storie di concetti - Casa editrice Le Lettere

annuncio pubblicitario
GIUSEPPE GIORDANO
STORIE DI CONCETTI
Fatti Teorie Metodo Scienza
Le Lettere
SOMMARIO
Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
9
Parte I: Fatti e teorie
1. Esistono i fatti? L’interpretazione del dato scientifico. . » 15
2. Che cos’è una teoria scientifica?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 37
Parte II: Metodo
3. Dal­l’antichità a Newton. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 57
4. Cartesio, Vico, Kant e Hegel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 81
5. Dalla apoteosi alla fine del metodo “classico”. . . . . . . . » 117
Parte III: Scienza
6. Dalla metafisica come scienza alla metafisica
  che non è scienza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157
7. Verso una scienza “metafisica”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 181
Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 201
Indice dei nomi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 219
1
Esistono i fatti?
L’interpretazione del dato scientifico
La domanda: “Esistono i fatti?” è chiaramente una domanda
retorica. Certo che i fatti esistono. Essi – al di là del giudizio
che se ne possa dare – costituiscono il punto di partenza irrinunciabile nel cammino del conoscere. Persino il più grande
tra i filosofi idealisti, Hegel, prende le mosse dalla percezione
sensibile di ciò che ci circonda1.
Quelli che non esistono sono i fatti oggettivi. In una corretta prospettiva filosofico-epistemologica, affermare “è un
fatto!” è un modo di dire sbagliato. Lo stesso vale per il termine “dato”, che ha senso soltanto, ad esempio, in un contesto
come quello delle scienze, in unione con l’aggettivo “scientifico”: esistono solo dati o fatti qualificati.
Vorrei allora mettere in evidenza l’opportunità di superare modelli tradizionali di conoscenza, che attribuiscono a
fatti e dati un’esistenza autonoma; che attribuiscono a essi,
cioè, il possedere una connotazione di per sé, che invece è
1
Cfr. G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito [1807], trad. di E. De Negri
[La Nuova Italia, 1963], introduzione di G. Cantillo, 2 voll., Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 2008, in particolare le sezioni “La certezza sensibile o il questo
e l’opinione” e “La percezione o la cosa e l’illusione”, pp. 81-108. Naturalmente,
Hegel parte dalla presunzione della certezza sensibile per farne vedere la crisi di
oggettività. Su ciò cfr. G. Cotroneo, Il “dileguare” della prima certezza, in M. Pera
(a cura di), Il mondo incerto, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 5-25.
16
giuseppe giordano
loro soltanto alla luce di un contesto teorico. I nostri modelli
di conoscenza sono in maniera preponderante oggettivisti; si
fondano sul­l’idea che il soggetto conoscente stia da una parte
e l’oggetto da conoscere sia da un’altra, ognuno indipendente dal­l’altro. Si tratta del modello sintetizzato per la cultura
moderna da Cartesio, con la distinzione, che deriva dal conseguimento della certezza del­l’“io penso”, fra res cogitans e
res extensa2; si tratta (detto in termini sommari) dello schema
del­l’adaequatio rei et intellectus, che giustappone un oggetto
fisso e immutabile a una mente altrettanto fissa e immutabile3.
Non è senza motivo che si afferma l’oggettivismo: esso costituisce una strategia ottimale per semplificare l’approccio
conoscitivo. È uno dei due “postulati” sui quali si fonda la
conoscenza come è stata impostata dalla cultura occidentale4. È stato un fisico a definirlo “postulato d’oggettivazione”,
Erwin Schrödinger, che così lo ha puntualmente descritto:
«Lo scienziato nel suo subconscio, quasi inavvertitamente,
semplifica il suo problema di comprendere la natura, non
prendendo in considerazione o tagliando fuori dal quadro se
stesso, la sua personalità, il soggetto della conoscenza. /Senza
rendersene conto il pensatore si limita a rappresentare la parte d’un osservatore esterno. Con ciò il suo compito è straordinariamente facilitato. […] Questo gran passo – tagliar fuori
se stesso, retrocedere come uno spettatore che non ha nulla a
che fare con l’esecuzione dello spettacolo – ha ricevuto altri
2
Cfr., ad esempio, R. Descartes, Discorso sul metodo [1637], trad. di M. Garin [1986], introduzione di T. Gregory [1998], Laterza, Roma-Bari 2004.
3
Sul tema può risultare interessante vedere R. Gregory, La mente nella scienza [1981], trad. di M. e D. Paggi e U. Gasparino, Mondadori, Milano 1985.
