wittgenstein ei fondamenti della matematica

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Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
WITTGENSTEIN E I FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
DI VINCENZO MAGI
DOCENTE DI STORIA E FILOSOFIA PRESSO IL
LSS “SEVERI”MI
L’analisi critica dei fondamenti e dei concetti è stata ed è preziosa, ma essa non deve farci trascurare l’attività creatrice,
che deve procedere con fare più libero. Francesco Severi
Diventa assurdo cercare una linea di demarcazione tra le proposizioni sintetiche, che valgono a seconda delle
contingenze empiriche, e le proposizioni analitiche, che valgono indifferentemente qualunque cosa avvenga. Quine
Il matematico non scopre: inventa. Wittgenstein
Lo sviluppo della matematica e la ricerca sui fondamenti.
Il contesto culturale in cui si forma e opera il giovane Ludwig Wittgenstein, nato a Vienna nel 1889
in una famiglia di imprenditori metallurgici di origine ebraica, è quello dei primi decenni del sec.
XX, durante il quale si apre la crisi dei fondamenti della matematica, generata dai numerosi
paradossi prodotti dalla teoria degli insiemi e dai suoi sviluppi nella logica.
Nel corso dei secc. XVIII e XIX, infatti, la matematica ha avuto uno sviluppo straordinario,
gettando le basi per la formazione delle teorie oggi più importanti. L’analisi infinitesimale di Leibniz
e Newton porta all’analisi funzionale e alla teoria delle funzioni mediante l’introduzione del limite e
della convergenza a opera di Cauchy (1821-29), Bolzano (1850) e Weierstrass, che tenta di
rigorizzarne i principi fondamentali. A sua volta la geometria, i cui fondamenti furono definiti negli
“Elementi” di Euclide d’Alessandria (sec. III a.C.), prolifera in una serie di differenti teorie
assiomatiche: al principio dell’Ottocento prima Gauss e poi Lobačevskij (1829) e Bolyai (1832)
definirono indipendentemente la geometria iperbolica, dove per un medesimo punto esterno a una
retta passano due rette parallele e gli angoli interni di un triangolo sono minori di 180°; in seguito
Riemann (1854) assiomatizza la geometria ellittica, in cui non esistono rette parallele e gli angoli
interni di un triangolo sono maggiori di 180°. Anche l’algebra ha una crescita impetuosa con il
teorema fondamentale dell’algebra (1798), la teoria dei gruppi di Galois (1832) e la fioritura di
diverse algebre – definizione e rappresentazione dei numeri complessi di Hamilton (1835) e dei
quaternioni o ipercomplessi (1843), l’algebra della logica di Boole (1854), e così via. L’aritmetica,
infine, viene formalizzata da Frege (1884), Dedekind (1887) e Peano (1889).
La libera attività del pensiero matematico conduce a un variopinto e disordinato sviluppo di oggetti
di metodi e di teorie, a cui occorre dare un assetto sistematico e un rigore logico e formale. Nella
seconda metà del sec. XIX inizia così l’opera di fondazione e chiarimento, svincolando i principi
dall’esperienza e dall’intuizione geometrica, con l’aritmetizzazione dell’analisi di Weierstrass
(definizione aritmetica del continuo), Dedekind (1872 definizione della continuità mediante sezioni)
e Cantor (i numeri reali come limite di una successione di razionali). La geometria viene
riorganizzata nel “Programma di Erlangen” di Klein (1872) e nei “Fondamenti della geometria” di
Hilbert (1899), mentre la topologia insiemistica sempre più astratta si definisce in modo
sistematico nelle opere di Fréchet (1908), Brouwer (1911), Weyl (1913) e Hausdorff (1914).
L’algebra si ricostituisce anch’essa come scienza astratta delle strutture (insieme, monoide,
gruppo, anello, campo, reticolo, algebra booleana, spazio vettoriale, varietà, ecc.) a partire dalla
teoria degli insiemi di Cantor (1874), dalla sua assiomatizzazione con Zermelo (1908) e Fraenkel
(1922-28), dalla sistemazione monolitica del gruppo Bourbaki (1939 in poi) e dalla creatività dei
grandi algebristi del sec. XX come Cartan, Eilenberg e Mac Lane.
In questa riorganizzazione della struttura logica della matematica, a cavallo tra la fine
dell’Ottocento e il principio del Novecento, esplode la crisi dei fondamenti per l’apparizione dei
paradossi: 1895 il paradosso di Cantor sul massimo numero cardinale; 1897 il paradosso sul
massimo numero ordinale di Burali-Forti; 1903 il paradosso di Russell sull’insieme che non
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Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
appartiene a se stesso; 1905 il paradosso della parola di Richard. Essi minano la logica della
matematica, il suo modello rigoroso di conoscenza certa e giustificata. Ne segue un dibattito sulla
circolarità delle definizioni e sul significato di esistenza in matematica, da cui sorgono ben quattro
approcci differenti alla matematica. Si tratta del platonismo-realismo, dell’idealismo-costruttivismo,
del formalismo-convenzionalismo, del pragmatismo-empirismo.
Nella seguente tabella si riassumono gli esponenti:
REALISMOPLATONISMO
IDEALISMOCOSTRUTTIVISMO
FORMALISMOCONVENZIONALISMO
PRAGMATISMOEMPIRISMO
1. Teoria
degli
insiemi
Ingenua
di
Cantor
1887-88
Assiomatizzazione
di
Zermelo 1908
2. Logicismo
Logica
generale
di
Frege 1879
Teoria dei tipi di
Russell 1910-13
3.
Incompletezza
sinttattica
dell’aritmetica di Gődel
e coerenza dell’assioma
di scelta e dell’ipotesi
generale del continuo
con
gli
assiomi
insiemistici 1931
4. Teoria dei modelli
di Tarski 1936
1. Predicativismo
Definizioni
impredicative
di
Poincaré 1905
Fondazione
del
continuo con i numeri
naturali e l’induzione di
Weyl 1918
2. Intuizionismo
Costruzioni mentali di
Brouwer 1907
Assiomatizzazione della
logica intuizionista di
Heyting 1930
Teoria intuizionista dei
tipi di Martin-Löf 197380
1. Metamatematica
Finitismo di Hilbert anni
‘20 e 1934-38
Teoria
della
dimostrazione
di
Genzen 1934 e Prawitz
1965
Teoria della ricorsività
di
Herbrand
1930,
Gődel 1931, Church
1936, Turing 1937 e
Kleene 1936
2. Formalismo
linguistico
Tractatus del Primo
Wittgenstein 1918
Principio di tolleranza e
libertà di Carnap 1934
1. Antiessenzialismo
Empirismo di Stuart Mill
1843
Giuochi linguistici del
Secondo Wittgenstein
1930-44
Neoempirismo di Quine
1951-53
Perdita della certezza
di Kline 1980
2. Teorie del caos
Frattali di Mandelbrot
1975
Casualità aritmetica e
teoria dell’informazione
di Chaitin 1990
3. teoria
delle
categorie
di Mac Lane 1948-69 e
Lawvere 1963-65
Un’attenta lettura della tabella mostra come le quattro concezioni dei fondamenti della matematica
si sviluppino cronologicamente e geneticamente dalla più antica verso la più recente attraverso
una critica dei limiti dell’impostazione più vecchia e dunque un generale ripensamento teoretico
nella nuova. Il realismo pensa che la matematica studi oggetti ben determinati, indipendenti dallo
spazio-tempo e dall’esperienza, la cui conoscenza è nella scoperta di verità assolute ed eterne.
L’idealismo, invece, considera la matematica come un’attività creativa della mente umana che si
basa sull’intuizione, per esempio sul fluire del tempo e sulla successione dei naturali, e che deve
costruire effettivamente gli enti matematici così pensati. Il formalismo, a differenza del
costruttivismo, sottolinea l’importanza del linguaggio e della logica, al fine di dimostrare la
coerenza delle teorie formalizzate e assiomatizzate, della loro manipolazione dei simboli e della loro
combinazione. Il contenuto ontologico, perciò, è irrilevante e convenzionale. Infine, il pragmatismo
mette in discussione la distinzione tra verità analitiche a priori e verità sintetiche a posteriori della
tradizione razionalista (Leibniz) ed empirista (Hume), e in risalto l’inventività del pensiero
matematico e il suo carattere pratico sociale e naturalistico, se non addirittura biologico nella lotta
per la sopravvivenza. Naturalmente la classificazione precedente degli autori è in parte forzata per
motivi esplicativi troppo semplificatori. Per es. Gődel è un convinto platonista, ma partecipa alla
creazione della teoria dei procedimenti effettivamente calcolabili, che sorge all’interno dell’indirizzo
hilbertiano. Inoltre, sia Church sia Quine hanno sostenuto una riforma del logicismo, mentre
Kleene simpatizza per il costruttivismo e la teoria intuizionista dei tipi nasce dall’incontro tra teoria
della dimostrazione e quella della ricorsività. Comunque, il sottoscritto si prende la responsabilità
delle semplificazioni e le ritiene una modalità utile per chiarire l’ “incredibile ginepraio” e il
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Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
“complicato labirinto concettuale” (Russell) che caratterizzano i fondamenti della matematica.
