1 SOMMARIO Il danno nel sistema della responsabilità civile: definizioni e funzioni 1. La nozione di danno. – 1.1. Il problema della nozione giuridica di “danno”. – 1.1.1. Causalità di fatto e causalità giuridica. – 1.2. “Danno” e “illecito”. – 1.2.1. Fatto illecito istantaneo e fatto illecito permanente. Danno plurimo e danno permanente. – 1.3. I fatti produttivi di danno: danno da illecito aquiliano e danno da inadempimento. – 2. Danno “patrimoniale” e danno “non patrimoniale”. – 3. Le funzioni del meccanismo risarcitorio. – 3.1. Le funzioni del risarcimento del danno non patrimoniale. 1. La nozione di danno 1.1. Il problema della nozione giuridica di “danno” Il codice civile non definisce il termine danno. Anche negli altri ordinamenti la nozione giuridica di danno non risulta particolarmente approfondita; così in Francia, come in Inghilterra 1 e in Germania . Riuscire a raggiungere una configurazione unitaria di danno appare poi alquanto arduo nei sistemi di common law, poiché in questi paesi 1 P.G. MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998, 274, nt. 1. 2 Capitolo Primo 2 non esiste una clausola generale di responsabilità : occorre dunque specificare la natura del danno e ciò può avvenire solo collegando il danno con l’interesso leso e, visto che in un sistema informato alla tipicità dell’illecito il danno si risarcisce solo se è conseguente alla lesione di un interesse tipico protetto, Dottrina «la distinzione tra danni alla persona, danni alle cose (o alla proprietà), danni economici, danni morali, che presso di noi serve solo a chiarire il contesto in cui il danno si sviluppa (…) in common law assolve una funzione assai più rilevante, in quanto assurge a criterio selettivo dei danni risarcibili» 3 G. ALPA, Danno aquiliano, cit., 791 . La concezione dapprima affermatasi nella dottrina moderna, e risalente a Mommsen, vedeva nel danno una diminuzione patrimoniale, secondo la celebre formula della “differenza” tra la consistenza del patrimonio 4 di un soggetto prima e dopo l’evento dannoso . Altra visione, che si fa risalire a Von Caemmerer, indica nel danno la modificazione della realtà materiale, cioè la soppressione del bene sul quale ha inciso l’evento. Un’altra teoria, che fa capo a Carnelutti e può dirsi forse oramai prevalente, ravvisa nel danno la lesione di un interesse, inteso come rappor5 to tra il soggetto ed un bene . Il concetto di “danno” può innanzitutto essere analizzato distinguendone la duplice ottica naturalistica e giuridica. Il primo punto di vista evidenzia che il danno consiste – di regola – in un’alterazione, intesa in senso negativo, della realtà naturale. 2 Cfr. G. ALPA, Danno aquiliano, in Contr. impr., 1990, 791 s. Il quale aggiunge che «In altri termini, l’operazione concettuale e pratica che presso di noi si articola al livello dell’interesse giuridicamente protetto (identificazione del bene leso), in common law si sviluppa ad un doppio livello: identificazione della fattispecie illecita e qualificazione del danno cagionato». 4 A. RAVAZZONI, La riparazione del danno non patrimoniale, Milano, 1962, 37; C.M. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ., a cura di G. Scialoja-G. A.Branca, II ed., Bologna-Roma, 1979, 247. 5 F. CARNELUTTI, Il danno e il reato, Padova, 1926, 12. Un’altra dottrina afferma che deve intendersi come danno non l’alterazione o pregiudizio di un interesse, ma l’evento che colpisce un bene, inteso come «fenomeno che risulta idoneo a soddisfare un bisogno socialmente rilevante, e che si presta a costituire l’oggetto tipico di disciplina e tutela del diritto»: cfr. R. SCOGNAMIGLIO, voce Risarcimento del danno, in Noviss. Dig. it., vol. XVI, Torino, 1969, 475. 