4
L’altro postulato è il “principio di intelligibilità”, l’idea, alla base della nascita della filosofia, che la realtà possa essere spiegata razionalmente, senza dovere fare ricorso a un qualcosa di “mitico” o trascendente. Su ciò si vedano le
suggestive pagine di F. Nietzsche, La filosofia nel­l’epoca tragica dei Greci e scritti
1870-1873, con nota introduttiva di G. Colli e M. Montinari, trad. di G. Colli,
Adelphi, Milano 1992.
esistono i fatti? l’interpretazione del dato scientifico
17
nomi, che lo fanno sembrare innocuo, naturale, inevitabile.
Lo si può chiamare semplicemente oggettivazione, considerazione del mondo come un oggetto»5.
Quello che cercheremo ora di percorrere – guidati anche
dalla seconda parte del titolo di questo capitolo: “L’interpretazione del dato scientifico” – è un cammino che dall’oggettivazione assoluta ci porti al recupero del soggetto, che è sì
osservatore, ma è anche parte della natura che osserva e nella
quale è immerso; fatto, questo, che preclude, in un certo senso, l’oggettività. Il percorso che faremo ci dovrà portare dal­
l’idea classica di un soggetto conoscente “fotografo della natura”, e per questo sempre fuori dal campo di ripresa6, a un
soggetto che è allo stesso tempo, secondo una bella espressione del grande fisico Niels Bohr, “attore e spettatore” rispetto
alla realtà e alla natura7.
La Rivoluzione scientifica galileiana ha imposto l’“oggettivismo” come modello di conoscenza; ha “deciso” che fosse
conoscibile in maniera garantita soltanto ciò che è misurabile,
quantificabile, che cioè si pretenderebbe avere una sua sussistenza a prescindere dal soggetto che la osserva. Che quella
operata in questo contesto sia, allora, una “soppressione” del
soggetto appare chiaro se seguiamo Galilei nel­l’esempio che
porta, nel Saggiatore, per operare la celebre distinzione fra
qualità primarie e secondarie8, proprie, le prime, del­l’oggetto,
5
E. Schrödinger, La natura e i Greci [1948], in Id., L’immagine del mondo, trad.
di A. Verson [1963], presentazione di B. Bertotti, Boringhieri, Torino 1987, p. 237.
6
Cfr. E. Morin, Il Metodo 1. La natura della natura [1977], trad. di G. Bocchi
e A. Serra, Raffaello Cortina, Milano 2001, p. 98. Per un quadro completo del
pensiero di Morin, rinvio al numero unico del 2011 della rivista “Complessità”,
interamente dedicato al pensatore francese in occasione del suo novantesimo
compleanno.
7
Si tornerà più avanti su Bohr e anche su questa sua intensa espressione sul
ruolo del soggetto. Per ora si veda N. Bohr, I quanti e la vita, trad. di P. Gulmanelli
[1965], Boringhieri, Torino 1984, pp. 24 e 118.
8
Benché si tratti di una distinzione presente sin dal­l’antichità, è con John
Locke che “qualità primarie e secondarie” entrano nel linguaggio filosofico con
18
giuseppe giordano
le seconde, invece, relative ai soggetti percipienti. Alla fine di
una lunga argomentazione, con un’immagine che oggi si potrebbe definire “splatter”, così afferma: «E stimo che, tolti via
gli orecchi, le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e
i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor
del­l’animal vivente non credo che sieno altro che nomi, come
a punto altro che nome è il solletico e la titillazione, rimosse
l’ascelle e la pelle intorno al naso»9.
La rimozione del soggetto è avvenuta attraverso quella che
Edmund Husserl ha definito “matematizzazione galileiana
della natura”10. La rivoluzione scientifica del Seicento11 ha
operato una “semplificazione” della realtà, applicando un atteggiamento che è possibile riassumere nel termine riduzionismo: la realtà è “ridotta” nella sua essenza scientifica a pure
forme geometriche; una sola tipologia di causa è sufficiente a
spiegare il come (e non il perché) dei fenomeni; tutto è riconducibile alla mera quantità, eliminando totalmente la dimensione qualitativa; la conoscenza deve connotarsi come definitiva e quindi fuori dal tempo della storia, tempo di cambiamento e divenire. In questa prospettiva, la descrizione scientifica è entrata in contrasto con la vita vissuta, proponendo
come vero un mondo assolutamente diverso da quello in cui
la vita svolge i suoi intrecciati percorsi12. Questa operazione
è stata una vera e propria oggettivazione della realtà studiata
ampiezza di diffusione. Cfr. J. Locke, Saggio sul­l’intelletto umano [1689], a cura
di M. e N. Abbagnano, UTET, Torino 1971, in particolare l. II, 9-10, pp. 168-169.