Niente di più.
Il primo Wittgenstein: Tractatus logico-philosophicus.
Ė all’interno del dibattito apertosi con la crisi dei fondamenti, generata dalla scoperte delle
antinomie, e della ricerca di una chiarificazione e di una legittimità riguardante i nuclei concettuali
e i procedimenti della matematica, che si inserisce l’opera e il pensiero del giovane Wittgenstein.
Egli, infatti, studia ingegneria prima a Berlino dal 1906 e poi a Manchester dal 1908. La lettura dei
“Principi della matematica” di Russell lo spinge a studiare il logicismo di Frege, il quale gli consiglia
di andare a Cambridge da Russell, ove si iscrive al Trinity College nel 1912. Durante la Prima
Guerra Mondiale, nelle trincee del fronte italiano, Wittgenstein scrive il “Tractatus logicophilosophicus”, pubblicato in tedesco nel 1921.
L’autofondazione e l’onnipotenza del simbolismo come linguaggio ideale chiuso.
Quest’opera avversa apertamente il logicismo, avendo fatto Frege assunzioni esistenziali
contraddittorie sugli insiemi (antinomia di Russell), e ricorrendo Russell a presupposti ontologici
discutibili (assiomi di riducibilità, dell’infinito e di scelta) del tutto estranei all’astratto rigore logico.
Wittgenstein, invece, rifiuta qualsiasi riferimento ontologico e riconduce sia la logica sia la
matematica all’analisi delle relazioni interne e puramente formali che valgono tra i simboli del
linguaggio. L’indagine così verte sulle proprietà interne del simbolismo ed esclude prescrizioni
extra-formali e assunzioni d’esistenza, che consistono nei concetti propri, rappresentanti le
generalizzazioni empiriche. Viceversa i concetti formali non indicano le proprietà delle cose e sono
del tutto estranei al mondo dell’esperienza, essendo parte del solo simbolismo, cioè di un piano
puramente linguistico e formale. L’autofondazione del simbolismo come calcolo formale non
interpretabile, in cui i simboli sono solo oggetti di considerazione matematica, ha bisogno di un
altro rifiuto, quello del soggetto e soprattutto di un’origine mentale o psichica della logica come in
Boole o Dedekind, per i quali la logica studia le leggi fondamentali delle operazioni mentali.
L’antipsicologismo rigetta qualsiasi fondamento estraneo alla logica in quanto presupposto
ontologico non verificabile e minante l’autonomia del simbolismo.
Tale formalismo linguistico è collegato con la raffigurazione proiettiva della realtà, essendo le
proposizioni delle immagini dei fatti. Riassumiamo in uno schema il rapporto tra il mondo e il
linguaggio.
•
•
•
REALTÀ
OGGETTI
STATO DI COSE
FATTO
ATOMISMO ESSENZIALISTICO:
Il mondo è tutto ciò che
accade, la totalità dei fatti.
Lo stato di cose è un possibile
nesso di oggetti, che formano
la sostanza del mondo.
Un fatto è un evento che
realizza uno stato di cose, una
particolare connessione degli
oggetti.
SIMBOLISMO
-denominare-significareÆNOMI
significato dei segni semplici;
-descrivere-ÆPROPOSIZIONEÆ
senso
delle
proposizioni
atomiche: VERITÀ=accordo con
la realtà e FALSITÀ=disaccordo
con la realtà.
PRINCIPIO DI ESTENSIONALITÀ (empirismo):
PROPOSIZIONI
ELEMENTARI
sono:
• TAUTOLOGIA sempre vera
e priva di senso, a priori e
analitica;
• CONTRADDIZIONE sempre
falsa.
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LINGUAGGIO
È IMMAGINE e raffigurazione
del mondo.
L’immagine ha in comune con i
fatti la STRUTTURA IDENTICA e
la stessa FORMA LOGICA.
LOGICA
Trascendentale e puramente
formale.
Concezione assolutistica delle
verità logiche.
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
Distinzione tra
- MOSTRARE=intuire il SENSO
nel segno stesso, esibire,
evidenziare
- DIRE= designare, raffigurare
ÆEliminabilità
del
metalinguaggioÆintuizionismo
linguisticoÆ FORMALISMO
La logica e la matematica come calcoli: formalismo e intuizionismo linguistico.
L’atomismo essenzialistico, la dottrina dell’immagine e il formalismo logico-linguistico sono
categorie strettamente interconnesse, da cui deriva il rifiuto delle assunzioni esistenziali e delle
prescrizioni ontologiche, estranee al simbolismo. Quest’ultimo si compone di concetti puramente
formali (segni per variabili, costanti, funzioni, simboli logici e così via), che non designano
proprietà di cose e non dipendono dall’esperienza. La logica è trascendentale, è manipolazione di
simboli e ha a che fare con verità analitiche a priori chiamate tautologie, le quali non dicono nulla e
sono prive di senso, perché il loro campo semantico è troppo ampio, essendo sempre vere per
qualsiasi assegnazione di valori di verità. In questo modo il sistema logico si riduce a mero calcolo
attraverso le tavole di verità: l’accertamento delle condizioni di verità della proposizione è
puramente meccanico, e ne mostra generativamente le modalità di costruzione. Essendo i segni
immediatamente intuitivi alle nostre capacità percettive, la loro combinazione mostra ed evidenzia
il loro significato nel caso dei segni semplici detti nomi (a) e il loro senso nel caso delle
proposizioni (ϕ(a)) attraverso le relazioni interne e formali delle configurazioni simboliche come
((ϕ(a)) & (ϕ(a) ⊃ ψ(b))). ⊃ ψ(b). La stessa cosa vale per le equazioni in matematica a = b. Il
mostrare è una proprietà formale del simbolismo, dato che le sue condizioni necessarie non si
possono enunciare (dire), ma possono soltanto mostrarsi all’intuizione percettiva come proprietà
interne e formali dei simboli. Dentro un linguaggio non possono esservi proposizioni che parlano
(dicono) dei simboli, né può esservi una stratificazione linguistica in livelli differenti. Si afferma così
la negazione del metalinguaggio, perché si può solo mostrare il modo dell’uso dei segni (3.262). La
dottrina del mostrare, che è il nucleo del pensiero di Wittgenstein e la pietra angolare
dell’intuizionismo linguistico e del formalismo, riduce le teorie ai loro caratteri segnici e di calcolo, e
impedisce qualsiasi affermazione e valutazione sul piano metateorico. “Il linguaggio fornisce qui
l’intuizione necessaria” (6.233) e “il procedimento del calcolare provvede appunto a questa
intuizione” (6.2331).
Anche il linguaggio matematico si riduce a un mero algoritmo e consta essenzialmente di equazioni
(6.2) del tipo a = b, dove i segni a e b sottostanno a una regola di sostituibilità reciproca. Questa
regola non tratta della realtà empirica, ma è soltanto una combinazione di segni che rinvia alle
regole del linguaggio, cioè della matematica. Quest’ultima è quindi soprattutto calcolo. Di qui il
ruolo fondamentale dell’operazione, che collega la base al risultato e la cui applicazione è iterabile.
La sua forma generale è la seguente: (a, x, O’x), dove a, primo termine della serie, è la base a
cui si applica l’operazione O, x è una variabile e O’x il successore di x nella serie dell’applicazione
di O. Similmente anche il concetto di numero è meramente formale, fondato su quella di
operazione: (x, ξ, Ω(ξ)), con x variabile individuale, Ω variabile di operazione, ξ un elemento della
serie, Ω(ξ) l’elemento successivo. Per esempio Ω x è l’antecedente di Ω+1x, che ne è il successore.
Il numero è dunque “l’esponente di operazioni” (6.021) e la sua nozione si fonda sull’iterabilità
dell’operazione, che è il significato del segno numerico. “Nella matematica tutto è algoritmo, nulla
significato” (Grammatica filosofica), affinché “ogni proposizione della matematica debba
comprendersi da sé” (6.2341). “Ma se è così, ciò deve mostrarsi dalle espressioni stesse” (6.23).
L’analiticità a priori del linguaggio matematico garantisce l’evidenza percettiva del mostrare e la
sua indipendenza dall’esperienza. Tale concezione della matematica si contrappone al logicismo,
dato che riconduce la nozione di numero alla definizione di serie formale, basandosi su quella di
iterabilità dell’operazione, e rifiuta di fondarla sugli insiemi, come invece hanno fatto Frege e
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Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
Russell: “la teoria delle classi è affatto superflua nella matematica” (6.031). Infatti, l’insiemistica
inficerebbe il simbolismo con assunzioni d’esistenza, per esempio l’infinito attuale, venendo così
meno la possibilità di manipolare i segni in modo effettivamente meccanico, vale a dire in modo
finito o al più potenzialmente infinito. Svincolata dal concetto logico di classe, la matematica non è
più un ramo della logica e diventa un linguaggio autonomo con proprie regole e procedure.
