Magazine #04 / Laboratorio Pearson L’aiuto che vale di Stefano Federici e Cristina Gaggioli 9 ottobre 2013 Chi di noi non conosce il proverbio tutto italiano “chi non legge la sua scrittura è un asino di natura?” E se ciò che è capitato a molti di noi una volta non fosse un intoppo imprevisto? Se ogni volta che si provasse a leggere un proprio manoscritto lo si trovasse incomprensibile? Avrete notato che il proverbio non lascia intendere che l’asino sia un analfabeta o uno che non sa scrivere, ma una persona che ci si aspetterebbe che non sbagliasse a leggere la propria scrittura, essendo stato alfabetizzato. Il proverbio esprime con chiarezza un pregiudizio diffuso tra coloro che con facilità e naturalezza hanno appreso i meccanismi di decodifica grafema-fonema, nel caso della lettura, dell’esecuzione del tratto grafico, nel caso della scrittura, degli automatismi di base del calcolo: è stato così facile farli propri e automatizzarli che solo un asino, un testardo, uno stupido potrebbe non riuscirci. Ma non è così per un bambino con un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA). E non perché svogliato, disattento e non motivato, ma in quanto i meccanismi neurobiologici che sottostanno ai processi di apprendimento della lettoscrittura e del calcolo gli si sono inceppati o funzionano diversamente. Se un bambino dislessico “asino lo è”, lo è proprio nel senso più positivo del termine: è un testardo nell’apprendere nonostante le sue difficoltà, un testardo nel continuare a leggere un manoscritto che, se lui fosse anche disgrafico, non scriverà con un tratto grafico corretto, che non smetterà di servirsi delle dita per far di calcolo, nonostante abbia capito, forse molto meglio di altri, le regole e la logica matematica. Non è uno stupido e per questo soffre dei propri insuccessi scolastici. Ce l’ha messa tutta e per questo è mortificato del disprezzo dei compagni. Se dopo aver ripetuto un certo numero di volte la tabellina del sei, nove bambini su dieci sono in grado di ricordarsela, uno, invece, è completamente impermeabile a queste informazioni e, se non potesse far uso di uno strumento compensativo, fosse anche una tavola pitagorica, nonostante anni di tentativi per apprendere la stessa tabellina, sarà costretto a ricorrere a dispendiose strategie alternative, come contare sulle dita. Tuttavia, questa difficoltà nel conteggio e nell’automatizzazione del calcolo non comporta di per sé una carenza logico-matematica. Il suo senso logico, la sua intelligenza logico-matematica non sono compromessi dal suo DSA e potrà ottenere degli ottimi risultati scolastici qualora si faccia leva sulle sue capacità logico-matematiche e si compensino le sue carenze attraverso semplici strategie alternative e ausili per il calcolo, come la calcolatrice parlante, che aiuterebbe a superare la difficoltà nel distinguere il 5 dal 2 o il 9 dal 6. Gli strumenti compensativi sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Molti credono ancora che permettere a uno studente di usare uno strumento compensativo significhi rinunciare per sempre alla possibilità di recuperare le abilità carenti e fornire allo studente un pretesto valido per non fare qualcosa: far leggere un asino. “L’uso di uno strumento compensativo non significa che lo studente rinuncia a fare qualcosa bensì che non esaurisce lì le sue risorse” In realtà, l’introduzione dello strumento compensativo solleva l’alunno con DSA da una prestazione resa difficoltosa o impossibile dal disturbo, facendo in modo che le sue risorse attentive non si esauriscano nell’esecuzione dei meccanismi di base della lettoscrittura o del calcolo, ma si rivolgano ai contenuti del testo scritto, ai problemi logico-matematici, al ragionamento e alla produzione di idee. Quando parliamo di strumenti compensativi intendiamo strumenti hardware e software sia di uso comune sia creati per un uso speciale, che in questo secondo caso vengono chiamati tecnologie assistive. Una soluzione compensativa è spesso il risultato della combinazione di un comune computer portatile o da tavolo con cui sono stati installati alcuni applicativi che in parte si avvalgono di funzioni software già esistenti nel computer, come i programmi di videoscrittura (Word o Open Office), e dall’altra