9
G. Galilei, Il Saggiatore [1623], in Id., Opere, a cura di F. Brunetti, 2 voll.,
UTET, Torino 19802, vol. I., pp. 780-781.
10
Cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale [1959], prefazione di E. Paci, trad. di E. Filippini [1961], il Saggiatore,
Milano 2008, in particolare pp. 53-88.
11
Per inquadrare storicamente il fenomeno e coglierne i presupposti teorici,
rinvio a P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari
1997.
12
Su ciò cfr. A. Koestler, I sonnambuli. Storia delle concezioni del­l’Universo
[1959], con una introduzione di G. Giorello, trad. di M. Giacometti [1982],
esistono i fatti? l’interpretazione del dato scientifico
19
dallo scienziato. Ancora oggi, troppo spesso, questo modello
è accettato e ritenuto valido (talvolta senza rifletterci a lungo).
La tesi che voglio sostenere – dopo questa ampia premessa – è che non esistono fatti scientifici di per sé, ma esistono
fatti scientifici nel senso di fatti interpretati e qualificati alla
luce di teorie e secondo criteri che, di volta in volta, storicamente si sono scelti per decidere ciò che è scienza e ciò che
non lo è.
Si tratta, come è ovvio, del riconoscimento del ruolo del
soggetto che conosce. Ora, la svolta consapevole per un riconoscimento del ruolo del soggetto nel conoscere scientifico (e
non nel senso kantiano di soggetto trascendentale dotato di
certe categorie che permettono di comprendere le leggi dei
fenomeni intersoggettivamente; ma piuttosto nel senso delle
vichiane “modificazioni della mente” umana13), il riconoscimento della mutevolezza della conoscenza stessa è un processo lento; possiamo rinvenire un evidente punto di svolta
nella seconda metà del­l’Ottocento, quando uno scienziato
austriaco, Ernest Mach14, cominciò a mettere in discussione
la definitività (e verità) dei risultati raggiunti dalla fisica (per
estensione, si potrebbe dire dalla scienza), scrivendo La meccanica nel suo sviluppo storico-critico: questo testo, che sarà
“manuale” di generazioni di studenti, reca già nel titolo i segni di una rottura con l’ideale epistemologico classico di una
scienza definitivamente o vera o errata, ma non in sviluppo15.
Jaca Book, Milano 19912; A. Koyré, Studi newtoniani [1965], trad. di P. Galluzzi
[1972], Einaudi, Torino 1983.
13
Cfr., rispettivamente, I. Kant, Critica della ragion pura [1781; 1789], trad.
di G. Gentile e G. Lombardo Radice [1909-1910], rivista da V. Mathieu [1959],
Laterza, Roma-Bari 1983, e G. Vico, Principî di scienza nuova [1744], a cura di F.
Nicolini [1953], Mondadori, Milano 1992.
14
Su Mach e il contesto austriaco, si veda D. Donato, I fisici della Grande
Vienna, Le Lettere, Firenze 2011.
15
È evidente che l’influenza “storicista” di Darwin – che aveva pubblicato
nel 1859 L’origine della specie (introduzione di G. Montalenti, trad. di L. Fratini
[1967], Bollati Boringhieri, Torino 2001) – sulla scienza inizia a propagarsi pre-
20
giuseppe giordano
La tesi di Mach è la seguente: è vero che i concetti (le
teorie) traggono origine dai fatti, ma essi non coincidono con
i fatti. I concetti scientifici costituiscono il risultato di un’operazione di “economia di pensiero”. Scrive Mach: «Tutta
la scienza ha lo scopo di sostituire, ossia di economizzare
esperienze mediante la riproduzione e l’anticipazione di fatti
nel pensiero. Queste riproduzioni sono più maneggevoli del­
l’esperienza diretta e sotto certi aspetti la sostituiscono. Non
occorrono riflessioni molto profonde per rendersi conto che
la funzione economica della scienza coincide con la sua stessa
essenza. È necessario avere idee chiare su questo argomento,
se si vuole evitare ogni forma di misticismo»16.