Matematica e logica hanno qualcosa in comune, essendo entrambe calcoli sintattici, ma sono
separate. Inoltre, la dottrina del mostrare, distinto dal dire, mina la teoria freghiana della
denotazione (Sinn e Bedeutung), e riduce il simbolismo a un puro calcolo segnico secondo il
principio di estensionalità. La connotazione viene sostituita dalla distinzione mostrare-dire, che
concettualmente non sradica il simbolismo dal pensiero e quindi neanche dall’intensione –
l’intuizionismo linguistico riguarda sempre un’attività del pensare. Attraverso il sofisma del
mostrare Wittgenstein tenta di esorcizzare tutti i problemi dei contesti di credenza e modali (io
credo che…, è possibile che …, ecc.), li evita ma non li risolve. Si isola nel paradiso del suo perfetto
linguaggio ideale, a cui il Rasoio di Occam ha tolto le sovrabbondanze sintattiche, semantiche ed
esistenziali, come un cavaliere della fede nella sua torre impenetrabile in un luogo impervio e
isolato. Il successivo e più maturo pensiero del filosofo austriaco, invece, ritornerà in mezzo
all’umanità, si sporcherà con le sue pratiche sociali e materiali, e non si illuderà più
dell’autosufficienza del linguaggio formale. Il simbolismo cessa di essere autoreferenziale e si apre
al mondo degli uomini e della natura, da cui nasce e su cui è radicato in profondità.
E lo status della filosofia come cambia rispetto alla tradizione? Wittgenstein mostra che la
formulazione dei problemi filosofici si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio:
quanto può dirsi, può dirsi chiaramente (4.116); su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere (il
mistico (6.522 e 7)). Il limite al pensiero può soltanto essere tracciato nel linguaggio, seguendo
Frege e Russell. La filosofia, come critica del linguaggio, considera la gran parte delle questioni
filosofiche insensate, non avendo una risposta. Infatti, “ogni questione che possa essere decisa
dalla logica deve potersi senz’altro decidere” (5.551). In questo modo, la filosofia non è una
scienza, ma la chiarificazione logica dei pensieri (4.112), non è una dottrina ma un’attività:
chiarisce e delimita nettamente i pensieri, il pensabile dall’impensabile, il dicibile dall’indicibile. Il
metodo corretto della filosofia è il seguente: nulla dire tranne ciò che può dirsi; mostrare che a
certi segni delle proposizioni corrispondono significati precisi, perché gli asserti empirici non dicono
ma mostrano qualcosa. Alla staticità della concezione del mondo corrisponde, dunque,
l’incondizionata oggettività di un unico linguaggio ideale e l’analiticità trascendentale della logica,
l’onnipotenza del simbolismo, che di lì a pochi anni Gödel demolirà con i suoi teoremi
sull’incompletezza dell’aritmetica e dei sistemi formali.
Possiamo riassumere il ragionamento del “Tractatus” nel seguente diagramma di flusso:
1. negazione di presupposti ontologici e assunti esistenziali, antipsicologismo Æ
2. autofondazione del simbolismo come calcolo formale non interpretabile (FORMALISMO) Æ
3. principio di estensionalità Æ
4. distinzione tra DIRE e MOSTRARE (INTUIZIONISMO LINGUISTICO) Æ
5. esclusione del metalinguaggio, eliminazione della distinzione freghiana senso-referenza
eliminanado la connotazione, riduzione della matematica a mero calcolo e algoritmo.
Il secondo Wittgenstein : Ricerche filosofiche e Osservazioni sopra i
fondamenti della matematica.
In seguito alla stesura e alla pubblicazione del “Tractatus”, Wittgenstein è convinto di aver risolto
ogni problema filosofico e logico. Dopo aver frequentato l’Istituto Magistrale a Vienna, tra il 1920 e
il 1926 insegna come maestro elementare in villaggi sperduti della Bassa Austria, facendo una vita
semplice e isolata. Tale esperienza influirà sul ripensamento successivo degli anni Trenta, in
particolare per i numerosi esempi pratici che confluiranno nelle opere della maturità (i bambini,
l’addestramento e l’esercizio). Quindi, fa il giardiniere in un monastero e tra il 1926 e il 1928
costruisce una grande casa a Vienna per una delle sue sorelle. In quegli anni, dal 1925 si ha la
costituzione del Circolo di Vienna, a cui partecipano Hahn, Waismann, Neurath, Menger, Schlick,
Carnap e Gödel. Durante i colloqui del Venerdì sera si discute della natura del liguaggio e del suo
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Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
rapporto con il mondo, della verità in logica e matematica in quanto tautologie, del rifiuto della
metafisica. Dal ’26 con Carnap inizia una seconda lettura del “Tractatus”, a cui però Wittgenstein
non partecipa non essendo più interessato alla filosofia. Nel frattempo Waismann ha molti colloqui
con il pensatore austriaco e scrive un testo in cui espone in modo divulgativo il suo pensiero.
Neurath e Carnap, inoltre, giungono alla conclusione che la dottrina della distinzione tra mostrare e
dire sia sbagliata, in particolare per il legame con il tema del mistico. Ma la svolta è ormai alle
porte.
Nel marzo del 1928 Wittgenstein ascolta una conferenza di Brouwer sui fondamenti della
matematica. L’autorevolezza del fondatore dell’intuizionismo lo stimola a un rinascente interesse
per la filosofia e l’anno successivo torna a Cambridge e a giugno si laurea. Nel gennaio del 1930
inizia l’attività di insegnamento come Fellow al Trinity College, e tra il 1933 e il 1935 le sue lezioni
confluiscono in due testi “Il libro blu” e “Il libro marrone”. In seguito vive in una capanna per un
anno in Norvegia tra il 1936 e il 1937, iniziando la stesura delle celebri “Ricerche filosofiche”, la cui
prima parte sarà completata nel 1945, mentre la seconda verrà composta tra il 1947 e il 1949.
L’intera opera sarà pubblicata postuma nel 1953. Tornato a Cambridge, Wittgenstein succede nella
cattedra a Moore, che aveva seguito in precedenza le sue lezioni. Tra le sue conoscenze di questi
anni troviamo alcuni economisti come Keynes, Sraffa e Ramsey, oltre a filosofi come Russell,
Moore e Ryle. Durante la Seconda Guerra Mondiale lavora in un ospedale, e nel 1947 tiene le sue
ultime lezioni. Nel 1948 vive prima in una fattoria e poi in una capanna in Irlanda, e nel 1949 visita
l’amico Malcom negli Stati Uniti. Al ritorno gli viene diagnosticato un tumore. Muore il 29 aprile
1951 nella casa del suo medico. Nel 1956 von Wright, Rhees e Anscombe pubblicano le
“Osservazioni sopra i fondamenti della matematica”, divise in cinque parti scritte tra il 1937 e il
1944, che avrebbero dovuto essere incluse nelle “Ricerche”, essendo i temi e le argomentazioni
non solo simili, in alcuni punti identiche.
Le Ricerche filosofiche: giuochi linguistici e pragmatica sociale.
Le riflessioni sulle conferenza di Brouwer (1928), le critiche al “Tractatus” di Ramsey e Sraffa negli
anni dell’insegnamento, l’esperienza di maestro elementare mettono in crisi il monolitismo statico
dell’opera giovanile con il suo apparato concettuale: il linguaggio come raffigurazione proiettiva di
fatti, l’atomismo logico, il linguaggio ideale, le pretese riduttivistiche. Tali dottrine sono
abbandonate, mentre altre vengono mantenute, quali il formalismo, la distinzione tra dire e
mostrare, l’intuizionismo linguistico, il rifiuto del metalinguaggio, la matematica come algoritmo,
l’antipsicologismo. La leva che scardina il vecchio edificio, è una nuova concezione del linguaggio,
ricondotto non più al simbolismo logico bensì al giuoco.
L’analisi filosofica ora si occupa del linguaggio comune, delle proposizioni così come esse sono
nell’uso comunicativo tra parlanti. Infatti, ciò che dà vita al segno è l’uso: il significato di una
parola è il suo uso nel linguaggio. Quest’ultimo si compone di molteplici giuochi linguistici, che si
caratterizzano per praticare differenti tipi d’uso delle espressioni nei sistemi di comunicazione
umana e che utilizzano il modello dell’apprendimento della lingua naturale da parte dei bambini
attraverso “l’insegnamento dimostrativo (mediante indicazioni) delle parole”. Un primo giuoco
linguistico, per es., riguarda i nomi comuni, un secondo i numeri, un terzo i nomi propri, e così via.
Ciò che differenzia un gioco dall’altro, è “in ciò che circonda quell’atto nell’uso del linguaggio, nel
contesto dell’atto” (Libro blu e libro marrone). Se l’origine del significato dei termini linguistici è
nelle modalità d’uso dei simboli, che si adoperano nelle attività pratiche, nelle azioni e nei
comportamenti di una comunità umana, allora viene meno lo schema semantico tradizionale
risalente al significato (lektòn) degli stoici e basato su un paradigma ontologico di entità sostanziali
(essenzialismo metafisico). Il modello “oggetto-designazione”, che ha la sua più rigorosa
definizione in Frege (1892) e Russell (1905), si focalizza nella ricerca di sostanze, nella correlazione
tra cose e significati. In realtà non si apprende un linguaggio mediante spiegazioni, definizioni e
delucidazioni, che presuppongono un linguaggio già acquisito, bensì mediante un addestramento al
suo uso, con esempi e sanzioni positive (premi) o negative (punizioni). Viene così meno il rapporto
linguaggio-mondo fondato sulla comune forma logica, e il “crampo mentale” che vede essenze
dietro le parole, e che considera il denominare (l’estensione del concetto e il significato puramente
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Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
mentale) come il fondamento dell’intero linguaggio, credendo in un linguaggio privato
(psicologismo) o in uno ideale perfetto (logicismo).