3 Il danno nel sistema della responsabilità civile: definizioni e funzioni 3 Infatti, Dottrina «di per sé il termine danno non ha alcuna accezione circoscritta, anzi esso sottintende una nozione assai ampia, di carattere naturalistico, che individua qualunque nocumento o pregiudizio, annientamento o alterazione di una situazione favorevole» P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 275. Ma non tutte le modificazioni peggiorative di una realtà fenomenica trovano un rimedio nell’ordinamento. È la legge, infatti, che seleziona tra le conseguenze pregiudizievoli quelle meritevoli di essere risarcite, e che fa emergere il secondo profilo, questa volta prettamente giuridico, del danno. Se, nella lingua corrente, con il termine danno si allude immancabilmente a un pregiudizio, nel linguaggio del legislatore esso assume vari significati, che si possono essenzialmente ricondurre a due grandi aree: Dottrina «Altro, ad esempio, il significato della parola quando si parla del danno come elemento oggettivo del reato, di danno criminale, di danno-evento, di reati di danno (contrapposti ai reati di pericolo), altro è quando si parla di danno in rapporto al risarcimento, cioè di danno risarcibile. Nel primo caso il termine equivale a lesione dell’interesse tutelato (molti penalisti preferiscono parlare di offesa al bene protetto). Nel secondo caso il danno è rappresentato dalle perdite patrimoniali, dai mancati guadagni, dalle sofferenze morali patite dalla vittima dell’illecito» G. VISINTINI, Il danno ingiusto, in La civilistica italiana dagli anni ’50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative, Congresso dei civilisti italiani tenuto a Venezia, 23-26 giugno 1989, Milano, 1991, 706 ss. ora, può accadere che: Dottrina «Queste due accezioni di danno possono anche coincidere, ma a volte non coincidono, come quando si chiede il risarcimento di danni riflessi, indiretti (ad esempio: ripercussioni economiche della lesione della reputazione) e quando i danneggiati civilmente non sono i soggetti passivi del reato (danni da uccisione)» G. VISINTINI, Il danno ingiusto, cit., 706 ss. Un rapporto analogo, anche se non identico, Dottrina «si ha tra il concetto di danno ingiusto ex art. 2043, ove si allude all’elemento oggettivo del fatto illecito «iniuria» (l’elemento soggettivo essendo la colpevolezza o altro criterio d’im- 4 Capitolo Primo putazione del danno a un soggetto) e il pregiudizio risarcibile, cui si riferiscono norme come gli artt. 1223, 1225, 1227, 2058, 2059 c.c., norme quest’ultime che presiedono alla valutazione dell’ammontare del danno da risarcire, norme che selezionano le poste di danno risarcibile» G. VISINTINI, Il danno ingiusto, cit., 706 ss. Premesso questo, se si osserva più attentamente la questione, bisogna osservare che nei sistemi come il nostro, rispetto a quelli di common law, è sicuramente più facile raggiungere una nozione unitaria di danno; in tutti i casi in cui il termine “danno” viene impiegato dal legislatore, infatti, esso fa sempre riferimento alla conseguenza di un fatto umano, di un accadimento fortuito o di un inadempimento. Dottrina «Le norme del c.c. fanno un impiego uniforme dell’espressione “danno” o “danni”; talvolta esse si riferiscono al pregiudizio, alle conseguenze dannose e così via; la terminologia invariabilmente usata indica che questa espressione richiama una nozione unitaria: di volta in volta l’aggettivazione specificherà l’origine del danno (es. contrattuale, extracontrattuale) o il bene affetto dal danno (d. fisico, psichico, morale, economico, alla persona, alla proprietà, alla reputazione e così via), o l’entità del danno (grave, lieve) o il rapporto con il fatto generatore (diretto, indiretto, prevedibile, imprevedibile). In ogni caso, l’espressione danno allude alla conseguenza di un accadimento fortuito (sinistro), di un fatto umano, ovvero di un inadempimento