Già con Mach, dunque, la conoscenza scientifica si presenta esplicitamente e consapevolmente come un’operazione
di astrazione da parte di un soggetto; riconoscere questo significa “smascherare” l’astrazione del riduzionismo galileiano dal­l’interno della stessa fisica.
Il passo successivo, sempre in fisica – ed è importante seguire questi sviluppi al­l’interno della fisica perché è stata la
fisica a ergersi a modello paradigmatico di scienza per quasi
quattrocento anni –, lo ha compiuto Albert Einstein, mettendo in evidenza, con le teorie della relatività17, come ogni
osservazione-misurazione sia fatta da un punto di vista: il punto di vista del­l’osservatore, del soggetto. Secondo Einstein,
l’oggettivismo è, allora, un pregiudizio. In questi termini si
esprime, ad esempio, nella sua Autobiografia scientifica: «Il
sto, facendo transitare dalla biologia anche alla fisica un concetto come quello di
“sviluppo”, carico di temporalità orientata in maniera irreversibile, assolutamente
alieno alla fisica galileiano-newtoniana.
16
E. Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico [1883; 19339], trad.,
introduzione e note di A. D’Elia, Boringhieri, Torino 1977, p. 270.
17
Cfr. A. Einstein, L’elettrodinamica dei corpi in movimento [1905], in Id.,
Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 148-177;
A. Einstein, I fondamenti della teoria della relatività generale [1916], in Id., Opere
scelte, cit., pp. 282-343.
esistono i fatti? l’interpretazione del dato scientifico
21
pregiudizio – che a tutt’oggi non è affatto sparito – consiste
nella convinzione che i fatti possano e debbano tradursi in
conoscenza scientifica di per sé, senza una libera elaborazione intellettuale»18.
Il compimento del recupero del soggetto si è avuto con la
fisica quantistica19. Qui entrano in gioco figure della caratura (non soltanto scientifica) di Niels Bohr e Werner Heisenberg20. Di Bohr si è già accennato, parlando della posizione
del soggetto conoscente come contemporaneamente “attore
e spettatore”. L’ottica, nella quale si colloca la considerazione
sul soggetto fatta dal fisico danese, è quella di una nuova logica, la logica della “complementarità”, necessaria per potere
comprendere e fare fronte ai dualismi, sorti con la scoperta
del quanto d’azione, tra spiegazioni corpuscolari e ondulatorie dei fenomeni fisici come la luce o la materia: si tratta di
adottare una prospettiva che consenta di cogliere le ambiguità della natura come il frutto del nostro essere immersi in
essa – del fatto, cioè, che «la nostra posizione [è] di spettatori
e attori a un tempo del grande dramma del­l’esistenza»21 –;
che quindi spiegazioni apparentemente contrastanti possono
essere entrambe vere22.
A. Einstein, Autobiografia scientifica [1949], in Id., Opere scelte, cit., p. 84.
Per una panoramica sulla “rivoluzione dei quanti” rinvio a G. Gamow,
Trent’anni che sconvolsero la fisica [1966], trad. di L. Felici [1966], Zanichelli,
Bologna 1990.
20
Per un’analisi della coesistenza di una dimensione filosofica accanto a quella scientifica in questi protagonisti della scienza, mi limito a rinviare, in una bibliografia ormai vastissima, a due opere collettive: G. Gembillo – G. Giordano
(a cura di), Niels Bohr scienziato e filosofo, Armando Siciliano, Messina 2004, e
G. Gembillo – C. Altavilla (a cura di), Werner Heisenberg scienziato e filosofo,
Armando Siciliano, Messina 2002.
21
N. Bohr, Biologia e fisica atomica [1937], in Id., Teoria del­l’atomo e conoscenza umana, trad. di P. Gulmanelli, Boringhieri, Torino 1961, p. 395.
22
Siamo di fronte a un superamento in ambito scientifico della logica classica.
Su ciò si può vedere G. Gembillo, Le polilogiche della complessità. Metamorfosi della Ragione da Aristotele a Morin, Le Lettere, Firenze 2008, in particolare
pp. 189-206. Su Bohr si veda anche S. Petruccioli, Atomi Metafore Paradossi.
18
19
22
giuseppe giordano
Werner Heisenberg è colui che nel 1927, attraverso l’enunciazione delle “relazioni di incertezza” o principio di
indeterminazione, reintroduce, con un ruolo attivo, di fatto
e inesorabilmente, il soggetto nella realtà esplorata scientificamente. Il principio di indeterminazione ci dice che non
possiamo conoscere con precisione assoluta posizione e velocità di una particella microfisica contemporaneamente23.