La filosofia ha così una funzione terapeutica contro lo stregamento linguistico dell’intelletto.
Mediante un’analisi descrittiva la filosofia cura le malattie mentali e studia l’uso effettivo del
linguaggio, con il quale si costringe un concetto a rinchiudersi in patologici crampi mentali. Gli
innumerevoli tipi differenti di impiego dei segni e delle proposizioni non sono fissi, perché nuovi
giuochi linguistici nascono e muoiono di continuo, e parlare un linguaggio è un’attività facente
parte di una forma di vita. E l’uso linguistico delle espressioni e dei loro significati è inserito in una
vasta connessione che incorpora le modalità d’uso della comunicazione con le attività della vita
umana. Infatti, il significato di una parola si costituisce in un contesto situazionale, in cui le
operazioni simboliche del linguaggio si collegano alle azioni extra-linguistiche e ai comportamenti di
una comunità. Mediante il giuochi linguistici Wittgenstein mette in discussione il modello
tradizionale della denominazione “oggetto-designazione” e sottolinea la variegata molteplicità degli
usi linguistici contro il riduzionismo logicizzante dell’ideale simbolismo onnipotente. Il pluralismo
linguistico ha come conseguenza l’affermazione di un atteggiamento e di una posizione
antiriduzionista. L’atomismo logico, basato sulla raffigurazione degli oggetti con i nomi e dei fatti
con le proposizioni, è così relegato, insieme al suo fratello gemello l’essenzialismo ontologico, tra
gli errori, o meglio gli orrori patologici, della mente speculativa. I giochi di lingua, inoltre, sono
parte integrante della nostra storia naturale, e sono radicati e operano sullo sfondo ambientale dei
bisogni umani. Il linguaggio, in quanto strumento di comunicazione, non può sfuggire alla
naturalità dell’essere umano e più in generale ai vincoli dell’evoluzione biologica e culturale.
La filosofia del secondo Wittgenstein mette in luce gli elementi storici, sociali, pragmatici,
motivazionali, creativi e funzionali del linguaggio e si caratterizza, dunque, come antiriduzionismo
antiessenzialismo e antipsicologismo, essendo il linguaggio una prassi pubblica e naturale, e non
un dialogo solipsistico privato. La differenti modalità d’uso delle espressioni mettono in luce le
diverse regole del parlare, perché “ ‘seguire una regola’ è una prassi […] non si può seguire una
regola ‘privatim’ ” e “comprendere un linguaggio significa essere padroni di una tecnica”. Tali
regole sono legate a una comunità di parlanti e alla storia naturale della nostra specie, ragion per
cui nuovi tipi di linguaggio sorgono mentre altri invecchiano e muoiono; né più né meno come le
forme di vita con le loro istituzioni e consuetudini e le pratiche di addestramento. Il linguaggio
nelle “Ricerche”, in quanto fenomeno biologico, si contrappone alla concezione intellettualistica di
origine platonica, basata sulla teoria dei nomi-cose mediante mimesi e metessi, ne rivendica la
dimensione pragmatica, sociale e storica. Si ha, quindi, un rinnegamento dell’approccio puramente
denotazionale sintassi-semantica e dell’ideale simbolismo logico del “Tractatus”.
La terapia linguistica della malattia filosofica è un ritorno alla ricchezza e alla spontaneità del
linguaggio ordinario, è un rifiuto della uniformazione, della decontestualizzazione e della
assolutizzazione della comunicazione linguistica. Chi parla di essenza, come nella denominazione
“oggetto-designazione”, non fa altro che constatare una convenzione, perché “comprendere una
proposizione significa comprendere un linguaggio” – possiamo parlare di olismo socio-linguistico –
e le affermazioni non sono più condizioni di verità, come nel “Tractatus” (vedi tabella sopra), ma
condizioni di asseribilità dipendenti dall’accordo sociale. Ė l’uso sociale che fornisce significato alle
verbalizzazioni attraverso l’ “utilizzazione del segno nel giuoco linguistico”, attraverso una
precedente procedura di addestramento, che presuppone sempre un insieme di significati già
disponibili, un linguaggio già acquisito, in cui inserire le nuove nominazioni e frasi. Dato che gli usi
verbali sono in accordo con le abitudini semantiche, le consuetudini e le istituzioni di una
comunità, Wittgenstein ne deriva il rifiuto di un linguaggio privato, che nessuno può capire tranne
chi lo usa. Qualsiasi presunto processo interiore ha bisogno di criteri esteriori, il cui significato è
legato ai contesti sociali di apprendimento. Il convenzionalismo e l’olismo socio-linguistico
conducono a una spiegazione comportamentistica delle esperienze altrui, cioè solo nella misura in
cui queste si manifestano esteriormente: “se si costruisce la grammatica dell’espressione di una
sensazione secondo il modello ‘oggetto e designazione’, allora l’oggetto viene escluso dalla
considerazione, come qualcosa di irrilevante”. Lo psicologismo, infatti, è l’altra faccia della
medaglia dell’essenzialismo e della teoria della designazione classica di Frege e Russell. Il rifiuto di
7
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
tutte le essenze porta alla negazione della sostanza per eccellenza del solipsismo mentalistico o
spiritualistico occidentale da Cartesio in poi, il famoso o famigerato pronome IO, che non indica
alcuna descrizione e sottintende soltanto una varietà di fenomeni sussumibili sotto una sola
categoria. La convenzione, quindi, non è soggettiva come nell’idealismo, né una verità oggettiva
come nel realismo e nella designazione aristotelico-logicista, ma intersoggettiva, vale a dire una
costruzione dell’ordine sociale, la cui validità, in quanto “evidenza e certezza” deriva da regole e
paradigmi definitisi entro una forma di vita con le sue consuetudini e statuizioni di abiti collettivi.
Possiamo confrontare le posizioni di Frege-Russell, del “Tractatus” e delle “Ricerche” nella
seguente tabella esemplificativa.
DENOTAZIONE:
è la referenza a un
oggetto di qualche
genere, è ciò che viene
designato, la cosa indicata dal riferimento del
nome; BEDEUTUNG.
ESTENSIONE:
è
ciò
che
viene
designato come
• individuo
• classe
• valore di verità
DIRE:
designare il significato
(Bedeutung), indicare
la referenza.
La proposizione è la
descrizione di uno stato
di cose (4.023).
Il
nome
significa
l’oggetto, che è il suo
significato.
PRINCIPIO
DI
ESTENSIONALITÀ Æ
RIDUZIONISMO
DENOMINARE
è
attaccare un cartellino
(nome) a una cosa.
Le parole DESIGNANO
il modo del loro uso nel
giuoco linguistico.
Il SIGNIFICATO di una
parola è il suo uso nel
linguaggio
derivante
dall’apprendimento.
Ogni parola ha una FAMIGLIA DI SIGNIFICATI.
Perciò, l’ESTENSIONE
DEL CONCETTO non è
racchiusa
in
alcun
CONNOTAZIONE:
Distinzione tra verità
analitiche
e
verità
sintetiche, tra a priori e
a posteriori Æ nessun
riferimento alla prassi.
ESSENZIALISMO
REALISTICO
è il modo in cui
l’oggetto
è
dato
all’attenzione,
la
modalità in cui si
esprime un pensiero
astratto; SINN.
INTENSIONE:
è ciò che si può intuitivamente pensare come
• concetto individuale
• funzione
proposizionale
• proposizione
MOSTRARE:
esibire il senso (Sinn),
esprimere l’intuizione
empirica del segno.
La proposizione mostra
il suo senso, se essa è
vera (4.022).
Il nome mostra di
essere un nome.
INTUIZIONISMO
LINGUISTICO
Significazione
e
descrizione in FregeRussell
(realismo
essenzialistico)
Distinzione tra verità Intuizionismo
analitiche
e
verità linguistico
sintetiche, tra a priori e “Tractatus”
a posteriori Æ nessun
riferimento alla prassi.
ESSENZIALISMO
EMPIRISTICO
del
La PRAGMATICA è lo Pragmatismo
studio
degli
atti convenzionalistico
linguistici e dei contesti delle “Ricerche”
in
cui
vengono
compiuti.
La PRASSI dà alle
parole il loro senso
mediante
gli
atti
linguistici nei contesti
in cui sono realizzati.
Si apprende l’impiego
delle parole nel gioco di
lingua, il modo in cui si
impara a usare le
espressioni
(azioni,
usi).
COMPRENDERE
Per
una definizione ostensiva bisogna padroneggiare
un
giuoco
linguistico, cioè in quali
particolari circostanze
una proposizione ha
SENSO,
come
SI
IMPIEGA EFFETTIVAMENTE.
L’APPLICAZIONE è il
criterio della COMPRENSIONE, da cui ha
origine un impiego
corretto, il padroneggiare un TECNICA, che
8
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
confine,
avendo non comporta nessun
CONTORNI SFUMATI processo psichico.