contrattuale. Conseguenza che è strettamente collegata quindi al comportamento o all’esercizio di un’attività e all’interesse leso. In virtù di questo collegamento spesso si tende ad appiattire la nozione di danno, non considerandola una semplice appendice del comportamento, non confrontandola con l’interesso (leso) o con la lesione in sé. Ma, seguendo la concezione analitica dell’illecito, il danno è fattore o elemento affatto diverso dall’iniuria (intesa come lesione dell’interesse) e dalla colpa o dal dolo. E ciò spiega perché sia possibile intendendolo come conseguenza, senza neppure aggettivarlo, costruire e usare una nozione unitaria e indifferenziata di danno» G. ALPA, Danno aquiliano, cit., 791. Numerose sono state le “etichette” utilizzate per individuare le tipologie di pregiudizi risarcibili: Dottrina «Le disutilità che il diritto prende oggi in considerazione al fine della r.c. sono distinte dagli interpreti in varie categorie: danno patrimoniale, danno alla salute, danno morale. Le prime due ricadono nell’orbita dell’art. 2043 c.c., l’ultima in quella dell’art. 2059 c.c. Del danno patrimoniale fanno parte anche la così detta perdita di chance e il danno erariale allo Stato. Sul versante delle lesioni non patrimoniali si è avanzata la proposta di considerare in modo autonomo i danni psichici ed i danni esistenziali. Inoltre si è recentemente aperta la tematica del danno ambientale» P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 275. Il danno nel sistema della responsabilità civile: definizioni e funzioni 5 Si deve tuttavia chiarire quali criteri possano/debbano essere utilizzati per procedere alla selezione, fra tutti i pregiudizi verificatisi a seguito di un inadempimento o di un illecito, di quelli risarcibili per l’ordinamento. Sono state elaborate diverse formule per selezionare gli interessi la cui lesione darebbe luogo a un danno ingiusto. Si è detto, per esempio, che deve vedersi il danno ingiusto Dottrina «là dove vi è lesione di interessi suscettibili di tutela secondo il principio di solidarietà sociale. Questa formula (…) dice molto poco perché in base al principio di solidarietà sociale qualsiasi interesse alla fine potrebbe considerarsi meritevole di tutela. Altri ha ravvisato il danno ingiusto nella lesione di un interesse rilevante secondo una valutazione comparativa degli interessi in gioco alla stregua dei principi costituzionali. Il riferimento alla valutazione comparativa degli interessi in gioco, sia pure alla stregua dei principi costituzionali, è però anch’esso una formula eccessivamente generica, che non offre un criterio giuridico di giudizio» C.M. BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 113. Autorevole dottrina ha tuttavia osservato che la ricerca di una formula che valga come criterio di selezione degli interessi meritevoli di tutela, non possa dirsi, in realtà, riuscita e, conseguentemente, ritiene più corretta la posizione di chi ravvisa nel danno ingiusto una clausola generale rimessa al giudizio caso per caso: Il giudizio «caso per caso» si sottrae per altro al controllo di conformità alla norma, e suscita l’obiezione di coloro che contestano la legittimità di fondo di una soluzione che in definitiva rimette alla giurisprudenza quello che è un compito della legge. I toni di questa contestazione sono stati a volte aspri. Si è giunti, ad esempio, a denunziare quella dottrina che spesso si sarebbe limitata a “mimare” la giurisprudenza. Si è parlato di una responsabilità lasciata allo stato brado da una dottrina che non ha svolto il suo ruolo. Si è detto, ancora, che: Dottrina «Si assiste ai nostri giorni al fiorire di un filone di letteratura giuridica di tipo descrittivo, rappresentato da raccolte più o meno ordinate di aforismi giurisprudenziali, registrati come basi di previsione dei futuri comportamenti dei giudici» C.M. BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, cit., 113. 