L’impossibilità della misura contemporanea precisa deriva
dal fatto che, ad esempio, un elettrone viene osservato mediante un’apparecchiatura che lo “illumina”; ora, la particella di luce, il fotone, è più grande del­l’elettrone, e nel colpirlo
interagisce con esso: si può dire che è l’atto di osservazione a
causare l’indeterminazione, si può dire che è il soggetto che
osserva a manifestare palesemente la sua presenza ineliminabile.
Le conseguenze filosofico-epistemologiche del principio di
indeterminazione sono molteplici24; la più importante, va ribadito, discende dal fatto che il soggetto perturba l’oggetto,
interagisce con esso: crolla così l’oggettivismo, fondato sulla
separazione netta del soggetto e del­l’oggetto25.
Niels Bohr e la costruzione di una nuova fisica, Theoria, Roma-Napoli 1988 (nuova
edizione: Le Lettere, Firenze 2012).
23
Cfr. W. Heisenberg, Sul contenuto intuitivo della cinematica e della meccanica quantoteoriche [1927], in Id. Indeterminazione e realtà [1991], a cura di G.
Gembillo e G. Gregorio, Guida, Napoli 20022, pp. 47-77.
24
Fra queste è importante ricordare il “crollo” del­l’universalità del principio
di causalità, espressamente sancita da Heisenberg nella memoria del 1927 (cfr.
ivi, p. 76) o quello del­l’idea di ripetibilità del­l’esperimento. Sulle conseguenze di
tipo epistemologico delle scoperte dello scienziato tedesco rinvio a G. Gembillo,
Werner Heisenberg. La filosofia di un fisico, Giannini, Napoli 1987, e a C. Altavilla,
Fisica e filosofia in Werner Heisenberg, Guida, Napoli 2006.
25
Non a caso gli storici della scienza hanno “classificato” Bohr, Heisenberg
e la scuola di Copenhagen come gli “idealisti” tra i fisici dei quanti. Si veda, fra
i tanti – oltre il già citato Trent’anni che sconvolsero la fisica di Gamow –, S. Ortoli – J.P. Pharabod, Il cantico dei quanti [1984], trad. di E. Castelli, Theoria,
Roma-Napoli 1991, e K. W. Ford, Il mondo dei quanti. La fisica quantistica per
tutti [2004], trad. di F. Ligabue, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
esistono i fatti? l’interpretazione del dato scientifico
23
Nel­l’ambito dello studio del vivente si arriva presto a conclusioni analoghe; anzi, è proprio la biologia a spingere verso
una prospettiva “sistemica”, che dia conto proprio dell’originalità degli esseri viventi come organismi26. Era però importante che fosse la fisica a dovere mettere in discussione
criteri che, partendo dal suo interno, erano diventati assoluti
e paradigmatici.
Abbiamo ora una prima cornice di sfondo. Una seconda è
quella data dal fatto che il Novecento si può inquadrare come
secolo dei linguaggi: tutto ciò che ruota intorno al­l’uomo ha
una dimensione linguistica: cultura, filosofia, arte, e anche
scienza. Una volta che si comincia a cogliere il ruolo del soggetto come costruttore di una conoscenza, che si modifica
nella continua interazione fra il soggetto appunto e l’oggetto
(la natura), i prodotti di questa attività del soggetto si connotano come linguistici nel senso che esprimono (e non per
forza verbalmente: comunichiamo anche stando zitti!)27.
Qui, in una staffetta ideale, il testimone passa ai filosofi
(gli scienziati ritorneranno più avanti, per l’ultima frazione).
La riflessione dei filosofi sulla scienza diviene nel Novecento infatti, almeno in larga parte, riflessione su come vengono
espresse le verità o i concetti scientifici, anzi su come devono
Sulla prospettiva sistemica, proprio a partire dallo studio del vivente, si
veda L. von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni [1967], trad. di E. Bellone [1971], introduzione di G. Minati, Mondadori,
Milano 2004.
27
Sul linguaggio come strumento di comunicazione, ma non esclusivamente
verbale o scritto, rinvio a E. T. Hall, La dimensione nascosta [1966], trad. di M.