aggiungono opzioni specifiche per studenti con DSA come FacilitOffice. Per esempio, uno strumento come la sintesi vocale, che trasforma un file di testo in voce, solleva lo studente con dislessia dal faticoso compito della lettura, permettendogli di concentrarsi sul contenuto del testo. Qualora un libro non fosse disponibile in formato digitale si può ricorrere o a un ausilio come lo scanner a penna che legge – che oltre a catturare il testo lo pronuncia e lo definisce parola per parola – oppure al progetto LibroAID, promosso dall’Associazione Italiana Dislessia, che fornisce a studenti dislessici o ai loro genitori una copia digitale dei libri scolastici adottati nelle classi di ogni ordine e grado. Ma senza la collaborazione di specialisti che seguono l’alunno con DSA su un piano clinico, non è sempre facile per un insegnante capire quando è il caso di allentare con la lettura autonoma e introdurre strumenti compensativi o quando smettere di correggere gli errori ortografici e focalizzarsi solo sulla sintassi e il contenuto. Bisogni Educativi Speciali (BES) / Ugo Avalle Disagio, DSA e Bisogni Educativi Speciali (BES) 18 febbraio 2013 Il termine disagio è composto da “dis”, prefisso con valore negativo, e da “agio” sostantivo che attiene ad una situazione di comodità, di benessere sia psicologico sia fisico. Pertanto il “dis-agio”, globalmente inteso, indica uno stato, una condizione di mal-essere, un sentirsi non in sintonia con l’ambiente,con la situazione socio-culturale in cui si vive. Termine “contenitore”, termine “ombrello”, il disagio fa riferimento a varie problematiche, «ad una serie di vissuti soggettivi che includono sofferenza, frustrazione, insoddisfazione e alienazione riferibili genericamente all’insieme delle condizioni obiettivamente difficili che pesano sui processi di maturazione personale e di inserimento sociale dei giovani» (1). In ambito scolastico, il disagio si presenta come un’esperienza vissuta dall’alunno nell’affrontare le diverse attività e le regole che sono proprie; essa può rivelarsi tragica o terapeutica, a seconda della possibilità e della disponibilità dell’insegnante ad accogliere, “leggere”, interpretare il disagio ed intervenire sul medesimo. Tale situazione caratterizza, pertanto, una condizione-limite tra un alunno in difficoltà nell’adattarsi alla scuola e una scuola in difficoltà circa gli interventi e le strategie più opportune da adottare . È la scuola a essere ritenuta la responsabile di questa situazione poiché presenta un’offerta educativa alla quale non sempre e/o non costantemente l’alunno è in condizione di rispondere in modo costruttivo e convincente; questo comporta il rifiuto di tale offerta e delle modalità per mezzo delle quali viene proposta. La scuola diviene, così, luogo di esperienze negative che se non individuate per tempo ed affrontate con efficacia, possono dare luogo a fenomeni di drop-out. Nel corso degli ultimi anni è aumentato considerevolmente il numero di alunni che presentano varie tipologie di difficoltà le quali non sono riconducibili alle principali classificazioni dell’ICF, ma che avanzano agli insegnanti richieste di interventi “curvati” sulle loro caratteristiche peculiari che derivano dalla loro situazione peculiare. Una situazione di “difficoltà” la quale, non rientrando nei parametri delle classificazioni dell’OMS (l’ICF è una delle più importanti) non possono essere “certificati” ed avere, di conseguenza, una diagnosi funzionale che consenta loro di seguire un “percorso scolastico” ad hoc. Con il DPCM n.185 del 23 febbraio 2006 è cambiato (in senso “restrittivo”) il regolamento per la certificazione dell’handicap ai fini dell’inserimento scolastico in quanto le attività di sostegno andranno rivolte ai soli alunni che presentano una minorazione fisica,psichica o sensoriale stabilizzata e progressiva. Ne deriva che gli alunni i quali presentano deficit non gravi né progressivi non possano avere un aiuto ulteriore costituito dalla presenza del docente di sostegno: succede che sia loro sia i rispettivi insegnanti vivano esperienze difficili in quanto i primi non vedono nessun vantaggio nel frequentare la scuola e i secondi si sentono in difficoltà nell’affrontare e nel gestire situazioni che non rientrano nella “norma”. Si tratta di ragazzi che non “stanno bene” a scuola, che la subiscono; è ovvio che la scuola non può e non deve fare tutto: in un sistema formativo integrato essa svolge un compito importante, ma non esclusivo, tuttavia fondamentale. A tale proposito il ministro Fioroni con la Direttiva 18 aprile 2007 parlò di “ben-essere” dello studente ed elencò queste 10 aree di intervento: 1. promuovere stili di vita positivi, contrastare le patologie più comuni, prevenire le dipendenze e le patologie comportamentali ad esse correlate; 2. prevenire obesità e disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia); 3. rispettare e vivere l’ambiente per una migliore qualità della vita; 4. promuovere e potenziare l’attività motoria e sportiva a scuola per essere sportivi consapevoli e non violenti; 5. promuovere il volontariato a scuola; 6. sostenere la diversità di genere come valore (sessualità, identità, comunicazione e relazione); 7. accogliere e sostenere gli studenti con famiglie straniere, adottive e affidatarie; 8. promuovere la cultura della legalità ed educare alla cittadinanza attiva in Italia e in Europa anche attraverso lo studio della nostra Costituzione. Prevenire e contrastare il bullismo e la violenza dentro e fuori la scuola; 9. prevenire gli incidenti stradali attraverso la conoscenza delle regole di guida e il potenziamento dell’educazione stradale; 10. promuovere il corretto utilizzo delle nuove tecnologie. Pur non affrontando direttamente la tematica relativa ai disturbi dell’apprendimento, questo decalogo ai punti 6, 8 e 10 fa riferimento puntuale alle situazioni negative in cui si trovano a vivere gli studenti che sperimentano nella scuola il disagio derivante anche (o solamente) dalle difficoltà/disturbi dell’apprendimento. L’alunno che “avverte” di non essere in grado di leggere in modo funzionale allo studio e all’apprendimento delle varie materie di studio prova un profondo disagio anche nella comunicazione e nella relazione con gli adulti e con i coetanei; spesso “nasconde” o “camuffa” questo disagio con comportamenti provocatori; oppure è disattento, agitato,disturba il normale svolgimento delle lezioni. Spesso ad un’osservazione superficiale questi comportamenti ed atteggiamenti vengono attribuiti a scarso interesse, svogliatezza, basso livello di autostima. Spesso l’alunno non viene posto nella condizione – sia da parte dei docenti sia da parte dei compagni (che molte volte lo deridono) – di manifestare la reale condizione che sta vivendo; motivo per cui se gli insegnanti non individuano per tempo le reali cause di un tale comportamento e di tale situazione l’alunno si isola dal contesto-classe fino ad abbandonare gli studi. Se, invece, gli insegnanti individuano le cause “profonde” del disagio sono in grado di affrontare la situazione in modo adeguato e di rassicurare e confortare l’alunno nel difficile processo di apprendimento. Gli alunni che presentano queste e altre difficoltà, ma che non sono “certificati” vengono identificati con l’acronimo BES (Bisogni Educativi Speciali) con il quale si indica «una qualsiasi difficoltà evolutiva in ambito educativo ed apprenditivo ,espressa in funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’Organizzazione mondiale della sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia e che necessita di educazione speciale individualizzata» (2). Definire e ricercare i Bisogni Educativi Speciali non significa “fabbricare” alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo. Significa rendersi conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato (Janes 2005). Esistono anche soggetti che vengono classificati con l’acronimo EES (Esigenze Educative Speciali): si tratta di persone caratterizzate da qualsiasi difficoltà evolutiva nell’ambito dell’educazione e dell’apprendimento caratterizzata da un funzionamento problematico (danno, ostacolo, stigma sociale). La Direttiva del 24 dicembre 2012 individua e definisce meglio la situazione dei soggetti BES; un passaggio importante è rappresentato dalle affermazioni seguenti: «Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di un contesto sempre più variegato, dove la discriminante tradizionale – alunni con disabilità/alunni senza disabilità – non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta. A questo riguardo è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni. In questo senso, ogni alunno può presentare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta». Viene sottolineata l’importanza della classificazione ICF,ma anche la necessità di non “circoscrivere” l’alunno con disagio/difficoltà/disturbo in una ”cornice ristretta” perché si limiterebbe il suo processo di inclusione nel contesto-classe. L’assenza di certificazione non consente all’alunno di accedere alle provvidenze ed ai servizi previsti dalle legge 104; nonostante la mancata presenza dell’insegnate di sostegno, gli insegnanti curricolari sono emotivamente e professionalmente impegnati nella elaborazione di strategie di intervento “curvate” sulle caratteristiche peculiari di ”quel” determinato alunno affinché riduca (o elimini) la negatività della sua situazione. Si tratta di un “percorso” delicato e difficile che alunno, genitori ed insegnanti devono seguire insieme in un confronto “a rete” e scevro da pregiudizi. Gli insegnanti, soprattutto, devono osservare attentamente (esistono al riguardo molte schede di osservazione) e sistematicamente l’alunno, già dalla scuola dell’infanzia, poiché una individuazione tempestiva di un deficit consente agli insegnanti e ai genitori di predisporre gli interventi più opportuni. Questa considerazione si attaglia soprattutto ai soggetti con DSA in quanto le difficoltà e/o i disturbi dell’apprendimento vengono ritenuti meno gravi di un altro deficit e, di conseguenza, i genitori, soprattutto, sottovalutano, in alcuni casi, la gravità del problema. Concludo questo intervento con alcune considerazioni che vanno “controcorrente” e che stimolano una riflessione ulteriore riguardo ai soggetti con DSA, ma anche a quelli che vengono “certificati” causa la presenza di altri deficit: «Siamo di fronte al sovvertimento della funzione dello psicologo, che invece di assistere chi manifesta dei problemi e chiede aiuto (anche tramite la famiglia), si arroga (con inammissibili pressioni psicologiche) il diritto di “testare” l’intera società per decidere chi è sano di mente e chi è non lo è, oltretutto in base a criteri di dubbio valore scientifico. Difatti, proprio in questi giorni, mi è occorso di leggere articoli circa i criteri con cui gli psicologi dovrebbero individuare i soggetti “discalculici”, talmente assurdi e incompetenti che c’è da rabbrividire all’idea di consegnare i bambini a chi scoprirà disturbati dove non ve ne sono, facendo entrare molti sani nel tunnel della disabilità. È assai probabile che chi avesse sottoposto a test del genere Albert Einstein o René Thom, li avrebbe catalogati come disturbati e sottoposti a un programma didattico differenziato sotto un “gruppo di controllo” di psicologi» (Giorgio Israel, Il Foglio 21.4.2011). Riferimenti bibliografici nel testo (1) R. Mion, Nuove forme di emarginazione. Figure professionali emergenti e strumenti formativi, AA.VV., Disagio giovanile e nuove prospettive del lavoro sociale, Grafic House ed., Venezia, 1995, pag. 52 (2) D. Janes, Bisogni educativi speciali e inclusione, Erickson, Trento 2005 pag. 29 Quando la dislessia entra in classe / Paola Eleonora Fantoni DSA – Valutazione e monitoraggio dell’apprendimento 4 marzo 2013 Come prescrive la Legge n. 170 dell’8 ottobre 2010, è necessario monitorare attentamente durante l’intero anno scolastico le prestazioni degli studenti con disturbi specifici di apprendimento. Non viene però spiegato come tale monitoraggio dovrebbe essere effettuato dalle scuole, lasciando quindi gli istituti liberi di dotarsi di quegli strumenti che ritengono più adatti allo scopo. Nella mia scuola, l’istituto “Giovanni Caramuel” di Vigevano – liceo scientifico delle scienze applicate e istituto tecnico industriale con vari indirizzi – sono state approvate dal Collegio dei Docenti due schede proposte dalla referente DSA, che puoi scaricare dai seguenti link: scheda di monitoraggio per il primo quadrimestre; scheda di monitoraggio per il secondo quadrimestre. La prima è da compilare alla fine del 1° quadrimestre, solo dai docenti che hanno assegnato una valutazione non sufficiente in riferimento alla propria materia. La seconda rappresenta invece un bilancio