(PARENTELA
E ANTIPSICOLOGISMO
DIFFERENZA).
ANTIRIDUZIONISMO
Nessuna distinzione tra
verità
analitiche
e
verità sintetiche, tra a
priori e a posteriori.
ANTIESSENZIALISMO
Le osservazioni sopra i fondamenti della matematica: convenzionalià e utilità del
calcolo.
La filosofia del secondo Wittgenstein, come ci è riferita dai colloqui con Schlick e Waismann, è
soprattutto una discussione sui fondamenti della matematica, e la svolta coincide con
l’accoglimento di molte tesi dell’intuizionismo: il carattere costruttivo delle proposizioni
matematiche, le cui dimostrazioni producono la cosa stessa; il rifiuto della matematica come corpo
unitario e dell’estensione dei concetti e delle procedure da un calcolo a un altro; l’impossibilità di
ridurre la matematica alla logica per l’originarietà del concetto di numero; l’inapplicabilità del terzo
escluso agli insiemi infiniti; il criterio per l’esistenza in matematica non è la coerenza, come
sostiene il formalismo, ma l’uso di prove dirette, che costruiscono gli enti matematici; contro
Hilbert l’ammissione di assiomi che producono la contraddizione come parte essenziale del giuoco.
Invece, Wittgenstein concorda con il formalismo riguardo l’arbitrarietà degli assiomi matematici,
che sono semplici convenzioni prodotte dall’immaginazione umana. Ciò che conta è definire
rigorosamente le regole del giuoco, essendo la matematica un calcolo, la cui correttezza è
meccanica e si apprende con l’uso. Come nel “Tractatus”, in cui il calcolo basta a se stesso, il
filosofo austriaco rifiuta il metalinguaggio e dunque pure la nascente teoria della dimostrazione
hilbertiana. Ma ora la concezione operativistica della matematica elimina la dottrina del significato
tradizionale “nome-cosa” e quella della tautologia. La sintassi è un insieme di regole che
definiscono un giuoco, all’interno del quale il significato dei segni e dei termini deriva dal loro
impiego. Non si ha più l’assolutezza di un linguaggio ideale, ma la proliferazione delle regole d’uso
in differenti ambiti e, quindi, la moltiplicazione e la differenziazione dei linguaggi.
Nelle “Osservazioni” Wittgenstein applica la nuova filosofia dei giuochi linguistici e della pragmatica
sociale alla matematica intesa come calcolo. Innanzitutto, si rigetta la ricerca tradizionale sui
fondamenti della matematica, che “non fondano per noi la matematica più di quanto una roccia
dipinta sostenga un castello dipinto” (V, 13). La matematica non ha bisogno di nessuna fondazione
in opposizione al logicismo e al programma hilbertiano. Al suo posto si propone una “grammatica
filosofica”, che affronti una delucidazione e chiarificazione delle proposizioni matematiche a partire
da ciò che i linguaggi effettivamente sono. Un discorso assiologico sulla legittimità delle procedure
e delle categorie è del tutto escluso, e si affronta, invece, un’indagine puramente descrittiva che
immerge la sintassi nella pratica sociale e ne studia le regole e gli usi, le convenzioni e la loro
utilità.
“Ciò che chiamiamo contare è una parte piuttosto importante delle attività della nostra vita […]. Il
contare (vale a dire il contare in questo modo) è una tecnica che si impiega quotidianamente nelle
più svariate operazioni della nostra vita. E proprio per questo impariamo a contare nel modo in cui
impariamo: con esercizio infinito, con spietata esattezza […]. La verità è che questo contare ha
dato buoni risultati. […] Della successione naturale dei numeri – così come del nostro linguaggio –
non si può dire che è vera, ma soltanto che è utile, e, innanzitutto, che viene impiegata.” (I, 4).
Tale correttezza, inoltre, “concorda […] con una convenzione o con un uso, e, forse con i bisogni
pratici” (I, 9). Per esempio, nel caso del passaggio dalla quantificazione universale (x). fx ad un
suo esempio fa, “si impara il significato di ‘tutti’ imparando che da ‘(x). fx’ segue ‘fa’. – Gli
esercizi che ci addestrano all’uso di questa parola, che ci insegnano il suo significato, mirano
sempre a farci escludere qualsiasi eccezione” (I, 10). Anche l’ “inferenza […] è un giuoco che deve
essere appreso” (I, 18), perché “è il sussistere di un collegamento tra proposizioni, collegamento
cui ci conformiamo quando tiriamo conclusioni”, e perché “– in qualche giuoco linguistico –
enunciamo, scriviamo, eccetera, in forma di asserzione, una proposizione dopo l’altra” (I, 19). “Per
esempio, sottoponendo il nostro scolaro a un addestramento, come quello, che si impartisce ai
bambini, nella tavola pitagorica e nella tecnica del moltiplicare. Qui essi acquisiscono una tale
9
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
pratica che poi saranno in grado di eseguire qualsiasi moltiplicazione – tutti allo stesso modo e tutti
con il medesimo risultato” (I, 22). Anche la prova ha origine da un’attività del matematico. Qui
Wittgenstein riprende sia temi intuizionisti sia hilbertiani. Dall’intuizionismo deriva la concezione
della prova come costruzione dell’oggetto matematico stesso. “La prova […] esprime quello che,
d’ora in poi, dovrò considerare come appartenente alla loro essenza. – Ciò che appartiene
all’essenza lo relego tra i paradigmi del linguaggio. Il matematico produce essenza” (I, 32). Ma “chi
parla dell’essenza – non fa altro che costatare una convenzione”. Di qui il tema della prova-figura,
che si collega alla concezione di Hilbert delle dimostrazioni come oggetti finiti che possiamo
ispezionare e manipolare. La visualizzabilità delle prove le rende evidenti all’intuizione e chiare
nelle connessioni. “La perspicuità fa parte della prova. Se il processo per mezzo del quale ottengo
il risultato non potesse essere abbracciato con lo sguardo, potrei bensì notare che il risultato è
rappresentato da questo numero – ma quale dato di fatto me ne darebbe una conferma ?” (I,
153). “Si potrebbe dire: ‘quando guardi questa catena di trasformazioni, non ti sembra anche che
esse concordino con i paradigmi ?’ ” (I, 157). Un paradigma costituisce la regola di un
procedimento su cui ci incontriamo concordiamo e conveniamo con altri all’interno di un contesto
sociale; per cui la prova è depositata tra i paradigmi linguistici e l’esperienza ci insegna l’esito del
calcolo e che abbiamo percorso una strada (I, 163-164). “La proposizione matematica ha la dignità
di una regola” e “la matematica si muove tra le regole del nostro linguaggio […] costruisce sempre
nuove regole; apre al traffico strade sempre nuove […]. Il matematico inventa sempre nuove
forme di esposizione. Le une suggerite da bisogni pratici, le altre da bisogni estetici – e diverse e
svariate altre. […] Il matematico non scopre: inventa” (I, 165-67).
Se la matematica è l’invenzione dell’attività immaginativa umana, come vuole l’intuizionismo, e se
l’impiego dei paradigmi è una convenzione e la prova deve essere perspicua e visualizzabile, come
pretende Hilbert, allora la creatività del matematico produce essenze e la verità matematica non è
più né a priori né analitica. “La prova in matematica dev’essere perspicua […] dev’essere
un’immagine che si può con sicurezza riprodurre esattamente” (II, 1). “La prova […] non si limita a
mostrare che è così, ma mostra in che modo è così. […] ‘La prova deve poter essere abbracciata
con lo sguardo’ – vuol dire: dobbiamo essere pronti a usarla come filo conduttore del nostro
giudicare. Quando dico ‘la prova è un’immagine’ – si può immaginare che la prova sia un’immagine
cinematografica. […] Naturalmente la prova deve avere il carattere di modello. La prova
(l’immagine-prova) ci mostra il risultato di un procedimento (di costruzione); e noi siamo convinti
che un procedimento regolato in questo modo conduce sempre a quest’immagine. (La prova ci
esibisce un fatto sintetico.)” (II, 22)
E più avanti torna la concezione costruttivista. “La proposizione provata per mezzo della prova
serve come regola, e dunque come paradigma. Perché, alla regola, ci conformiamo. […] La
proposizione matematica deve proprio mostrarci che cosa abbia senso dire. La prova costruisce
una proposizione: ma ciò che importa è il modo in cui la costruisce. […] Quando diciamo che la
costruzione dovrebbe convincerci della proposizione, questo vuol dire che essa deve indurci ad
applicare questa proposizione in questo modo così e così, che deve determinarci a riconoscere
questa cosa come sensata, quest’altra come priva di senso” (I, 28).