Bonfantini [1968], Bompiani, Milano 2001, e a P. Watzlavich, La realtà della realtà. Comunicazione-Disinformazione-Confusione [1976], trad. di J. Sanders, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1976. La centralità del linguaggio, del­l’espressione, è alla
base del­l’idea crociana del­l’estetica, definita appunto “scienza del­l’espressione e
linguistica generale”; ed è interessante che questo testo di Croce sia uno di quelli
che inaugura – e, soprattutto in Italia, dà un’impronta molto forte – il Novecento.
Cfr. B. Croce, Estetica come scienza del­l’espressione e linguistica generale [1902], a
cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 1990.
26
24
giuseppe giordano
venire espresse per rispondere a determinati criteri di scientificità, quale ad esempio la definitività.
Siccome, inizialmente, il modello conoscitivo è quello
“oggettivista” e pur tuttavia si assiste, nel panorama scientifico, a continue dispute interpretative, ci si interroga su come
si possano esprimere concetti scientifici, o addirittura fatti, in
proposizioni inequivoche28. La corrente più importante di filosofia scientifica della prima metà del Novecento, il Neopositivismo logico, collassa quando i suoi esponenti non riescono a mettersi d’accordo su quali (e come) debbano essere le
proposizioni scientifiche oggettive, i cosiddetti “protocolli”29.
Da qui in avanti la filosofia della scienza comprende che
non si può più pensare a un modello di conoscenza che rispecchi fatti oggettivamente dati in maniera assoluta e, soprattutto, una volta per tutte (cosicché la storia della scienza
finiva con il presentarsi come una storia di errori)30. Si tratta della svolta impressa alla riflessione sulla scienza da Karl
28
Questo interrogativo è alla base delle riflessioni della filosofia della scienza
almeno della prima metà del secolo, pur avendo davanti agli occhi l’esemplarità di
un dibattito come quello della fisica, nel quale si disputa sul significato o sul modo
di scrivere formule matematiche, che dovrebbero (ma non lo sono affatto) essere
inequivoche. Rinvio, a riprova di quanto sostengo, alle pagine di G. Tagliaferri,
Storia della fisica quantistica. Dalle origini alla meccanica ondulatoria, Franco Angeli, Milano 1985, o a quelle di T. S. Kuhn, Alle origini della fisica contemporanea.
La teoria del corpo nero e la discontinuità quantica [1978], edizione italiana a cura
di E. Bellone, trad. di S. Scotti, il Mulino, Bologna 1981. La credenza nella realtà
(verità) delle formule matematiche, nel loro essere un rispecchiamento della natura, è dura a morire; si veda, ad esempio, S. Bais, Equazioni. Le icone del sapere
[2005], trad. di A. Migliori, Dedalo, Bari 2009.
29
Sul Neopositivismo, le sue vicende e le articolate posizioni dei filosofi appartenenti a esso rinvio a F. Barone, Il Neopositivismo logico [1953; 1977], edizione riveduta e aggiornata, Laterza, Roma-Bari 1986, e a G. Polizzi (a cura di),
Filosofia scientifica ed empirismo logico, Unicopli, Milano 1993 (che raccoglie gli
atti del Convegno parigino del 1935, espressione del massimo fulgore del Neopositivismo).
30
Per un quadro storico della filosofia della scienza rinvio a D. Gillies – G.
Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, Laterza, Roma-Bari 1995. È pure
interessante la ricostruzione storica – di respiro molto più vasto, dal­l’antichità al
esistono i fatti? l’interpretazione del dato scientifico
25
Popper e dalla cosiddetta “New Philosophy of Science”. Si
tratta, in entrambi i casi, di reazioni al­l’approccio “logico”
del Neopositivismo: quella di Popper più interna alla temperie positivista (nella quale il filosofo austriaco si è, in un certo
senso, formato); quella della “Nuova filosofia della scienza”
più di rottura con la tradizione precedente, grazie a un continuo riferimento, non riscontrabile prima, alla storia della
l’impresa
scienza, avviando così una “storicizzazione” del­
31
scientifica .
Darò soltanto due esempi dei nuovi modi di concepire la
conoscenza scientifica e quindi i fatti scientifici alla luce di un
nuovo “soggettivismo” (che non è il tanto oggi esecrato “relativismo”; ma anche su questo ci sarebbe da discutere, se e
in che misura il relativismo vada stigmatizzato)32. Gli esempi
da me scelti sono due tra i più importanti filosofi della scienza (tradizionali)33 del Novecento: il già citato Karl Raymund
Popper e Thomas Samuel Kuhn.