finale degli apprendimenti dell’intero anno e va riempita da tutti i docenti componenti il Consiglio di Classe. Mediante un documento di questo tipo è possibile iniziare un dialogo proficuo tra tutti i docenti all’interno del Consiglio, in quanto permette un approccio concreto e collegiale agli obiettivi di apprendimento delle varie discipline. Compito del Coordinatore di Classe è infine quello di sintetizzare e presentare i risultati emersi dalle schede, in prima istanza ai colleghi in seduta plenaria e successivamente alla famiglia, realizzando così il loro attivo coinvolgimento nel processo educativo dello studente. Quando la dislessia entra in classe / Paola Eleonora Fantoni Risorse Internet per sviluppare la abilità linguistiche 21 maggio 2013 Navigare in Internet a scopo di reperire informazioni è divertente e può essere utile e proficuo, ma il rischio di perdersi all’interno dei collegamenti è certamente reale. Aggiungiamo che noi docenti non siamo dei nativi digitali, come invece lo sono nella quasi totalità i nostri studenti. I libri di testo di lingua straniera offrono già molti materiali interessanti ed accattivanti: LIMBooks, libri digitali, piattaforme per lo svolgimento di esercizi e compiti, oppure di prove di valuatzione, CD-ROM, Audio-CD, video, e così via. Talvolta però può essere utile integrare la nostra lezione con ulteriori suggerimenti, provenienti da siti reperibili in rete. Qui di seguito potrete trovare alcuni indirizzi di risorse afferenti le varie abilità linguistiche, suddivise per lingua straniera. Buona navigazione! Elenco risorse per lo studio delle lingue straniere Siti generici Reverso.net: traduzione online in varie lingue Inglese BBC: ascolto e parlato, corsi audio e video British Council: risorse per docenti Esl lab: ascolto Fonetiks: pronuncia inglese Teacher Training Videos: video Learning Chocolate: lessico con figure, suoni, giochi ESL Flashcards: flashcards & printables PicLits: scrittura Vocaroo: registrazione della propria voce MailVu: mail video Spelldrome: imparare lo spelling National Archives UK: films Rhymes: rhymes & synonyms Listen and write: migliorare l’ascolto e sentire le notizie Elllo: pronuncia inglese ed altro To Learn English: risorse in varie lingue Using English: una serie di lezioni Sites For Teachers: idee per il docente, worksheets & printables Francese Le Point du Fle Francite HumNet Langedizioni Tedesco Deutsches Institut Viaggio in Germania Venus / Tedesco in rete Spagnolo A tutta scuola Don Quijote AsìSeHace N.B.: Le informazioni sui siti sono state reperite in rete in data 7 maggio 2013 e sono pertanto suscettibili di possibili modifiche. Quando la dislessia entra in classe / Paola Eleonora Fantoni DSA ed ESAMI DI STATO alla secondaria di secondo grado 24 maggio 2013 Alla fine dell’anno scolastico uno dei compiti più stringenti del Consiglio di Classe consiste nella stesura del Documento Finale, denominato anche Documento del 15 maggio. Si tratta del bilancio finale della classe che andrà a sostenere gli Esami di Stato nel mese successivo. Per presentare adeguatamente e tutelare gli studenti con diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento, si rende necessario compilare l’allegato “riservato” a tale documento, che solo la commissione e la famiglia dello studente potranno visionare. La stesura è collegiale e il prodotto realizzato andrà approvato dal Consiglio di Classe. Il referente DSA d’istituto o il coordinatore di classe provvederà all’inserimento dei dati personali e di una sintesi discorsiva della diagnosi, mentre tutti i docenti riuniti contribuiranno a scrivere i paragrafi sullo stile di apprendimento, sulle misure dispensative accordate e sugli strumenti compensativi utilizzati in corso d’anno. L’ultima sezione del documento è riservata alla descrizione delle simulazioni delle varie prove, effettuate durante l’anno, unitamente ad eventuali modifiche operate, in linea sia con la normativa vigente – compresa la Circolare Ministeriale sullo svolgimento degli Esami di Stato – che la diagnosi personale. Si avrà cura anche di allegare le prove a cui il candidato è stato sottoposto, evidenziando eventuali modifiche e/o aggiunte. Di seguito un fac-simile dell’allegato riservato al Documento del 15 maggio.