Se la proposizione matematica, dunque, è uno strumento, una regola e un paradigma del nostro
linguaggio, la cui necessità traccia un “binario” e fissa una modalità d’uso, mostrando che cosa
abbia senso dire, allora la prova è il modo in cui si costruisce una proposizione matematica, è il
modello che ci induce ad applicare la proposizione come regola per introdurre un nuovo paradigma
nel linguaggio (pluralismo normativo) e per convincerci della sensatezza della proposizione
delimitandone le proprietà essenziali ed esibendola come immagine. Così il matematico crea nuove
forme di esposizione suggerite dai bisogni pratici estetici eccetera, produce essenza, che però è
convenzione concordata intersoggettivamente, e non scopre ma inventa. Infatti, la matematica si
basa sulla dialettica necessità del calcolo pratico/creatività del pensiero. “La prova mi induce a
dire: la cosa deve essere così. […] Accetto questa proposizione come paradigma di tutte le
proposizioni di questa forma […]. Scorro la prova e dico: ‘Sì, deve essere così; devo fissare in
questo modo l’uso del mio linguaggio’. Voglio dire che la necessità corrisponde a un binario che
traccio nel linguaggio” (II, 30). Ma “la prova introduce un nuovo paradigma tra i paradigmi del
10
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
linguaggio […]. Si vorrebbe dire: la prova cambia la grammatica del nostro linguaggio, cambia i
nostri concetti. Instaura nuove connessioni e crea il concetto di queste connessioni. (Non stabilisce
che queste connessioni ci sono, tuttavia non ci sono prima che la prova le abbia instaurate)” (II,
31).
La critica al formalismo hilbertiano si focalizza su due temi: la censura contro la ricerca di
metateoremi sulla coerenza del calcolo; il rifiuto del terzo escluso e dell’uso dell’infinito attuale
nella matematica classica. Il primo argomento sulla ricerca di metateoremi riguardanti la coerenza
del calcolo è legato alla sottolineatura della sua utilità, che la metateoria, invece, non ha. “Il
calcolare è un fenomeno che veniamo a conoscere calcolando, così come il linguaggio è un
fenomeno che veniamo a conoscere usando il nostro linguaggio. Si può dire: ‘La contraddizione è
innocua se può essere circoscritta’ ? Ma che cosa ci impedisce di circoscriverla ? Il fatto che non ci
orientiamo nel Calcolo. Questo dunque è il male. […] Dicendo: ‘non so raccapezzarmi nel Calcolo’
– non intendo riferirmi a uno stato mentale, ma ad una incapacità a fare qualcosa. […] Vorrei
chiedere qualcosa del genere : ‘Vai in cerca dell’utilità, con il tuo Calcolo?’ – In questo caso non
ottieni nessuna contraddizione. E se non vai in cerca dell’utilità – allora, in fin dei conti, non
importa proprio nulla se ne ottieni una” (II, 80). L’altro tema del rifiuto del terzo escluso e dell’uso
dell’infinito nella matematica classica è desunto dall’intuizionismo e dalla sua concezione della
pluralità dei calcoli e della loro autonomia. “Quando un nostro amico ci riempie la testa col
principio del terzo escluso, a cui non si può sfuggire – allora è chiaro che nella sua domanda c’è
qualcosa che non va. Chi enuncia il principio del terzo escluso ci mette davanti, per così dire, due
immagini tra le quali dobbiamo scegliere, dicendo che una deve corrispondere ai fatti. Ma che dire
se è discutibile che qui si possano applicare le immagini ? E chi dice che lo sviluppo infinito deve
contenere la figura ϕ o non deve contenerla, ci mostra per così dire, l’immagine di una successione
che non si può abbracciare con lo sguardo e che si perde in lontananza. Ma che dire se, lontano
lontano, l’immagine incominciasse a tremolare?” (IV, 10). “L’insieme dei numeri razionali non è
numerabile perché i numeri razionali non si possono contare; ma con i numeri razionali si può
contare – come con i numeri cardinali. Questo miope modo di esprimersi va di pari passo
coll’intero sistema dell’illusione che, facendo uso del nuovo apparato, gli insiemi infiniti si possano
trattare con la stessa sicurezza con cui, finora, abbiamo trattato gli insiemi finiti” (IV, 15). Infatti,
“il criterio della comprensione di una proposizione è dato da quello che posso fare con essa”, cioè
“la stessa cosa che posso fare con una prova costruttiva” (IV, 46), perché “il calcolare è una
tecnica” e “proprio il calcolo mi insegna, sperimentalmente”. “L’esperienza insegna che noi tutti
troviamo corretto questo calcolo […] quello che ci interessa è l’immagine del modo di procedere; e
ci interessa appunto in quanto è un’immagine convincente e, per così dire, armoniosa; non però in
quanto è il risultato di un esperimento, ma in quanto è una strada” (II, 69).
La metafora del calcolo costruttivo come una strada la cui necessità è fissa in quanto è un binario
da percorrere, da luogo a una concezione della matematica che è sì articolata ma al tempo stesso
destrutturata, quale una rete ferroviaria composta da isole separate e non comunicanti. “Voglio
illustrare l’eterogeneità della matematica” (II, 48) e “la matematica non è logica” (II,53). “Vorrei
dire: la matematica è un miscuglio VARIOPINTO di tecniche di prova. – E su ciò riposano la sua
molteplice applicabilità e la sua importanza” (II, 46). Sia il costruttivismo intuizionista sia
l’intuizionismo linguisticico impediscono a Wittgenstein di apprezzare l’importanza della ricerca sui
fondamenti e dei teoremi di incompletezza di Gödel. Questi ultimi dimostrano che è possibile
costruire una formula aritmetica G che rappresenti la proposizione metamatematica: ‘la formula G
non è dimostrabile’. Sebbene G non sia dimostrabile, è una formula aritmetica vera e insieme
formalmente indecidibile. Perciò l’aritmetica e essenzialmente incomleta, cioè esistono proposizioni
aritmetiche indecidibili, vere ma indimostrabili, perché non tutte le proposizioni vere sono
deducibili dagli assiomi. Non solo, ma supposto che l’aritmetica sia non contraddittoria, risulta
impossibile dimostrare questa non contraddittorietà servendosi dei soli mezzi offerti da questo
sistema, vale a dire per dimostrarne la coerenza bisogna usare principi esterni superiori
all’aritmetica la cui legittimità sta nell’essere intuitivamente evidenti1. Oggi sappiamo che questi
1
Vedere Nagel, Newmann, La prova di Gödel, Boringhieri, oppure la tesi di laurea del sottoscritto, Sulle estensioni del
finitismo hilbertiano, Università degli Studi di Milano, facoltà di Lettere e Filosofia 1989.
11
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
mezzi che sovrastano quelli strettamente aritmetici sono l’induzione transfinita fino all’ordinale ε0,
che sarebbe l’ordinale del numerabile ω elevato a se stesso un numero finito di volte, la cui
cardinalità è pur sempre numerabile. L’importanza di tali risultati è del tutto sottovalutata, se non
negletta, dal pensatore austriaco, che interpreta i teoremi di incompletezza come un paradosso
logico. Tale incomprensione è connessa all’antipatia verso la metamatematica di Hilbert, e quindi le
dimostrazioni di Gödel non sono dei reali ed effettivi teoremi, essendo la matematica ridotta a
mero calcolo e non avendo senso dire che le teorie parlano di qualcosa. Le teorie sono soltanto
sistemi di algoritmi, niente di più, e le sue proposizioni non possono essere interpretate per parlare
di qualcos’altro. “In matematica tutto è algoritmo, niente è significato”. L’interpretazione
metamatematica è insensata e priva di utilità. Così i teoremi di impossibilità o di limitazione (Gödel,
Church, Rosser, Tarski) non hanno importanza. Domande e proposizioni hanno senso soltanto
quando danno risposte positive. “Una domanda ha senso solo in un calcolo che ci da un metodo
per la sua soluzione”, per cui “non esiste una metamatematica”. “Non dimenticare: la proposizione
che asserisce la propria indimostrabilità dev’essere concepita come un’asserzione matematica –
perché questa non è una cosa ovvia. […] Qui, cioè, è facile confondersi a causa dell’uso così vario
dell’espressione: ‘questa proposizione asserisce qualcosa di …’ […] La proposizione di Gödel, che
asserisce qualcosa di se stessa, non menziona se stessa” (V, 18). “Qui ritorniamo ancora una volta
all’espressione ‘la prova ci convince’. E quello che qui ci interessa, della convinzione, non è né la
sua espressione per mezzo della voce o dei gesti, né il sentimento di soddisfazione, né alcun’altra
cosa del genere; ma la sua conferma nell’impiego di ciò che è stato provato” (V, 19). “A che scopo
la matematica ha bisogno di una fondazione?! Non ne ha bisogno […]. Tuttavia la grammatica
delle proposizioni matematiche, così come quella delle altre proposizioni, richiede un chiarimento. I
problemi matematici dei cosiddetti fondamenti non fondano per noi la matematica più di quanto la
roccia dipinta sostenga la torre dipinta” (V, 13).