6 Capitolo Primo Si tratta di aspetti che sono stati oggetti di analisi anche dai recenti pronunciamenti della Suprema Corte e sui quali quindi si tornerà nel prosieguo. 1.1.1. Causalità di fatto e causalità giuridica Alcuni autori, con riguardo alla regola generale dettata dall’art. 2043 c.c., evidenziano che sarebbe necessario procedere a scomporre la nozione di danno in quelle di evento di danno e di danno patrimoniale; tale scomposizione rifletterebbe la duplice funzione che è chiamata a svolgere la causalità: imputare un evento ad un responsabile (causalità di fatto); stimare le conseguenze economiche pregiudizievoli del fatto (causalità 6 giuridica) . 6 M. FRANZONI, Dei fatti illeciti – art. 2043-2059, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 102. Questa scomposizione non ha ottenuto consensi unanimi, tanto che si è fatto notare come essa non trovi alcun conforto nel linguaggio del legislatore, oltre ad essere superflua. «È stato obiettato da taluno che la nozione di evento di danno non abbia fondamento normativo, poiché nel (…) titolo IX si parla solo di fatto, di fatto illecito, di fatto dannoso, di danno, di danno ingiusto, sicché l’utilizzo della predetta nozione rifletterebbe uno schema di ragionamento proprio dell’illecito penale, inutile in sede civile. Per di più, si dice ancora, la fattispecie di responsabilità civile può compiutamente perfezionarsi solo a condizione che il danno sia patrimonialmente valutabile, con la conseguenza che il concetto stesso di evento di danno sarebbe superfluo, proprio perché non consentirebbe mai di perfezionare la fattispecie stessa» (M. FRANZONI, op. ult. cit., 102). Autorevole dottrina, invece, ne ha ribadito l’importanza: «È ben vero che la responsabilità aquiliana è una fattispecie complessa; nel contempo è innegabile che, dal punto di vista ricostruttivo, gli elementi che la compongono abbiano una autonomia propria, per individuare la quale è indispensabile procedere a scomposizioni. Per di più, proprio perché il danno risarcibile è sempre una “conseguenza”, occorre fissare il punto di inizio: l’antecedente. Questo punto di inizio si identifica proprio con il concetto di evento di danno, cioè con la modificazione esteriore, materiale o giuridica, della sfera della vittima per effetto: a) della condotta dell’autore, b) della posizione giuridica che ha un soggetto rispetto alla cosa, c) del collegamento stabilito dalla legge a carico di un soggetto con il fatto illecito compiuto da altri. (…) L’unica ipotesi di danno che si risolve nella lesione in sé è il danno morale, ma questo è altro dal danno patrimoniale per struttura e per funzione» (M. FRANZONI, op. ult. cit., 102 s.). Non sarebbe decisiva al fine di sostenere l’inutilità del concetto di evento – afferma questo autore – la circostanza che nel linguaggio del legislatore del 1942 tale concetto sia stato omesso. Invero, nel titolo IX, il termine danno è impiegato con diversi significati: nell’art. 2043, ad esempio, il danno ingiusto significa lesione di un interesse meritevole di tutela, non è sinonimo di danno da risarcire, che figura nella parte finale della norma; più in generale, quando il danno è accostato al risarcimento (artt. 2055, comma 2, 2056, 2057 c.c.), esso assume il significato di perdita economica da compensare; quando invece è indicato quale «fatto dannoso» (artt. 2045, 2046, 2055, comma 1, c.c.), quale «fatto illecito» (artt. 2048, 2049 c.c.), quale «danno cagionato» (artt. 2044, 2047, comma 1, 2048, 2050, 2051, 2052, Il danno nel sistema della responsabilità civile: definizioni e funzioni 7 Al riguardo, si deve evidenziare che sebbene la tematica del rapporto di causalità sia