche dell’insieme di ottoni. Sin dai primi tempi il jazz ha incorporato nel suo linguaggio i generi della musica popolare americana, dal ragtime, al blues, alla musica leggera fino alla musica colta, soprattutto statunitense. In tempi più recenti il jazz si è mescolato con tutti i generi musicali moderni anche non statunitensi, come il samba, la musica caraibica e il rock.Il jazz si è trasformato, nel corso di tutto il XX secolo, evolvendosi in una gran varietà di stili e sottogeneri: dal dixieland di New Orleans dei primi anni, allo swing delle big bands negli anni trenta e quaranta, dal bebop della seconda metà degli anni quaranta, al cool jazz e al hard bop degli anni cinquanta, dal free jazz degli anni sessanta alla fusion degli anni settanta, fino alle contaminazioni con il funk e l’hip hop dei decenni successivi. orari d’ apertura 8,00/12,30 14,30/20,00 Sabato orario continuato 8,00/18,00 Lunedì chiuso max creativity newsletter VINTAGE A 8 VINTAGE CHE PASSIONE! rriva alla Fiera di Forlì il 18 - 19 - 20 settembre 2015 la 18a edizione di “VINTAGE! La moda che vive due volte”. Un intero fine settimana per perdersi tra abbigliamento, accessori, bellezza, gusto, grandi firme della moda, stile di vita e musica; tutto rigorosamente “d’annata”. Un’esperienza sensoriale, emotiva e intellettuale che rende i visitatori protagonisti di un revival che trascende i confini temporali, in cui il passato è fonte d’ispirazione. Un’immersione nello stile di vita, nella moda e nel costume di uno “scampolo di storia” con eventi collaterali coinvolgenti, come i preziosi archivi storici in mostra, eventi di musica live, spettacoli, corsi di ballo e laboratori a tema. Un tuffo nel periodo che va dagli anni ’20 agli anni ’80, con la moda, il modernariato, articoli da collezionismo, profumi, capi sartoriali dell’epoca, pezzi di design, con un occhio di riguardo al mercato che si è creato intorno ad essi e al mondo del collezionismo. SPORT & CASUAL P.zza Giuseppe Garibaldi, 16 - Adria (RO) cell. 380 - 2046284 VISITARE VINTAGE QUANDO: dal 18 al 20 Settembre 2015 DOVE: alla Fiera di Forlì ORARI: - venerdì 14:00 - 20:00 - sabato e domenica 10:00 - 20:00 COSTO INGRESSO: venerdì, sabato e domenica: - biglietto intero 7,00 € - ridotto 5,00 € con coupon scaricabile dal sito e per over 65 anni, militari, disabili, invalidi - gratis bambini fino a 12 anni. Piazza Garibaldi - 45011 ADRIA (RO) VENITE A TROVARCI COLAZIONI - SPRITZ - EVENTI max creativity newsletter La musica new age NEW AGE è uno stile musicale caratterizzato dall’assenza di ritmo e dal carattere meditativo, lineare e ciclico dei brani, con l’intento di offrire un ascolto rilassato dal punto di vista emotivo. La nascita di questo genere è spesso collocata negli Stati Uniti alla fine degli anni settanta, nonostante alcuni segnalano esempi precedenti riconducibili al genere, in particolare al primo album da solista di Jon Anderson (cantante degli Yes) intitolato Olias Of Sunhillow (1975), album che alcuni considerano il primo album New Age. Negli anni a seguire il genere ha subito varie evoluzioni e trasformazioni di pensiero date dal fatto che anche musicisti non definiti “alternativi” proponevano nel loro repertorio anche melodie inerenti appunto alla musica new age. Questo ne scaturiva modificazioni a volte anche ben rappresentative e trasformando il genere con definizioni allargate: sensitive new age, soft new age, pop new age, alternative new age ecc. Il genere si afferma all’inizio degli anni ottanta dall’incontro della musica ambient di Brian Eno, Robert Fripp, Harold Budd, Jon Hassell, e della Kosmische musik dei Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, Holger Czukay e Cluster con musiche, stili e temi di carattere etnico a sfondo genericamente spirituale, incorporando elementi del jazz di avanguardia di alcuni artisti dell’etichetta discografica ECM. La produzione di musica New Age è comunque strettamente connessa con la