Possiamo riassumere la filosofia della matematica di Wittgenstein in una tabella e in una mappa
concettuale:
TRACTATUS
RICERCHE
OSSERVAZIONI
SINTASSI
SEMANTICA
1. TAUTOLOGIE E PRINCIPIO 1. CORRISPONDENZA
RAFFIGURATIVA TRA IL
DI ESTENSIONALITÀ PER
LINGUAGGIO
(NOMI
E
LA LOGICA
PROPOSIZIONI)
E
IL
2. MATEMATICA
COME
MONDO
(OGGETTI
E
ALGORITMO
FATTI)
2. DISTINZIONE
DIRE/MOSTRARE
GIUOCHI LINGUISTICI E LE IL SIGNIFICATO DI UNA
LORO REGOLE
PAROLA È IL SUO USO IN UN
LINGUAGGIO, NELLA PRATICA
QUOTIDIANA
E
IN
UNA
COMUNITÀ DI PARLANTI
LA PROPOSIZIONE MATEMA- LA PROPOSIZIONE MATEMATICA DESIGNA UNA REGOLA E TICA È UNO STRUMENTO DEL
UN PARADIGMA, ESSENDO LA NOSTRO LINGUAGGIO, CHE
MATEMATICA UN CALCOLO MOSTRA CHE COSA ABBIA
BASATO SULLA CONVENZIONE SENSO DIRE, E LA COSTRUZIONE DEVE CONVINCERCI
DELLA
PROPOSIZIONE,
DELL’UTILITÀ DEL CALCOLO.
ANTIPSICOLOGISMO E NEGAZIONE DI PRESUPPOSTI ONTOLOGICI E ASSUNTI ESISTENZIALI
12
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
AUTOFONDAZIONE DEL SIMBOLISMO E PRINCIPIO DI ESTENSIONALITÀ
DISTINZIONE DIRE-MOSTRARE
MATEMATICA COME CALCOLO (REGOLE, PARADIGMI, CONVENZIONI)
ESCLUSIONE DEL METALINGUAGGIO
ATTIVITÀ E PRASSI SOCIALE
ADDESTRAMENTO ED ESERCIZIO
GIUOCHI LINGUISTICI=IL SIGNIFICATO DI UN TERMINE DERIVA DALL’USO
UTILITÀ SOCIALE E BIOLOGICA, NEGAZIONE DELLA DISTINZIONE SENSOREFERENZA=PRAGMATICA
Riassumendo, siamo giunti alla conclusione che la distinzione dire-mostrare è il filo rosso che lega
il pensiero del Primo Wittgenstein a quello del Secondo. I due termini ritornano di continuo nelle
opere e sostengono le fondamenta ontologiche ed epistemologiche della matematica ridotta ad
algoritmo. Infatti, il puro calcolo segnico e formale collega il “Tractatus” (equazioni, operazioni,
numero) alle “Osservazioni” (seguire una regola, i paradigmi, le prove come strade con binari,
ecc.). La dottrina del mostrare, inoltre, nega la metateoria, in quanto non necessaria e
inessenziale, di certo inutile, e di qui il rigetto della ricerca sui fondamenti della matematica e
l’incomprensione dei teoremi di incompletezza di Gödel. La dottrina del mostrare riduce la
proposizione matematica ai semplici caratteri linguistici e di calcolo, e impedisce qualsiasi
affermazione metalinguistica e ogni valutazione di ordine metateorico. Ne deriva così che la
formula della matematica serve come regola e paradigma, è utile come convenzione concordata
dall’attività presente e passata e dall’accordo sul suo impiego nell’ambito della vita umana. Per
essere accettata, tuttavia, deve rispettare il vincolo dell’utilità, dipendendo il suo senso dall’uso
effettivo delle procedure e dai bisogni pratici, estetici, eccetera. Wittgenstein afferma, dunque, il
pluralismo linguistico, l’autonomia e la varietà dei singoli calcoli, essendo la matematica non una
totalità chiusa, ma un’insieme di tecniche differenti e aperte, in continuo sviluppo mediante la
creatività del pensiero. Il matematico non scopre un mondo già belle definito idealmente o altrove,
ma inventa nuove strade prima mai percorse, e l’esercizio e l’addestramento poi gettano i binari
che noi tutti percorriamo e dai quali non possiamo deragliare pena l’errore. In questa concezione a
costellazione della matematica non vi è posto neanche per le connessioni strutturali, che se non
sono metateoriche, sono di fatto per il filosofo austriaco soltanto nuovi calcoli, del tutto diversi da
quelli che ritengono di unificare e organizzare. Bourbaki e i sostenitori della teoria delle categorie
avrebbero di che ridire … e non soltanto gli hilbertiani e i logicisti.
La posizione di Wittgenstein all’interno del dibattito sui fondamenti è particolare: accetta molte tesi
dell’intuizionismo (la matematica come libera attività creatrice, la prova come costruzione, la critica
al terzo escluso e all’infinito attuale) e del formalismo (la matematica come calcolo meccanico,
algoritmo, convenzione), ma le inserisce in una concezione del linguaggio che è pragmatica, dato
che le procedure dipendono dall’uso e dall’addestramento all’interno di comportamenti,
consuetudini, e istituzioni della vita umana. “Della successione naturale dei numeri – così come del
nostro linguaggio – non si può dire che è vera, ma soltanto che è utile e, innanzitutto, che viene
impiegata” (I, 4).
13
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
Per non concludere…
Possiamo confrontare le continuità e le differenze tra il Primo e il Secondo Wittgenstein nella
tabella seguente:
Ontologia
Logica
Linguaggio
Filosofia
Matematica
PRIMO WITTGENSTEIN
ESSENZIALISMO:
MONDO=(oggetti, stati di cose, fatti)Æ
Caso.
1. Simbolismo:
linguaggio ideale,
atomismo logico e tautologie.
2. Teoria della designazione (sensosignificato) e distinzione tra diremostrare.
RIDUZIONISMO DETERMINISTICO:
1. Possiede una forma logica.
2. La
dimensione
sintattica
e
semantica.
3. La
proposizione
come
raffigurazione della realtà.
1. È la chiarificazione logica dei
pensieri.
2. Definisce la corrispondenza nomioggettiÆsignificato e proposizionifattiÆsenso.
3. Qual è il significato della parola X?
1. La matematica consta di equazioni
Æ regola di sostituzione tra segni.
2. Il numero è un concetto formale, si
riferisce
all’iterabilità
di
un’operazione.
3. La matematica consta solo di
calcoli, è algoritmo, uso sintattico
di segni.
4. Analiticità
delle
espressioni
matematiche
Æ
indipendenza
dall’esperienza.
5. Distinzione tra matematica e logica,
negazione di un uso pratico,
distinzione tra sfera analitica e
sfera empirica.
6. La conseguenza logica è superflua,
e l’inferire è a priori.
7. Uniformità e carattere statico della
matematica Æ termine generale
dell’operazione (a, x, O’x) Æ
monismo e unicità del simbolismo.
8. Negazione della fondazione della
matematica e del metalinguaggio,
perché il calcolo basta a se stesso.
9. Formalismo-intuizionismo liguistico.
14
SECONDO WITTGENSTEIN
ANTIESSENZIALISMO:
Negazione delle essenze, che sono un
prodotto dell’attività umana e sociale.
1. Ritorno alla ricchezza e alla
spontaneità
del
linguaggio
ordinario.
2. Giuochi linguistici e pluralismo
linguistico.
ANTIRIDUZIONISMO:
1. È un fenomeno biologico.
2. La dimensione pragmatica, sociale
e storica.
3. La pluralità dei giuochi linguistici.
1. Ha una funzione terapeutica contro
i crampi mentali.
2. È l’analisi descrittiva dell’uso del
linguaggio ordinario e dell’impiego
delle parole nel giuoco di lingua.
3. In quali e quanti modi usiamo la
parola X?
1. La matematica è l’invenzione di
paradigmi d’uso e di modelli.
2. Il matematico non scopre le forme
dell’Essere, ma inventa costruzioni,
le tecniche di calcolo.
3. La matematica inventa nuove
regole e nuovi strumenti del
linguaggio, sorti dai bisogni.
4. Necessità
normativa
delle
proposizioni matematiche (binario)
Æseguire una regola-strada=prassi.
5. Distinzione tra matematica e logica,
utilità pratica del calcolo, la prova
matematica come fatto sintetico e
rifiuto di a priori e a posteriori.
6. L’inferenza è una convenzione nata
con l’esercizio di un certo uso.
7. Eterogeneità e apertura dinamica
della matematica Æ invenzione di
tecniche di prova sempre nuove Æ
autonomia e diversità dei calcoli.
8. Negazione della fondazione della
matematica e del metalinguaggio,
perché la matematica è calcolo.
9. Pragmatismo-intuizionismo linguist.
Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
La sintesi riportata più sopra ci aiuta a trarre delle considerazioni sulla concezione della
matematica di Wittgenstein, avendo già suscitato in passato approvazioni oppure critiche. Due
esempi al riguardo.