fondamentale nella fattispecie della responsabilità civile, il legislatore non ne ha dato una definizione nel codice civile; l’unico riferimento che l’art. 2043 c.c. fa al rapporto di causalità, infatti, sta nell’espressione «cagiona ad altri un danno ingiusto», che tuttavia nulla di7 ce su come la causalità debba essere intesa . Non va sottovalutato, comunque, il fatto che Dottrina «la norma ha posto in relazione il cagionare al danno ingiusto e non già al danno da risarcire, al quale fa menzione nella parte finale dell’articolo in commento. Questa precisazione assume notevole importanza sul piano sistematico, giacché le due nozioni di danno divergono, dal momento che identificano momenti diversi della fattispecie normativa. La prima indica la lesione di un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, cioè l’ingiustizia; mentre la seconda indica le conseguenze economiche pregiudizievoli del fatto, cioè la patrimonialità del danno» M. FRANZONI, Dei fatti illeciti – art. 2043-2059, cit., 85. Quest’ultima fase del giudizio è disciplinata dall’art. 1223, in quanto richiamato dall’art. 2056, comma 1, c.c. La diversa finalità a cui rispondono le due causalità, all’interno del sistema della responsabilità civile, escluderebbe la opportunità di ricostruire unitariamente la figura. Si parlerà di causalità di fatto ogniqualvolta si tratti di esaminare il collegamento tra gli elementi dell’illecito; si parlerà di causalità giuridica ogniqualvolta occorra de2053 c.c.), «danno prodotto» (art. 2054, comma 1, c.c.), «danno derivato» (art. 2054, comma 4, c.c.), è sinonimo di evento lesivo (M. FRANZONI, op. ult. cit., 103). «Secondo il legislatore, dunque, il danno è un concetto che assume tre significati diversi, indica la perdita patrimoniale da stimare e da liquidare secondo le regole della causalità giuridica desunte dall’art. 1223: il danno patrimoniale; indica l’evento lesivo o il termine finale della sequela della causalità di fatto, il momento di saturazione della condotta per dirla con i penalisti: l’evento di danno; indica l’interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico: il danno ingiusto. La presenza di tutti questi elementi attribuisce giuridica rilevanza al danno rendendolo risarcibile» (sempre M. FRANZONI, op. ult. cit., 103-104). L’evento di danno, pertanto, assume un ruolo centrale, perché è il presupposto per accertare se l’interesse leso della vittima sia meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, nel contempo è il presupposto per la determinazione del danno patrimoniale con il criterio della causalità giuridica; la nozione di evento di danno non è solamente utile a fini descrittivi: essa permette infatti di arrivare ad un’ulteriore precisazione circa la natura e gli scopi della causalità di fatto e della causalità giuridica (M. FRANZONI, op. ult. cit., 104-105). 7 Cfr. di nuovo M. FRANZONI, op. ult. cit., 84 s. 8 Capitolo Primo terminare e misurare il danno risarcibile (il riferimento è agli artt. 2056 8 e 2057) . Il problema dell’individuazione dei danni risarcibili, comunque, non investe mai la sussistenza della causalità giuridica, ma riguarda la meritevolezza dell’interesse leso: va, quindi, risolto interpretando la clausola 9 generale dell’ingiustizia, o la nozione di patrimonialità del danno ; la causalità di fatto Dottrina «serve per collegare un evento di danno ad un responsabile, talvolta preventivamente individuato dalla norma che pone il criterio di imputazione della responsabilità. A questo fine ben sono richiamabili le norme del codice penale relative alla causalità, anche se nell’illecito aquiliano una condotta in senso tecnico può mancare: così avviene nel caso del danno da cose in custodia, da proprietà di animali, da proprietà di edifici, da proprietà di autoveicoli, per effetto della preposizione. Pertanto, nell’illecito civile a differenza dell’illecito penale, il collegamento va stabilito tra un soggetto ed un evento di danno» 10 M. FRANZONI, Dei fatti illeciti – art. 2043-2059, cit., 95 s. . 