diffusione delle filosofie orientaleggianti che avviene durante gli anni ottanta: la richiesta, da parte di maestri e terapeuti, di musica rilassante e suggestiva di facile ascolto ha caratterizzato questo genere dalla programmatica assenza di ogni forma di sperimentazione musicale, nonostante tra i “padri fondatori” della musica New Age vi siano importanti musicisti contemporanei. Il successo della musica New Age presso il grande pubblico, infatti, è dovuto all’intuizione da parte di alcuni produttori discografici (tra tutti William Ackerman dell’etichetta Windham Hill Records di Palo Alto) di offrire questa musica melodica e distensiva come “la musica classica degli yuppies”. 1 Cristalloterapia L a cristalloterapia è una pratica di medicina alternativa, che si prefiggerebbe di eliminare disfunzioni o malesseri mediante la collocazione di minerali su determinati punti del corpo. Secondo i sostenitori di questa pratica, ogni cristallo avrebbe una sorta di “campo energetico” proprio ed avrebbe la capacità di entrare in contatto con ogni forma vivente del regno animale. Il cristallo opererebbe nel corpo umano sui piani definiti come “fisico-emotivo-mentale” e spirituale, riportando “l’equilibrio” e “l’armonia”. Non esiste alcuna prova scientifica di tali affermazioni; la stessa espressione campo energetico, come intesa dalla cristalloterapia, è priva di qualsiasi significato o riscontro; soprattutto, non esiste alcuna prova di efficacia o utilità clinica del metodo. La scelta del cristallo Secondo chi propone queste pratiche, ogni cristallo avrebbe presunti “effetti”. Il cristallo, acquistato o trovato in natura, potrebbe essere scelto anche basandosi sull’intuito e sulle sensazioni ed emozioni ricevute dal contatto col minerale. Applicazione I cristalli verrebbero usati soprattutto per presunti scopi terapeutici e spirituali e per “ricaricare” la presunta aura dell’organismo, un “campo energetico” che, secondo le credenze New Age, circonderebbe gli esseri viventi. I sostenitori della cristalloterapia credono anche nell’esistenza di altre ipotetiche applicazioni delle pietre, come la cura a distanza e la cura dell’aura. Presunte proprietà dei vari cristalli Vari cristalli produrrebbero presunti effetti diversi; ad esempio: per l’insonnia: sarebbe indicata la malachite, perché scioglierebbe le tensioni, diffondendo calma e serenità; per le donne in gravidanza: la fluorite favorirebbe il trasferimento di “energie benefiche” della madre al figlio; per i disturbi del fegato: il diaspro tigrato e leopardato diminuirebbe i dolori epatici; per l’ansia: l’agata di Botswana dovrebbe far cessare il panico; per rilassare: la sodalite servirebbe per conciliare il sonno e rilassare corpo e mente; per il mal di testa: l’ametista aiuterebbe a far passare le emicranie. Critiche e controindicazioni La cristalloterapia non ha alcun fondamento scientifico e, come altre forme di medicina alternativa, il principale pericolo di questi trattamenti proviene dalla possibilità che chi soffre di determinate patologie trascuri terapie di comprovata efficacia, per affidarsi a pratiche pseudoscientifiche alternative, come questa. “La Cristalloterapia è un metodo che favorisce l’autoguarigione naturale attraverso l’uso di cristalli, pietre e minerali di varie forme e colori permettendo di raggiungere e mantenere uno stato di benessere psico-fisico tramite la stimolazione delle risorse naturali dell’individuo. Abbandonando per un attimo il giudizio possiamo ampliare la nostra percezione e concederci di accogliere le meraviglie che i cristalli sanno trasmettere. Praticare Cristalloterapia significa soprattutto crescita e cambiamento, il benessere fisico è una piacevole conseguenza della forte spinta introspettiva a cui portano i cristalli.” definizione di cristalloterapia Tatiana V. 2005 Il termine Cristalloterapia ad oggi è risultato controverso in ambito olistico perchè contiene il termine “terapia”. Nonostante