Novecento – di D. Oldroyd, Storia della filosofia della scienza [1986], trad. di L.
Sosio [1989], il Saggiatore, Milano 1998.
31
Cfr. H. I. Brown, La nuova filosofia della scienza [1977], trad. di E. Prodi,
Laterza, Roma-Bari 1984. Per una ricca informazione bibliografica sugli sviluppi
della filosofia della scienza nella seconda parte del Novecento e, soprattutto, dopo
Popper, rinvio a F. Coniglione, Popper addio. Dalla crisi del­l’epistemologia alla fine
del logos occidentale, Bonanno, Acireale-Roma 2008.
32
Sul relativismo e le sue tante sfaccettature, rinvio ad A. Coliva, I modi del
relativismo, Laterza, Roma-Bari 2009.
33
Parlo di filosofi della scienza “tradizionali” perché esiste tutto un altro filone di scienza e riflessione sulla scienza che, a partire dai cambiamenti che stanno
attraversando molteplici settori di ricerca scientifica, implicano un radicale cambiamento epistemologico che si lascia dietro riduzionismo e semplificazioni astraenti per abbracciare la complessità del reale. Se dal punto di vista scientifico il
più importante dei pensatori di questo nuovo orizzonte filosofico-epistemologico
è sicuramente Ilya Prigogine, riferimento filosofico è Edgar Morin con il suo monumentale Metodo in sei volumi. Alcune indicazioni bibliografiche: I. Prigogine
I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza [1979], edizione italiana
a cura di P. D. Napolitani [1981], Einaudi, Torino 19993; per quel che riguarda
Morin, i sei volumi di La Méthode sono tutti pubblicati in Italia da Raffaello Cortina (Milano 2001-2008); si veda, inoltre, E. Morin, La sfida della complessità-La
26
giuseppe giordano
Karl Popper si rende conto – proprio assistendo al fallimento
dei Neopositivisti nel­l’individuare “proposizioni protocollari”, resoconti oggettivi di osservazioni – che qualcosa non
funziona nel metodo accreditato del conoscere scientifico e
nel correlato meccanismo di controllo: l’induzione, che attraverso l’osservazione di fatti particolari (singoli) ci porterebbe
a teorie e leggi universali, e la verifica (cioè la prova positiva
che suffragherebbe la bontà del­l’ipotesi).
Se già Hume aveva rilevato l’aspetto soggettivo dell’inferenza induttiva34, ricavando da ciò poi anche la considerazione che la generalizzazione causale fosse dovuta al­l’abitudine35
(svegliando così Kant dal suo “sonno dogmatico”36), Popper
affronta il problema del­l’induzione in maniera più incisiva,
sorretto da ulteriori duecento anni di esplorazione scientifica
e riflessione sui risultati ottenuti. Per il filosofo austriaco, infatti, l’induzione è uno di quelli – l’altro è la demarcazione –
che definisce “i due problemi fondamentali della teoria della
conoscenza”37. È il problema della credenza, apparentemente di evidenza assoluta, che osservando una serie di “fatti”, se
ne possa concludere con una legge generale che li riguarda e
sia valida per sempre. È ben noto l’esempio che Popper porta
défi de la complexité, a cura di G. Gembillo e A. Anselmo, Le Lettere, Firenze
2011. Sul tema generale della complessità, si veda anche G. Bocchi – M. Ceruti (a
cura di), La sfida della complessità [1985], Bruno Mondadori, Milano 2007, e C. S.
Bertuglia – F. Vaio, Complessità e modelli. Un nuovo quadro interpretativo per la
modellizzazione nelle scienze della natura e della società, prefazione di D. A. Lane,
Bollati Boringhieri, Torino 2011.
34
Cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana [1740], a cura di E. Lecaldano,
Laterza, Roma-Bari 1987, in particolare l. I, parte III, sez. VI, pp. 100-107.
35
Cfr. D. Hume, Ricerche sul­l’intelletto umano [1748], trad. di M. Dal Pra
[1957], introduzione di E. Lecaldano, Laterza, Roma-Bari 1996, in particolare
sez. V, parte I, pp. 62-73.
36
Cfr. I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi
come scienza [1783], trad. di P. Carabellese [1925], introduzione e revisione della
traduzione di H. Hohenegger, Laterza, Roma-Bari 1996.