8 M. FRANZONI, op. ult. cit., 85: «Emerge che nel sistema della responsabilità civile la causalità assolve ad una duplice finalità: imputare al responsabile il fatto illecito, e stabilire l’entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono nel danno risarcibile. È dunque opportuno distinguere in causalità di fatto la prima, e in causalità giuridica la seconda» (89). Ciò non toglie, peraltro, che «le regole pratiche elaborate dalla giurisprudenza, fondate su massime dell’esperienza, sulla regolarità statistica e sul calcolo delle probabilità o sull’id quod plerumque accidit, possano valere tanto per la causalità di fatto, quanto per la causalità giuridica. Entrambe la causalità, infatti, hanno in comune la necessità di dover giustificare il collegamento tra un fattore che precede ed uno che segue, al di là della mera successione temporale segnata dalla regola naturalistica o della regola della equivalenza di tutti i fattori desumibili dalla conditio sine qua non. Si può anzi sostenere che tutto il problema della causalità stia proprio nello stabilire un criterio che, pur dando per presupposto la conditio sine qua non, se ne distanzi in misura più o meno accentuata, a seconda della fattispecie di responsabilità, ed a seconda della fase del giudizio di responsabilità, allo scopo di rendere equo lo spostamento patrimoniale conseguente alla condanna al risarcimento». 9 10 Ancora M. FRANZONI, op. ult. cit., 94. L’Autore aggiunge che a sua volta, «all’interno del rapporto di causalità di fatto si può agevolmente distinguere un elemento positivo e di un elemento negativo: quello positivo è dato dalla prova che un soggetto abbia posto in essere una condizione dell’evento, e cioè un antecedente senza del quale l’evento stesso non si sarebbe verificato; quello negativo, invece, è che il risultato non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali. L’onere della prova del primo grava sul danneggiato, mentre la prova del secondo incombe sul danneggiante che, assolvendolo, si libererà dalla responsabilità» (op. ult. cit., 96). Il danno nel sistema della responsabilità civile: definizioni e funzioni 9 1.2. “Danno” e “illecito” Il danno giuridicamente rilevante è, di regola, e fatti salvi i casi di responsabilità oggettiva e di colpa presunta, la conseguenza di un “illecito”; questo, sebbene venga generalmente inteso come violazione di comandi o divieti giuridici ad opera di comportamenti umani, è un concetto con pluralità di sensi. L’espressione “illecito” viene infatti correntemente utilizzata per indicare tre distinte fattispecie: Dottrina «si usa l’espressione illecito per designare sia il contrasto tra fatto e diritto, sia all’atto che dà luogo a responsabilità civile ex art. 2043, sia l’inadempimento dell’obbligazione. Nella prima di tali accezioni il significato di illecito coincide con quello di antigiuridicità, categoria di cui si fa rientrare qualsiasi fatto o situazione che non sia conforme a diritto, distinguendovi l’antigiuridicità soggettiva, qualifica riservata ai comportamenti umani imputabili e quella oggettiva, da riferirsi a fatti in senso stretto, situazioni o comportamenti di soggetti incapaci di agire» M.V. DE GIORGI, voce Danno: II) danno alla persona, in Enc. giur. Treccani, vol. X, Roma, 1988, 2. Parte della dottrina ritiene che illecito e danno siano inseparabili, 11 cioè che un danno sia ravvisabile in ogni ipotesi di illecito , mentre altra dottrina ritiene che debba ammettersi che l’ordinamento reagisca di 12 fronte ad atti di lesione del diritto anche in mancanza di danno ; a questo proposito si usa fare gli esempi di colui che attraversi, contro la volontà del titolare, e senza alcun diritto, un campo non coltivato, o di chi sfogli con ogni accuratezza un libro nonostante il divieto del proprieta13 rio e in di lui assenza . 