non faccia alcun riferimento alla terapia in senso medico e tradizionale del termine è considerato di uso improprio per gli operatori olistici perchè potrebbe causare ambiguità. Sarebbe opportuno, come è successo per altre discipline, utilizzare un termine diverso ad esempio Aromaterapia > Aromatologia. Sfortunatamente Cristallologia risulta buffo ma sarebbe la terminologia corretta così come Trattamenti con cristalli. E’ ancora di utilizzo comune “cristalloterapia”, non è vietato usarlo, purchè si sappia che non ha alcun riferimento a cure, medicamenti, medicina, ecc. ARCOBALENO A LOREO (RO) max creativity newsletter dal 1984 Esperienza, professionalità e cortesia ADRIA (RO) via Cairoli tel. & fax: 0426 41822 PRODOTTI PER LA CASA RIGOROSAMENTE FRANCESI PROMOZIONI MENSILI SU ALIMENTI MARCHE PRESTIGIOSE: VENCHI PRO BIOS KI GROUP DITTE PRESTIGIOSE DI COSMETICI: NATURE’S ARVES L’ ERBOLARIO ORO DI SPELLO DIVA PROFUMAZIONI BIO CON CANDELE CERA D’ API DIFFUSORI CON BASTONCINI FRAGRANZE A BASE DI OLII ESSENZIALI PURI Cosmesi naturale Fitoterapia Dietetica Apistica Integratori Vitaminici un caro saluto, Antonella, Martina, Elena max creativity newsletter Max Colombo Il termine concettuale, nel campo artistico, ha un significato polivalente. Il primo artista ad aver usato la definizione «concettuale» è stato Joseph Kosuth intorno alla metà degli anni Sessanta. Il suo intento era di proporre opere il cui proposito non era il godimento estetico bensì l’attività del pensiero. Del 1965 è una delle sue opere più famose, «Una e tre sedie» (vedi dx), in cui espone una sedia vera, un’immagine fotografica e la definizione scritta della parola “sedia”. Ciò a cui tende è di avviare nello spettatore la riflessione sul rapporto, problematico e conflittuale, che esiste tra realtà, rappresentazione iconica (immagine) e rappresentazione logica (parola). Il termine fotografia concettuale è tanto usato quanto poco definito. C’è chi lo interpreta come un movimento legato a un arco temporale ben preciso, gli anni 1960- 70 e chi lo intende come un metodo della fotografia che vuole stimolare l’attività intellettuale. La fotografia è “concettuale” quando, tramite oggetti reali e concreti, si esprime un concetto che può non avere nulla a che fare con il loro senso quotidiano. Quando “si allude visivamente, o si rappresenta una parte per il tutto, o si rappresenta un concetto in modo metaforico trasferendo il suo significato su qualcos’altro”. max creativity newsletter Max Colombo ESTETICA ZEN APPLICATA ALLA FOTOGRAFIA & AL DESIGN Sette principi estetici giapponesi per cambiare il tuo pensiero In questo intervento breve ma illuminante (così come insegna nelle sue lezioni), Garr Reynolds propone un approccio diverso al Design e alla Fotografia, mediato dai precetti Zen. Una semplice ma folgorante serie di principi che possono diventare suggerimenti ispiranti per la creatività. Confrontarsi con le idee estetiche della tradizione giapponese, nozioni che possono apparire estranee alla maggior parte di noi, è un buon esercizio di pensiero laterale, un termine coniato da Edward de Bono nel 1967. Il “Lateral Thinking” serve per cambiare i concetti e le percezioni, in altre parole a vedere le cose da un altro punto di vista. Pensare al design o alla fotografia esplorando i principi dell’estetica Zen può non essere un esempio di “pensiero laterale” in senso stretto, ma è un buon esercizio per renderci più flessibili aiutandoci a creae in modo diverso grafica e design nella nostra vita professionale quotidiana. I principi dell’Estetica Zen che si trovano nell’arte del karesansui, il giardino tradizionale giapponese, ad esempio, ci possono insegnare molte cose, anche se sono sconosciuti alla maggior parte delle persone. I principi sono interconnessi e si sovrappongono, ma non è possibile semplicemente mettere le idee in scatole separate. Fortunatamente, Patrick Lennox Tierney ha elaborato questi concetti in