RIASSUNTO MAGGIONI DANIELA matr. 46510 L

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RIASSUNTO
MAGGIONI DANIELA matr. 46510
L’importanza crescente che gli Ide hanno assunto negli ultimi decenni nelle economie
dei Paesi industrializzati e di alcuni Paesi in via di sviluppo ha portato al proliferare di
un gran numero di studi diretti ad analizzarne l’impatto sull’economia locale. Diversi
sono gli aspetti studiati e presi in considerazione sia a livello microeconomico sia a
livello macroeconomico. Il presente lavoro si prefigge di indagare gli effetti che
possono derivare dalla presenza di affiliate estere nel Paese ricevente con uno sguardo
privilegiato alle conseguenze in termini di produttività distinguendo tra effetti “diretti”
sulla performance dell’impresa partecipata ed effetti “indiretti”, o meglio effetti di
spillover, sulla performance delle imprese domestiche che intrattengono relazioni
commerciali con queste affiliate estere.
La considerazione degli effetti di produttività risiede nell’idea che questo indicatore di
performance e la sua crescita siano alla base di miglioramenti nel reddito reale e nel
benessere di un Paese. Nella misura in cui l’ingresso delle multinazionali porta ad un
incremento della produttività nell’economia, il Paese ne trae perciò vantaggio dal punto
di vista del benessere e sviluppo economico.
In particolare, nonostante l’importanza delle multinazionali nei Paesi industrializzati sia
fuori discussione, è nei Paesi meno sviluppati che il potenziale delle multinazionali
potrebbe dispiegarsi in tutta la sua ampiezza, soprattutto nei Paesi in transizione. Si
tratta di Paesi che solo recentemente hanno iniziato ad essere oggetto di crescenti flussi
di Ide, dall’inizio degli anni Novanta circa con il passaggio all’economia di mercato, le
privatizzazioni e lo smantellamento del vecchio apparato statalista. Tali Paesi risultano
essere di particolare interesse per gli investitori internazionali e la ragione risiede in una
serie di condizioni favorevoli che li rende delle localizzazioni attraenti dove
intraprendere un’attività economica: i bassi costi del lavoro, ma anche spesso la
rilevante quota di lavoratori qualificati e l’elevata istruzione della popolazione, l’elevato
tasso di crescita del Pil e l’ampia disponibilità di risorse naturali.
Per tutti questi Paesi l’Ide potrebbe essere una fonte vitale di capitale e know-how
tecnologico e manageriale di cui sono spesso sprovvisti soprattutto nelle fasi iniziali del
processo di transizione, e che possono essere in grado di assorbire e sfruttare
efficientemente grazie alle loro particolari caratteristiche (forza lavoro istruita, esistenza
di un livello di sviluppo soglia).
Per verificare tale ipotesi teorica occorre però procedere ad un’analisi empirica che
permetta di evidenziare l’effettivo ruolo svolto dal capitale estero nel miglioramento
della performance dell’apparato produttivo dei Paesi in transizione.
A tal fine in questo lavoro si utilizza un database costituito da una cross-section a livello
di impresa per 25 Paesi in transizione (dell’Europa Centro-orientale e dell’Asia
Centrale) riferita all’anno 2004 e derivante da un’indagine sviluppata congiuntamente
dalla World Bank e dall’European Bank for Reconstruction and Development (The
Business Environment and Enterprise Performance Survey o BEEPS).
Il confronto tra imprese domestiche e partecipate estere mostra una performance
superiore per le affiliate estere, come riscontrato nella maggior parte degli studi
precedenti; in particolare queste ultime presentano un gap di produttività del 27,7% se
confrontate con le imprese domestiche. Si tratta comunque di una semplice associazione
positiva tra produttività e proprietà estera che incorpora l’effetto di altri fattori.
Considerando infatti l’intensità del capitale e degli input materiali il differenziale di
performance scende dal 27,7% al 6,37%, una riduzione notevole, da cui si desume che
la maggiore produttività delle partecipate estere è per gran parte da attribuire al
maggiore utilizzo di capitale e input materiali. Quando poi si inseriscono nelle
regressioni ulteriori variabili legate all’attività di investimento e di innovazione
dell’impresa, al suo capitale umano e alla sua integrazione in reti commerciali
internazionali il capitale estero perde completamente significatività.
Nel lavoro ci si occupa inoltre, seppure marginalmente, dell’impatto sulla produttività
derivante da legami commerciali di tipo verticale instaurati da un’impresa (estera o
domestica) con multinazionali, i cosiddetti effetti di spillover verticali. Dall’analisi
empirica emerge effettivamente evidenza di una maggiore produttività che caratterizza
queste imprese (sia estere sia domestiche) che vendono parte del loro output a clienti
multinazionali.
Si riscontra perciò un’associazione positiva tra capitale estero e legami commerciali
verticali instaurati con multinazionali da un lato e produttività dall’altro, più difficile
appare invece dimostrare, anche a causa dei dati a disposizione, l’esistenza di un legame
causale, e cioè verificare se è la proprietà estera o i legami verticali con multinazionali
estere ad accrescere la produttività delle imprese oppure se le imprese estere decidono
di investire nei settori più produttivi e le multinazionali scelgono come propri partner
commerciali le imprese più efficienti. Questa verifica è importante perché solo nel
primo caso l’Ide si dimostra essere benefico per l’economia locale.
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