11 Si veda, ad esempio, F. CARNELUTTI, Il danno e il reato, cit., 12; P. FORCHIELLI, Il rapporto di causalità nell’illecito civile, Padova, 1960, 22 ss.; A. DE CUPIS, Il danno, I, Milano, 1979, 20 ss.). 12 R. SCOGNAMIGLIO, voce Illecito (diritto vigente), in Noviss. Dig. it., vol. VIII, Torino, 1962, 169 s. 13 A. RAVAZZONI, La riparazione del danno non patrimoniale, Milano, 1962, 12; «Che ogni comportamento antigiuridico produca necessariamente la lesione di un interesse è l’affermazione che, frequente nella dottrina penalistica, si trova spesso anche presso i civilisti. Si afferma, ad esempio, che la violazione di una servitù di passaggio è di per se stessa dannosa, in quanto lede l’interesse del proprietario del fondo dominante, senza che si possa sostenere, in contrario, che il danno si produrrà solo eventualmente: la possibilità di utilizzazione del bene è garantita al proprietario indipendentemente dal momento in cui esso ne usufruisca, così che il 10 Capitolo Primo Il concetto a cui si fa riferimento, per spiegare le ipotesi in cui l’ordinamento reagisce eccezionalmente di fronte ad atti di lesione del diritto a prescindere dal verificarsi del danno, è quello di “pericolo di danno”, il quale, incidendo negativamente sul valore del bene, sarebbe danno 14 già di per se stesso . Alla figura di illecito di pericolo fa spesso ricorso la dottrina, ad esempio, per gli atti di contestazione dell’uso del nome o dello pseudonimo (artt. 7 e 8 c.c.), abuso dell’immagine (art. 10 c.c.); turbative o molestie del diritto del proprietario (art. 949 c.c.); atti di concorrenza sleale (art. 15 2599 c.c.), atti in violazione del diritto d’autore . Alla stessa prospettiva sono ricondotte le fattispecie nelle quali il divieto normativo trova la sua giustificazione nell’intento di evitare un pregiudizio futuro, come accade per l’affermazione di un altrui diritto sulla cosa di cui all’art. 949, comma 1, c.c. o le innovazioni da parte del proprietario del fondo dominante che rendano più gravose le condizioni 16 del fondo servente (art. 1067 c.c.) . Questi ed altri atti sono vietati indipendentemente dal verificarsi di un danno e, in ipotesi di trasgressione, se ne può, tramite inibitoria, chiedere la cessazione; e in effetti, secondo un’opinione che sta progressivamente affermandosi, esisterebbe nel nostro ordinamento un generale divieto di porre in pericolo l’altrui 17 diritto, da farsi valere attraverso l’azione inibitoria . Altro profilo problematico del concetto di illecito è rappresentato dal fatto che il legislatore, facendo uso dell’espressione “fatto illecito” in diversi punti del codice civile (il titolo IX del libro IV è intitolato «Dei fatti illeciti»; il fatto illecito figura tra le fonti delle obbligazioni indicate dall’art. 1173 c.c.; l’art. 2043 c.c. è rubricato «Risarcimento per fatto illecito», e dispone: «qualunque fatto doloso o colposo», ecc.; nei termini di «fatto colposo del creditore» si esprime l’art. 1227, comma 1, c.c.) non sembra accogliere la distinzione dogmatica tra atto e fatto, considerata invece essenziale nella teoria del negozio giuridico. passaggio sul fondo altrui costituisce sempre una dannosa violazione della norma protettiva, anche se in sé non comporta pregiudizio alcuno»: così M.V. DE GIORGI, voce Danno: II) danno alla persona, cit., 3. 14 Cfr. A. DE CUPIS, Il danno, cit., 20 ss. 15 Lo rileva M.V. DE GIORGI, op. loc. ult. cit. 16 R. SCOGNAMIGLIO, voce Illecito (diritto vigente), cit., 169 e M.V. DE GIORGI, op. loc. ult. cit. 17 Sempre M.V. DE GIORGI, op. loc. ult. cit.