alcuni brevi saggi. Qui di seguito sono elencati sette principi (ce ne sono di più) che governano l’estetica del giardino giapponese e altre forme d’arte in Giappone, che si possono applicare al design e alla fotografia. Questo forse stimolerà la creatività o il pensare in modo nuovo relativamente ai problemi connessi alla creatività. Sette principi per cambiare la vostra percezione Kanso Semplicità o l’eliminazione del disordine. Le cose sono espresse in un modo semplice, piano e naturale. Ci ricorda di non pensare in termini di decorazione, ma in termini di chiarezza, una sorta di chiarezza, che può essere raggiunta attraverso l’omissione o l’esclusione del non essenziale. Fukinsei Asimmetria o irregolarità. L’idea di controllare l’equilibrio in una composizione tramite l’irregolarità e l’asimmetria è un principio centrale dell’estetica Zen. L’Enso ( “cerchio Zen”), per esempio, è spesso disegnato (col pennello) come un cerchio incompleto, a simboleggiare l’imperfezione che è parte dell’esistenza. Nel design grafico anche l’equilibrio asimmetrico è un processo dinamico positivo. Proviamo a cercare (o creare) la bellezza nell’asimmetria bilanciata. La natura stessa è piena di bellezza e relazioni armoniose che sono asimmetriche anche se equilibrate. Questa è una bellezza dinamica che attira e coinvolge. Shibui / Shibumi La bellezza di essere sottovalutati, o di essere proprio quello che si doveva essere, senza elaborazioni. Un modo diretto e semplice, senza essere appariscente. Elegante semplicità e articolata brevità. Il termine è talvolta usato oggi per descrivere qualcosa di fresco ma splendidamente minimalista, comprese le tecnologie e alcuni prodotti di consumo. (Shibui letteralmente significa di gusto amaro). Shizen Naturalezza. Assenza di finzione o artificiosità, pieno intento creativo non forzato. Per ironia della sorte, la natura spontanea del giardino giapponese che lo spettatore percepisce non è casuale. Questo ricorda che il design non è casuale, anche se stiamo cercando di creare la sensazione di un ambiente naturale. Non una natura grezza in quanto tale, ma con un obiettivo e un proposito. Yugen Suggestione o suggerimento, piuttosto che manifestazione. Un giardino giapponese si può dire sia un insieme di sfumature e di elementi simbolici. Fotografi e designers possono certamente pensare a molti modi per implicare visivamente non mostrando il tutto, ma solo una parte . Datsuzoku Libertà dall’abitudine o dalle formule. Fuga dalla routine ordinaria e quotidiana. Trascendere il convenzionale. Questi principi descrivono la sensazione di sorpresa e di stupore quando ci si rende conto che ci si può liberare dal convenzionale. Il Professore Tierney dice che il giardino giapponese stesso, “... realizzato con le materie prime della natura e il suo successo nel rivelare l’essenza delle cose naturali per noi è una scoperta sorprendente. Molte sorprese vi aspettano quasi ad ogni angolo di un giardino giapponese. “ Seijaku Posizione tranquilla o di calma tensione, silenzio, solitudine. Questo è legato alla sensazione che si può avere in un giardino giapponese. La sensazione opposta sarebbe di rumore e disturbo. Come possiamo portare un senso di “calma attiva” e di quiete negli effimeri modelli al di fuori delle arti Zen? max creativity newsletter Expo Milano 2015 è l’Esposizione Universale che l’Italia ospiterà dal primo maggio al 31 ottobre 2015 e sarà il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione. Per sei mesi Milano diventerà una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri. Un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadri, più di 140 Paesi e Organizzazioni internazionali coinvolti, oltre 20 milioni di visitatori attesi. Sono questi i numeri dell’evento internazionale più importante che si terrà nel nostro Paese. Expo Milano 2015 sarà la piattaforma di un confronto di idee e soluzioni condivise sul tema dell’alimentazione, stimolerà la