37
Cfr. K. R. Popper, I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza
[1979], trad. di M. Trinchero, il Saggiatore, Milano 1987.
esistono i fatti? l’interpretazione del dato scientifico
27
nella Logica della scoperta scientifica. Avere osservato sempre
cigni bianchi legittimerebbe l’ipotesi che tutti i cigni siano
bianchi; ma l’osservazione di un solo cigno nero mostra come
la teoria della bianchezza dei cigni, fondata sul­l’induzione,
non sia né universale né definitiva38.
In Congetture e confutazioni l’argomento usato è ancora
più eclatante. Popper parte da una premessa: «Per “indu­
zione”, nel­l’uso che qui se ne fa, si intende il poter appren­
dere – e stabilire – “fatti generali” a proposito della natura.
Consideriamo un esempio banale: il sole sorge tutti i giorni.
Non è ciò stabilito, e giustificato come vero, da innumerevoli
ripetizioni? Oppure consideriamo il successo di una medici­
na come l’aspirina. Non è stato stabilito mille volte che questa
è di giovamento e, se presa in dosi moderate, assolutamente
innocua?»39. Sembrerebbero domande retoriche, frutto di
considerazioni ovvie e banali. La risposta di Popper è che
non lo sono affatto. Continua: «Io dico No. Si può mostrare
che l’asserto che il sole sorge tutti i giorni era stato origina­
riamente stabilito, e inteso, nel senso che “dove vivo il sole
sorge tutti i giorni, e dovunque io sia stato, ed in ogni luogo
del quale abbia sentito parlare, il sole sorge tutti i giorni; dun­
que è ovvio che esso sorga ovunque tutti i giorni” (o “entro
un definito periodo di tempo”). Ma questa è un’inferenza
induttiva, e non vale: come sappiamo, ci sono molti luoghi
sulla terra – in Norvegia, in Svezia e in altre nazioni che si
estendono oltre il circolo polare – nei quali possiamo recarci
facilmente e sperimentare il sole di mezzanotte, o viceversa,
giorni in cui il sole non sorge affatto»40.
Di fronte a questo ragionamento, viene meno la forza del­
38
Cfr. K. R. Popper, Logica della scoperta scientifica [1934; 1959], trad. di M.
Trinchero [1970], premessa di G. Giorello, Einaudi, Torino 1995, pp. 5-9.
39
K. R. Popper, Congetture e confutazioni [1962; 1969], trad. di G. Pancaldi
[1972], il Mulino, Bologna 2003, p. vii.
40
Ivi, pp. vii-viii.
28
giuseppe giordano
l’induzione nel produrre generalizzazioni universali e, insieme, il potere della verifica definitiva, attraverso una prova empirico-osservativa. Popper, infatti, conclude: «La tesi
fondamentale che voglio sostenere contro la capacità dell’induzione di stabilire la verità, o anche solo la “probabilità”,
di una generalizzazione o di una teoria, è questa: dobbiamo
sempre essere disposti a verificare un asserto, anche se questo
è sostenuto da mille e mille esperienze; può sempre risultare
necessaria una sua revisione, forse anche radicale, come nel
caso del­l’asserto “il sole sorge almeno una volta ogni 24 ore
in ogni luogo della terra»41.
In termini di fatti e osservazioni tutto questo discorso finisce anche con il significare che non esistono né fatti puri né
osservazioni pure. Scrive Popper: «Venticinque anni or sono,
cercai di far capire questo punto a un gruppo di studenti di
fisica, a Vienna, incominciando una lezione con le seguenti
istruzioni: “prendete carta e matita; osservate attentamente
e registrate quel che avete osservato!”. Essi chiesero, naturalmente, che cosa volevo che osservassero. È chiaro che il
precetto “osservate!”, è assurdo. E non è neppure idiomatico, se l’oggetto del verbo transitivo non può considerarsi sottinteso. L’osservazione è sempre selettiva. Essa ha bisogno di
un oggetto determinato, di uno scopo preciso, di un punto di
vista, di un problema. E la descrizione che ne segue presuppone un linguaggio descrittivo, con termini che designano
proprietà; presuppone la similarità e la classificazione, che a
loro volta presuppongono interessi, punti di vista e problemi. “Un animale affamato”, scrive Katz, “divide l’ambiente
in cose commestibili e non commestibili. Un animale in fuga
scorge vie per scappare e luoghi per nascondersi… In generale, gli oggetti cambiano… a seconda dei bisogni dell’animale”. Possiamo aggiungere che gli oggetti possono essere
Ivi, p. viii.
41
Scarica