“La matematica […] contiene una serie di sistemi deduttivi, ciascuno dei quali sviluppa le conseguenze di un gruppo
arbitrario di ipotesi. La logica forma soltanto uno di questi calcoli, per nulla più essenziale degli altri. […] Noi dobbiamo di
continuo cominciare a ricostruire dal nuovo; perde quindi molto del suo valore la tentata riduzione dei cinque assiomi di
Peano a proposizioni puramente logiche. Noi diremo: le proposizioni dell’aritmetica non sono né vere né false, ma
soltanto compatibili o incompatibili con certi postulati. […] L’aritmetica è un puro e semplice calcolo che proviene
esclusivamente da alcune convenzioni, e come il sistema solare né sospeso né fondato su nulla. […] Noi possiamo
descrivere l’aritmetica, cioè indicare le sue regole, ma non fondarla. Che, del resto, il metodo di fondare un’idea su di
un’altra non possa sempre bastarci, risulta già da questa semplice considerazione: esso deve pur in qualche modo finire,
rimandandoci a qualche idea che non può a sua volta venir fondata proprio su nulla. L’ultima base è costituita
unicamente dalla postulazione. Tutto ciò che ha l’aspetto di una fondazione, contiene già qualcosa di falso, e non può
accontentarci. […] Ma allora resteremo d’accordo sul fatto che unico criterio dell’esistenza è l’applicabilità. […] Il
significato non è affatto un qualcosa che si accompagni ai segni numerici in maniera misteriosa: esso è semplicemente
l’uso dei segni medesimi, ed è senz’altro nel nostro più completo dominio”2.
“Si può concludere che Wittgenstein ha elaborato una filosofia connessa alla matematica, filosofia che lo ha portato
vicino alle tendenze intuizionistiche ma non una filosofia della matematica, cioè non una discussione critica dei metodi e
dei concetti usati dai matematici, discussione capace di affinare quei metodi e concetti e chiarirne il campo di
applicazione. Per questo l’opera dell’ultimo Wittgenstein lascia insoddisfatti; essa infatti distrugge più di quanto
costruisca. Autorevoli voci, come quella di Paul Bernays, hanno sottolineato, oltre a queste, anche altre debolezze nella
posizione finitista ed antropologista di Wittgenstein. Il continuo parallelo tra procedimento matematico e giuoco
linguistico, se ci aiuta a capire l’estensione dell’antiplatonismo e dell’antiessenzialismo di Wittgenstein, ci fa anche vedere
l’insufficiente capacità sistematica di questo autore”3.
Distinguerei il giudizio su due livelli. Primo: i limiti della “posizione finitista ed antropologista di
Wittgenstein”. L’atomismo logico e la teoria del linguaggio come raffigurazione del mondo
poggiano su vere e proprie credenze religiose, quali l’esistenza di un mondo di essenze e di una
realtà monolitica quanto una montagna. Il mondo iperuraneo non è mai defunto, perché non è mai
esistito, e la realtà è la costruzione concettuale che le teorie scientifiche ci propongono, visione in
continua mutazione, la cui unica validità è di essere intersoggettivamente condivisa per svariate
ragioni. Come dice il secondo Wittgenstein, anche per convenzioni concordate e per utilità. Il limite
maggiore, tuttavia, è la distinzione tra dire e mostrare, come già avevano rilevato Neurath e
Carnap, perché, pur avendo un intento antipsicologistico, e volendo ridurre il sistema a puro
calcolo formale che basta a se stesso, il mostrare è “l’intuizione necessaria” che deriva dal
linguaggio e dal procedimento del calcolare (6.233, 6.2331). Nel “Tractatus” la conseguenza
paradossale è che “la proposizione della matematica non esprime un pensiero” (6.21), ma si basa
sull’intuizione!? E l’intuizione che cos’è se non pensare? Il mostrare, come intuizione dell’immagine
del calcolo-figura, se non è pensiero non è nulla, o meglio è un presupposto ontologico di fede di
pessima risma, dato che rinnega se stesso. Inoltre, come dimostra il grande Quine, nasce da due
pregiudizi del vecchio empirismo: la distinzione tra verità analitiche e sintetiche, e la traduzione di
ogni proposizione significante (vera o falsa) in esperienze immediate che la verificano o la
confutano (riduzionismo). Entrambi questi dogmi hanno una lunga storia, e in ultima analisi sono
riconducibili al dualismo platonico e al rapporto mimesi-metessi tra cose materiali e forme ideali. Il
mostrare di Wittgenstein deve molto alla noesi e alla dianoia della “Repubblica” platonica. Infine, la
negazione del metalinguaggio e la sottovalutazione, per non dire lo screditamento, della
metamatematica e dei suoi teoremi fa perdere al pensiero filosofico in generale e a quello
matematico alcuni risultati molto profondi e storicamente e teoreticamente fondamentali, come i
teoremi di incompletezza di Gödel. Né la filosofia né la matematica possono rinunciare alla loro
importanza, soprattutto oggi, quando abbiamo lo sviluppo della teoria dell’informazione e
dell’intelligenza artificiale. Anzi, tali “applicazioni” ne provano il significato, per usare
un’espressione wittgensteiniana, e nel loro “uso” ne penetrano la rilevanza scientifica, tecnica e
matematica, conducendo a conseguenze inaspettate. Ma … “la prova ci sorprende”4 ? Bene, vuol
dire che abbiamo invento qualcosa di nuovo e di utile.
2
F. Waismann, Introduzione al pensiero matematico, Boringhieri, pp. 138-139-141, 262-263.
U. Giacomini, Il pensiero di Wittgenstein, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, vol.
VII, pp. 203-4.
4
Wittgenstein, Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, Einaudi, p.31 (I, 69).
3
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Wittgenstein e i fondamenti della matematica
Vincenzo Magi
Secondo: i meriti di Wittgenstein. Questi ultimi sono sicuramente molti di più dei difetti, e fanno in
modo che oggidì molti leggano e studino ancora le sue opere. E ne valga la pena. Innanzi tutto, la
sua critica corrosiva abbatte molte credenze filosofiche antidiluviane: l’essenzialismo metafisico (le
sostanze) e quello semantico (designazione oggetto-significato); lo psicologismo ingenuo di Boole;
l’onnipotenza della logica di Frege e Russell e del linguaggio ideale; la distinzione tra verità
analitiche e sintetiche, tra a priori e a posteriori; il riduzionismo di ogni sorta (empiristico,
logicistico, ecc.); il dualismo ontologico e la separazione mente-corpo; il realismo e l’idealismo dei
filosofi naïf. I suoi meriti in matematica riguardano la concezione delle proposizioni matematiche:
la loro natura convenzionale, in quanto paradigmi statuiti e concordati dalle istituzioni della vita
umana; la rilevanza dell’aspetto algoritmico e meccanico del calcolo, come insieme di regole utili
postulate; il significato delle espressioni è nelle modalità d’uso della prassi sociale, la quale si fonda
sui bisogni umani, persino biologici; il rifiuto del platonismo sottolinea l’aspetto creativo dell’attività
del matematico, che non scopre ma inventa.
Per ogni giudizio, inoltre, occorre tenere conto delle parole di Beth: “Ciò che lega la filosofia della
matematica all’irrazionalismo è il rigetto di un appello all’assoluto e la preoccupazione
dell’attualità”. Nel caso di Wittgenstein la perdita della certezza è il salto dal primo al secondo
periodo del suo pensiero: si tratta di filosofia della matematica o di semplici scorribande intorno
alla matematica? Wittgenstein stesso parla di scorribande, ma anche di grammatica filosofica, dato
che “il significato di un segno dipende dall’uso che se ne fa. E cioè, soltanto le regole che fissano
quest’uso danno al segno il significato”5.
E come si fa a rigettare il seguente aforisma, che distribuisce saggezza e umiltà con grande
generosità, perché la filosofia, come la scienza, è un’attività di ricerca umile e paziente:
“Il filosofo è uno che prima di poter giungere alla nozione di che cosa sia il sano intelletto
dell’uomo deve guarir se stesso da molte malattie. Se la nostra vita è circondata dalla morte, così
anche la sanità del nostro intelletto è circondata dalla follia”6.
Milano, 20 febbraio 2008.
Bibliografia
Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino 1980.
Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1980.
Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, Einaudi, Torino 1988.
Friedrich Waismann, Introduzione al pensiero matematico, Boringhieri, Torino 1981.
Giovanni Piana, Interpretazione del “Tractatus” di Wittgenstein, il Saggiatore, Milano 1973.
Aldo G. Gargani, Introduzione a Wittgenstein, Ed. Laterza, Roma-Bari 1980.
Alfred J. Ayer, Wittgenstein, Ed. Laterza, Roma-Bari 1986.
U. Giacomini, Il pensiero di Wittgenstein, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e
scientifico, A. Garzanti Ed., vol. VII, Milano 1979.
W. C. Kneale, M. Kneale, Storia della logica, Einaudi, Torino 1972.
C. Mangione, S. Bozzi, Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni, Garzanti, Milano 1993.
E. W. Beth, I fondamenti logici della matematica, Feltrinelli Ed., Milano 1963.
William S. Hatcher, Fondamenti della matematica, Boringhieri, Torino 1973.
Morris Kline, Matematica la perdita della certezza, A. Mondadori Ed., Milano 1985.
Gabriele Lolli, Filosofia della matematica, il Mulino, Bologna 2002.
Nicla Vassallo, Filosofie delle scienze, Einaudi, Torino 2003.
Gabriele Lolli, Da Euclide a Gödel, il Mulino, Bologna 2004.
Carlo Cellucci, La filosofia della matematica del Novecento, Laterza, Roma-Bari 2007.
E. Nagel, J. R. Newmann, La prova di Gödel, Boringhieri, Torino 1974.
5
6
Waismann, Introduzione al pensiero matematico, Boringhieri p.257.
Wittgenstein, Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, Einaudi, p. 206 (IV, 53).
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