creatività dei Paesi e promuoverà le innovazioni per un futuro sostenibile. Ma non solo. Expo Milano 2015 offrirà a tutti la possibilità di conoscere e assaggiare i migliori piatti del mondo e scoprire le eccellenze della tradizione agroalimentare e gastronomica di ogni Paese. Per la durata della manifestazione, la città di Milano e il Sito Espositivo saranno animati da eventi artistici e musicali, convegni, spettacoli, laboratori creativi e mostre. L’importanza del territorio La cooperazione tra i popoli è fondamentale per raggiungere l’obiettivo di “Nutrire il Pianeta”, garantendo cibo sufficiente e sicurezza alimentare a tutto il mondo. Expo Milano 2015 sarà il luogo d’elezione per il confronto sui temi dell’agricoltura, dello sviluppo sostenibile, della lotta contro la fame per il benessere comune. Le parole chiave di questo viaggio sono innovazione, risparmio energetico, rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali. I protagonisti di questo dialogo a più voci saranno i Paesi, le Organizzazioni internazionali, la società civile e le aziende. “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è il Tema al centro della manifestazione, il filo logico che attraversa tutti gli eventi organizzati sia all’interno sia all’esterno dello Sito Espositivo. Expo Milano 2015 sarà l’occasione per riflettere e confrontarsi sui diversi tentativi di trovare soluzioni alle contraddizioni del nostro mondo: se da una parte c’è ancora chi soffre la fame (circa 870 milioni di persone denutrite nel biennio 2010-2012), dall’altra c’è chi muore per disturbi di salute legati a un’alimentazione scorretta e troppo cibo (circa 2,8 milioni di decessi per malattie legate a obesità o sovrappeso). Inoltre ogni anno, circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate. Per questo motivo servono scelte politiche consapevoli, stili di vita sostenibili e, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, sarà possibile trovare un equilibrio tra disponibilità e consumo delle risorse. La riflessione sul Tema si trasforma anche in un momento di condivisione e di festa, grazie a incontri, eventi e spettacoli da vivere in compagnia della mascotte Foody e degli allegri personaggi che la compongono. Ogni aspetto, ogni momento, ogni Partecipante di Expo Milano 2015 declina e interpreta il Tema scelto, Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. max creativity newsletter IL CORAGGIO DI ESSERE NOI STESSI TOGLI LA MASCHERA CHE INDOSSI E... Per quanto possiamo essere capaci, abili ed intelligenti abbiamo bisogno di essere coraggiosi per affrontare e superare le situazioni, a volte piacevoli ed a volte impegnative, dure ed impreviste che la vita ci pone davanti. Il “coraggio” è quella forza interiore definita “forza d’animo e di pensiero” che permette a chi ne è dotato di non sbigottirsi di fronte ai pericoli, di affrontare con serenità i rischi, di non abbattersi per dolori fisici o morali, più in generale, permette di affrontare a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l’incertezza e l’intimidazione e allo stesso tempo di essere coscienti e responsabili e quindi di tirarsi indietro quando è necessario. Quindi avere coraggio non significa non provare paura ma significa essere pienamente consapevoli della paura ed avere la forza d’animo per affrontarla. Il coraggio è di solito determinato da una predisposizione personale caratteriale o dato dalla forza di disperazione quando è cieco ed incosciente, tipico di chi si trova in una situazione disperata. E’ necessario non confonderlo con l’essere temerario ovvero con l’essere sprezzante del pericolo in modo im- prudente, sconsiderato, avventato, precipitoso, privo di consapevolezza e di senso di responsabilità perché non tiene conto delle conseguenze delle azioni e non contempla una visione obiettiva delle proprie effettive capacità. Da ciò si evince che il saper cedere, il riuscire ad arrendersi e accettare di dire NO è dimostrazione di coraggio e se, quando si è osservato bene e serenamente la situazione complessiva, si decide di non affrontare la prova non ci si deve sentire dei codardi o dei falliti ma semplicemente realisti e dotati di senso di responsabilità. Essere responsabili significa che qualsiasi sia il risultato, buono o cattivo, qualsiasi cosa accade non può essere imputata ad altri o a cause esterne, ma solo a se stessi. Purtroppo, anche se essere coraggiosi è fondamentale per vivere, non è possibile diventarlo per imposizione o per comando ma è possibile divenirlo attraverso l’osservazione di se stessi, n quanto il coraggio ha un suo pilastro nell’autostima che si fonda sulla consapevolezza che nasce dall’osservazione neutra, serena e priva di giudizi di se stessi, essenziale per auto-comprendersi e scegliere di agire o non agire in modo consapevole. .....l’ accoglienza è stata molto calorosa e amichevole questo ci ha fatto pensare a fare un’ uscita speciale dedicata a questa Città. Voglio intanto ringraziare le attività che hanno appoggiato il progetto e, quelle che entreranno a farvi parte. PER INSERIRE LA VOSTRA PUBBLICITA’ CONTATTATECI [email protected] www.maxcreativity.name cell. 3801453258 Inoltre chi vuole diventare coraggioso deve abbandonare il pensiero che le cose vanno sempre allo stesso modo e non si deve adagiare nell’abitudine e/o perdersi nella paura di rischiare, ricordando che anche al migliore prima o poi tocca la sconfitta ma che si rialza, analizza la situazione, apporta le opportune variazioni di strategia e riprende il proprio cammino. Vero è, che il rialzarsi richiede di stringere i denti, di resistere al dolore, alla fatica ed alla disperazione ma che ne vale sempre la penza. Uno sforzo impegnativo e gravoso che, chi si arrende auto-commiserandosi, mascherando la paura di rimettersi in discussione e di affrontare il nuovo, non deve compiere. Nella società odierna l’essere coraggioso consta sempre più in manifestazioni esteriori tendenti all’apparire e/o all’avere e sempre meno all’espressione della propria unicità, umiltà che può avvenire attraverso l’assunzione di responsabilità delle proprie azioni, sostenendo e difendendo apertamente, senza reticenze le proprie opinioni anche a costo di ricavarne un danno. Si preferisce accettare e seguire le idee della massa o quanto meno non contrastarle per poi auto-commiserarsi e sentirsi vittima di un mondo ingiusto che non potrà mai cambiare. Ma seguendo l’onda del più forte, si abbassa la testa e giorno dopo giorno si chiude l’anima fino a soffocarla dietro una finta apparenza. Così facendo si perde l’identità e la libertà. E quando si perdono queste, abbiamo perso tutto. Non si vive più, non si è più creativi, si diventa come delle barche in balia delle onde di un mare in tempesta che le travolgono. Word by Stefania Trotta NEWSLETTER 30 GIUGNO 2015 BOKEH max creativity newsletter max creativity newsletter I l 1961 fu un anno importante per la Mini soprattutto per il lancio della Mini Cooper, ovvero la versione sportiva elaborata da John Cooper (titolare dell’omonimo team di Formula 1). L’elaborazione consisteva, essenzialmente, nell’incremento di cilindrata da 848 a 997 cm³, nell’adozione di 2 carburatori tipo SU da 1.25, di freni anteriori a disco e di un assetto rivisto. La potenza di 55 CV (non molti in assoluto) era sufficiente, abbinata alle straordinarie doti stradali della Mini, a garantire ottime prestazioni. Sempre nel 1961 vennero realizzati 15 esemplari della Mini in configurazione spiaggina, progettata dall’argentino Ricardo Burzi. Una Austin Mini Cooper S da competizione La Mini Cooper, opportunamente elaborata, s’aggiudicò la vittoria di classe del rally di Montecarlo del 1963, con alla sua guida il pilota Timo Mäkinen. Alla fine dello stesso anno le Wolseley Hornet e le Riley Elf adottarono un motore di cilindrata maggiorata a 998 cm³ e potenza di 38 CV. Sul finire del 1964 tutte le Mini berlina (incluse le Cooper, le Cooper S e le varianti Wolseley e Riley) adottarono le sospensioni Hydrolastic, già montate dal 1962 sulle Austin e Morris 1100. Le versioni station wagon mantennero, invece, le sospensioni d’origine. Con l’occasione la Cooper venne affiancata dalla Cooper S, con motore di 1071 cm³ da 70 CV. La Cooper S (1071 cm³) con potenza portata a circa 85Cv s’aggiudicò il rally di Montecarlo edizione del ‘64 con alla guida il pilota Patrick Barron “Paddy” Hopkirk. Nel corso del 1964 la gamma Cooper e Cooper S cambiò ancora, con l’introduzione di una nuova versione per la Cooper “normale” con motore portato a 998 cm³ (55CV) e la produzione di due nuovi modelli Cooper S 1.0 (970 cm³, 65 CV) e la Cooper S 1.275 (1275 cm³, 76 CV) che si andarono ad affiancare alla oramai famosa versione da 1071 cm³ (70 CV). La Cooper S 1.275 s’aggiudicò inoltre nuovamente il rally di Montecarlo nel 1965, 1966 (fu tuttavia squalificata per fanali irregolari) e nel 1967, nonché il rally dell’Acropoli del 1967. La Mini Cooper di Timo Mäkinen La Mini Cooper S 1275 del pilota Rauno Aaltonen e del co-driver Tony ambrose vinse il Campionato Europeo Rally del 1965 (Il campionato mondiale comparve solo negli anni ‘70). E’ la più potente delle MINI.Questa John Cooper Works è la più potente della storia del marchio con i suoi 231 CV del suo quattro cilindri 2.0 turbo. Il cambio è un automatico a 6 marce e impiega 6,1 secondi per coprire lo 0-100 km/h. max creativity newsletter L O E ND O M L A ED S O M T O F LE ’F U I P O a rivista Rolling Stone aveva affidato ad Annie Leibovitz il compito di immortalare John Lennon e Yoko Ono nel loro appartamento nel Dakota Building a New York City, in occasione dell’uscita del loro disco “Double Fantasy”. La Leibovitz collaborava con la testata già da 10 anni ed uno dei primi servizi che Annie svolse per loro, a soli 21 anni, fu proprio a John Lennon. Quel ritratto le valse la sua prima cover. Ricorda la Leibovitz: “Yoko Ono voleva levarsi solo la maglietta ma le consigliai di rimanere vestita”. Il commento di John Lennon dopo lo scatto che li ritrae sul pavimento fu “hai catturato esattamente la nostra relazione”. Poche ore dopo il servizio, circa 4, ricorda Yoko Ono, “Il destino si abbattè su di noi”. John Lennon venne ucciso. Il 22 gennaio del 1981 veniva pubblicato e messo in vendita Rolling Stone, con in prima pagina quella che fu nominata la migliore fra tutte le copertine pubblicate nel XX secolo. In quell’edizione per la copertina non ci fu alcun titolo nè testo, escluso il nome della testata. max creativity newsletter max creativity newsletter word Ceruti Paola “La lezione che ho imparato a fondo, e che desidero trasmettere agli altri, è di conoscere a quale durevole felicità possa condurre l’amore per un giardino.” Gertrude Jekyll Gertrude Jekyll [1843 - 1932] Designer di giardini e scrittrice di giardino e di giardinaggio. Ha scritto più di 1000 articoli, per riviste come Country life e The garden, e creato oltre 400 giardini, che si possono ancora oggi ammirare in Gran Bretagna e Nord America. La sua influenza sul design del giardino è ancora forte, grazie alle sue teorie e ai suoi libri come Bosco e giardino, Ilgiardino dei colori e Old West Surrey DIPINGERE CON I FIORI Nata in una famiglia benestante studia pittura e botanica,scelta molto inusuale per una donna dell’epoca vittoriana,assimilando i principi dell’”Art &Craft”,che, uniti alla sua ecezionale sensibilità artistica e al suo talento le permettono di elaborare uno stile incofondibile, famoso per l’utilizzo delle fioriture e dei colori delle piante come se fossero pennellate di colore stese su un immenso quadro. MUNSTEAD WOOD Miss Jekyll approdò al landscape gar- den non più in giovane età,quando a poco più di quarant’anni i medici le diagnosticarono una forma di grave e progressiva miopia e le consigliarono di abbandonare le attività che più la gratificavano e appagavano la sua espressività , il ricamo, ma soprattutto la pittura (aveva alle spalle già una carriera ben avviata come acquerellista); decise perciò di ritirarsi in campagna ed appoggiandosi caro amico di famiglia, l’architetto Edwin Lutyens, si fece costruire una residenza circondata da 15 acri di terreno, la chiamò Munstead Wood . Arreda il giardino ispirandosi al preromanticismo di Turner e all’impressionismo di Monet;alterna fioriture dalle diverse tonalità fredde, poi calde,poi di nuovo fredde,creando eccezionali bordure capaci stupire gli sgurdi ed emozionare l’anima. Nel dicembre del 1900, la rivista Country Life, dedica un articolo allo straordinario lavoro svolto a Munstead Wood: “La regola per ottenere effetti è di semplice enunciazione ma di dif- ficile esecuzione: raggruppate audacemente, con un pensiero, tutte le stagioni e tutti i colori; formatevi nella mente molti quadri in sequenza, quadri che siano armoniosi in se stessi e in armonia l’uno con l’altro, e poi realizzateli. Questo è l’inizio e la fine di tutta la faccenda, ma è anche dove entra in campo l’immaginazione dell’artista. Per il resto, le regole auree sono due e facili da rispettare: non essere schiavi della pulizia, e non tentare di far crescere piante che non amino il terreno del vostro giardino”. UN NUOVO MODO DI “FARE GIARDINI” Nasce la teoria tonale:stanze separate da muretti a secco, pergolati , sentieri vengono concepiei come quadri realizzati con piante vive, le cui pennellate sono il susseguirsi delle diverse essenze nelle bordure,studiate per colore e stagione; giardini naturali , rocciosi, acquatici si alternano e si arricchiscono di stagni laghetti, ruscelli, panchine reglando un’atmosfera idilliaca. 9 UN LAVORO SENZA FINE A partire dal 1914 Gertrude Jekyll,insieme ell’architetto Edwin Lutyen portò a termine oltre 400 progetti di giardini tra Regno Unito, Nord America ed Europa.Fu anche prolifica scrittrice: scrisse 13 libri ( il primo fu Home and Garden - Casa e Giardino) , contribuì a libri di altri autori scrivendone la prefazione e pubblicò oltre 1000 articoli sugli argomenti di cui aveva competenza, che apparvero per lo più in Country Life, The Garden e Gardening Illustrated, scritti in uno stile meticoloso, pratico e scientifico, solamente nell’anno 1930, a più di 86 anni, scrisse 43 articoli per la rivista Gardening Illustrated). max creativity newsletter max creativity newsletter P.zza Matteotti, 1 Loreo (RO) max creativity newsletter max creativity newsletter di Enrica Pezzolato Baccalà, Sarde in saore, Carne e pesce alla griglia. ogni settimana offerte stuzzicanti in scaffale prodotti e souvenir del delta. Il sabato con il mercato il pollo allo spiedo costa 5€ Z Ellen Dissanayake, Affiliate Professor presso la University of Washington a Seattle, negli USA,ha trascorso lunghi anni in Sri-Lanka e Papua Nuova Guinea, a stretto contatto con le popolazioni tradizionali di cacciatori-raccoglitori. Da quest’esperienza “di prima mano”, che l’ha portata a condividere costumi, lingua, usi di società assai lontane da quella occidentale, ha preso avvio già negli anni Settanta e Ottanta la sua originale riflessione sull’origine evolutivadelle arti. Nei suoi libri (What is Art For?, del 1988, e Homo Aestheticus: Where Arts Come From and Why, del 1992) Ellen affronta la questione delle arti muovendo da un originale ripensamento del concetto stesso di arte, in chiave etologica: “arte” è anzitutto un comportamento, piuttosto che un oggetto o un prodotto, precisamente un comportamento making special finalizzato cioè alla trasformazione dell’esperienza ordinaria in qualcosa di straordinario, di “speciale” max creativity newsletter max creativity newsletter max creativity newsletter Via E. Filiberto, 30 45011 Adria (RO) Tel.: (+39) 0426.900455 Fax: (+39) 0426.944560 email: [email protected] [email protected] max creativity newsletter max creativity newsletter max creativity newsletter max creativity newsletter